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Autore: Yvaine0    15/04/2012    4 recensioni
Ovvero come innamorarsi nonostante il proprio - profetico - pessimismo cronico.
Steve è inguaribilmente innamorato di Mariah Thompson. È ossessionato dal ricordo di "Peldicarota Steve", il se stesso adolescente un po' sfigato che tutti i compagni di classe prendevano in giro quando frequentava il liceo. Va al college da qualche anno, ormai, in una città lontana, dove la sua vita è nettamente migliorata. Per quanto cerchi di dimenticare Mariah, però, ogni volta che la rivede non può non mandare all'aria i propri propositi e lasciare la sua ragazza del momento.
Poi, alla festa di compleanno della ragazza, accade qualcosa che Steve non avrebbe mai immaginato. Eppure...
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Peldicarota Steve
Ovvero come innamorarsi nonostante il proprio – profetico – pessimismo cronico.


Steve Tanner era un giovane uomo come tanti; aveva numerosi conoscenti, un solo vero amico e una cotta stratosferica per una ragazza poco adatta a lui. Studiava in un prestigioso college, come gli era stato imposto dai genitori, e appena ne aveva la possibilità schizzava a casa, dove poteva vedere la famiglia, il suo migliore amico Matt e aveva buone possibilità di incontrare la sua Mariah Thompson.
Era il ragazzo della porta accanto, quello un po’ sfigato ma leale. Quello che, cinque anni prima, quando arrivava l’estate e la città si svuotava, usciva in cortile e teneva compagnia alla vicina di casa tredicenne, salvandola dalla noia che rischiava di uccidere entrambi.
Steve aveva diciotto anni quando l’aveva conosciuta e, allora, i suoi compagni di classe si divertivano a trovare mille motivi per sfotterlo: non aveva mai avuto una ragazza, tanto per cominciare. Aveva un’assurda ossessione per i numeri e la matematica, lunghi capelli rossicci alla Axel Rose –ritenuti assolutamente ridicoli – e soffriva d’acne. Peldicarota Steve, così lo chiamavano. Il fatto che passasse tanto tempo con “una strana ragazzina dall’aria stupida” non migliorava la sua situazione. Steve non era mai stato molto sicuro di sé, ma aveva la certezza matematica – o quasi – che le cose, prima o poi, sarebbero andate per il verso giusto, quindi aveva continuato per la sua strada e si era beato del tenero ottimismo di Mariah finché aveva potuto. Poi era andato al college e da allora era cambiato tutto, era cambiato lui. Era cresciuto e lo sfigato che era stato lo aveva portato ad essere qualcosa di meglio: la sua ossessione per la matematica gli aveva procurato una borsa di studio, l’acne era a poco a poco guarita e i capelli color carota – opportunamente tagliati – avevano attratto diverse ragazze niente male. Non era diventato popolare, ma si era guadagnato una reputazione accettabile rimanendo sempre se stesso. Lo stesso non si poteva dire, a quanto pareva, della piccola e sognatrice Mariah. Anche lei era cambiata, a quanto dicevano i suoi informatori – ovvero Matt, il suo sempre fedele amico, che nonostante le proteste gli riferiva tutte le voci che circolavano su di lei. Si diceva che fosse diventata una squilibrata, un’ubriacona. Una sostenitrice accanita dello sballo in tutte le sue forme. L’unico appellativo che le mancava sembrava essere “ninfomane” e Steve, nonostante il suo storico pessimismo, aveva tirato un sospiro di sollievo scoprendolo: almeno qualcosa della ragazzina che aveva conosciuto si era salvato.
Nonostante cercasse continuamente informazioni su Mariah e continuasse ad avere un debole per lei, Steve aveva una mentalità piuttosto fredda e disillusa e per questo aveva scelto di non buttar via quegli anni della sua vita aspettando una ragazza che non aveva mai mostrato alcun interesse per lui. Era stato fidanzato più volte durante i cinque anni trascorsi lontano da lei, ma ogni volta che tornava a casa e la incontrava tutti i suoi buoni propositi andavano a farsi friggere assieme alla sua relazione del momento. E, ogni volta,si dava dell’idiota al momento di sorbirsi la scenata della sua neo-ex-ragazza, ma non riusciva a resistere a quegli occhi azzurri dall’aria perennemente meravigliata. Si era innamorato come un fesso, non c’era nulla da fare.
