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Autore: RoseGONEwild    16/04/2012    1 recensioni
Eileen Michaels è cresciuta troppo in fretta nel corso degli anni Settanta ed Ottanta, annegando in mezzo alla lussuria e all'eccesso di Los Angeles e portando sulle spalle una condizione famigliare disastrosa. La sua non-vita sarà stravolta dall'incontro con una rockband nuova dell'ambiente marcio di cui lei è veterana: assieme a loro e ai suoi pochi amici affronterà nuove esperienze, nuovi problemi, nuove soluzioni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si stava facendo giorno quando il corpo di Eileen sussultò, risvegliato da un tonfo sordo; qualcuno aveva gettato a terra un sacchetto della spazzatura: i cassonetti erano pieni e i rifiuti erano stati ammassati lì accanto, a qualche metro da lei. Osservò la parete sul lato opposto di quel vicolo, rovinata dall’umidità probabilmente dovuta alle continue perdite del tetto sovrastante, che ancora gocciolava, testimone del temporale dal quale si era riparata quella notte.
Provò a mettersi seduta, sentendo dolere ogni muscolo, ed appoggiò la schiena alla parete di mattoni contro la quale aveva preso sonno; premette le dita della mano destra sulla tempia cercando di alleviare l’emicrania, mentre sentiva il cuore pulsarle in gola. Abbassò lo sguardo sulle sue gambe fasciate da un paio di collant rossi e tirò leggermente la maglietta stracciata per coprirsi. Non si era nemmeno curata di indossare le scarpe, quando si era allontanata in lacrime da quell’appartamento per correre lungo le vie sconosciute che si incrociavano in una parte di Los Angeles che non le era famigliare. L’unico ricordo nitido della sera precedente era la sensazione di terrore che l’aveva assalita nell’attimo in cui, riprendendosi improvvisamente dall’incoscienza, aveva visto le gocce di sangue sul suo corpo e aveva gridato allontanando con tutte le sue forze l’uomo che le stava addosso. Il ricordo successivo era quello del marciapiede che brillava sotto alla pioggia mentre i suoi passi si facevano più pesanti e stanchi e la consapevolezza di non sapere dove si trovasse l’atterriva.
Visto il brusco risveglio sul cemento gelido, l’azione conseguente doveva essere stata quella di inoltrarsi in un vicolo dall’aria tranquilla per far fronte alla stanchezza e alla pioggia.
Reggendosi alla parete si alzò lentamente in piedi e chiuse gli occhi per una manciata di secondi, per non sentire più la testa girarle vorticosamente, e si beò della brezza mattutina che le scompigliava i capelli rossi sul viso e rinfrescava i pensieri; estrasse dalla borsa l’ultima sigaretta e la fumò con lentezza. Grazie a Dio aveva avuto la fortuna di adocchiare immediatamente la sua tracolla di stoffa mentre, confusa, correva verso quella porta nera che dava sulla strada.
Aveva il terrore che quell’uomo potesse tornare, da un momento all’altro, dietro di lei e prenderla, portarla via di nuovo, farle ancora del male. Non aveva nessuna reminiscenza limpida di ciò che era successo, ma l’ansia cresceva smisuratamente non appena provava a dare una spiegazione a quei tagli sulle cosce e sul ventre. Crebbe in lei la convinzione di essere stata incredibilmente fortunata per essere riuscita a scappare.
Osservò il luogo che l’aveva ospitata in quelle poche ore di sonno tormentato: era un vicolo cieco racchiuso fra due edifici ed un’alta siepe lasciata a sé stessa, divenuta poco più che un muro di sterpaglia incolta. L’odore umido che proveniva dal terriccio nel quale erano impiantate le radici dei cespugli era ormai sovrastato da quello forte del fumo, mentre Eileen osservava distrattamente i residui sbiaditi di rossetto che si depositavano sulla sigaretta ad ogni boccata.
Non si curò nemmeno di dare un’occhiata al suo aspetto prima di raccogliere ciò che le era rimasto ed esporsi a quella normale domenica mattina di una Los Angeles indaffarata, con clacson assordanti e rumori di saracinesche che annunciavano l’apertura dei negozi. Si guardò intorno e, con una maggiore lucidità rispetto alla sera precedente, riconobbe le indicazioni stradali che l’avrebbero ricondotta a South Central.
La pioggia scendeva leggera inumidendole i capelli, mentre camminava stancamente verso la fermata dell’autobus più vicina. La donna alla guida la osservò sgomenta, tendendo la mano per ricevere il corrispettivo in dollari di quel tratto di strada lungo il quale Eileen si lasciò trasportare, osservando la sua immagine cadaverica riflessa nel finestrino. Il trucco nero che aveva contornato i suoi occhi era rovinosamente colato lungo le guance e contrastava con la pelle olivastra, mentre il rossetto aveva superato il contorno delle labbra, facendola sembrare un mostro. Appoggiò la testa al vetro, osservando le gocce di pioggia che scendevano, si univano, si dividevano.
- South Central? -
- Sì – rispose, accorgendosi solo in quel momento di quanto la sua voce fosse roca e fievole. Con l’aspetto che aveva, non c’era da stupirsi dell’intuizione dell’autista. Dove avrebbe potuto abitare, se non nel quartiere più malfamato della città? Non si scambiarono nessun’altra parola per i chilometri restanti, seppure la donna la osservasse attentamente attraverso lo specchietto retrovisore: solamente un timido “grazie” riecheggiò nel silenzio quando Eileen arrivò a destinazione e scese dall’autobus. Sentiva le gambe deboli e le palpebre pesanti, ma tremava come una foglia e non solo per via del vento primaverile che soffiava imperterrito. Poteva sembrare tranquilla mentre camminava lungo quelle poche centinaia di metri verso casa, ma l’ansia la stava divorando lentamente, impedendole di concentrarsi su qualunque altro pensiero.
Percorse il vialetto che divideva in due il piccolo giardino incolto ed entrò in casa.
- Calvin! – chiamò. Non ricevette risposta, il fratello doveva essere fuori casa.
Chiuse la porta dietro di sé, accese l’unica lampadina che dava luce al piccolo salotto, e si sedette sul divano. Aveva bisogno di qualcosa per calmarsi e conosceva perfettamente la ricetta. Non era passato molto tempo dalla prima volta che ne aveva fatto uso ed era fermamente convinta che non sarebbe mai finita con il non poterne fare a meno, non aveva certo bisogno di un ennesima dipendenza.
Quando l’ago perforò la pelle del suo braccio e l’eroina si mischiò al sangue che le scorreva nelle vene, provò un iniziale senso di smarrimento, meno violento delle scorse volte, e cercò di reprimere la nausea. Stette immobile, in silenzio, ed aspettò che la dose sortisse i suoi effetti. Finalmente smise di tremare, l’ansia svanì e il suo pensiero si fece più lento. Andava tutto bene.  


NOTE:
Questo è, come dire, una specie di capitolo di introduzione. 
Mi sono decisa a pubblicarlo perché così, forse, ricevendo recensioni sarò spronata a continuare la storia. Spero di ricevere commenti positivi ;)
  
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