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Autore: Bethesda    15/04/2012    1 recensioni
Un anziano febbricitante, il solito senzatetto che emana un forte puzzo d’alcol, cinque ragazzi che accompagnano il loro amico strafatto e una signora isterica che si lamenta del fatto che nessuno si sia ancora curato del suo singhiozzo che continua da cinque terribili giorni.
E giustamente ha pensato di venire alle due di notte in pronto soccorso.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ennesimo turno di notte, l’ennesimo via vai di pazienti, l’ennesimo caffè che evita che il sonno mi stordisca completamente.
Un anziano febbricitante, il solito senzatetto che emana un forte puzzo d’alcol, cinque ragazzi che accompagnano il loro amico strafatto e una signora isterica che si lamenta del fatto che nessuno si sia ancora curato del suo singhiozzo che continua da cinque terribili giorni.
E giustamente ha pensato di venire alle due di notte in pronto soccorso.
«Sa, io lavoro!»
Guardi, io invece sto qui per sport.
Mi faccia il piacere.
Alzo gli occhi al cielo rassegnata, ma invece che l’illuminazione divina incontro una macchia d’umido che da anni si allarga costantemente sul soffitto.
Chiacchiero con l’infermiere di turno non appena la tempesta si placa ma presto arriva un altro paziente.
È un ragazzo di venticinque anni, rumeno e accompagnato dalla madre che porta in testa un fazzoletto a raccoglierle i capelli, facendola assomigliare a una vecchia contadina.
Dice di non sentirsi bene e il colorito pallido sembra dar ragione alle sue parole, così lo faccio sedere su di una barella e inizio a visitarlo.
Pulsazioni, temperatura, pressione.
Gli faccio qualche domanda sulla sua vita: ha il diabete da cinque anni, lavora ma spesso è anche costretto a medicare.
Non mi stupisco.
E c’è una cosa che questo lavoro cancella con gli anni è l’effetto sorpresa: ne arrivano troppi e troppo diversi. Uomini e donne dalle vite più assurde e disastrose. Ricchi, poveri, lavoratori, disoccupati, nullafacenti, folli.
I folli sono la maggioranza.
Ma ci si fa l’abitudine a questo miscuglio eterogeneo di umanità.
Potrei scrivere un trattato di antropologia.
Il ragazzo non ha nulla di grave ma è ancora un po’ emaciato, così lascio che si riposi e vado a prelevare un altro paziente appena arrivato.
Italiano, sulla cinquantina, il volto affaticato e il respiro più veloce del normale.
Anche per lui partono immediatamente gli esami mentre la moglie gli sta accanto e lo guarda senza riuscire a nascondere l’apprensione.
È una bella donna, più giovane di lui di parecchi anni. I tratti mediorientali sono incorniciati da un velo sottile.
Dobbiamo ricoverarlo e dopo aver parlato un poco i due si separano.
«Posso chiedervi un favore? Potreste cercarmi gli orari dei bus?»
Io e l’infermiere ci guardiamo.
«A quest’ora forse è meglio un taxi.»
Abbassa gli occhi per un istante e si morde inconsciamente il labbro inferiore.
«Non ho i soldi. Ma un bus va benissimo.»
Scrollo la testa con aria sicura.
«Alle tre di notte, per arrivare a casa tua, ci vorrebbe una vita con i mezzi pubblici. Guarda, piuttosto te lo paghiamo noi.»
«Ma…»
L’infermiere mi da manforte e le impedisce di ribattere.
«Tututututut! Ha ragione lei! Non fare storie. Su, adesso vado a chiamarlo.»
Fa per allontanarsi quando il ragazzo di prima, rimessosi in piedi e pronto ad andare a casa, si avvicina a noi.
«Scusate, non ho potuto fare a meno di ascoltare. Mio fratello ha la macchina e arriverà fra poco: glielo diamo noi un passaggio.»
Lo guardiamo stupiti ma non vuole sentire ragioni: la vuole accompagnare a casa.
La donna va a salutare il marito e a rimettersi il cappotto.
Restiamo io e il giovane.
«Perché le vuoi dare un passaggio?», domando incuriosita.
Scrolla le spalle e sorride. Un sorriso stanco e malinconico.
«Siamo tutti poveri. Dobbiamo aiutarci fra di noi. Possiamo fare solo questo.»
La risposta mi colpisce.
Fra tutti gli stronzi che vengono qui pieni di problemi da nulla, fra tutti quelli che trattano con ingratitudine infermieri e medici che si dannano per far bene il loro lavoro, fra tutti i parenti che non capiscono nulla e credono di essere dei medici praticanti solo perché guardano “E.R.”, ecco, fra tutte queste persone ogni tanto ne esce fuori qualcuna che mi stupisce.
Gli regalo una scatola di tachipirina e lo seguo con lo sguardo mentre lui, la madre e la donna si allontanano.


P.S.: questa storia è vera, solo romanzata e con dei "pezzi in più". Me l'ha raccontata mia madre e ci tenevo a trascriverla. La ringrazio per avermi dato lo spunto. <3
   
 
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