Un bel giorno di fine estate, poi, lo stomaco di Steve si era stretto in una piacevole morsa, mentre controllava la casella di posta elettronica. C’era un’email di Mariah, che lo invitava alla sua festa di compleanno per i diciannove anni.
“No”, era stato il suo primo pensiero. “Quella ragazza sta monopolizzando fin troppo la mia vita, non ci andrò!”.
Eppure due giorni dopo era nella sua città natale e metteva a dura prova i nervi della sorella minore di Matt, offertasi di aiutarli a trovare un regalo adatto a una ragazza. Il suo migliore amico non riusciva più a smettere di ridere e di prenderlo in giro, la povera Judie stava per gettare la spugna e Steve era sull’orlo di una crisi isterica, per quanto calmo a pacato fosse usualmente.
«Senti, io ci rinuncio! - sbottò la ragazza, fermandosi nel bel mezzo della strada. Puntò il dito indice sotto il naso di Steve, corrucciata. – Non puoi farti andare bene qualcosa?Non sarà grazie al regalo di compleanno che cadrà ai tuoi piedi, vuoi capirlo?»
«Io non ho intenzione di...»
«No, certo, tu non vuoi farla cadere ai tuoi piedi. Anche quest’anno la saluterai poi te ne starai in un angolo a osservarla strusciarsi contro il ragazzo di turno – suggerì Matt, scettico. Gli mise una mano sulla spalla, poi continuò, serio: – Amico, smettila di farti del male, ok?»
Steve si passò una mano tra i capelli rossicci e sbuffò. «La tua premura è commovente, davvero» berciò, come unica risposta. Alzò gli occhi al cielo e ricominciò a camminare, senza una vera e propria meta. La realtà era che sapeva benissimo di non aver speranze con lei. Matt aveva ragione, se ne sarebbe stato in disparte, a declinare le attenzioni di qualunque ragazza interessata a un tipo più grande e a rosicare vedendo Mariah con qualcun altro. Che altro avrebbe potuto fare? Era un amico di vecchia data, non era nemmeno più il migliore perché, com’era ovvio che fosse, in cinque anni lei si era trovata nuovi amici. Amiche, per fortuna, o Steve temeva che sarebbe seriamente caduto in depressione vedendo qualche ragazzo girarle attorno con la stessa confidenza che si era guadagnato lui negli anni.

Judie rivolse un’occhiata interrogativa al fratello, vedendo l’altro bighellonare con le mani in tasca e l’aria da cane bastonato. Matt le fece segno di lasciare perdere: «Siamo entrati in fase “Chissà se si ricorda di me”» spiegò a bassa voce, scrollando il capo.


«Anche tu sei imbucato, quindi?»
«Non propriamente. Il signorino qui presente è un invitato e mi ha costretto a venire. Ha una stratosferica cotta per la sign-...»
Ci mancava solo che Matt si mettesse a raccontare all’amichetta della sua bella i fatti suoi. Molto carino da parte sua. Si meritava pienamente la gomitata nelle costole che gli aveva appena rifilato.
«Ahia!»
Steve finse indifferenza, continuando a fissare con aria assorta il barista preparare un cocktail. «Eh? Hai detto qualcosa, Matt?»
«Ma dico, sei scemo? Mi rompi una costola!»
Il solito esagerato. «Ossa di pasta frolla, amico?»
La ragazza – Pam, si chiamava, o forse Pan – scoppiò a ridere di gusto e Steve si sentì vagamente soddisfatto di se stesso. Qualcosa di buono era riuscito a fare, quella sera. Prima che potesse dire qualunque cosa, qualcuno chiamò il nome di Pam – o Pan che fosse – e lei si voltò.
Steve non ne ebbe il bisogno di farlo. Non conosceva quella voce, ma non era stato difficile notare lo sguardo di Matt farsi vacuo e la sua schiena irrigidirsi. Questo significava solo una cosa: la dolce ragazza dai capelli turchesi era nei paraggi.
Rimase qualche istante a osservare l’amico, divertito, poi assestò un calcio allo sgabello su cui era seduto. Lui gli rivolse un’occhiata truce e Steve scoppiò a ridere. «Comunque Matt non vedeva l’ora di vedere quella Lily, checché ne dica» specificò a voce piuttosto alta, in risposta alla verità quasi spifferata poco prima.
