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Autore: Annaluz    17/04/2012    0 recensioni
Dopo anni passati a leggere e altrettanti a scrivere poesie, è la prima volta che mi cimento nella prosa. L'ispirazione me l'ha data l'Isola di Pasqua, un posto che mi ha lasciato nel cuore più di quanto avrei creduto possibile. E' lì che è ambientata questa storia.
C'è Rapa Nui e ci sono i Moai; c'è l'Ombelico del Mondo e ci sono amore e guerra, sangue e spiriti, famiglia e amicizia.
La storia sarà lunga, non so ancora quanto. E non so se riuscirò ad aggiornarla in maniera sistematica, ma lo spero, come spero che vi piaccia.
Ma, soprattutto, spero di riuscire ad ottenere dei commenti che mi aiutino a migliorarla. Grazie fin da ora a chi avrà voglia e pazienza di leggermi.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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IL MIO SPAZIETTO (pre-capitolo stavolta!) Questo è un capitolo breve, molto, ma cruciale... incontrerete un personaggio fondamentale per tutto il resto della storia... continuo perchè mi sento ancora ottimista, spero di avere qualche recensione... eh su che non si pagano!!! ;)

Dopo pochi secondi ci eravamo lasciati alle spalle il villaggio e i suoi abitanti. Eravamo tutti vicini e formavano una nube polverosa e palpitante di muscoli, sudore, fiato e terra.
Quasi tutti i cavalieri si erano fatti dipingere dalle donne dei simboli rituali sul corpo, ma io, in quanto donna ancora nubile, non potevo farlo. Mentre cavalcavo notavo ogni tanto un segno blu su un corpo che mi sfrecciava accanto, in questa maniera mi ero fatta l’idea di essere più o meno nel centro del gruppo. Non volevo spingere al massimo Rorotea, non ancora almeno, preferivo prima vedere come si sarebbero assestati gli altri nel primo tratto, dal momento che avrei avuto ancora molto tempo per recuperare e non volevo che il cavallo si sfiancasse troppo. Nella parte finale avremmo avuto bisogno di tutte le nostre energie.
Dalla mia posizione riuscivo a vedere Orava che conduceva il gruppo, apparentemente senza sforzarsi nemmeno troppo. Stavamo passando più o meno indenni per la prima parte di Tahai, che era sabbiosa e non presentava particolari rischi. Decisi che avrei osato di più sugli scogli. Rorotea amava quel tratto, perciò contavo di lasciare indietro qualche cavallo dei meno agili e giovani proprio lì. Sentivo che annusava l’aria e mi tenni stretta al suo collo chiudendo gli occhi e lasciando che avvertisse la mia decisione di avanzare e guadagnare terreno. Poggiai la mia fronte sulla sua nuca tenendomi forte alla criniera e strinsi i talloni e le ginocchia ai suoi fianchi. Nello spazio di un pensiero Rorotea era schizzato avanti, le narici dilatate e il muso abbassato verso il terreno. Io lo assecondavo nei movimenti mentre lo spronavo. Stavamo guadagnando terreno.
Seguivo il gruppo di testa ormai, formato da Orava e da Hoanui affiancati, e da altri tre cavalieri alle loro spalle che non riuscivo a riconoscere. Eravamo una ventina, e avevo davanti solo cinque cavalieri, ma più della metà dell’isola ancora da percorrere.
Non avevo voluto pensare a come passare indenne il tratto che affiancava il villaggio Aifa’, non ancora. Era rischioso. Certo, non c’erano più stati contatti tra i nostri clan dopo la fine della guerra per l’Ombelico, ma capitava, ogni tanto, che piccole diatribe o rivalità minori tra singoli guerrieri rischiassero di riaccendere la miccia delle ostilità. Eravamo consapevoli che un passaggio di venti cavalieri poteva essere considerato una vera e propria minaccia, se non addirittura una sfida aperta.
Il passaggio senza conseguenze, invece, ci avrebbe assicurato che Make Make aveva gradito la nascita e la consacrazione di Nani come nuovo sacerdote. Il caso contrario sarebbe stato letto come un segnale negativo e di sfortuna per l’intero villaggio.
Ormai ero vicinissima ai tre cavalieri del gruppetto che seguiva Orava e Hoanui, ma dovevo far riprendere fiato a Rorotea, perciò continuai a tallonarli, ma non troppo da vicino. Preferivo evitare che intuissero le mie intenzioni e le condizioni ancora buone del mio cavallo. Dalla mia avevo la sorpresa, e dovevo giocarmela bene.
