Si
stava facendo giorno quando il corpo di Eileen sussultò,
risvegliato da un tonfo sordo; qualcuno aveva gettato a terra un
sacchetto
della spazzatura: i cassonetti erano pieni e i rifiuti erano stati
ammassati lì
accanto, a qualche metro da lei. Osservò la parete sul lato
opposto di quel
vicolo, rovinata dall’umidità probabilmente dovuta
alle continue perdite del
tetto sovrastante, che ancora gocciolava, testimone del temporale dal
quale si
era riparata quella notte.
Provò a mettersi seduta, sentendo dolere ogni muscolo, ed
appoggiò la schiena
alla parete di mattoni contro la quale aveva preso sonno; premette le
dita
della mano destra sulla tempia cercando di alleviare
l’emicrania, mentre
sentiva il cuore pulsarle in gola. Abbassò lo sguardo sulle
sue gambe fasciate
da un paio di collant rossi e tirò leggermente la maglietta
stracciata per
coprirsi. Non si era nemmeno curata di indossare le scarpe, quando si
era
allontanata in lacrime da quell’appartamento per correre
lungo le vie
sconosciute che si incrociavano in una parte di Los Angeles che non le
era
famigliare. L’unico ricordo nitido della sera precedente era
la sensazione di
terrore che l’aveva assalita nell’attimo in cui,
riprendendosi improvvisamente
dall’incoscienza, aveva visto le gocce di sangue sul suo
corpo e aveva gridato
allontanando con tutte le sue forze l’uomo che le stava
addosso. Il ricordo
successivo era quello del marciapiede che brillava sotto alla pioggia
mentre i
suoi passi si facevano più pesanti e stanchi e la
consapevolezza di non sapere
dove si trovasse l’atterriva.
Visto il brusco risveglio sul cemento gelido, l’azione
conseguente doveva
essere stata quella di inoltrarsi in un vicolo dall’aria
tranquilla per far
fronte alla stanchezza e alla pioggia.
Reggendosi alla parete si alzò lentamente in piedi e chiuse
gli occhi per una
manciata di secondi, per non sentire più la testa girarle
vorticosamente, e si
beò della brezza mattutina che le scompigliava i capelli
rossi sul viso e
rinfrescava i pensieri; estrasse dalla borsa l’ultima
sigaretta e la fumò con
lentezza. Grazie a Dio aveva avuto la fortuna di adocchiare
immediatamente la
sua tracolla di stoffa mentre, confusa, correva verso quella porta nera
che
dava sulla strada.
Aveva il terrore che quell’uomo potesse tornare, da un momento
all’altro, dietro di
lei e prenderla, portarla via di nuovo, farle ancora del male. Non
aveva
nessuna reminiscenza limpida di ciò che era successo, ma
l’ansia cresceva
smisuratamente non appena provava a dare una spiegazione a quei tagli
sulle
cosce e sul ventre. Crebbe in lei la convinzione di essere stata
incredibilmente fortunata per essere riuscita a scappare.
Osservò il luogo che l’aveva ospitata in quelle
poche ore di sonno tormentato:
era un vicolo cieco racchiuso fra due edifici ed un’alta
siepe lasciata a sé
stessa, divenuta poco più che un muro di sterpaglia incolta.
L’odore umido che
proveniva dal terriccio nel quale erano impiantate le radici dei
cespugli era
ormai sovrastato da quello forte del fumo, mentre Eileen osservava
distrattamente
i residui sbiaditi di rossetto che si depositavano sulla sigaretta ad
ogni
boccata.
Non si curò nemmeno di dare un’occhiata al suo
aspetto prima di raccogliere ciò
che le era rimasto ed esporsi a quella normale domenica mattina di una
Los
Angeles indaffarata, con clacson assordanti e rumori di saracinesche
che
annunciavano l’apertura dei negozi. Si guardò
intorno e, con una maggiore
lucidità rispetto alla sera precedente, riconobbe le
indicazioni stradali che
l’avrebbero ricondotta a South Central.
La pioggia scendeva leggera inumidendole i capelli, mentre camminava
stancamente verso la fermata dell’autobus più
vicina. La donna alla guida
la osservò sgomenta, tendendo la mano
per ricevere il
corrispettivo in dollari di quel tratto di strada lungo il quale Eileen
si
lasciò trasportare, osservando la sua immagine cadaverica
riflessa nel
finestrino. Il trucco nero che aveva contornato i suoi occhi era
rovinosamente colato
lungo le guance e contrastava con la pelle olivastra, mentre il
rossetto aveva
superato il contorno delle labbra, facendola sembrare un mostro.
Appoggiò la
testa al vetro, osservando le gocce di pioggia che scendevano, si
univano, si
dividevano.
- South Central? -
- Sì – rispose, accorgendosi solo in quel momento
di quanto la sua voce fosse
roca e fievole. Con l’aspetto che aveva, non c’era
da stupirsi dell’intuizione
dell’autista. Dove avrebbe potuto abitare, se non nel
quartiere più malfamato
della città? Non si scambiarono nessun’altra
parola per i chilometri restanti,
seppure la donna la osservasse attentamente attraverso lo specchietto
retrovisore: solamente un timido “grazie”
riecheggiò nel silenzio quando Eileen
arrivò a destinazione e scese dall’autobus.
Sentiva le gambe deboli e le
palpebre pesanti, ma tremava come una foglia e non solo per via del
vento primaverile
che soffiava imperterrito. Poteva sembrare tranquilla mentre camminava
lungo
quelle poche centinaia di metri verso casa, ma l’ansia la
stava divorando
lentamente, impedendole di concentrarsi su qualunque altro pensiero.
Percorse il vialetto che divideva in due il piccolo giardino incolto ed
entrò
in casa.
- Calvin! – chiamò. Non ricevette risposta, il
fratello doveva essere fuori
casa.
Chiuse la porta dietro di sé, accese l’unica
lampadina che dava luce al piccolo
salotto, e si sedette sul divano. Aveva bisogno di qualcosa per
calmarsi e
conosceva perfettamente la ricetta. Non era passato molto tempo dalla
prima
volta che ne aveva fatto uso ed era fermamente convinta che non sarebbe
mai finita
con il non poterne fare a meno, non aveva certo bisogno di un ennesima
dipendenza.
Quando l’ago perforò la pelle del suo braccio e
l’eroina si mischiò al sangue
che le scorreva nelle vene, provò un iniziale senso di
smarrimento, meno
violento delle scorse volte, e cercò di reprimere la nausea.
Stette immobile,
in silenzio, ed aspettò che la dose sortisse i suoi effetti.
Finalmente smise
di tremare, l’ansia svanì e il suo pensiero si
fece più lento. Andava tutto
bene.
NOTE:
Questo è, come dire, una specie di capitolo di introduzione.
Mi sono decisa a pubblicarlo perché così, forse, ricevendo recensioni sarò spronata a continuare la storia. Spero di ricevere commenti positivi ;)