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Autore: _Kloala_    16/04/2012    2 recensioni
Kurt è un elfo e si ritrova inspiegabilmente sulla Terra. Qui, solo e spaventato, viene ritrovato da Blaine che accetta di aiutarlo a tornare a casa. Ma entrambi non sanno che le loro vite stanno per cambiare per sempre.
Dal capitolo primo: “«Ti aiuterò volentieri» Poi porgendogli la mano aggiunsi «Piacere,io sono Blaine». Lui fissò la mia mano alzata, sembrava leggermente confuso. «C-cosa devo fare?» chiese.
«Devi stringerla» risposi e il suo volto si fece ancora più confuso.
«E perché?»
Lo guardai, sbattendo le palpebre: «Non lo so, è così che ci si saluta dopo una presentazione» risposi e lui sorrise.
«Che cosa buffa» disse semplicemente, poi mi strinse la mano. «Kurt.»”
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti! Siamo hipster e Rach Criss e questa è la nostra prima fan fiction insieme. È, ovviamente, una Klaine (per chi ci conosce non è una novità!); sarà scritta secondo i due punti di vista dei nostri due ragazzi preferiti. Rach Criss sarà Blaine, mentre hipster Kurt. Speriamo davvero che vi piaccia!
Baci, hipster e Rach Criss <3





Con il pacchetto fatto di foglie verdi e rosse per Rachel in mano, mi avvicinavo a lei circospetto.
 
Cercavo di non sorridere, ma sentivo inevitabilmente gli angoli delle mie labbra sollevarsi impercettibilmente.
 
Speravo solo di non insospettire Rach.
 
Un folletto, di nome Frullod’Ali, si avvicinò a me e tentò di attirare la mia attenzione, tirandomi per il bordo della tunica, ma lo scacciai via, con un guizzo mentale, facendogli vedere chiaramente cosa sarebbe successo di lì a poco. Lui, di tutto punto, scoppiò a ridere, insieme a tutti gli altri folletti. Lanciai loro un’occhiataccia, per farli smettere, mentre Rachel si allungava da dietro la spalla del suo papà per vedere cosa fosse successo. Infatti, poco dopo, la sua voce acuta e preoccupata risuonò nella mia testa: “Che succede?” chiese, ma io non risposi; mi limitai sorriderle rassicurante. Non potevo rischiare di risponderle telepaticamente: se avessi pensato al pacco che avevo in mano, lei lo avrebbe visto e mi avrebbe scoperto.
Finalmente riuscii ad avvicinarla, dopo che ebbe salutato tutti: «Buon compleanno, Rach!» esclamai, porgendole il pacchettino, che lei prese entusiasta.
 

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Un boato riempì il silenzio: «KURT!!» urlò Rachel e io scappai via, ridendo. Finalmente, alla fine della festa, come da tradizione, aveva aperto tutti i doni, tra cui anche la mia ‘sorpresina’. Non aveva gradito molto il mio scherzo, come sempre. E, come sempre, era diventata blu. E quando dico blu, intendo veramente blu.
Corsi nel bosco, nascondendomi dietro gli alberi più grossi e i cespugli più alti. Sentivo i passi di Rachel dietro di me, perciò accelerai e mi addentrai nel bosco. Ora la voce di Rachel (che ancora urlava il mio nome, arrabbiata) era sempre più lontana e distante; la stavo distanziando. Quando non riuscii a sentire altro che i miei passi sul terreno umido e il mio respiro affannato, pensai che era giunto il momento di fermarsi. Lo pensai, ma non ci riuscii. Le mie gambe non rispondevano più al mio volere: erano mosse da una forza esterna e implacabile che mi imponeva di muovermi. Cominciai a spaventarmi: non sapevo più dove mi trovavo, ero quasi certo di non essere mai stato tra quegli alberi. Erano enormi, altissimi e i loro rami così fitti da coprire la luce del sole. Non riuscivo più a vedere per il buio ed ero stanco e spaventato; ma nonostante tutto, non riuscivo a fermarmi. I rami bassi che urtavo mi ferivano le braccia e le radici nodose ai miei piedi mi facevano inciampare.
 
Improvvisamente caddi; rotolai per qualche metro, ma mi alzai subito dolorante e affaticato, e, prima che potessi rendermene conto, la mia corsa ricominciò. Sentivo sangue caldo percorrermi il braccio e scivolare tra le dita. Le gambe erano pesanti e i miei piedi doloranti, eppure non mi fermavo. Non riuscivo a fermarmi. La mia tunica era strappata e insozzata di fango e terra e polvere.
Ero spaventato: e se non fossi più riuscito a fermarmi? Ma, cosa più importante, perché non riuscivo più a fermarmi, per l’amore degli Dei?
 
