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Autore: Dony_chan    17/04/2012    7 recensioni
Una one-shot saltata in testa d’improvviso che si trasforma in una fan fiction a più capitoli. Mi sorprendo, alle volte! Questa storia si concentra sui protagonisti di Detective Conan, in un mondo dove l’Organizzazione non è mai esistita, dove l’APTX non ha fatto nessun danno, dove le vite dei personaggi scorrono tranquille e indisturbate, e dove... bè, sta a voi scoprirlo!
Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hi, nice to meet you!
10.

 

 
Sonoko si legò in vita una fascia color oro, stringendola bene ed annodandola con un perfetto fiocchetto. Si mise le mani sui fianchi e aspettò che Kita ed Akane facessero lo stesso, molto meno aggraziatamente rispetto a lei.
“Quindi... Makoto vi da una mano di tanto in tanto nei lavoretti pubblici?” chiese la giovane ereditiera. Era avida di sapere, in lei si era accesa nuovamente la spia che attivava la sua voglia di gossip, e, per ora, erano tutti concentrati su quel bel nuovo ragazzo.
Kita annuì, cominciando a giocare con le treccine, spettinandole inconsciamente. “Oh, bè, Makoto-san è sempre molto impegnato con gli allenamenti. Ma quando può ci aiuta sempre! È così laborioso!”.
Sonoko sorrise in risposta alla ragazza per pura cortesia, reprimendo una smorfia che impellente chiedeva di nascere a conseguenza dello sguardo dolcemente perso che Kita le stava mostrando.
Akane diede uno scossone all’amica, riportandola al presente. Poi, si voltò verso Sonoko, studiandola in silenzio per alcuni istanti. “Tutte sono pazze di Makoto. Ed il mio sesto senso mi fa supporre che non sia passato inosservato nemmeno a te”.
Sonoko, in tutta risposta, arrossì.
Akane abbozzò un sorrisetto di sfida. “Tipico... tutte le nuove cascano ai suoi piedi! Ma Makoto non vuole una storia estiva, lui è un ragazzo serio. E, prima di qualsiasi sciocca novellina, veniamo noi ragazze di Shirahama!” completò la ragazza, puntando l’indice verso il suo petto.
La giovane ereditiera ebbe il sospetto che Akane si stesse riferendo proprio a lei con la parola ‘novellina’. “Ra-ragazze? Perché, ce n’è più di una? E da quanto tempo va avanti?”.
“Oh, bè...” ci pensò su Kita, alzando gli occhi al cielo. “Sarà dalle elementari, che Makoto-san fa conquiste”.
La giovane ereditiera strabuzzò gli occhi, sentendo l’equilibrio venirle meno. Per Sonoko risultava difficile credere che, dopo anni e anni di probabili tentativi, una ragazza potesse essere ancora morbosamente legata ad un ipotetico lui, ma senza essere ricambiata.
A lei, non era mai capitato. Forse perché, quando desiderava qualcosa – o qualcuno –, era sempre riuscita ad ottenerlo.
“Saitou, Tanaka!” chiamò una voce maschile. Sonoko si voltò e sentì il suo viso arrossire fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli. Era Makoto.
“La corsa sta per iniziare” le informò il ragazzo, ignorando i balbettanti ‘sì’ che le due vecchie amiche d’infanzia gli stavano mormorando. Si era voltato verso la giovane ereditiera, incurvando leggermente le sopracciglia, come se fosse pensoso e alla ricerca di un qualcosa che gli sfuggiva. “E tu... come ti chiami?” le domandò alla fine.
Sonoko deglutì, cominciando a tormentarsi le mani. Accidenti, ma che le stava succedendo?! Perché le sue mani sembravano essere colpite da un attacco epilettico?
“So-So-Sonoko... Sonoko Suzuki” riuscì a dire alla fine.
Makoto immagazzinò il nome e tornò a fissare il suo sguardo nel nulla, proprio come aveva fatto mezz’ora prima accanto al falò. Si allontanò senza aggiungere altro e, quando fu abbastanza lontano, Kita ed Akane si lasciarono andare all’ennesimo sospiro adorante.
Akane si riprese più facilmente e scrollò le spalle, per convincersi a tornare sulla Terra. Si voltò e sorrise a Sonoko. “Coraggio, la corsa, purtroppo, deve cominciare”.
Sonoko seguì le ragazze fino all’inizio della partenza, contrassegnata da un cartello a forma di anguria e con la scritta in giapponese ed in inglese. Si sistemò in mezzo ad una mandria di bambinetti urlanti, sentendosi un pesce fuor d’acqua, e si voltò a chiedere aiuto a Kita, che rise alla sua espressione turbata.
“Mi ripeti che dobbiamo fare?” chiese supplicante.
La ragazza si mise in posizione di partenza, pronta a scattare al ‘via’ dell’arbitro in bermuda e camicia hawaiana. “Devi correre ed arrivare ad ogni punto di ristoro, e portare quante più angurie riesci. La squadra che ne porta di più, vince!”.
Sonoko controllò chi fosse in squadra con lei cercando il colore oro nelle fasce legate in vita dei bambini: una coppia di gemelli ostili allo sport ma non alle merendine salate, ed una bambinetta mingherlina che avrà avuto più o meno cinque anni, e che sembrava pronta per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Sonoko imprecò mentalmente, sentendosi stupida per aver accettato. Alzò gli occhi al cielo e si voltò di nuovo verso Kita.
“Ma è davvero necessario correre?!”
L’arbitro fischiò un corno montano e rise sguaiatamente. “Via!”.
La corsa era cominciata.
 
