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Autore: rosie__posie    16/04/2012    11 recensioni
teen!Sherlock e teen!John, ai tempi della scuola.
John aveva notato Sherlock quando una folata d’aria sollevata dal treno in partenza aveva scompigliato i suoi riccioli neri, ricordandogli uno di quei personaggi romantici di cui aveva letto spesso nei suoi libri.
Sherlock aveva notato John per il libro di fumetti che teneva stretto stretto in mano come se fosse la cosa più importante di questo mondo.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’ispirazione per questa fic mi è venuta dopo uno splendido sogno. Non so bene se definirla una AU o una What if, giudicate voi. Spero che i personaggi mi siano usciti abbastanza IC, ma, essendo giovani, è difficile dirlo! Grazie a Doralice e melian_eresseie per la beta!
 
 
La prima volta che si erano intravisti alla fermata di Bank, Sherlock sulla banchina in direzione ovest, John sulla banchina in direzione est, era un piovoso pomeriggio di fine marzo. Sherlock indossava la sua uniforme scolastica perfettamente stirata, blazer nero con camicia bianca e cravatta a strisce rosse e nere. John faceva invece mostra di un blazer rosso palesemente di seconda mano, una cravatta slacciata e scolorita e pantaloni scuri un po' corti, zuppi di pioggia fin quasi a metà di una gamba.
 
John aveva notato Sherlock quando una folata d’aria sollevata dal treno in partenza aveva scompigliato i suoi riccioli neri, ricordandogli uno di quei personaggi romantici di cui aveva letto spesso nei suoi libri.
 
Sherlock aveva notato John per il libro di fumetti che teneva stretto stretto in mano come se fosse la cosa più importante di questo mondo.
 
John aveva diciassette anni e Sherlock un paio di meno, ma non sarebbe stato facile stabilirlo.
 
Rimasero a osservarsi e studiarsi ogni giorno per una settimana buona, separati dagli inanimati binari della tube. Un giorno era Sherlock a ingannare l'attesa del treno con un fumetto e John con un libro, il giorno dopo il contrario. Spiderman e Batman, oppure L'ultimo dei Mohicani e I viaggi di Gulliver. Al contrario della maggior parte dei ragazzi della loro età che si ammassava in gruppetti al di qua della linea gialla in attesa dell'arrivo del treno, preferivano entrambi rimanere in disparte, trovando sempre più interessante la compagnia di una buona lettura a quella del contatto umano.
 
Un pomeriggio di inizio aprile, scendendo le scale che portavano alla fermata e svoltando a destra verso le obliteratrici, Sherlock si era trovato di fronte a John, che aveva utilizzato un ingresso laterale. Si erano bloccati entrambi ed erano rimasti un attimo a guardarsi a vicenda, mentre venivano investiti dal traffico dell'ora di punta che correva verso i treni.
 
-Ciao…-, disse Sherlock, con voce profonda.
 
-Ciao!-, ribatté John, con tono più vivace.
 
Non si dissero altro e ognuno si avviò verso la propria banchina. Sherlock si era voltato indietro un paio di volte prima di vedere il ragazzino biondo scomparire giù dalle scale.
 
Il giorno seguente si incontrarono di nuovo. Sherlock trovò John ad aspettarlo davanti alle obliteratrici.
 
-Ciao.
 
-Ciao.
 
-Io mi chiamo John.
 
-Io mi chiamo Sherlock.
 
-Che nome buffo…
 
-Già…-, convenne il ragazzino con aria sconsolata, prendendo l'abbonamento dal portadocumenti dentro la tasca esterna dello zaino.
 
-Cosa hai fatto all'occhio?-, chiese John, indicando un leggero livido nero sopra l'occhio destro.
 
-Ho fatto a pugni.
 
-Con chi?
 
-Un compagno di scuola.
 
-Perché?
 
-Perché gli ho detto che ha un quoziente intellettivo pari a quello di un bradipo.
 
-E perché?
 
-Perché è vero.
 
John sbatté un paio di volte le palpebre, incredulo alla meravigliosa stranezza del suo giovane interlocutore.
 
