Piccola One-shot
senza pretese.
I personaggi
di One Piece sono di Eiichiro Oda.
Sin and Sinner
-Peccato e
Peccatore-
Dover aspettare il silenzio assoluto è snervante. Sembra quasi che nessuno abbia mai intenzione di dormire la notte. Ed io aspetto, impaziente, l’arrivo di quel dolce silenzio, unico custode quanto la luna del mio segreto. Un segreto che divora l’anima, facendomi sentire in colpa verso tutti loro. Loro che hanno fiducia in me, che si fidano ciecamente di me. Fanno male. Non merito la loro fiducia, ma loro, non si accorgono di nulla.
Ciò
che accade, accade nelle ore più oscure e silenziose, quando nessuno è sveglio,
caduti tra le braccia di Morfeo in un sonno ristoratore che li protegge. Li
protegge dalle bugie che io do loro, infrangendo quella muta promessa che ci
siamo scambiati quando abbiamo iniziato a navigare assieme. Nessuna bugia
tra noi. Nessun segreto.
Sono
stata la prima a trovarmi d’accordo con quel concetto, eppure sono stata la
prima ad infrangerlo. Mi viene da ridere, di me stessa e di loro, perché non
hanno capito e forse non capiranno mai.
Un
lieve scricchiolio. Robin si è girata su un fianco, volgendo le spalle alla
porta.
Questo
è il segnale di via libera.
Nel
corso del tempo ho imparato a riconoscere ogni minimo particolare di loro, e so
per certezza che ora Robin è sprofondata in un sonno pesante e non si accorgerà
della mia assenza.
Scivolo
fuori dal letto. Sono ancora vestita come durante il giorno, troppa
l’impazienza che giungesse questo momento per perdere tempo nel dovermi
cambiare.
Ora
i movimenti da compiere sono uguali ad ogni altra notte.
Tre
passi e c’è la sedia. Afferro la maglia lasciata lì appunto per stanotte.
Cinque
passi e mi fermo.
Afferro
i sandali che, una volta sul ponte, indosserò.
Poso
la mano sulla maniglia e aspetto.
Robin
si gira ancora per trovare la posizione più comoda. Il momento che aspettavo.
Abbasso
la maniglia e scivolo fuori dalla stanza richiudendomi silenziosamente la porta
alle spalle nell’esatto momento in cui Nico trova la posizione giusta.
Mi
fermo ancora con la maniglia tra le dita tendendo le orecchie.
Nessun
rumore proviene al di là della porta.
Tutto
come sempre, monotono nella sua uguaglianza.
Dovrei
esser felice per ciò, un'altra notte fatta. Un’altra notte in cui sono riuscita
a farla franca non facendomi scoprire, eppure… eppure mi ritrovo a sperare di
esser scoperta, per non dover più mentire a loro e liberarmi così di questo
peso che ogni notte che passa si fa sempre più pesante sulle mie spalle. Un
pesante fardello da sopportare il mio, però anche se so che potrei liberarmene
in qualunque momento, non lo faccio. Per paura, per timore di sentirmi dire che
ho tradito la loro fiducia. Ma se solo uno di loro mi scoprisse tutto
sarebbe più semplice. O no?
Forse
sono solo codarda.
Sì,
di sicuro sono troppo codarda perché ammetta tutto questo.
Mi
volto.
Uno,
due, tre, quattro e cinque.
Sono
davanti alla porta che da alla stanza dei ragazzi. Controllo sempre anche loro,
che nessuno sia sveglio. Infatti, il loro russare mi giunge alle orecchie e mi
fa sorridere. Li faccio lavorare troppo, forse.
Conto
ancora i passi che mi separano dagli scalini che mi porteranno da lui.
So
che lui è già lì fuori ad aspettarmi. Anche quando tutto ciò è cominciato lui
era già lì fuori, sembrava proprio aspettare me anche se non era vero. O forse
sì.
Uno
scalino.
Rabbrividisco
appena al contatto dei miei piedi nudi sul freddo legno.
Due
scalini.
Stringo
più forte i sandali nella mano. Sono agitata ma so il perché.
Tre
scalini.
Sento
lo stomaco stringersi per l’agitazione. Non mi sono ancora abituata a ciò,
eppure ormai sono mesi che ripeto come un automa queste operazioni la notte.
Quattro
scalini.
La
luna mi appare illuminandomi. Bella come sempre.
Cinque
scalini.
Un
grugnito mi arriva alle orecchie. Rufy.
Sei
scalini.
Lo
scalino scricchiola sotto al mio peso. Scalino maledetto.
Mi
fermo con il cuore che pompa velocemente adrenalina. La paura si fa sentire più
forte di prima. Se mi scoprissero andare sul ponte come una ladra, cosa farei?
Mentirei.
Questo
lo so fare bene e mi risulterebbe molto semplice, più che dire la verità che
tanto vorrei dire.
Sì,
sono una codarda, me ne rendo conto da sola.
Sette
scalini.
Continuo
con la mia salita. Nessuno si è accorto di nulla.
Otto
scalini.
Ancora
uno e sarò arrivata alla meta agonista.
Nove
scalini.
Metto
il capo fuori scrutandomi attorno. Nessuno in vista.
Esco
silenziosa e veloce come un gatto. Poso i sandali e li infilo ai piedi cercando
di placare i tremiti del mio corpo. La notte è fredda in questo periodo. Infilo
la maglia a maniche lunghe e penso a lui. Come sempre. Occupa i tre
quarti dei miei pensieri ormai. Sia di giorno che di notte. Anche quando sono
con lui, tra le sue braccia, la mia mente vola sempre e solo a lui. Sentimenti
e pensieri a senso unico.