 
 
 
Stavo per scoppiare in lacrime quando intravidi in lontananza un puntino luminoso. Sbattei più volte le palpebre, sperando di non essermelo immaginato. La speranza mi gonfiò il cuore e sospirai di sollievo: forse stavo per uscire da quell’incubo.
Corsi con rinnovato vigore, mentre tutto il mio corpo formicolava e protestava per lo sforzo. Non vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle quel buio infernale.
Il puntino luminoso si ingrandiva sempre di più, a vista d’occhio; quando la luce bianca divenne accecante, mi gettai contro di essa, sperando di trovarmi fuori; speravo di trovare Rachel che mi aspettava, pronta a farmi una ramanzina e a gettarmi miele tra i capelli. Sapeva che odiavo il miele.
Caddi disteso per terra e il mio corpo protestò per il dolore; lo sentivo quasi pulsare, però, per il sollievo di essere fermo.
Oh, fermo. Finalmente ero fermo.
Mi girai sulla schiena, respirando forte e ridendo.
Ma quando aprii gli occhi, smisi di ridere e la disperazione mi assalì: era ancora buio; non vedevo le stelle, ma non mi sembravano nemmeno rami quelli che vedevo.
Era tutto buio.
 
Uno strano suono mi fece sobbalzare e una luce si accese tremula sulla mia testa, accecandomi. Mi feci schermo con una mano e provai a capire cos’era: sicuramente non era il Sole, era troppo bianca; e non era una stella, era troppo grande.
Accantonai la ‘scoperta’ in un angolo della mente e provai ad alzarmi, facendo presa sui gomiti.
 
Ma una smorfia di dolore fu tutto ciò che ottenni: sentivo la pelle lacerarsi sotto il mio peso.
 
Ricaddi a terra e cercai di guardarmi il gomito destro: era sbucciato.
 
Ora che ci facevo caso, non ero disteso sull’erba, né su terriccio, né su altro che conoscevo; era nero e duro e ancora tiepido. Mi alzai lentamente, attento a non farmi male: non avevo idea di dove fossi finito.
Azzardai qualche passo, ma un dolore lancinante al piede destro mi fece urlare.
 
Saltai indietro e mi presi il piede tra le mani: la pianta era diventata rosso sangue. Guardai a terra cosa avevo calpestato: era un frammento di qualcosa.
 
Era verde e trasparente e, ovviamente, tagliente. Non avevo mai visto una cosa del genere.
Mi guardai intorno e vidi che c’erano degli alberi sulla mia destra, ma non erano i miei alberi.
 
Erano piccoli e contorti, sembravano malati e senza foglie.
 
Alla mia sinistra, scorsi delle imponenti costruzioni che torreggiavano su di me, di colore scuro.
 
La disperazione si impadronì di me, mentre la paura mi attanagliava le viscere: dov’ero finito?
Improvvisamente un mostro nero sbucò dal buio a velocità impressionante, rombando e si fermò a pochi centimetri da me, lanciando versi acuti. Io restai immobile, terrorizzato.
 
I suoi occhi luminosi mi scrutavano e mi accecavano.
 
Sentii un suono strascicato e una testa fuoriuscì dal mostro: «Togliti dalla strada, idiota!» urlò una voce maschile e io mi affrettai a spostarmi.
Il mostro ricominciò la sua corsa, ignorandomi.
Ero terrorizzato: cos’era quel mostro? Dov’ero finito? Come potevo ritornare a casa mia, per l’amore degli Dei?
 
 

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 Mi affrettai ad uscire da scuola, dopo un'alquanto pesante giornata.
 
Era solo lunedì e già mi sentivo stanco per via della settimana che mi aspettava; ovviamente non perchè avessi problemi con lo studio, quelli non li ho mai avuti.
 
Sono altri, i problemi che ho a scuola: sono l'unico gay dichiarato della mia scuola,il McKinley,quindi per me non è facile affrontare i bulli che mi perseguitano ogni singolo giorno della mia vita.
Benché io cammini sempre a testa alta,sono molto insicuro di me stesso,non fraintendetemi...sono fiero di aver fatto coming out, ma ho sempre paura di quello che pensa la gente, di quello che dicono, e sotto quella che può sembrare una scorza dura si nasconde in realtà un ragazzo fin troppo gentile.
 
Per cercare di proteggermi dalle ingiustizie e dalle cattiverie dei bulli a scuola - che portano il nome di David Karofsky e Azimio Adams - ho perfino iniziato a fare box;questo mi aiuta a scaricare la tensione e a farmi un po’ più di muscoli.
Ma oltre la box, faccio anche parte del Glee Club della scuola...sì, lo so cosa penserete, che questo non favorisce proprio la mia incolumità e la mia sicurezza a scuola perchè non è proprio il club dei "fighi";ma è come una seconda famiglia, con loro posso essere me stesso, sin da quando sono arrivato mi hanno fatto sentire accettato e non il solito reietto dimenticato.
 