-Frequenti la CLS?
 
-Tu fai troppe domande.
 
-Me lo dice anche mia sorella…
 
-È noiosa come mio fratello?
 
-Può darsi.
 
Si separarono di nuovo giunti ciascuno al proprio bivio, senza aggiungere altro.
 
Il giorno successivo fu John a trovare Sherlock ad aspettarlo, il blazer buttato distrattamente su un braccio e le maniche della camicia arrotolate. Iniziava a fare caldo.
 
-Ti va un gelato?
 
-Devo ancora pranzare.
 
-Allora ti va un panino?
 
Si sedettero a un tavolino di plastica del bar di fronte al punto informativo. John prese un hotdog perché era il piatto più economico sul menu e Sherlock ordinò il suo gelato alla crema.
 
-Ti piace Batman-, disse Sherlock, nell'attesa che venissero serviti.
 
-Questo è Spiderman-, ribatté John, indicando il fumetto che aveva riposto sulla sedia accanto alla sua.
 
-Ma la settimana scorsa leggevi Batman.
 
-Come lo sai?
 
-Io osservo. Anche se alla gente non piace.
 
-Ed è per questo che ti ritrovi con un occhio nero.
 
John riuscì a strappare un mezzo sorriso all'altro ragazzino.
 
La cameriera portò le loro ordinazioni con un Ecco qui, ragazzi. Rimasero in silenzio per un po'.
 
-Comunque a me piace di più Robin…
 
-L'avevo intuito.
 
Il giorno dopo fu ancora Sherlock a trovare John ad aspettarlo. Era in ritardo di mezz’ora rispetto al solito.
 
-Sei in ritardo.
 
-Sono stato dalla preside…-, spiegò Sherlock, lo sguardo basso.
 
-Non vedo occhi neri…
 
-L’altro ragazzo sì, però.
 
-Un tuo amico?
 
-Io non ho amici.
 
-Hai mangiato?
 
-Non mi va.
 
-Ti va di andare al parco a leggere?
 
-Non sei in ritardo?
 
-Mia sorella è a scuola e mia mamma lavora sino a tardi il mercoledì.
 
-OK.
 
John prese Sherlock per mano. Solitamente, non era un tipo che prendeva gli amici per mano, tutt’altro, ma con Sherlock era diverso: era come se una vocina dentro di lui gli dicesse di prenderlo sotto la sua ala, di occuparsi di lui. Si avviarono verso la banchina del treno per Ealing Broadway, verso Marble Arch. Trascorsero il pomeriggio sdraiati a leggere ai bordi della Serpentine, circondati da baby-sitter, bambini di ogni età e coppie di fidanzatini adolescenti. Ogni tanto commentavano ciò che stavano leggendo, ma per la maggior parte del tempo rimasero in silenzio a godersi la pace di quella giornata e i tiepidi raggi di sole che accarezzavano la pelle delicata dei loro giovani volti.
 
Poi, con i primi caldi, arrivarono anche le prime sudate e le prime correnti d’aria nei tunnel della metropolitana, e John si ritrovò con una faringite acuta che lo costrinse a letto per una settimana, nonostante le sue proteste. Era la prima volta in anni che si sentiva contrariato dall’essere costretto a letto. Per cinque giorni, John alternò il letto al divano, con Harriet incaricata della sua sorveglianza pomeridiana affinché non uscisse di casa contro le indicazioni del medico.
 
Si sentiva come un uccello in gabbia privato della sua libertà, mentre leggeva e rileggeva i fumetti di Superman di Sherlock che aveva scambiato con due di Batman dei suoi.
 
Arrivò il weekend, che lo vide finalmente sfebbrato. Come premio (almeno secondo l'opinione della madre), John ottenne una passeggiata al parco prima del pranzo domenicale a casa della nonna. La Serpentine aveva improvvisamente perso tutto il suo fascino, privata del suo nuovo amico a fargli compagnia.
 
