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Autore: boll11    16/04/2012    4 recensioni
Sapevo di affrontare male la cosa.
Il dolore mi paralizzava.
La mia prima reazione è stata di totale annichilimento. Come se vivessi in un mondo di gelatina, ci arrancavo attraverso privo di forze e di energie, senza scopo se non quello di capire.

Dopo la puntata 2x03.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: Poche ed essenziali. Ringrazio Nykyo per avermi spinto a guardare questo telefilm che sapeva, conoscendomi bene, quanto mi sarebbe piaciuto. Per questo ed anche perché è stato il suo compleanno, questa cosetta è tutta per lei. Tantissimi auguri ancora! 
L’unico rammarico è dover attendere tipo un anno per vedere la terza serie. E questo non è salutare.
Ultimo ringraziamento, ma non meno importante è per Mary che mi ha aiutato a districare pensieri e parole non avendo neanche visto il telefilm. Sempre preziosissima e puntuale. Un vero genio!
Null’altro da dire se non: Buona lettura.

 
 

You are there beside the night*

 
 

Alice rise: «È inutile che io ci provi», disse ancora: «non si può credere ad una cosa impossibile.»
Lewis Carroll, da “Alice nel Paese delle Meraviglie”


Sapevo di affrontare male la cosa.
Il dolore mi paralizzava.
La mia prima reazione è stata di totale annichilimento. Come se vivessi in un mondo di gelatina, ci arrancavo attraverso privo di forze e di energie, senza scopo se non quello di capire.
Sono ritornato al Bart’s Hospital per rivivere fino allo sfinimento il suo volo e chiedermi mille e mille volte se avessi potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa  per salvarlo. Per salvarci entrambi.
E quindi calcolavo traiettorie, interrompevo fantasmi di conversazione schiacciando con ferocia  i tasti del mio cellulare dove il suo numero era ancora in memoria – SH – e mi precipitavo il più veloce possibile su per le scale scontrandomi con dottori, infermieri e pazienti. So che non aveva senso. Si sarebbe buttato giù ai primi accenni di quella corsa.
Scendere le scale a passo lento, borbottare senza suono e poi chiudere gli occhi, appoggiato all’androne e cercare di ricordare com’era la scena quel giorno, chi c’era, cosa c’era è stato il mio passo successivo. Inutile.
Non avevo occhi che per lui, quel giorno. Lui su quel tetto. Una figura lontana, la sua voce così vicina, stranamente spezzata.
Ah, Sherlock, cosa hai fatto?
Sapevo che non avrei potuto fare nulla, perché quando Sherlock decideva ...

Con la seconda fase del mio lutto è sopraggiunta la rabbia, vibrante e feroce.
Odiavo anche solo l’idea di tornare a Baker Street nonostante Mrs Hudson mi avesse pregato di aiutarla ad archiviare tutta la sua vita.
Come poteva chiedermelo? Quello è stato il periodo da pugni chiusi e mascella serrata e tutta quella rabbia trattenuta pronta a colpire chiunque.
Rivivere all’infinito la sua morte per cercare una risposta che non c’era aveva smosso quella nebbia persistente che era la mia incredulità e aveva lasciato questo rancore destabilizzante.
Oh, ero furioso!
Me ne hai fatta un’altra delle tue!
Sono una persona mite di solito. Controllata. L’esercito di Sua Maestà è stata la mia prima grande scuola. La guerra in Afghanistan la seconda. E vivere con lui… Non sempre era facile.
Sono riuscito ad imbrigliare quella furia.
E’ stato in quel periodo che ho sviscerato le sue ultime parole, il suo tono di voce mentre le diceva, il significato…
Nonostante tutto non riuscivo a crederci. Moriarty aveva recitato così bene, ma io sapevo che non poteva essere vero. Era un uomo straordinario. Neanche il più grande attore al mondo avrebbe potuto impersonarlo così.
Io lo conoscevo.
Io ero il suo migliore amico. Ero…
«Non dovevi farmi questo scherzo!» borbottavo furente e il suo nome mi si incagliava tra i denti come una scheggia appuntita.
Era doloroso anche solo sapere che non avrei ma più potuto chiamarlo per nome così com’era straziante osservare il suo numero sullo schermo del cellulare e aspettare segretamente che mi mandasse il messaggio più desiderato:
«Sono vivo – SH»


Ora che anche la rabbia si è stemperata è rimasto solo questo dolore cocente, incredulo, infinito. E questo totale senso di abbandono.
Mi aggiro per l’appartamento stranito.
Tocco cose impolverate lasciando impronte su cui lui potrebbe raccontarci una storia.
La mia storia senza Sherlock.

