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Autore: Feel Good Inc    17/04/2012    8 recensioni
Il quarto giorno nevischiava. Sua madre e suo padre erano di ottimo umore.
«Neve uguale bambini.»
«Tanta neve, tanti bambini.»
«Tanti bambini, tante monetine.»
«Logica di ferro.»
Jiminy non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Solo in parte si era sentito umiliato dai rimproveri del non essere stato in grado di eseguire il più semplice degli ordini, e di non aver ricavato altre informazioni sul villaggio al di là di quelle sciocchezze sul Tempo dei Lupi. In realtà non aveva fatto che rivivere, in ogni immagine e in ogni suono, il confronto con Cappuccetto Rosso.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archibald Hopper/Grillo Parlante, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sette giorni

{ lunghi ventotto anni }

 

 

 

 

 

 

 

Quando Pongo strattona il guinzaglio così, può voler dire solo una cosa.

«Un giorno dovrà imparare a tenerlo a bada, dottore. Sì, bello, ce l’ho il tuo wafer. Afferra!»

Pongo s’ingozza di vaniglia, Ruby ride e Archie avverte un vago senso di imbarazzo infiammargli le orecchie.

E anche questo può voler dire solo una cosa.

 

 

 

Un posto nuovo, bambini nuovi, la solita vita.

I girovaghi erano arrivati molto presto. Alle luci del primo sole il villaggio si era svegliato e aveva scoperto che il pianoro ai piedi della collina brulicava di movimento: tende, carretti, tutte chiare tracce di uno di quegli spettacoli itineranti di cui le grandi città negli ultimi tempi facevano un vanto. Come prestabilito da un vecchio schema – una scena che si ripeteva ogni volta – la curiosità era affiorata dapprima negli occhi tondi dei piccoli sfuggiti ai richiami degli adulti, quindi nel passeggiare distratto delle donne dirette al mercato; infine qualche coraggioso ebbe l’ardire di avventurarsi fino al pozzo. Allora Jiminy poté constatare – con profondo disgusto di sé – che in quel posto dimenticato dagli dei non vivevano che pochi giovani, pochi vecchi, pochi bambini: quella categoria di persone che i suoi genitori non avrebbero esitato a catalogare come ‘allocchi di prima qualità’ e i cui volti, ne era sicuro, gli sarebbero affiorati al rimorso del sonno per molte notti a venire.

Martellava cupamente sui picchetti, sforzandosi di non alzare gli occhi sui bimbi eccitati che già circondavano l’accampamento. Sapeva che qui era come altrove, come ovunque. Mai un briciolo di onestà o compassione da parte dei suoi; ora che il bambino era cresciuto e loro non potevano più sperare nella sua invisibilità tra le folle, al borseggio era stata sostituita la frode – e poco importava che quelli fossero uomini come loro, poiché l’uomo era ladro e il ladro migliore era quello che colpiva per primo. Jiminy tenne il viso chino, perché per i bambini sarebbe stata una scena ancor più sorprendente quella di un uomo adulto che piangeva.

«Basta così, vecchio mio!»

«Stai sciupando il martello!»

«Renditi utile altrove.»

«Va’ a prendere l’acqua.»

«Noi siamo vecchi...»

«Gli acciacchi...»

«La gotta...»

«I calli...»

«Va’ a prendere l’acqua.»

«Va’ a prendere l’acqua.»

Jiminy si alzò passandosi la manica sul viso, perché i genitori credessero che fosse il sudore a bagnargli le guance.

Il pozzo era proprio in cima alla collina. Il gruppetto di lavandaie ciarliere si era dissipato, ed ebbe almeno il conforto della solitudine ad accoglierlo là dove il villaggio si apriva, in tutta la sua povertà, ai suoi occhi colpevoli.

Era un vecchio pozzo. Mani più avvezze avrebbero potuto forse smuovere la carrucola arrugginita senza aiuto, ma lui era stato istruito al tocco lieve, non certo alla forza bruta. Diede qualche strattone e stava già quasi per disperare, quando qualcuno gli arrivò alle spalle e tirò la catena assieme a lui.

Il secchio venne su colmo d’acqua. Jiminy si voltò boccheggiante per ringraziare lo sconosciuto soccorritore, e arrossì furiosamente quando vide che si trattava di una fanciulla. Tentò di giustificarsi.