Il lunedì successivo John uscì di casa prima del solito, mosso dall’eccitazione dell’attesa di ritrovarsi, dopo le lezioni, a Bank. Ma tutti i suoi entusiasmi furono subito smorzati quando non vide Sherlock ad aspettarlo come al solito. E questo anche il giorno seguente e quello dopo ancora. Il giovedì John fece di tutto per costringere la madre a firmargli un permesso di uscita anticipata, adducendo la scusa di essere atteso a casa del suo compagno Morgan, malato, per ripassare algebra, a Greater London. Ma si ritrovò tristemente ad aspettare Sherlock per due ore seduto al tavolino del loro bar sotto la metropolitana, invano.
 
John fece di tutto nei giorni successivi per auto convincersi che ci fosse una spiegazione giustificata e assolutamente positiva dietro l’assenza del suo nuovo amico. Forse il suo piano lezioni era stato leggermente modificato nell’ultimo trimestre. Forse anche Sherlock era stato colpito dai malanni di stagione. O più semplicemente, nonostante gli apparisse inaccettabile e crudele, Sherlock aveva trovato noioso e senza molto senso continuare ad aspettare fino a quando un ragazzetto introverso e per giunta più grande di lui incontrato per caso a una fermata.
 
Il suo cuore era pieno di tristezza, esattamente come qualche Natale addietro, quando aveva ricevuto in dono un maglione fatto a mano al posto dei soldatini che tanto desiderava.
 
Il lunedì successivo decise, dopo la scuola, di salire a St Paul’s invece che a Bank. Se prendeva il treno una fermata prima non poteva rimanerci male se non avesse incontrato Sherlock.
 
Si comportò così anche il martedì. Poi, il mercoledì, essendo in ritardo per l’appuntamento dal dentista dopo essersi attardato a parlare con il professore di letteratura, decise di salire ugualmente a Bank.
 
Appena scese i gradini dell’ingresso della fermata venne travolto dalla fiumana di studenti che si recavano a casa. Perse tempo a cercare l’abbonamento che si era smarritotra tutti i vari oggetti che appesantivano il suo zaino.
 
-Ciao…
 
La voce profonda di Sherlock lo raggiunse distintamente anche in mezzo a tutto quel vociare e alla musica suonata dagli altoparlanti. Alzò lo sguardo, l’abbonamento ritrovato serrato tra i denti, le mani sulla cerniera dello zaino e i suoi occhi incontrarono quelli dell’amico.
 
-Come stai?
 
John si era dimenticato di tutta la sua fretta. Con movimenti rallentati, chiuse lo zaino e si tolse l’abbonamento dalla bocca.
 
-Bene. Meglio. Sono stato ammalato.
 
-Lo so.
 
John guardò l’amico con aria interrogativa.
 
-Lo capisco dai tuoi occhi-, spiegò.
 
-Sei stato ammalato anche tu?
 
Sherlock scosse la testa un paio di volte.
 
-No. Un impegno di lavoro all’estero di mio padre. Ha voluto portare tutti con sé.
 
Rimasero lì a guardarsi ancora senza aggiungere altro, poi John si ricordò improvvisamente del suo appuntamento.
 
-Io devo… andare. Il dentista-, disse, indicando le scale mobili che portavano al suo treno.
 
-D’accordo.
 
Ma John non si muoveva.
 
-Ho ancora i tuoi fumetti-, aggiunse. Non aveva proprio voglia di andarsene.
 
-Me li darai domani.
 
-A domani, allora.
 
-A domani.
 
Il giorno successivo diluviava. Sherlock arrivò a Bank quasi completamente zuppo nonostante l’ombrello. Quando lo vide arrivare, John, che era lì già da un buon quarto d’ora, gli si avvicinò sorridendo, pensando a quanto gli ricordasse un micino bagnato con il pelo arruffato dalla pioggia. Gli scostò delicatamente il ciuffo scuro e fradicio dagli occhi, con una tenerezza che fece tingere di un lieve rossore le guance solitamente pallide di Sherlock.
 
-Grondi acqua da tutte le parti…-, commentò, la mano ancora indugiante sui suoi capelli neri.
 
-Niente parco oggi, direi.
 