Eravamo sempre più vicini al villaggio Aifa’. Decisi che, almeno per quanto mi riguardava, avrei portato Rorotea quasi a passo d’uomo, e sarei passata tra un albero e l’altro sperando che la notte mi proteggesse.
Alcuni dei cavalieri che mi precedevano si muovevano più vicini all’oceano, evidentemente volevano continuare a correre sfruttando il rumore dell’acqua sugli scogli per coprire quello dei cavalli al galoppo. Erano in posizione più scoperta rispetto alla mia e la luna piena di quella notte avrebbe stagliato nitidamente le loro figure sullo sfondo nero dell’acqua. Dovevano contare su una buona dose di fortuna.
Io fortunata non mi sentivo, e scelsi la via più lenta ma che mi pareva più sicura. Tra gli alberi ero da sola, procedevo piano ma costantemente, e intanto Rorotea si riposava un po’, prima di intraprendere la parte più difficile della corsa.
“Amico mio” dissi accarezzando la criniera del mio cavallo “riprendi fiato, dopo dovrai correre come non hai mai fatto prima.”
Sussurrai al suo orecchio continuando ad accarezzarlo. “Finora sei stato bravissimo, il migliore, ma dobbiamo fare ancora meglio”
Improvvisamente sentii come un fruscio, o il rumore di un rametto spezzato dietro di me. Feci girare Rorotea immediatamente, mentre guardinga ispezionavo lo spazio intorno. Non vidi nulla di strano; cercavo di scrutare tra le fronde degli alberi, ma era troppo buio.
Continuavo ad avvertire una strana sensazione, come se gli alberi mi osservassero. Mi spostai solo qualche metro più avanti e, proprio mentre Rorotea ubbidiva ai miei ordini silenziosi, con la coda dell’occhio notai un luccichio tra i tronchi alla mia destra.
Ero ormai certa che ci fosse qualcuno e mi dibattevo tra il desiderio di scappare e la curiosità di vedere chi fosse. Vinse la curiosità.
Una voce dentro di me, che per un attimo mi parve somigliare paurosamente a quella di Orava, mi sussurrò che ero prevedibile in maniera imbarazzante. La ignorai.
Rimasi in groppa e finsi di voler continuare per la mia strada avanzo di qualche spanna. All’improvviso strattonai le redini e  Rorotea scattò veloce come il fulmine verso gli alberi.
Accadde tutto in un attimo e senza nessun tipo di preavviso i miei occhi si immersero dentro un altro paio di occhi, giovani come i miei, ma sorpresi e leggermente spaventati.
Era alto e longilineo, con gli occhi del verde più intenso che avessi mai visto e mi fissava curioso e apparentemente senza paura, mentre per evitare Rorotea si era schiacciato contro il tronco di una palma.
Non sapevo cosa fare, ci fissavamo da qualche secondo ormai, entrambi in silenzio. Fermi: io a cavallo, lui a piedi. Ci scrutavamo. La parte della mia mente ancora ricettiva si era resa conto che, da come era tatuato il suo corpo muscoloso e abbronzato, doveva essere qualcuno di importante del villaggio Aifa’.
Temevo che qualunque cosa si fosse cristallizzata in quel momento, al minimo accenno di movimento, si sarebbe potuta infrangere in mille pezzi.
All’improvviso una consapevolezza spaventosa si fece strada nella mia mente: stavo mettendo a rischio il mio intero villaggio, e tutta la mia famiglia. Per la mia stupida curiosità.
Mi guardava divertito, aveva un sorriso sincero sul volto e nessuna cattiva intenzione. Alla fine parlò lui.
“E tu chi saresti?” mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Io… io….” Mi guardavo intorno cercando una sorta di ispirazione che mettesse fine a quel momento di imbarazzo. Non riuscivo a mettere insieme una frase di senso compiuto, non se continuava a guardarmi in quella maniera. E non sapevo nemmeno spiegarmi perchè.
“Tu? Continua...” era gentile, il suo tono aveva qualcosa di caldo e confortevole, e il suo sguardo mi invitava a continuare. All’improvviso, mi ricordai chi fosse, o per lo meno a chi appartenesse. E mi ricordai che cosa ci facevo lì.
La corsa! Avevo già perso troppo tempo.
“Io sono Mahinete, figlia di Tanui il Grande” lo dissi con tutta l’arroganza di cui ero capace, fissandolo piena dell’orgoglio di sapere chi ero e da dove venivo. Poi, alla velocità della luce me ne andai, proseguendo la mia corsa. Non senza prima aver dato un’ultima occhiata veloce al ragazzo con gli occhi verdi, che mi guardò andar via fissandomi con una strana luce negli occhi.
  
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