Ho ripreso a zoppicare. Non troppo, ma considerevolmente. Diciamo che non riuscirei a farmi una corsa sfrenata dietro un taxi.
Lui lo capirebbe dalle impronte che lascio sul pavimento non troppo lucido.
Sarebbe così facile per Sherlock comprendere il mio lutto da quello che indosso. Da come lo indosso.
A volte dimentico di mettermi i calzini. Solo dopo aver indossato le scarpe mi accorgo di non averli ed allora non mi va di toglierle e rimango così.
Non faccio la barba tutti i giorni. Se mi guardo allo specchio troppo spesso mi rendo conto di quanto io sia solo. Disperatamente solo.
Così dissemino indizi carezzando le sue cose con la punta delle dita, evito lo specchio sopra il camino e la poltrona dove sedeva lui. Conserva ancora la sua impronta.
Mrs Hudson ha riposto il suo violino nella custodia e l’ha lasciata in terra appoggiata ad un bracciolo.
Faccio scattare le chiusure e fisso lo sguardo sul legno lucido dove posava le dita.
Aveva mani bellissime e lunghe dita.
Arriccio la bocca in una smorfia soffocata e mi lascio andare sul divano con un sospiro che somiglia troppo ad un singhiozzo.
Mi manca in tanti modi ma questo credo sia il peggiore.
Quello di non ritrovare il tocco delle sue mani.
Fisicamente. Mi manca fisicamente.

Avrei dovuto dirgli che l’amo.  In tanti modi quanti sono quelli che mi manca.
Avrei dovuto almeno provare per non sentirmi così irrimediabilmente perso e non dover combattere coi 
«Se avessi…».
Amavo il suo cervello, prima di tutto certo. Quello l’ha sempre saputo.  Ma non ha mai capito che amavo il suo sorriso sghembo. E che la sua risata mi faceva sentire caldo e soddisfatto. O che ero sopraffatto da quei suoi sguardi assorti.
Non saprà mai che sebbene mi facessero impazzire amavo anche le sue follie, i suo cambi d’umore repentini che mi facevano sentire vivo e vibrante. E potente.
E le sue mani. Amavo le sue mani. Il modo in cui le usava.
E il modo in cui mi faceva sentire ogni nostro contatto, furtivo, casuale, naturale.
Sognavo spesso le sue mani fare cose che sapevo permesse solo nei sogni.  Fantasie segrete che si mescolavano ai soliti incubi. Ogni volta mi svegliavo con devastanti mal di testa e una tensione che riuscivo a stento a mandar via. La differenza stava nel mio modo di approcciarmi a lui. Era difficile guardarlo la mattina dopo uno dei miei sogni erotici. Avevo il timore che lo capisse solo scrutandomi negli occhi. Indizi più evidenti li facevo scemare nel buio protetto della mia stanza. Ben avvolto tra le coperte.
Sherlock non era certo uno di compagnia, non nel senso più comune del termine eppure eccomi qui a rimpiangere disperato ogni momento passato insieme, anche quelli in cui l’avrei volentieri gettato fuori dalla finestra, anche quelli in cui rimaneva assorto in qualche particolare elucubrazione per cui esigeva assoluto silenzio e gli dava fastidio perfino il quieto sfogliare di una pagina.
Avrei potuto odiarlo per come si comportava con me come con chiunque altro e nessuno me ne avrebbe fatto una colpa ma l’ho amato subito, credo. O qualche istante dopo forse.
L’avessi capito da allora probabilmente le cose sarebbero andate in modo diverso. Avrei trovato prima il modo di dirglielo senza stare a rimuginare sui pericoli che comportava una rivelazione del genere.
Sapevo che non volevo perdere quello che avevo anche se a volte mi sembrava così poco e il desiderio di un contatto era così bruciante che non potevo semplicemente far finta di nulla. Non ho problemi con le donne io. Mi piacciono come a qualsiasi altro che non sia omosessuale ed io credo di non esserlo.
Non ho alcun desiderio per nessun’altro uomo se non per Sherlock. Mai avuto, prima di piantare lo sguardo in quei suoi maledetti occhi grigi.  E quindi le mie donne mi servivano e a dirlo così fa molto meschino, lo so. Ma non posso mentirmi, non adesso che vago tra le sue cose e che la mancanza di lui si fa talmente dolorosa da lasciarmi senza fiato.
Non si può mentire in momenti del genere. Posso solo giurare che ci ho provato. Ho provato ad amarle più di quanto amavo lui. Non sempre era facile.
Avrei dovuto davvero dirglielo. Ogni cosa.
Che c’erano giorni in cui il bisogno di lui sfiorava livelli d’allarme. Notti in cui avrei dato in cambio qualsiasi cosa pur di poterlo toccare. Era il terrore che sezionasse il mio approccio con una serie seccante di deduzioni a bloccarmi, spesso e volentieri. Praticamente sempre. Non volevo che il nostro rapporto si complicasse perché non riuscivo a togliermi dalla testa le sue mani. Le sue mani su di me.  Certo, ci sono stati momenti in cui la tentazione è stata davvero molto forte ma sono riuscito a trattenermi. Sono un soldato d’altronde.
Alla fine, nonostante tutto mi sembrava che bastasse quello che avevamo e che se davvero avesse voluto sapere lo avrebbe scoperto. Ero finalmente in pace e poteva bastarmi e Sherlock aveva messo in chiaro le cose fin da subito. Non aveva testa per una relazione. L’aveva già col suo super cervello.