Il ragazzo cercò di spingerlo giù dalla sedia, mentre Pam borbottava qualcosa di incomprensibile. «Hai detto qualcosa?» si informò Steve, aggrappandosi al bancone per non crollare, ma la brunetta in questione stava già correndo via di fretta, schizzando tra la gente.
«Che ragazza strana» osservò, sistemandosi sullo sgabello.
«È una tipa a posto – confermò Matt. – Al contrario tuo» sottolineò, vagamente divertito.
Steve lo spintonò leggermente a sua volta. «Oh, avanti, sei un infame, amico! Capisco che tu voglia essere simpatico alla confidente di Emma, ma non c’è bisogno di raccontarle i fatti miei».
«Ma smettila, a chi vuoi che lo dica?! – L’altro scrollò forte il capo, schizzandolo con i capelli bagnati. – Comunque si chiama Emily.»
Gli schizzi ricordarono a Steve il motivo per cui erano entrambi bagnati fradici. «Mi devi una birra».
Matt si alzò in tutta la sua – mediocre – altezza e lo guardò sconcertato. «E perché mai?»
«Perché mi hai fatto volare in piscina!»
«Capirai! Cosa sei, una ragazzina?»
«A Pam l’hai pagata!»
«Ma è amica di Lily!»
«Scegli, buffone, o la birra o il cellulare - trattò allora Steve, estraendo dalla tasca il telefonino ormai tragicamente fuori uso. – Morto affogato una sera che potrebbe essere la più bella della mia vita!» infierì teatralmente, reprimendo a stento una risata.
«Certo che ti accontenti di poco. Ma non metterti a frignare, ora! – Matt rise e attirò l’attenzione del barista. – Ehi, scusa! Un’altra birra per la lagna, qui, offro io!»
Quando gli venne consegnata la sua bottiglia di birra e l’altro si accinse a pagarla, Steve iniziò a sghignazzare senza alcun ritegno. «Che pensiero gentile, amico, non dovevi!»
«Non tirare troppo la corda, secchione» gli suggerì l’altro con superiorità, per poi sorseggiare il proprio cocktail con aria annoiata.
«Altrimenti che fai, mi affoghi?» prese una sorsata dalla bottiglia, chiedendosi cosa stesse facendo in quel momento Mariah. Sperava solo che non fosse da qualche parte, ubriaca, con uno schifoso ninfomane di quelli che si imbucavano alle feste per rimorchiare facilmente.
«Scusa, mi fai un Coca e Rhum?» Le viscere di Steve si annodarono e lui rischiò di mandarsi di traverso la birra. Conosceva quella voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille. Posò in fretta la bottiglia sul bancone, sotto lo sguardo interrogativo e divertito di Matt. Lui gli rivolse un’occhiata di rimprovero: poteva anche togliersi quell’espressione indisponente dal volto, una volta tanto, con lui quell’aria da angioletto non attaccava.

Matt aggrottò le sopracciglia, sorpreso dall’occhiataccia dell’amico e, incuriosito, seguì il suo sguardo, che andò a posarsi su una ragazza dai lunghi e mossi capelli corvini.

Era lì. “Certo che è qui”, pensò, “è il suo compleanno, imbecille”.
Steve si costrinse a guardare da un’altra parte, poi tornò inevitabilmente a mangiarsi con gli occhi la generosa porzione di gambe messa in mostra da quei pantaloncini neri davvero – davvero – corti. Se Mariah stava cercando di farsi saltare addosso, era sulla buona strada, indubbiamente.
Si sporgeva sul bancone puntellandosi sugli avambracci. Steve ringraziò il cielo – anche se una parte di lui lo malediva – di non poterla vedere da davanti, o chissà cosa le avrebbe fatto. Il suo storico realismo (tendente al pessimismo) gli ricordò che non le avrebbe fatto proprio nulla, perché lei non si sarebbe nemmeno lasciata avvicinare. Il pensiero del suo seno, però, non era semplice da cacciare...
Matt gli tirò un pugno sul fianco.
«Che c’è?» sbottò Steve, costretto a distogliere lo sguardo e voltarsi verso di lui.
«Fai il guardone o la saluti?»
