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Autore: lietome_    17/04/2012    6 recensioni
/ “Vattene, non prenderti nemmeno la briga di scrivere uno straccio di biglietto, nemmeno due righe buttate lì così. Vattene.” E lui aveva solamente chiuso gli occhi, come se quel gesto potesse impedirgli di vivere le cose, non solo di vederle. /
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Liam Payne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amami due volte.
 
Liam sta dicendo le parole giuste, nel momento giusto, nel modo giusto.
E forse sarà l’aria della primavera a suggerirgliele, o i tenui raggi di sole che gli baciano la pelle, o forse ancora quel porto sicuro che, nonostante tutto, riesce ancora a trovare negli occhi di Susan.

St. James Park che li circonda col suo verde e loro che si lasciano sopraffare, che vogliono affogare in quel profumo inebriante, nel colore opaco e appena accennato dei fiori.
Susan sta contro il suo petto, gli sente il cuore battere e sorride pensando che lo fa per lei.
Susan e Liam, Liam e Susan. L’inizio e la fine di un mondo agli occhi di tutti, loro nel loro piccolo microcosmo fatto d’amore, di baci e ancora d’amore, almeno all’apparenza.
“Sue…” inizia Liam dopo un breve silenzio e il profumo dello shampoo di lei gli entra nei polmoni.
Inspira. Espira.
Quella perenne paura appena sotto la pelle che ormai fa parte di lui tanto quanto il sangue, i polmoni, il suo unico rene. Quella perenne paura che lo fa sospirare ancora una volta prima di iniziare a parlare.
“Sì?” lo incita lei, incantata dagli occhi del ragazzo, comuni eppure così rari.
Forse sono le cose che ci brillano dentro a renderli unici, come un po’ tutte le cose, tutte le persone.
È chi siamo dentro che ci rende unici.
“Domani parto.” E lei trattiene il fiato e cerca di non esplodere, le viene da piangere.
“Quanto… Quanto starai via?” chiede a fatica, deglutendo a vuoto e sentendo le orecchie ronzare, lo stomaco chiudersi.
“Due settimane, con i ragazzi andiamo in Spagna, in Francia, in Belgio e facciamo una piccola sosta anche in Olanda.” Spiega lui, diretto e breve; trema leggermente.
“E perché me lo dici solo ora, eh?” Le orecchie ronzano più forte mentre la voce di lei aumenta d’intensità.
“Perché non me ne hai parlato prima!?” continua, lo stomaco in una morsa e il punto di non ritorno sempre più vicino.
Liam alza gli occhi al cielo e cerca nel Sole un antidoto, una cura.
Nel frattempo la stringe più forte a sé perché sa quello che sta per succedere, perché l’aveva previsto, perché Susan è così.
“Perché non volevo succedesse questo.” Sussurra, ma lei lo sente comunque e si stacca da lui, fa qualche passo in avanti, veloce, mentre nell’universo-Liam la gravità è diventata spropositata e lui non riesce a muovere un muscolo. Anche respirare fa male.

“Questo cosa, eh? Questo cosa!? Non volevi che urlassi, che smettessi di dirti ‘ti amo’? Non volevi che mi mettessi ad urlare verso di te in un parco?” La voce di lei sale, sale, sale.
La sciarpa arancione che porta si muove, scossa dalle sue mani che gesticolano; i pantaloni della tuta sono blu, il pesante giaccone in velluto marrone. Incoerente nel vestire, semplicemente perché non si ricorda come si fa. Liam ripensa alle compere al supermercato quando lei era ancora la vera lei, quando lo era sempre.
Ritorna con la mente alle sue belle gambe fasciate in jeans stretti, quelle gambe che ora sono nascoste e sembra non abbiano forma. Ripensa ai capelli lisci e piastrati, immobili e perfetti, che ora sono mossi dal vento primaverile che soffia da Est e, come avrebbe detto la lei di un tempo: “segnano i quattro punti cardinali.”
“Ma i tuoi tentativi sono falliti! Tu sei un fallito! Non posso aspettarti tutta la vita! Non posso stare qui e aspettare che tu arrivi per salvarmi dai miei mostri, per fare a botte con loro! Non ci crederai, ma non servi a nulla, non servi a me, né tanto meno ai miei incubi!”
Pensieri disconnessi, gliel’avevano detto e lui aveva chiuso gli occhi e annuito.
Susan alza la voce ancora, ormai tutto il parco è girato verso di lei che urla, e gesticola.
Poi, all’improvviso, si mette a piangere.
Calde lacrime le solcano le guance disegnando righe scure di mascara.
“Susan…”
Liam allunga una mano, come per prenderla e lei fa un passo indietro.