-Vieni a casa mia. C’è il camino.
 
Durante il tragitto in metropolitana, non spiccicarono parola. John stava leggendo i suoi fumetti, Sherlock studiava le persone accanto a loro. Era visibilmente imbarazzato. Non si sentiva totalmente a suo agio nel dare all’amico tutto quel disturbo; aveva persino il timore di incontrare la sorella o, peggio, la madre, ma desiderava seguirlo a casa sua più di ogni altra cosa al mondo.
 
Una volta giunti a destinazione, Sherlock non trovò nessuna signora Watson e nessuna Harriet ad attenderli. L’appartamento della famiglia Watson era molto piccolo in confronto alla sua grande casa vittoriana con giardino. Ne era piacevolmente incuriosito.
 
John accese il fuoco, poi portò Sherlock in bagno. Si chinò e aprì gli sportelli del mobiletto sotto il lavabo, da cui estrasse un paio di asciugamani blu. Appoggiò il più piccolo di essi sul capo dell’amico, sistemando l'altro sul bordo della vasca. Gli frizionò i capelli, tirandoli leggermente, ma esercitando in ogni momento tutta la delicatezza e la dolcezza di cui era capace, il ciuffo normalmente riccioluto ora dritto e liscio che copriva parte di uno dei suoi occhi. Poi lo aiutò a togliersi i vestiti; mentre John si muoveva deciso, Sherlock studiava tutti i suoi movimenti con attenzione. Nessuno di loro parlò.
 
Quindi, John sparì per un attimo in camera sua. Tornò in bagno qualche minuto dopo con un paio di pantaloni e una camicia. Appoggiò anch'essi al bordo della vasca. Sherlock era rimasto immobile durante la sua assenza, con le mani appoggiate curiosamente all'asciugamano più piccolo, che ancora copriva i suoi capelli ribelli.
 
-Non saranno proprio della tua taglia, ma almeno avrai addosso qualcosa di caldo mentre i tuoi si asciugano.
 
Prese i vestiti bagnati di Sherlock e sparì in soggiorno, per sistemarli su una sedia di fronte al camino.
 
Sherlock lo raggiunse poco dopo, con i vestiti asciutti addosso e i capelli ancora un po' bagnati.
 
-Non ridere.
 
-Non ho intenzione di farlo.
 
-Tu non ridere comunque.
 
-Va bene.
 
Si sedettero entrambi davanti al camino e per un po' nessuno di loro aprì bocca.
 
-Ti preparo un panino. Non ho altro in frigorifero.
 
-Non sei tenuto a disturbarti ancora.
 
-Devo mangiare anch'io. E, poi, qualcuno deve pur occuparsi di te.
 
Così dicendo, John si alzò e sparì in cucina, lasciando Sherlock a guardare il fuoco con lo sguardo perso nel vuoto e le mani allacciate attorno alle ginocchia piegate.
 
Mangiarono un panino con tacchino e insalata, in silenzio, incollati entrambi al camino.
 
-Quale indirizzo hai deciso di seguire, una volta terminata la scuola?-, fu la prima cosa che domandò Sherlock quando finirono di mangiare.
 
-Voglio fare il dottore.
 
Il ragazzino più giovane annuì con decisione, come mostrando la sua approvazione.
 
-E tu cosa vuoi fare da grande?
 
Sherlock scosse la spalle.
 
-Non saprei… I miei insegnanti dicono che sono abbastanza intelligente da fare qualsiasi cosa voglia. Persino il musicista, lo scienziato o il fisico.
 
Parlavano senza guardarsi negli occhi.
 
-Ma a te cosa piacerebbe fare?
 
-Il pirata o il poliziotto-, proferì con decisione.
 
-Il pirata sarà un po' dura…
 
-Già… sembra che, dopotutto, mi rimanga una sola opzione...-, commentò Sherlock, con un'aria un po' perplessa.
 
-Ti preparo un the-, disse poi John, cambiando completamente discorso.
 
-Non è il caso, davvero.
 
-Invece sì.
 