«Non è fare i guardoni quando le ragazze girano mezze nude» sussurrò, puntiglioso. Era sempre assurdamente saccente – e rasentava l’isteria – quando era nervoso. E in quel momento lo era, tanto. Troppo, a dire il vero, era quasi imbarazzante.
L’altro stava per ribattere, ma Steve gli fece cenno di aspettare. Prese un respiro profondo, poi fece ruotare lo sgabello e vi saltò giù. Azzardò qualche passo verso di lei, molto meno distante di quanto a lui non sarebbe servito per calmarsi.
Poteva farcela. Che sarebbe stato mai? Aveva ventitre anni, lei solo diciannove. Era praticamente una bambina, sarebbe stata lei a doversi sentire una Mentos dentro una bottiglia di Coca Cola. E invece...
“Guarda il lato positivo, Steve, se fai la figura dell’idiota almeno la farai ridere. Forse”. Il ragazzo sbuffò: dannazione a lui e al suo pessimismo cronico!
Prese coraggio e andò ad appoggiarsi al bancone, di schiena, proprio accanto a Mariah. «Pensavo che le diciannovenni bevessero qualcosa di più sofisticato» se ne uscì, fissando la massa di gente che si dimenava di fronte a lui, senza davvero vederla. Fu mentre si stava intimamente rimproverando per aver cercato di attaccar bottone con una frase così idiota, che il volto sorpreso di Mariah comparve nel suo campo visivo. Si era piegata indietro per vederlo in faccia. Era così vicina e aveva quegli occhi così azzurri. Pregò di non essere arrossito.
«Peldicarota Steve! – esclamò lei, meravigliata. – Sei venuto!»
Sbang. Uno schiaffo sarebbe stato meglio di quello sfigatissimo soprannome.
Avrebbe potuto studiare per tutta la sua vita e diventare il ragazzo più bello del continente, ma sarebbe rimasto sempre e comunque il secchione dai capelli rossicci. Peldicarota Steve. Tanto valeva cambiar nome e trasferirsi in Alaska.
«Un Peldicarotasteve anche per me, grazie!» esclamò, rivolgendosi al barista. Se doveva essere un buffone a vita, tanto valeva far divertire qualcuno ed essere utili alla società. Quando Mariah scoppiò a ridere di gusto, gettando indietro il capo, il cuore gli fece una capriola e non potè fare a meno di sorridere. Si ritrovò a sperare che la frase “facendo ridere una ragazza sei a metà dell’opera” fosse vera.
«Questo si chiama senso dell’umorismo! – osservò la ragazza, piegando il capo da un lato. – Finalmente te ne sei procurato uno!»
Abbozzò un sorriso. Continuava ad accoltellare la sua autostima. Steve osservò il suo sorriso dolce e sincero e si disse che in fondo non gli importava nulla dell’autostima, era una cosa così futile in confronto a lei.
Se essere sfigato l’avrebbe fatta ridere ancora, lui avrebbe fatto il secchione a vita. «C’era il trenta per cento di sconto a un supermercato. Ho calcolato che su mille euro ne avrei risparmiati trecento, quindi ho dedotto che fosse davvero conveniente...» lasciò la frase in sospeso, rendendosi conto di quanto dovesse sembrare ridicolo. Matt lo avrebbe deriso a vita. Doveva smetterla, era un uomo ormai. Se a lei di lui non importava, avrebbe dovuto arrendersi e basta. Perché continuare a umiliarsi ogni volta che la vedeva?
Mariah rise di nuovo. «Non credevo saresti tornato quest’anno, sai? – ammise, afferrando il bicchiere che le porgeva il barista. – Grazie. – sussurrò, affabile, per poi rivolgersi di nuovo a Steve. – Insomma, sei una persona importante, ora. Tua madre non fa che parlare dei tuoi ottimi voti e del tuo futuro, sai?»
Il ragazzo si grattò il mento. Sua madre era imbarazzante, come al solito. Era necessario sbandierare la sua nerdaggine? «Sì, be’, sai come sono fatte le madri: esagerano sempre! La mia in particolare...» si schermì, ridacchiando come un idiota. Era destinato a fallire. Come poteva conquistare una ragazza se continuava a comportarsi da bambino?