«M-mi dispiace, io... io non sono abituato.»

«Se avessi voluto deridervi non sarei venuta ad aiutarvi.»

Sorrideva. Jiminy si rese conto che non aveva mai visto nulla di più bello di quel sorriso.

«Il vostro è uno spettacolo di burattini?»

«Sì...»

«Sono molto curiosa di vederlo.»

La giovane sorrise ancora e si mosse per lasciargli il secchio tra le dita, sfiorandolo con le mani ruvide di contadina. Gli sembrò una visione così pura e semplice che Jiminy si odiò più di quanto non si fosse mai odiato. E poi lei si voltò per allontanarsi, e lui si ricordò di avere bocca e respiro e voce.

«Come vi chiamate?»

Si voltò ancora, stringendosi nel lungo mantello. «Tutti mi chiamano Cappuccetto Rosso.»

«Grazie, Cappuccetto Rosso.»

Lei tornò a sorridere, di un sorriso che per un attimo, un brevissimo istante fuori dalla realtà, gli fece pensare che il mondo oggi fosse un posto diverso.

 

 

 

«Ci conosciamo da un po’, noi due.»

«Da sempre, credo.»

«Già, così pensavo... Forse potresti... cominciare a chiamarmi Archie

Ruby sorride, e stupidamente, di fronte al bancone di una tavola calda, Archie si sente a casa.

 

 

 

Il secondo giorno pioveva a dirotto.

«Maledizione.»

«Che tempo da lupi.»

«Dovremo rimandare lo spettacolo.»

«Inconcepibile.»

«Abbiamo già fatto molti soldi ieri... Non è un grande problema...»

«Sta’ zitto, Jiminy

«Che ne puoi sapere tu dei problemi.»

«Che ne puoi sapere tu dei soldi.»

«I soldi non sono mai molti, Jiminy

«Sono sempre troppo pochi.»

«E in questo maledetto posto è un’impresa trovarne.»

«Prepara la Pozione Elfica, Jiminy

«Idea eccellente, mia cara.»

Jiminy sospirò. Prese l’ampolla che la madre gli tendeva, si alzò e uscì dalla tenda.

I fuochi nell’accampamento erano ridotti a cumuli di cenere. I bambini erano tutti spariti, chiusi in casa dalla furia degli elementi e dalle mamme più furiose ancora. Avrebbe potuto piangere e nessuno l’avrebbe visto...

«Perché riempite un’ampolla di acqua piovana?»

La voce che quasi gli gridò nell’orecchio per sovrastare la pioggia lo fece sussultare; Jiminy tentò inutilmente di nascondere le prove dietro la schiena, e si sentì ancor più miserabile quando riconobbe, al suo fianco, la sempre sorridente Cappuccetto Rosso.

«Cosa ci fate qui?» balbettò, prima di rendersi conto di suonare più sgarbato che sorpreso. «Oh... P-perdonatemi, ma...»

All’ombra del cappuccio, la fanciulla rise leggera. Nessuno scroscio d’acqua violenta avrebbe potuto soffocare un suono così. «Voi chiedete sempre scusa per tutto quello che fate?»

Jiminy si sarebbe rilassato, forse avrebbe riso con lei, se non ci fosse stato il peso insostenibile dell’ampolla a farlo tremare in tutto il corpo.

«Vi ho portato qualcosa.»

Cappuccetto Rosso sollevò un cesto, protetto dalla pioggia grazie a un pesante panno di lana. Persino sotto il furore del diluvio il profumino che ne scaturiva era appetitoso. Jiminy sentì un brontolio cupo erompergli dallo stomaco e si affrettò ad avvolgersi le braccia intorno al ventre, dimentico del frastuono circostante. Cappuccetto Rosso rise di nuovo e lui abbozzò un sorriso.

«Mia nonna è una cuoca eccellente. Le ho raccontato quanto mi sia piaciuto il vostro spettacolo, così lei ha voluto ringraziarvi a modo suo.»

«Siete venuta a vederlo, dunque?»

Le parole gli sfuggirono più in fretta di quanto avesse programmato, e quasi non si accorse di aver già accettato il cesto dalle sue mani, perché una serie di cose impreviste – il suo tocco la sua vicinanza il suo sorriso – avevano reso di colpo le gocce di pioggia fastidiosamente calde.