Mi
dirigo verso i miei mandarini, luogo d’incontro con lui.
Prendo
un profondo respiro mentre salgo i gradini -ultimo ostacolo- che mi separano da
lui.
Dovrei
calmarmi ma non ci riesco, il mio cuore batte all’impazzata nel mio petto
sapendo che tra breve lo vedrò e potrò crogiolarmi nel suo calore, respirare il
suo profumo virile così da uomo.
Sì, sono completamente pazza. O completamente, pazzamente, innamorata di lui.
Una
ragazzina alla prima cotta. Perché anche se non è stato il primo, è il primo di
cui mi sia innamorata.
Innamorata
sul serio, non quelle stupide cotte dettate solo da attrazione fisica. Non che
non sia attratta da lui anche fisicamente, solo una pazza non sarebbe attratta
da quel corpo granitico e scolpito, ma provo qualcosa di puro, che mi fa
sentire le farfalle nello stomaco solo al suo pensiero, che mi fa battere il
cuore a mille quando lo vedo e che mi fa volare quando mi bacia o anche solo
quando mi sorride in quel modo così dolce, così poco consono a lui.
Il
suo sorriso è unico ed è solo mio, un privilegio del quale ringrazio Dio di
esser stata la predestinata a riceverlo.
Anche
ora è dipinto sulle sue labbra.
Mi
ha visto e me ne fa dono. Dono che io ricambio avvicinandomi a lui e baciandolo
su quelle labbra calde e soffici che si incastrano a perfezione con le mie. Due
pezzi di un puzzle.
Mi
aggrappo a lui come un naufrago alla scialuppa di salvataggio, divorando e
lasciandomi divorare da quelle labbra come se finalmente potessi respirare
veramente.
È
la mia droga. Non mi separerei mai da lui e lui nemmeno da me. Lo, lo sento da
come mi stringe forte al suo petto, lo sento dal battito irregolare del suo
cuore, irregolare quanto il mio.
Due
corpi, un cuore che batte all’unisono per entrambi.
Mi
stringo di più a lui, poggiando il capo sul suo petto a sentire il suo cuore
battere così forte. Le sue mani percorrono la mia schiena e non posso fare a
meno di rabbrividire al suo sensuale tocco.
“Hai
freddo?”
Lo
ribacio ancora prima di rispondere.
“No,
non preoccuparti.”
L’ennesimo
bacio e le sue braccia che si stringono attorno al mio corpo. Una presa ferrea
ma dolce. Sa che potrebbe spezzarmi in due, sia fisicamente che emotivamente,
se solo lo volesse. Ma non lo fa. E io, di questo gli sono grata. Preferirei la
morte a ciò.
Ci
ritroviamo seduti a terra, lui appoggiato con la schiena al parapetto della
nave, io appoggiata al suo torace, seduta tra le sue gambe, occhi chiusi e
sorriso sulle labbra nel sentire la sua grande e calda mano callosa tra i miei
capelli in una ripetuta carezza.
Un
dolce contatto. Pensare che fino a qualche mese prima non avrei scommesso un
solo berry sul fatto che fosse anche dolce. Devo ricredermi. Sa essere anche
più dolce e smielato di Sanji a volte, ma non lo ammetterebbe mai, troppo
orgoglioso.
“Nami.”
La
sua mano si è fermata. La sua voce è tesa.
Alzo
lo sguardo per guardarlo in faccia, ma il suo volto è voltato di lato. Sento
che c’è qualcosa che lo turba.
Mi
scosto quel tanto che basta per guardarlo in viso.
È
serio come poche volte lo è stato in vita sua.
“Zoro?”
Ho
paura di sentirmi dire parole che non voglio ascoltare. Parole che mi indichino
la fine di questa storia nata per caso e nascosta persino alla luce del sole.
“Zoro.”
Raddolcisco
il tono e con una mano gli accarezzo una guancia.
Lui
si gira verso di me e posso leggere nei suoi occhi il tormento, lo stesso che
si può leggere nei miei. Tormento per aver tradito la fiducia dei nostri amici,
tormento per aver infranto una promessa.
Lo
bacio, sfiorando le sue labbra, per poi perdermi in qualcosa di più passionale ma
dolce e delicato al tempo stesso.
“Io…”
Lo
fermo posandogli un dito sulle labbra.
“Lo
so…”
E
mi sorride, triste.
So
cosa vorrebbe fare, perché è la stessa identica cosa che vorrei fare io.
Ammettere tutto ai nostri amici, per non dover più mentire, per non dovermi più
nascondere, per poter vivere alla luce del sole la nostra storia, il nostro
amore.
“Non
so però…”
Prendo
un respiro profondo ed abbasso lo sguardo.
“Ho
paura.”
Lo
ammetto alla fin fine.
È
stato semplice mettere da parte l’orgoglio. Ma avrò fatto bene a mostrarmi
debole dinnanzi a lui?
“Anch’io.”
Sì.
Poso
il capo sulla sua spalla.
“Possiamo
parlarne domani?”
”Ok.”
Torna
ad accarezzarmi il capo, posando un bacio tra i miei capelli.
Mi
illudo in questa serenità, sperando domani di trovare il coraggio di ammettere
apertamente la verità. Ma so già che non lo troverò, né domani, né il giorno
dopo, né quello dopo ancora. non riuscirò mai a trovare il coraggio di
ammettere questo mio peccato quale è l’amore.
So per
certo che lui non mi sforzerà, peccatore quanto me.
Ora
non so più chi dei due abbia peccato per primo.
Chi
è il peccato e chi il peccatore.
Ma poco
mi importa. In questo momento sono felice e questo mi basta.
Perché
sono tra le braccia del mio peccato e peccatore al contempo,
quanto lo sono io.