Rimango fermo al centro della stanza catturato dal mio riflesso nello specchio.
Sto piangendo. Ancora.
Sono giorni che lo faccio senza accorgermene e questo lo so da me, non va affatto bene.
Non so proprio come elaborare questo lutto dato che il mio cuore si rifiuta ostinatamente di credere che lui non ci sia più.
Rimango a guardare il mio viso riflesso fino a che il crepuscolo non tinge di grigio ogni cosa. Semplicemente resto fermo, i pugni chiusi contro le cosce e quelle dannate lacrime a rigarmi il viso.
E con una preghiera incessante a scontrarsi contro la chiostra serrata dei miei denti.
«Un piccolo miracolo Sherlock…»

Non so quanto ancora dovrà passare prima che tutto questo folle strazio si stemperi in mestizia e poi in rassegnazione. Spero che accada presto anche se il solo pensiero mi fa storcere la bocca in una smorfia incredula.
Deve accadere perché mi ritrovo troppo spesso durante le mie giornate ad alzare lo sguardo sperando di vederlo.  Ovunque mi trovi, in ambulatorio, per strada ed anche qui.
Vorrei avergli detto che l’amavo.
Che amavo il suo cervello, lo sapeva.
Ma che amavo le sue mani, no e forse ora non starei qui a cercarlo nelle ombre della stanza.
«Mi manchi Sherlock» tiro fuori a fatica con una voce che non pare neanche mia. «Non potrai neanche scoprire quanto, oramai» continuo e finalmente mi asciugo le lacrime con pochi bruschi gesti.
Neanche ora riesco a dirlo.
Osservo il principio di un ghigno smuovere le labbra troppo tirate.
Non c’è speranza.
Continuerà a mancarmi in ogni modo possibile, lo so.
Ma so anche che non posso continuare così. Lasciare che la vita mi scivoli via in questo modo mi disgusta.
Mi disgusta quello che sono diventato.
Sherlock la penserebbe come me, ne sono certo.
Raddrizzo le spalle e stiro le labbra in un sorriso caparbio.
Io sono vivo e devo andare avanti come posso.
Tanto lui sarà sempre là, proprio accanto alle mie notti insonni.


*Da “Elect the death” di  Serj Tankian

  
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