Mariah prese un sorso dal bicchiere, osservandolo con gli occhi sgranati. Non era stupore, era semplicemente il suo buffo modo di prestare attenzione, Steve lo sapeva bene. Nonostante il passare del tempo e i cambiamenti avvenuti, continuava a saper interpretare con esattezza ogni suo gesto. «Sei eccezionale, Steve, non è possibile esagerare sul tuo conto» gli assicurò con tanta serietà che lui non potè non arrossire. Scoppiò a ridere, non sapendo come altro reagire a una frase del genere. «Rettifico: anche tu esageri!» bofonchiò, alzando gli occhi al cielo.
La ragazza gli fece una linguaccia, senza tuttavia insistere su quell’argomento che, era lampante, lo imbarazzava. «Allora – iniziò, allegra. – Vieni a fare quattro salti?»
Steve aprì bocca per rispondere, ma non fece in tempo, perché lei lo aveva già preso per un braccio e lo stava trascinando verso la massa di corpi che si dimenavano a bordo vasca. «Ah! Mary! Ma non devi finire di bere? Non è il caso, insomma... quante probabilità ci sono che Peldicarota Steve sappia ballare?» Non gli piaceva l’idea di dimenarsi in mezzo ad altra gente. L’occasione per farlo c’era stata molte volte negli anni e quando la sua ragazza del momento a una festa decideva di ballare, Steve non aveva mai osato rifiutare. Eppure con Mariah era diverso. Il pensiero di stare vicini, sfiorarsi e magari abbracciarsi gli mandava in pappa il cervello. Era matematico – Dio solo sapeva quanto! – che avrebbe perso la testa e avrebbe fatto qualcosa di stupido. Come arrossire e ridacchiare come un idiota o magari baciarla.
Mariah rise, prendendo un altro sorso dal bicchiere che reggeva nell’altra mano. «Perché, credi forse che io abbia preso lezioni di ballo?»
«Certo che l’hai fatto, in seconda liceo!», puntualizzò Steve con la voce acuta di quando era nervoso. Lei riconobbe al volo quel tono e rise. «Non devi farti tanti problemi, basta divertirsi!»
Sì, certo, bastava che si divertisse. Il problema era che anche lui era uno di quei decerebrati per i quali divertirsi con una ragazza per cui avevano una mostruosa cotta da un vita significava finire come minimo col pomiciare. Non che Steve fosse uno di quei farfalloni con il pallino del sesso ma era pur sempre un uomo e, per quanto rispettasse Mariah, vedendola trotterellare in giro con le gambe quasi del tutto nude non riusciva a trattenere qualche pensiero poco galante.
Mariah però non demordeva. Odiava che il pudore privasse la gente di sano e semplice divertimento. «Falla finita, Steve! Da quando ti fa paura la musica? Un tempo vantavi uno stile da Axel Rose che...»
«E va bene, e va bene, hai vinto! Non lamentarti se ti farò sfigurare, però!» ammiccò lui, ostentando una sicurezza di sé che in quel momento decisamente non aveva. E neanche se ti pesterò un piede, pensò, arresosi al di lei volere.


È curioso come a volte le situazioni si evolvano in maniere bizzarre, senza alcuna logica apparente.
Steve era steso sul letto e osservava beatamente il soffitto, sentendo la gioia riempirgli il torace e la testa. Iniziava a credere che fosse stato tutto un sogno ma, a dirla tutta, non aveva affatto voglia di pensare. Non gli importava scoprire se si fosse inventato tutto o meno.
Non avrebbe mai immaginato che una cosa simile sarebbe successa veramente, eppure era stato così.
Aveva trascorso l’intera serata con Mariah. Tutta la serata.
Avevano ballato e riso fino alle lacrime dei propri ridicoli passi improvvisati. Lui le aveva offerto da bere ed erano rimasti ore a parlare del passato, delle avventure vissute insieme e separati.
Si erano poi resi conto di aver fatto davvero tardi: il locale si era vuotato e la gente rimasta si appartava o rimetteva l’anima in piscina. C’era stato un «Dai, ti accompagno a casa, tanto la strada è la stessa», seguito da un sorriso gentile. In macchina avevano cantato a squarciagola le canzoni più commerciali del momento, ridendo come non mai dei testi insulsi e ripetitivi. Al momento dei saluti, poi, Mariah l’aveva baciato.