«Non me lo sarei perso per nulla al mondo.» Guardò l’ampolla, divertita. «Vi serve per la prossima rappresentazione?»

Jiminy percepì che il sorriso gli scivolava via dalle labbra. Abbassò lo sguardo sulla ‘Pozione Elfica’ e s’incupì di nuovo.

«In un certo senso.»

«Non ne sembrate entusiasta.»

«Ecco, quello non è esattamente il mio spettacolo preferito.»

«Peccato.» Cappuccetto Rosso si tirò il cappuccio fin sulla fronte, sorrise e sparì nella pioggia. «Ma credo che tornerò lo stesso!» gridò.

Fissando il punto in cui fino a un istante prima c’era il suo sorriso, Jiminy strinse il cesto e l’ampolla fino a conficcarsi le unghie nei palmi. Non avrebbe saputo dire quale dei due gli dolesse di più.

 

 

 

«Mi hai fatto preoccupare da morire, Archie

«Mi dispiace.»

«Tu dici ‘mi dispiace’ troppo spesso. Vieni, ho del caffè per te.»

Archie la segue. È felice di essere di nuovo fuori, nella luce.

Perché la luce non sta nel cielo della notte piena di grilli, ma nel sorriso di Ruby.

 

 

 

Il terzo giorno sua madre e suo padre erano preda di indigestione e Jiminy non riusciva a credere a tanta fortuna.

Gli avevano detto di uscire e andare ‘in ricognizione’, a cercare di individuare le famiglie più facoltose del villaggio, quelle che poi avrebbero ‘colpito’ tutti e tre insieme con la Pozione Elfica piovuta letteralmente dal cielo. Jiminy si era ben guardato dall’accettare una cosa del genere. Non aveva obiettato nulla, ma il vero motivo della sua uscita sotto il cielo ancora gonfio di nuvole nere era la ragazza con il mantello rosso che gli camminava accanto.

«Vuoi dire che nei boschi qui intorno si nasconde un lupo sanguinario?»

Cappuccetto Rosso annuì e si strinse nel mantello, tremando appena.

«Ma... è troppo pericoloso vivere qui» inorridì Jiminy, fissandola. «Perché non ve ne andate?»

«Il Tempo dei Lupi cade solo con la luna piena» mormorò la fanciulla, guardando dritto davanti a sé, incurante di sporcarsi le scarpe nel fango. Le ragazze delle città che aveva visitato non sarebbero certo rimaste così impassibili. «In quelle notti, se ci si chiude in casa e si appende qualcosa di rosso alla porta, si può stare tranquilli. È per questo che io...» S’interruppe, cambiò tono. «È così da sempre, a giudicare dai racconti della nonna.»

«Non è comunque sicuro.» Jiminy deglutì. Sapeva bene cosa volesse dirle, ma il punto era che non poteva dirlo. Non a lei. La conosceva da due giorni appena, ma la verità e la purezza le splendevano chiare e nitide negli occhi blu come il mare. «Non mi piace l’idea che rischi... che tutti voi rischiate la vita ogni giorno.»

Cappuccetto Rosso sorrise e gli lanciò uno sguardo divertito. «Davvero ti preoccupi per me, Jiminy? Non sono io quella che non ha mai un tetto sopra la testa.»

Dapprima lui si sentì avvampare, ma poi si rese conto dell’amarezza che si celava dietro le parole scherzose di lei. Si voltò a guardarla e, per la prima volta da quando l’aveva raggiunto al pozzo, riconobbe una traccia di rassegnazione nel suo viso sereno.

Erano vicini al centro abitato, non distanti da quella che lei gli aveva indicato come casa sua. Si fermò. Cappuccetto Rosso accolse quell’offerta silenziosa con un grato sospiro, si fermò a sua volta e voltò le spalle alla casa, appoggiandosi allo steccato di legno che recintava un campo sul quale uno spaventapasseri faceva bella mostra dei propri cenci.

«Sai, Jiminy, da quando ti ho incontrato ho avuto l’impressione che tu odi la tua vita. Non sai quanto io invece ti invidio...»

