Espiazione "Does
anybody know what we are living for?" The
show must go on, Queen I
raggi solari illuminavano pigramente il bancone della cucina Ikea dai
ripiani lucidi e levigati. Era
una cucina nuova di zecca, gli scatoloni dai quali erano stati tirati
fuori gli ultimi oggetti erano ancora accatastati
all’ingresso. L’aria
era bollente. Vibrava e tremolava vittima del calore, come una
donna in preda al culmine del piacere sessuale. C’era
odore di asfalto consumato in quella stanza. Le automobili
all’esterno
viaggiavano troppo velocemente e frenavano troppo bruscamente, facendo
stridere
le gomme con quel pavimento ruvido, reso più fragile dal
caldo. L’uomo
nascosto nell’ombra della cucina storse appena il naso,
infastidito dall’odore di gomme bruciate. Detestava quel
posto. Non era lì che doveva essere. Eppure
quella cucina Ikea nuova di zecca l’aveva ordinata lui, nella
vana
speranza di costruirsi una vita migliore. La
verità era che non era stato nemmeno capace di montare
insieme i pezzi
del bancone e aveva dovuto chiamare il numero verde stampato dietro lo
scatolone, per farsi aiutare. E
non era stato in grado nemmeno di telefonare a quel dannato numero
verde, aveva dovuto chiedere aiuto alla vicina di casa, una donna
anziana e
sospettosa, che lo aveva scrutato da dietro i suoi occhiali e aveva
composto il
numero, passandogli poi scetticamente l’apparecchio e
sbattendogli la porta in
faccia. L’uomo
era rincasato, più nervoso e arrabbiato di prima, e aveva
trattenuto il respiro per lo spavento quando qualcuno aveva
improvvisamente
parlato dall’altro lato dell’apparecchio: -Servizio
assistenza Ikea, come posso aiutarla?- aveva
detto una ragazza gentile. Aveva
preso un bel respiro, cercando nella sua mente le informazioni che
potessero essergli utili per una conversazione telefonica, e aveva
risposto,
forse parlando troppo forte: -Sono
Draco Malfoy, non riesco a montare la mia cucina nuova. -Si
tratta di una cucina Ikea? Draco
avrebbe voluto mandarla a quel paese, o peggio. Era palese che si
trattasse di una cucina Ikea, o non avrebbe chiamato il servizio
assistenza
Ikea. Però
aveva preso un altro bel respiro, prima di parlare. -Sì-
aveva semplicemente detto. -Ha
bisogno che mandi qualcuno ad aiutarla? -Grazie,
sì. -Mi
può dire l’indirizzo del suo domicilio? Draco
glielo aveva detto, lentamente e scandendo le parole. -Benissimo,
mando subito un paio di tecnici da lei. Si faccia trovare in
casa tra venti minuti. Suoneranno al citofono. L’uomo
non aveva idea di cosa fosse un citofono, o di cosa fossero due
tecnici. Nel mondo magico questi due termini non esistevano. Lo
aveva scoperto, però, quando un suono lancinante proveniente
da uno
strano apparecchio appeso al muro gli aveva perforato le orecchie. Draco
si era avvicinato e aveva visto due uomini salutare da un piccolo
schermino. -Siamo
i tecnici dell’Ikea!- aveva detto uno -Ci apre? Aveva
premuto il tasto con disegnata in rilievo una chiave, immaginando
giustamente che servisse ad aprire il portone. I
due uomini erano entrati sorridendo e si erano messi al lavoro. Ora
la cucina era montata e Draco aveva finito le cose da fare. Se
ne stava lì, in piedi, cercando di ignorare
l’insistente rumore del