 
Ran appoggiò il viso al palmo della mano, sospirando con un sorriso. Il mare alle sue spalle le infondeva una nuova quiete con il suo lento ondeggiare, e dalla sua postazione in cima ad un piccolo masso sporgente riusciva a godersi appieno lo spettacolo di Sonoko, che tentava inutilmente da più di tre ore di accalappiare Makoto Kyogoku. Lo stava aiutando nel risistemare i cocomeri avanzati dalla gara che si era svolta poco dopo il loro arrivo alla spiaggia - che purtroppo aveva perso miseramente -, con il vestito macchiato di succo di anguria, senza più addosso i suoi sandali firmati e con il cappellino a forma di cocomero che le spettinava ancora di più i capelli sudati. Se si fosse vista, probabilmente sarebbe svenuta per la vergogna.
“Accipicchia, è proprio presa” mormorò la voce di Kazuha, sedendosi di fianco a Ran, che non l’aveva nemmeno sentita arrivare. Spostò gli occhi in quelli verdi dell’amica, notando che contenevano in sé ancora delle tracce di tormento.
“Sì... a quanto pare” rispose lentamente Ran, la fronte corrugata. Che cosa c’era che disturbava l’animo di Kazuha? Come mai era piuttosto scura in volto da quel pomeriggio? Che le fosse successo qualcosa nel mentre che era stata lontana dal gruppo? Ma in quel lasso di tempo, credeva che Heiji fosse con lei... a meno che...
Ran spalancò gli occhi, facendoli guizzare in cerca del suo amico di Osaka, come se il solo vederlo le potesse dare conferma dei suoi sospetti. Si era dichiarato a Kazuha?
Ran non trovò nei dintorni il giovane detective. Forse si era allontanato assieme a Shinichi per recuperare qualcosa di fresco da bere, o forse era tornato all’ostello. La ragazza sentì una lieve fitta al cuore di dispiacere per Heiji. Se le sue supposizioni erano corrette, allora la sua dichiarazione non aveva ricevuto la risposta che da tanto bramava.
“Umh, Kazuha...” tentò di approcciarsi Ran. La ragazza di Osaka spostò lo sguardo da Sonoko e lo puntò su Ran, facendole un cenno per farla proseguire. La karateka si morse un labbro, incerta. Non voleva di certo peggiorare l’umore dell’amica, ma allo stesso tempo voleva sapere cosa le era capitato.
“Oggi... è successo qualcosa?” buttò lì, cercando di sembrare il più possibile tranquilla e pacata. Ma ottenne esattamente l’effetto opposto: la sua voce uscì più acuta del solito e nervosa, e Kazuha lo percepì; i suoi occhi verdi mandarono un lampo, ma dalla sua bocca uscì solo un lieve sospiro stanco.
“Cosa sai?” domandò.
Ran inarcò le sopracciglia, spaesata. Ed ora? Se le chiedeva di Heiji, e lui non era il problema, avrebbe ottenuto l’effetto di aumentare ancora di più la pulce nell’orecchio che le aveva messo Sonoko la mattina precedente, quando stavano nuotando assieme.
“Ecco, vedi... io…” la prese alla larga la giovane Mouri, quando una voce maschile, dal tono triste, chiamò la sua amica.
Entrambe si voltarono e gli occhi di Ran si spalancarono ancora di più: era Heiji. Se ne stava con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo puntato su Kazuha, la camicia leggera leggermente sbottonata. Alle sue spalle stava Shinichi, che teneva in mano un paio di succhi di frutta ancora sigilliati, e passando a fianco del suo amico per raggiungere la giovane Mouri gli lanciò uno sguardo impenetrabile. Forse, quello era il suo modo per incitare l’ amico a proseguire.
“Che c’è?” domandò Kazuha, leggermente acida. Mal da suo tono, Ran poté evincere che la sua non era vera e propria cattiveria, ma incertezza camuffava goffamente per chi la conosceva bene.
Heiji non si curò del tono della ragazza e le fece un cenno del capo. “Possiamo parlare un secondo?” le domandò con la voce più sicura che Ran non gli aveva mai sentito uscire dalle labbra quando si intratteneva con la ragazza di cui era innamorato.
Kazuha tentennò, ostentando diffidenza dallo sguardo. Alla fine, sbuffò piano e si alzò, lanciando un’occhiata a Ran della serie ‘se-non-mi-vieni-a-prendere-tra-cinque-minuti-ti-odierò-per-sempre’. La ragazza le sorrise, cercando di incoraggiarla, e la osservo allontanarsi con Heiji, fino a quando entrambi divennero due sagome scure inghiottite nella notte.
“Hanno litigato?” domandò Ran a Shinichi, sentendosi libera di chiedere.
“Più o meno. Hattori non è sceso nei particolari, ma sembra che lei lo abbia scoperto...”
“Scoperto?”.
Shinichi abbozzò un sorriso, passando una bottiglietta di succo a Ran, ricordandosi solo in quel momento di non aver pensato a cercare un cavatappi per riuscire ad aprirle. “Kazuha lo ha anticipato, chiedendo ad Hattori se fosse interessato a lei”.
Ran rimase sbigottita per il coraggio cacciato fuori dall’amica e non rispose a Shinichi, fissando lo sguardo sulla bottiglietta senza in realtà riuscire a vederla. Kazuha aveva avuto un gran fegato nel voler chiarire quella situazione, nonostante la sua timidezza, proprio come un anno e mezzo prima Shun si era dichiarato a lei. Quel giorno, le sembrava così lontano... al solo pensiero che lo Shun che si era inginocchiato sul pianerottolo di casa sua e quello di due sere prima fossero la stessa persona si sentiva male. Ma come era possibile? Shinichi le aveva detto che in realtà quella che era cambiata era lei stessa, e non Shun. Lei era venuta alla luce, e il suo fidanzato non se n’era nemmeno reso conto.
 