Per un istante ci fu silenzio, tranne che per le ultime stille gocciolanti dai tetti delle casupole che si asciugavano al sole. L’aria si faceva più calda e dolce. Cappuccetto Rosso prese fiato; Jiminy abbassò gli occhi, intimidito da quell’improvvisa resa.

«Non è solo per il lupo, credo. Ho l’impressione che mia nonna voglia tenermi rinchiusa qui per tutta la vita. Continua a ripetermi che il mondo è pericoloso... Ma anche questo villaggio lo è, quindi cosa cambia?» Con la coda dell’occhio, Jiminy vide che si voltava a guardarlo. «Ma tu... tu non sei mai nello stesso posto. Oggi qui, domani chissà. Hai la possibilità di guardarlo, il mondo, e di passare oltre se quello che vedi non ti piace... ma anche di restare, se quello che vedi ti sembra migliore di quel che hai lasciato indietro.» Scuoteva la testa lentamente, i boccoli neri che sfuggivano al cappuccio. «Tu sei libero, Jiminy

«No.»

Cappuccetto Rosso tacque, sorpresa.

«Io non sono libero.» Jiminy alzò lo sguardo. «Non lo sono mai stato. Quel mondo non mi è mai appartenuto, non è mai stato il mondo giusto per me. Se solo potessi, se fossi... diverso... io mi fermerei. Troverei la mia strada e non l’abbandonerei per niente al mondo. E se fossi diverso» aggiunse, la voce ridotta a un sussurro disperato, «ti chiederei di venire con me.»

La ragazza lo guardò a lungo in silenzio. Non avrebbe saputo indovinare i suoi pensieri, ma di una cosa era sicuro: erano uguali. Loro erano uguali e tutto era maledettamente sbagliato.

E il mondo di Cappuccetto Rosso poteva essere infinitamente più pericoloso del suo, ma di certo era più vero, era reale.

Allora mormorò una scusa, si voltò e si rincamminò verso l’accampamento. Solo, perché così doveva essere.

Eppure per tutto il tempo sentì sulla pelle il suo sguardo blu, sorridente e un po’ triste.

 

 

 

«È buffo, se ci pensi. Io voglio lasciare Storybrooke da una vita, Emma ci viene volontariamente e diventa pure l’eroina locale.»

Ridono insieme mentre si passano volantini e spillatrici, e Archie si espone prima di rendersene conto.

«Io mi sentirei molto solo se non ci fossi tu.»

Ruby si volta a guardarlo. Archie ha voglia di spillarsi la lingua.

Ma è così bello il modo in cui lei gli pizzica il braccio fingendo di non accorgersene.

 

 

 

Il quarto giorno nevischiava. Sua madre e suo padre erano di ottimo umore.

«Neve uguale bambini.»

«Tanta neve, tanti bambini.»

«Tanti bambini, tante monetine.»

«Logica di ferro.»

Jiminy non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Solo in parte si era sentito umiliato dai rimproveri del non essere stato in grado di eseguire il più semplice degli ordini, e di non aver ricavato altre informazioni sul villaggio al di là di quelle sciocchezze sul Tempo dei Lupi. In realtà non aveva fatto che rivivere, in ogni immagine e in ogni suono, il confronto con Cappuccetto Rosso.

Libertà. Ma cos’era, poi? Possibile che la sua lo fosse? Ma neppure quella di lei lo era.

E allora cosa? Doveva avere qualcosa a che fare con la forza di volontà... Era l’unica spiegazione plausibile.

«Padre, hai mai pensato alla libertà?»

«Noi siamo liberi, figliolo. Passami quelle marionette.»

«Madre, ti sei mai sentita libera?»

«Noi siamo liberi, Jiminy caro. Passami quegli stracci.»

Parlare con loro era inutile. Loro non sapevano. Non avevano guardato gli occhi di Cappuccetto Rosso. E se anche l’avessero fatto, non avrebbero visto.

Si finse malato, si contorse, tossì forte, ma non servì a nulla. Lo spettacolo deve sempre continuare. Neve uguale bambini, dopotutto.

La storia del giorno era quella della principessa rinchiusa in una torre sorvegliata da un drago, e poi salvata da un cavaliere molto più fortunato che audace. Sempre le stesse battute, sempre gli stessi brutti pupazzi. A volte Jiminy si meravigliava che i bambini ridessero davvero. Lui aveva smesso di divertirsi molto tempo prima.