clacson, quel caldo asfissiante che non aveva mai sentito in vita sua e
le voci
meccaniche che uscivano dalla radio accesa sul tavolino. L’avevano
azionata quei due uomini, e il mago non aveva idea di come
farla smettere. Si
sarebbe dovuto abituare a quella nuova vita. Lo sapeva. Era solo che
era così dannatamente difficile. L’orologio
appeso al muro segnava le dodici in punto. Era ora di pranzo. Draco
non aveva mai cucinato, prima. “C’è
sempre una prima volta”
si disse pensieroso,
aprendo il frigorifero e tirando fuori quello che sembrava un involucro
bagnato. Cuocere
in microonde per otto minuti. Erano
quelle le parole scritte sul retro della confezione. Draco
si guardò intorno smarrito, cercando il
“microonde” con gli occhi. Non
capiva assolutamente niente di quella cucina. Come diavolo faceva a
mangiare? Scagliò
la confezione attraverso la stanza, con forza e rabbia repressa. La
scatola scivolò sul pavimento di piastrelle lasciandosi
dietro una
traccia umida. Draco
si mosse nel piccolo appartamento come un animale in gabbia,
dirigendosi verso la camera a passi da elefante. C’erano
solo un letto cigolante e una scrivania grezzamente lavorata in
quella stanza. Niente armadio. Niente cassettiera. Niente di niente. Draco
lanciò uno sguardo vacuo al suo baule, abbandonato ai piedi
del
letto, e si sedette sul coperchio di legno massiccio: non avrebbe
sopportato di
sentire il cigolio delle molle sotto il suo peso quasi inesistente. Si
prese la testa fra le mani e tirò su con il naso. Devi
essere forte Draco. Quelle
erano state le ultime parole che gli aveva rivolto sua madre, poco
prima di avergli messo in mano una Passaporta e averlo guardato
scomparire
sotto i suoi occhi. E
Draco ci aveva provato, ad essere forte. Aveva
trovato quell’appartamentino in quell’orrido
paesino sperduto nel
cuore della Spagna, dove era sempre caldo come nei suoi peggiori
incubi, e ci
si era trasferito subito. Aveva
cercato un lavoro, e ne aveva anche ottenuto uno come cameriere.
Lavoro che aveva perso non appena il suo datore di lavoro si era reso
conto che
quel ragazzo dall’aria spaesata non sapeva nemmeno battere a
cassa. Si
era ritrovato di nuovo a casa, circondato da giornate vuote che
avrebbe dovuto riempire in qualche modo. Ma
come avrebbe potuto? Lui non faceva parte di quel mondo. Era
un mago purosangue appena uscito dalla guerra. Dalla parte sbagliata
della guerra, in realtà. La
lettera di convocazione al processo gli era arrivata appena due giorni
dopo la caduta di Voldemort. Accusato
di partecipazione in associazione a delinquere. Accusato di uso
improprio della magia. Accusato di abuso della magia in presenza di
Babbani.
Accusato di tentato omicidio. Era
stato accusato praticamente di tutto. La cosa triste era che la
maggior parte di quelle accuse erano fondate. A
chi sarebbe importato del fatto che lui non aveva avuto la minima
intenzione di uccidere Silente, se testimoni l’avevano visto
puntare la
bacchetta contro di lui? A
chi sarebbe importato del fatto che non aveva mai voluto un Marchio
Nero, se lo vedevano tatuato sul suo braccio? A
chi sarebbe importato del fatto che era stato obbligato a usare la
magia per scopi che non voleva raggiungere, se decine di persone
avrebbero
affermato il contrario? No.