Sono ragazzi molto simpatici: Finn, il bietolone del gruppo. A prima vista può sembrare cattivo, ma credetemi, è tutto il contrario!Gentile e simpatico, l'unico problema è che tiene il "piede in due scarpe", infatti è da tre anni che fa parte del Glee Club e della squadra di football (anzi, ne è proprio il capitano) e non è ancora riuscito a mettere pace tra noi e la squadra.
Quinn, capo delle cheerleader,circa due anni fa è rimasta incinta di Noah Puckerman facendo credere però a Finn di essere lui il padre del bambino...e il bello è che non avevano mai fatto sesso!Ora,dopo un anno di tira e molla tra lei Puck e Sam, si è rimessa con Finn.
Artie, un ragazzo d'oro,è sulla sedia a rotelle e a prima vista può sembrare un Nerd che pensa solo ai videogiochi ma in realtà è molto di più...è pieno di talento.
Tina e Mike, i due ragazzi asiatici,stanno insieme da circa un anno e sono davvero, davvero dolci!
Santana, la tipica ragazza che fa la stronza ma a cui è impossibile non voler un gran bene!E' stata con Puckerman, con Sam e ha fatto sesso con Finn, ma sembra particolarmente legata a Brittany, la sua migliore amica...per lei mollerebbe qualsiasi ragazzo.
Brittany, ragazza leggermente "tarda" ma incredibilmente dolce...la adoro!
Mercedes e Sam, che dopo un intero semestre di tensione sessuale si sono decisi a mettersi insieme!Noi del Glee non ne potevamo più di vederli così.
E questi sono i miei amici, la mia seconda famiglia.
 

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Avevo appena finito le prove del Glee Club, salutai velocemente i miei amici e salii in macchina per tornare a casa. Accesi la radio e mi misi ad ascoltare la musica, cantando insieme all'artista originale come facevo sempre.
Guidavo tranquillamente verso casa quando qualcosa attirò la mia attenzione.
Sembrava...un ragazzo. Era disteso a terra, forse si sentiva male.
Rallentai per poter vedere meglio e notai due occhi azzurri ricolmi di lacrime;abbassai il finestrino ed il ragazzo sembrò accorgersene perchè alzò lo sguardo verso di me ed io sussultai.
Lo sconosciuto si alzò a sedere e  indietreggiò più che poté sgranando gli occhi: «Non farmi del male ti prego!» disse, con voce implorante.
 
Non so cosa mi spinse a farlo, forse la mia troppa bontà, forse la paura che avevo per lui o forse semplicemente i suoi occhi azzurri, ma scesi dalla macchina e molto lentamente mi avvicinai a lui.
Lui, se possibile sgranò ancora di più gli occhi, quasi pregandomi con lo sguardo di lasciarlo solo, o perlomeno di aiutarlo.
 
Notai che i suoi vestiti erano alquanto strani, non sembravano di questa era:indossava una tunica e al collo aveva uno strano medaglione con uno stemma mai visto prima.
 
Cercai di tranquillizzarlo, perchè lo vidi indietreggiare di nuovo «Stai tranquillo, non voglio farti del male, che ti è successo, stai bene?»
Lui, dopo un momento di esitazione si decise a rispondermi: «N-no...non so dove mi trovo, mi sono perso.»
 
Wow.
 
La sua voce era la cosa più melodiosa che avessi mai sentito, malgrado fosse alquanto spaventata e incerta.
 
Mi accorsi che ero imbambolato da un minuto buono così risposi: «Ok cerca di stare calmo,da dove vieni?Posso aiutarti, forse so dove si trova il posto.»
 
Mi guardò per qualche secondo,  poi rispose: «Vengo da Neferity»
 
Nef-COSA?!
 
Mai sentito nominare un posto del genere.
 
Poi continuò «Io dove mi trovo?»
 
Abbozzai un sorriso «Sei a Lima, in Ohio».
 
Lo vidi piegare la testa da un lato, con qualche lacrima che ancora gli rigava il viso «Non l'ho mai sentita...mi puoi aiutare a tornare a casa per favore?»
 
Quel ragazzo sembrava davvero perso e preoccupato, così, a costo di cercare in tutte le cartine del mondo il posto da cui veniva - perchè seriamente, non avevo mai sentito nominare in vita mia quella città - decisi di aiutarlo.
 
«Ti aiuterò volentieri» Poi porgendogli la mano aggiunsi «Piacere, io sono Blaine».
 
Lui fissò la mia mano alzata, sembrava leggermente confuso. «C-cosa devo fare?» chiese.
«Devi stringerla» risposi e il suo volto si fece ancora più confuso.
«E perché?»
Lo guardai, sbattendo le palpebre: «Non lo so, è così che ci si saluta dopo una presentazione» risposi e lui sorrise.
«Che cosa buffa» disse semplicemente, poi mi strinse la mano. «Kurt.»
 
E proprio in quel momento, capii che la mia vita sarebbe cambiata.

  
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