Steve realizzava in quel momento che, se avesse dovuto prendere lui l’iniziativa, non sarebbe mai successo. Aveva sempre pensato che non ci fossero possibilità che accadesse, non aveva mai preso in considerazione l’idea che potesse essere lei a unire le loro labbra per la prima volta.
Il suo primo pensiero era stato “Cazzo!”, il secondo “Dev'essere ubriaca, devo andarmene”, mentre il terzo “No che non lo è, al diavolo il pessimismo!”. Così Steve aveva risposto con trasporto al bacio e lei lo aveva trascinato in casa.
Il ragazzo sorrise, sentendo Mariah mormorare qualcosa: si stava svegliando.
Il sole entrava dalla finestra, filtrato dalle tende bianche. Lui non era mai stato in quella stanza prima di allora, ma non assomigliava all’idea che la gente della città si era fatta di lei, non descriveva la Marijuana Thompson di cui gli erano arrivate notizie. Era arredata in modo semplice e disordinatamente ordinato. C’erano decine di fotografie incollate alla rinfusa sull’armadio. C’erano i genitori di Mariah, gli animali domestici che aveva avuto negli anni, vecchie immagini di quando lei era piccola. C’erano le sue amiche e c’era anche lui.
Bastava guardarsi attorno per capire che lei era rimasta la sua Mariah di sempre, quella spontanea e bizzarra, quella a cui non importava nulla di ciò che gli altri pensavano di lei.
Steve infilò i boxer (ancora umidi dal tuffo in piscina della sera prima) e andò a guardare le fotografie da vicino. Osservò il se stesso di qualche anno prima, rendendosi conto di quanto sarebbe stato difficile che qualcuno non lo considerasse un barbone. Con l’etichetta di sfigato se l’era cavata ancora bene!
Ridacchiò tra sè, strofinando la mano contro il mento.
«Oh mio Dio!»
Steve si voltò, sentendo Mariah trasalire. Era seduta sul letto e si copriva con il lenzuolo. Lui arrossì sotto il suo sguardo sorpreso, non sapendo come comportarsi. Non era esattamente come svegliarsi nella stanza della propria ragazza dopo una notte brava, con lei era tutta un’altra storia.
«Ehm... buongiorno!» azzardò, sorridendo con aria terribilmente impacciata. Steve sentiva chiaramente Matt ridergli dentro la testa: l’avrebbe preso in giro a vita, se solo l’avesse visto in quel momento!
Lei distolse lo sguardo, incerta. «Cavolo, l’ho fatta grossa», la sentì commentare sottovoce.
A Steve quelle parole non piacquero per nulla. «Cosa vuoi dire?»
Mariah si alzò portando con sé il lenzuolo. Camminò in giro per la stanza alla ricerca di qualcosa, poi afferrò una maglia troppo grande per lei, con su stampato il logo dei Guns N’ Roses. «È tua questa?» domandò frettolosamente.
«No, è tua. È il mio regalo di compleanno. È enorme, lo so, ma pensavo... – Steve sbuffò, rendendosi conto di essere stato solo un povero illuso pensando che lei sarebbe andata a letto con lui da sobria. - ... non lo so, che pensavo» concluse, improvvisamente furioso con se stesso. Si era fregato con le proprie mani, avrebbe dovuto dare ascolto al suo buon senso, la sera prima.
«È bellissima, in realtà. Perfetta in questo momento» lo corresse Mariah. Si gettò il lenzuolo sulla testa e infilò la maglia al riparo da occhi indiscreti, che avevano già avuto modo di scorgere ogni cosa durante la notte. Le stava grande, enorme, ma copriva tutto ciò che ora il pudore rendeva conveniente nascondere.
«Sicuro» commentò, scettico. Steve osservò l’involtino primavera umano raggiungere il cassetto del comodino e prendere un paio di mutandine. Distolse lo sguardo per lasciarle un minimo di privacy e ne approfittò per indossare i propri vestiti.
Quando tornò a guardarla, Mariah aveva gettato via il lenzuolo e lo guardava timidamente, dondolando sui talloni. «Mi sa che ho fatto un casino, eh?»
Aveva gli occhi lucidi, i capelli scompigliati, una maglia di diverse taglie più – avrebbe potuto essere sua – e le gambe nude. Steve non poté fare a meno di notare quanto fosse bella in quel momento. Non rispose, continuò ad osservarla, senza riuscire a ragionare lucidamente.