Ma quella storia lo fece pensare di nuovo a lei, lei che diceva che il mondo era pericoloso ma anche il villaggio lo era e quindi cosa cambiava, lei che voleva andare via e non sapeva che era fortunata a vivere una vita così onesta e pulita, perché nessuna nonna protettiva e nessun lupo assassino potevano essere peggio di due genitori che ti costringevano a rubare, truffare, imbrogliare... Rabbrividì, ripugnato da se stesso. Quel posto viveva sotto un’autentica maledizione e lui si sognava di pensare che quella gente stesse comunque meglio di lui...

Be’, forse non stavano meglio, ma erano migliori. Di questo non aveva dubbi.

In qualche modo riuscì ad arrivare fino in fondo alla rappresentazione, e al solito, quando suo padre e sua madre lo pescarono fuori dalle quinte, rivolse il suo sorriso migliore ai piccoli spettatori vocianti ed entusiasti. S’inchinò, tese il cappello per le monete e per qualche istante rimase così immobile, perché per la prima volta la fanciulla con il mantello rosso aveva assistito allo spettacolo dalla prima fila, seduta nella neve tra i bambini.

Accanto a lei c’era un giovane uomo con le guance sporche di fuliggine che di tanto in tanto la stringeva teneramente a sé.

Jiminy ricambiò il sorriso di Cappuccetto Rosso, e ripensò a quelle cose sconosciute che erano la libertà e la volontà. Si convinse che lui non ne avrebbe avute mai.

 

 

 

Non ha idea di come ci sia finito, al fianco di un David Nolan molto depresso, seduto in un locale addobbato per San Valentino.

Ruby volteggia da un ragazzo all’altro e quando gli passa accanto si china disinvolta a stampargli un bacio sulla guancia.

Archie la guarda allontanarsi, deciso a non seguire l’istinto di voltarsi a verificare che David non stia ridendo.

Ma forse, in realtà, ciascuno dei due ha la sua personale voglia di rimpiangere qualcosa.

 

 

 

Il quinto giorno la neve cadeva fitta e ininterrotta.

Jiminy se ne rallegrò, perché nessuno avrebbe permesso ai propri figli – o ai propri nipoti – di uscire con quel tempaccio, e lui non avrebbe dovuto giustificare con nessuno le ore che trascorse disteso in silenzio a fissare il telo della tenda sul punto di crollargli addosso.

Pensò a lei per tutto il giorno.

 

 

 

La candela si spegne intorno alla mezzanotte, quando è ora di rientrare.

Ruby gli arriva accanto e gli fa strada con la sua.

Dev’essere magia quella che lo spinge a prenderla per mano.

 

 

 

Il sesto giorno la neve tornò a sorprenderlo sul sentiero per il bosco. Era una di quelle nevicate veloci, che si spengono dopo pochi minuti; ugualmente fu costretto a cercare riparo, con il suo fascio di rametti per il fuoco, sotto il portico di una vecchia capanna abbandonata.

Il cuore gli saltò un battito quando distinse tra i fiocchi un mantello rosso che correva verso di lui.

La ragazza si fermò al suo fianco come se nulla fosse accaduto, come se niente di particolare fosse mai stato detto. Jiminy si ricordò che anche il suo sorriso, due giorni prima, dopo lo spettacolo, era lo stesso di quando lo aveva aiutato al pozzo. La guardò ed ebbe voglia di scuoterla e dirle la verità, dirle che razza di persona lui era, perché avrebbe preferito vedersi fissare con odio che non con questi sognanti occhi blu. E poi, quando già stava per crollare e scappare di nuovo via come un codardo, Cappuccetto Rosso si animò.

«Ho pensato a quello che mi hai detto. Avevi ragione, non si tratta di libertà. Si tratta di una strada da trovare.» Sorrise, le guance infiammate, gli occhi accesi. «Ucciderò il lupo.»

I rami caddero pesantemente al suolo. Nessuno se ne curò.

«Dimmi che stai scherzando.»