Non avrebbe senso rimanere e finire ad Azkaban. Aveva
fatto bene a fare come gli aveva detto Narcissa e scappare. Era
sembrata una buona idea. All’inizio. Ma
erano passati dieci giorni dalla sua fuga e la vita andava avanti in
maniera più angosciante di prima. Quella
radio che parlava da sola in cucina rendeva l’aria ancora
più
carica, ancora più tremante, e a Draco non piaceva sentire
voci senza corpo. Quel
letto cigolante non faceva altro che fargli venire in mente la sua
regale camera al Manor, dove un letto dalle cortine
spesse e avvolgenti
lo aspettava freddo e spoglio. Quell’odore
di asfalto bruciato che gli si riversava nelle narici era
peggio della puzza acre del sangue nel campo di battaglia a Hogwarts,
dove i
Mangiamorte avevano ucciso indifferentemente uomini, donne, bambini. Draco
non aveva mai ucciso nessuno. Almeno quello dovevano
concederglielo. Era
troppo codardo per uccidere. Forse
era troppo codardo anche per vivere. Si
alzò di scatto dal baule e si diresse di nuovo in cucina. Spalancò
le finestre che davano sulla strada e fu investito dal calore
assordante della Spagna, dal vociare delle persone, da una sensazione
di
smarrimento. Rimase
immobile qualche istante, cercando di metabolizzare il tutto, e si
accese una sigaretta. Era l’ultima del pacchetto. Draco
lo lasciò cadere in terra, infastidito. Ci mancava solo di
finire
le sigarette, in una giornata come quella. Portò
lìaccendino davanti ai suoi occhi, accese il piccolo
cilindro
sottile e aspirò il fumo a grandi boccate, beandosi
del bruciore
asfissiante che gli intossicò la gola e lo fece lacrimare,
felice del dolore
fisico. Si,
il dolore era l’unica cosa che lo legava alla vita. Perché
la verità era dura e triste, ma era quella: Draco non aveva
più
voglia di vivere. Draco
stava tenendo duro per sua madre e per suo padre. Ma
il giornale che aveva ricevuto quella mattina gli aveva portato via
l’unico motivo per vivere: suo padre aveva ricevuto il bacio
dei Dissennatori
la sera precedente. Sua madre era morta, uccisa dai carcerieri di
Azkaban dopo
lunghe torture. Draco
non aveva potuto fare a meno di pensare che se fosse rimasto
avrebbe fatto la fine di sua madre. E
così era rimasto solo. Soffiò
una boccata di fumo fuori dalle labbra screpolate. Si era
già
scottato la pelle albina, in quella città. Non era abituato
a un sole così
cocente. Draco
lanciò un’occhiata di sbieco a quel bastoncino di
Biancospino
appoggiato sul piano da lavoro della cucina. Quel
bastoncino che una volta chiamava bacchetta magica ma che adesso non
poteva più essere definito tale. Se
lo avesse usato, lo avrebbero trovato subito. La
mascella di Draco si mosse violentemente. Che
importava a quel punto? Per
che cosa viveva? Draco
sapeva solo che voleva morire, ma che forse avrebbe preferito non
essere torturato, prima. Quindi,
considerato che buona parte del mondo magico lo detestava, gli
rimaneva solo una cosa da fare. Uccidersi. Si
soffermò un attimo a guardare il pulviscolo che aleggiava
nell’aria,
illuminato dai raggi del sole. Ora che aveva deciso di farla finita
tutto
sembrava molto più interessante. Ad
esempio, non aveva mai notato tutte le nervature che c’erano
tra le
assi di legno del tavolo. Alcune sembravano seguire le linee del suo
albero
genealogico. Gli
pareva di vedere il collegamento che partiva da Bellatrix Black e lo
legava a lui. O la linea sbiadita che portava alla foto strappata di
Ninfadora
Tonks, mezzosangue. La
sua famiglia non aveva mai ammesso ibridi. Non aveva mai ammesso
errori, delusioni, sbagli. E
lui aveva sbagliato. Aveva deluso. Aveva commesso indicibili errori. Doveva
espiare. Doveva
morire. Draco
scavò di nuovo nella tasca dei suoi pantaloni di lusso, di
un
taglio costoso e lineare che stonava con la povertà di
quella casa di
provincia. Il
lusso in generale stonava con la sua nuova vita. Estrasse
l’accendino con il quale aveva accesso la sigaretta. Era
stata
una delle prime cose che aveva imparato, come accendere
l’accendino. Non