Lei sospirò. «Steve, io...»
Lui la zittì con un gesto della mano. «Non importa, ok? Scommetto che non ti ricordi nulla di ieri sera».
Mariah aprì bocca per rispondere, aveva l’aria confusa. Abbassò il capo con aria triste e lui la prese come una conferma. «Bene. Anzi, benissimo. Insomma, sarebbe difficile da spiegare alla mia ragazza, non trovi? Non sono più Peldicarota Steve, non me la faccio più con le ragazzine». Sputò quelle parole con astio, come se quella menzogna potesse sostituire la realtà. Lui una ragazza non ce l’aveva e, anche se l’avesse avuta, a quel punto non avrebbe più retto il confronto. Immaginarlo era una cosa, ma fare l’amore con la ragazza di cui era innamorato era tutta un’altra storia. Non sarebbe più stato lo stesso ora, con nessuna. Si era rovinato da solo.
La ragazza non rispose, limitandosi a sedersi sul letto con aria dispiaciuta.  
Avrebbe voluto insultarla, inveire, rinfacciarle gli anni trascorsi pensando solo a lei e le giornate spese a sentirsi uno sfigato – Peldicarota Steve – pur di starle accanto. Avrebbe voluto elencare ogni presa in giro subita, ogni ragazza mollata per lei. Ma non lo fece.
Raccolse le sue cose, schiumando di rabbia e la salutò freddamente.
Mariah non disse nulla, si limitò ad attendere in silenzio il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva. Ascoltò la portiera dell’auto di Steve aprirsi, poi chiudersi e la macchina partire. Perché lui non sarebbe andato a casa, non quella mattina, non in quelle condizioni.
Si gettò con la faccia sul cuscino e si abbandonò alle lacrime. Si sentiva uno schifo, si sentiva fragile. Aveva sopportato per anni menzogne sul proprio conto, ma in quel momento non sarebbe riuscita a sostenere nemmeno il peso della maglietta che indossava. Le sembrava che tutti gli insulti che le avevano affibbiato nel tempo le calzassero a pennello.
Portò un lembo della maglietta che indossava al naso, sperando di percepire il suo odore. Ma non avrebbe mai potuto profumare di Steve, era stata acquistata in un negozio, non era mai appartenuta al ragazzo.
Era stata una stupida, aveva rovinato tutto. Per cosa, poi? Lui era fidanzato e lei si era illusa – illusa come la ragazzina che era – che potesse esserci qualcosa di più. In una sola notte era stata capace di rovinare un’amicizia durata anni.


In der Ecke – Nell'angolo:
Buonasera! Questa one shot non è sicuramente uno dei miei lavori migliori, lo so, ma ormai l'idea era sorta e non sono riuscita a trattenermi. Scriverla mi ha lasciato l'amaro in bocca e non sono sicura sia per via del finale.
Ma lasciate che puntualizzi un paio di cosette. Le parole con cui Steve conclude la conversazione sono puramente volte a ferire Mariah, in particolare il riferimento alla differenza di età. È uno dei 'problemi' per cui un tempo era stato preso in giro dai suoi compagni e decide di rinfacciarlo alla ragazza senza essere troppo esplicito – anche lui ha un proprio orgoglio, nonostante tutto, non vuole frignare davanti a lei.
Per quanto riguarda Mariah, invece, vi prego di non biasimarla. Personalmente è un personaggio che mi piace molto, non è stupida come sempre. È sicuramente eccentrica e spontanea, alla sera ha agito senza pensare – seguendo comunque quelli che erano davvero i suoi desideri – mentre al mattino, non diversamente da Steve, in fondo, si ritrova ad aver paura di ciò che è successo. Non sa come comportarsi, quindi, per l'imbarazzo, finge che sia successo tutto senza che lei fosse lucida. In realtà lo era. È la paura di aver rovinato l'amicizia con Steve che la porta a peggiorare le cose, anche se era in buona fede.

Spero che la storia vi sia piaciuta, anche se non è il mio solito genere.
Peldicarota Steve è un missing moment della mia Originale (Commedia) Cows and jeans.
Ringrazio Mary_ per il betareading e voi per essere giunti fin qui. ^^
  
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