«Ho conosciuto una persona. Un’amica. Mi ha fatto capire quello che già sapevo, che stando qui mi perderò la vera vita, mi perderò tutto... Ma c’è un modo perché tutto questo finisca: deve finire anche il Tempo dei Lupi. Allora sarò veramente libera. Libera di trovare la mia strada.» Gli prese le mani nelle sue. «Vieni con me.»

Jiminy la guardò, così vicina, così viva e reale. Non gli era mai capitato di incontrare qualcuno come lei e probabilmente non gli sarebbe capitato mai più. Ricambiò la stretta, ma piano, e smise dopo un solo istante per riportarle una ciocca di capelli sotto il cappuccio, dietro l’orecchio.

«Potresti essere così felice. Hai una casa, hai un uomo che ti ama. Non andare.»

Cappuccetto Rosso sgranò gli occhi, confusa. «Ma... io credevo che tu... tu tra tutti... avresti capito.»

«Lo capisco.» Abbassò lo sguardo; lui non aveva la sua forza. «Ma non voglio che tu vada.»

E poi tutto diventò rosso, rosso fuoco e bianco neve, perché lei lo stava abbracciando e di colpo non esisteva nient’altro intorno al profumo della stoffa umida che avvolgeva entrambi, difesa dal mondo, barriera tra ‘noi’ e ‘loro’. Erano uguali. Era sbagliato. Era perfetto, pensò, stringendola a sé.

«Lo so» sussurrò Cappuccetto Rosso, e Jiminy fu certo che non si riferisse solo al motivo della sua preoccupazione, che sapesse anche che no, non l’avrebbe seguita, perché quella strada non era la sua dopotutto. «Starò attenta.»

«Lo so» ripeté Jiminy, gli occhi chiusi.

Forse, un giorno, in un posto diverso, in un’altra vita, non gli avrebbe fatto così tanto male scoprire di amarla.

 

 

 

«Ho deciso. Mollo tutto. Me ne vado.»

«Non puoi farlo.»

«Perché no?»

«Perché...»

 

 

 

Il settimo giorno, quando i girovaghi partirono, il villaggio sembrava deserto.

«Che perdita di tempo.»

«Nessun riccastro.»

«Solo pidocchi e miseria.»

«Neanche la Pozione Elfica hanno voluto.»

«Ci saranno altri villaggi.»

«Resta comunque una perdita di tempo.»

«Andiamo, Jiminy

«Andiamo, figliolo.»

Il settimo giorno, quando i girovaghi partirono, la neve era sporca di sangue e lei non era lì a dirgli addio.

Alle prime luci dell’alba si scorgeva ancora la luna piena.

 

 

 

Vorrebbe soltanto aggirare il banco, stringerla e non lasciarla andare mai più.

Ma si accontenta di ricambiare il suo sorriso, alle sette del mattino, in una tavola calda vuota.

Forse Henry ha ragione. Forse è in una favola che si è innamorato di lei.

«È bello rivederti.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Mio Dio, ce l’ho fatta. Voi non avete idea di quanto tempo fa io abbia progettato una Jiminy/Cappuccetto Ditemi se non sono adorabili insieme, soprattutto nel contesto fiabesco. Lui prigioniero della sua vita, lei della maledizione che ancora non conosce... Aww. PRETENDO che diventino canon.

Cronologicamente ci troviamo a pochi giorni prima che Biancaneve arrivi al villaggio di Cappuccetto Rosso, quando le fa capire che vivendo rinchiusa lì non potrà mai essere davvero felice con Peter. Immagino che questo la renda una ‘what if’, perché di sicuro Jiminy è stato trasformato in Grillo molto tempo prima: in fondo in tutto quel tempo Geppetto è cresciuto ed è diventato l’adorabile falegname che conosciamo... Anyway, mi piaceva troppo l’idea di giocare sul concetto di libertà per stravolgere l’ambientazione temporale. Passatemela!

Le brevissime connessioni in corsivo, attimi di vita a Storybrooke, riprendono gli episodi 1x05, 1x08, 1x12, 1x14 e 1x15, quest’ultimo rintracciabile dal fatto che Ruby decide di ‘mollare tutto’ – ciò corrisponde al periodo in cui abbandona il Granny’s Diner e diventa assistente di Emma, salvo poi tornare dalla nonna. Il resto mi pare piuttosto comprensibile.

Niente, spero tanto che vi piaccia

Aya ~

   
 
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