Con la manica si asciuga il viso.
“E quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi così?! Queen, mi chiamo Queen!”
Le spalle le tremano.
Queen, la Regina. Strano quanto le piccole cose possano influenzare la nostra vita.
“Q – e – e – n !” gli fa lo spelling con le lacrime ai bordi degli occhi, sempre pronte a cadere.
Un nome per sentirsi importanti, per sentirsi qualcuno. La vera lei si chiama Susan e ama il suo nome.
Suo padre l’aveva chiamata Queen, scherzando, prima di salire per l’ultima volta in macchina e andare ai 90 km orari verso la sua morte.
Suo padre l’aveva chiamata Queen sorridendo storto perché sapeva che lei odiava quel nome.
“Credevo fossi intelligente, Liam! Queen, cinque lettere, non è difficile, no?”
Lui si lasciava insultare, sputare acido sulla pelle e tremava, tremava ogni volta.
“Non ci sono cure alla schizofrenia, Liam.” Gliel’aveva detto la madre di lei al ritorno dall’ospedale.
“Vattene, non prenderti nemmeno la briga di scrivere uno straccio di biglietto, nemmeno due righe buttate lì così. Vattene.” E lui aveva solamente chiuso gli occhi, come se quel gesto potesse impedirgli di vivere le cose, non solo di vederle.
Così era rimasto, spingendole a forza pillole, tante pillole, giù per la gola.
Era rimasto e avevano pianto assieme, e lui aveva visto a poco a poco scomparire Susan.

Ma quella mattina era di nuovo lei, di nuovo quegli occhi calmi e sereni che pensava di non ricordare più e che invece, con sua sorpresa, gli erano sempre rimasti in testa.
“Da quando hai smesso di prendere i farmaci, eh, Queen?”
Pronunciare il nome gli fa male, una fitta gli prende la bocca dello stomaco lettera dopo lettera.
Ma se questo la rende felice la chiamerà così anche davanti all’altare.
Lei sgrana i grandi occhi verdi e qualcosa sul loro fondo si muove, torna in vita.
“Chiamami Susan, ti prego.” Sussurra e lui la lascia condurre, ripetendo e cambiando il nome.
“Da quanto tempo non prendi le pastiglie, Susan?”
Lei sorride tenue e le guance le si infiammano.

“Bentornata.” Aggiunge subito dopo lui ed un sorriso torna a sporcargli il volto.
“Liam…” inizia lei, sentendosi morire dentro. “Mi dispiace.” Gli sussurra.
“Da quanto, Sue?!” ripete più deciso lui, con la paura di vederla sparire e non poter fare niente che gli cambia la luce negli occhi.
“Due settimane.” Sentenzia la ragazza avvicinandosi di un passo.
“Perché?” ed è più una richiesta d’aiuto che una domanda vera e propria. Aiutare se stessa per aiutare lui.
“Perché mi sono stancata di nascondere, soffocare, odiare una parte di me. Perché sono sempre io. Qualsiasi nome la gente mi dia, in qualsiasi modo mi comporti. E, oh Dio, Liam io ti amo sempre, in ogni modo. Quindi niente più pastiglie, per Susan, per Queen, per me. Già lo psicoterapeuta, con le sue domande incomprensibili, sono una pena troppo grande da sopportare. Ma ricordati che ti amo, Liam, ricordatelo per quando sarò io a quella che non ricorderà.”
“Ti amo anche io.” Le dice e le riconsegna il cuore, per l’ennesima volta.
Amami due volte, ti prego.”
“Ti amerò sempre.”
  
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