avrebbe mai più potuto farlo con la magia, e non avrebbe
potuto rinunciare al
fumo in un momento come quello. Draco
spense la sigaretta sul dorso della sua mano, gemendo alla scarica
di dolore che raggiunse il suo cervello. Gettò
il mozzicone a terra, insieme agli altri tre che aveva già
fumato
quel giorno. La
piccola scottatura sulla sua mano pulsava dolorosamente, e Draco
sorrise. Fece
scattare la rotellina dell’accendino con sicurezza, e
fissò la
fiamma per pochi istanti. Poi
lo lasciò andare. L’oggetto
cadde roteando, con una lentezza snervante, e finì proprio
sopra al pacchetto di sigarette gettato poco prima dall’uomo. Il
cartone prese fuoco lentamente, accartocciandosi tutto su se stesso,
rivelando un’ultima sigaretta stropicciata. Draco
cacciò la mano nel pacchetto in fiamme, dimentico o abituato
al
dolore, la prese e la portò alle labbra. Si
sedette sul davanzale e attese pazientemente, mentre il sole caldo gli
scottava la schiena e le fiamme crescenti gli lambivano i piedi. Il
fuoco raggiunse l’apice in fretta. Il caldo era diventato
insopportabile. Draco
iniziò a sudare dalla fronte. Goccioline chiare e salate
scivolavano sopra il suo viso. Alcune stille nascevano negli occhi. Forse
erano lacrime. Lacrime
versate per la sua bacchetta in fiamme. Era
il suo ultimo legame con il mondo magico, e stava andando in cenere. Draco
chiuse gli occhi quando l’anima di quel ramoscello
uscì
dall’involucro, gridando ferita e abbandonata. Non poteva
guardare la sua magia
che lo abbandonava. Qualcosa
iniziò a suonare. Draco
guardò sul soffitto e notò un piccolo aggeggio
che lampeggiava di
rosso e strillava come una Mandragola arrabbiata. Era
l’allarme antincendio? Non lo sapeva. Tanto,
qualunque cosa fosse, era troppo tardi. I
suoi vestiti avevano preso fuoco e la pelle alla quale una volta aveva
tenuto tanto si stava rovinando sotto i suoi occhi. La
vedeva accartocciarsi e diventare rossa, bruciare incredibilmente
forte. Resistette all'impulso di alzarsi e gettarsi sotto l'acqua
corrente
della doccia o del lavandino. Doveva
resistere per morire. Che
cosa era rimasto del Draco Malfoy di qualche anno prima? Solo
un corpo indifferente e due occhi insensibili. Il
dolore era tremendo. Per un attimo lo distrasse dal vuoto che sentiva
dentro. La
sigaretta gli sfuggì dalle labbra e lui cadde. Pensò
ai suoi genitori, alle loro anime che lo attendevano da qualche
parte. Forse all’inferno, forse in paradiso. Forse in effetti
non c’era niente
dopo la morte. Ma
a Draco non importava: se quella era la sua vita, preferiva morire. Pensò
a Harry Potter, che aveva ucciso il Signore Oscuro con un Expelliarmus e
pensò che tutte le fortune capitano agli altri. Poi
si ricordò che lui era Draco Malfoy e che era sempre stato
invidiato
da tutti. Non poteva essere desideroso della vita di Potter. Pensò
a Dobby. Dobby era un elfo libero. Aveva conquistato la sua
libertà, mentre lui non c’era riuscito. Non
si può vivere sentendosi inferiori a un elfo domestico. Presto
avrebbe avuto anche lui la sua libertà. Presto nessuno
avrebbe più
potuto obbligarlo a fare niente. Il
fuoco lo consumava in fretta, troppo in fretta, e la sua vita gli
scivolava via tra le mani come sabbia al vento. Draco
Malfoy stava morendo. Un
ultimo sospiro stanco gli sfuggì dalle labbra, i suoi occhi
grigi
rimasero infine immobili. Draco
Malfoy era morto. Di
Draco Malfoy era rimasta solo la cenere. Fine Delirio
dell’autrice Questa
storia partecipa al contest “The Most Beautiful Death in the
World” e sono più che sicura di essere andata
fuori tema come al solito. Non
è la prima volta che mi capita di iscrivermi a contest e
finire con
lo scrivere di tutt’altro. Ma
io non ce la faccio a tagliare, modificare, riscrivere le storie dopo
averle completate. Quindi
la storia è questa: pura, diretta, impulsiva come sono io. Spero
vi sia piaciuta e spero che lascerete un segno del vostro
passaggio! Fatemi
sapere se nonostante tutto ho scritto qualcosa di... leggibile? Un
bacione Tita |