John sfiorò delicatamente con una mano quelle dell'amico, tenute ancora strette alla ginocchia. Sherlock ebbe un sussulto e, per la prima volta da quando se ne stavano lì seduti, si voltò verso di lui, fissando le sue iridi di ghiaccio in quelle più scure di John.
 
Rimasero a guardarsi per un attimo.
 
-Sei ancora gelato…-, spiegò John, prima di alzarsi per andare in cucina.
 
Trascorsero il resto del pomeriggio facendo ognuno i propri compiti assieme, seduti al tavolo del soggiorno, chiedendosi a volte consiglio reciproco. Poi, si fecero le sei del pomeriggio e il cielo, già appesantito dalle nuvole cariche di pioggia, si tinse di un grigio ancora più scuro.
 
-Devo tornare a casa. È quasi ora di cena…
 
I vestiti di Sherlock erano ormai asciutti. Il ragazzino si chiuse in bagno a rivestirsi, mentre John ripose i suoi libri nello zaino, con le stesse attenzioni di una mamma.
 
Sherlock spuntò poco dopo fuori dal bagno e notò John che armeggiava con le sue cose.
 
-Non c'era bisogno…
 
-Ottimizzo il tempo!
 
Con quella battuta, John riuscì a farlo sorridere. Sorrise anche lui.
 
-E poi, te l'ho già detto. Qualcuno deve pur occuparsi di te.
 
-Qualche volta ci pensa mio fratello Mycroft, ma non sempre-, disse, avvicinandosi alla sedia e infilandosi il blazer. –È molto più grande di me.
 
Aveva pronunciato le ultime parole con un tono di chi volesse scusarlo.
 
-Già… Ti considera un po' una seccatura…-, convenne John. -Anche mia sorella a volte lo è.
 
Sherlock si infilò entrambe le bretelle dello zaino sulla spalla destra, annuendo.
 
-Non so che linea devi prendere per tornare a casa tua. Però da qualche parte qui in giro dovrei avere una piantina della tube
 
-Non disturbarti. Conosco tutto il percorso della metropolitana a memoria. Di tutte le linee. E anche dei trasporti in superficie.
 
John pensò che il suo amico era davvero strano a volte, ma la cosa non gli dispiaceva. Tutt'altro.
 
-Allora non dovresti perderti! Spero arriverai a casa tutto d'un pezzo.
 
-Lo spero anch'io…
 
Si avviarono verso la porta.
 
-Mi avvisi quando arrivi?
 
-E come?
 
-Telefona!
 
John tornò di nuovo verso il tavolo e prese una delle sue penne. Poi, iniziò a cercare un foglietto di carta vuoto su cui scrivere il numero del telefono di casa.
 
-Scrivi qui.
 
Sherlock gli mostrò il palmo della sua mano sinistra.
 
-Lì?
 
-Così dovrei essere abbastanza sicuro di non perderlo.
 
Sorrise.
 
Con la penna nera nella sinistra, John prese la mano di Sherlock nella sua destra, trovandola questa volta piacevolmente calda. Provò una piccola scossa che gli fece battere forte il cuore per un attimo. Probabilmente anche l'altro l'aveva sentita, ma se fu così non lo dette a vedere. Scrisse i numeri delicatamente, tenendogli aperta la mano con il pollice e facendo attenzione a non fargli male, calcando quel giusto per far scendere l'inchiostro. Gli occhi di John saltavano dalla mano a quelli di Sherlock, che invece tenne per tutto il tempo il suo sguardo indecifrabile incollato al volto di John.
 
-Ecco. Se tieni la mano in tasca e non la inzuppi ancora, dovrebbe resistere.
 
John attese un attimo prima di lasciare andare la mano di Sherlock. Forse per controllare bene che i numeri fossero leggibili. O forse perché la sensazione della sua mano tra le sue era stranamente piacevole.
 
Appena lo fece, Sherlock strinse bene il palmo e infilò la mano dritta dritta in tasca.
 
-Agli ordini!
 
Risero. Poi John infilò anche lui il suo blazer, prese l'ombrello e lo accompagnò alla fermata più vicina.
   
 
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