Ho sempre pensato che lui fosse la mia metà... che mi completasse...
 
Ma Shinichi, quel pomeriggio, le aveva detto che per riuscire ad amare qualcuno, bisognava prima sentirsi pieni con se stessi. Che bisognava condividere, ma non rinunciare. E, invece, lei cosa aveva fatto? Esattamente il contrario: aveva perso se stessa. Quante volte si era ripetuta che senza Shun non avrebbe saputo cosa fare? Quante volte lui le ribadiva che erano completi insieme? Lei lo vedeva come la sua metà semplicemente per il fatto di sentirsi incompleta già da sé.
Ran si sistemò meglio sulla sua seduta improvvisata, sentendo il corpo irrigidirsi. Che quindi il suo non fosse... amore?
Il cuore della ragazza perse un battito, mentre nella sua mente si formava l’immagine di lei e Shun, abbracciati, che si guardavano negli occhi e si dicevano il primo ‘ti amo’. Non poteva essere... non poteva smettere di amarlo da un giorno all’altro.
 
Ma se tu non l’hai mai amato... puoi
 
disse una vocina dentro di sé, con tono saggio, proprio come quello che di solito usava Kazuha.
Ran scosse il capo, cercando di reprimere quei torbidi pensieri, desiderando che il rumore delle onde alle sue spalle tornasse a cullarla pacificamente.
 La giovane karateka alzò lo sguardo di nuovo su Sonoko, che ora si stava sventolando per il caldo mentre borbottava assieme a Kita ed Akane. Makoto era sparito, e le tre ragazze sembravano sul punto di organizzargli una specie di agguato.
Ran, nonostante tutto, rise.
Shinichi la fissò sorridendo a sua volta, avendo notato cosa la ragazza stesse guardando qualche istante prima. “Sono buffe” disse gentilmente.
Ran annuì, deglutendo a fatica, imponendosi di nuovo il controllo sulle sue emozioni. “Sono così contenta per Sonoko...”.
Shinichi inarcò le sopracciglia, non capendo ciò a cui Ran si stava riferendo, ma non si azzardò nel chiederle spiegazioni, pensando che fossero questioni troppo personali. Si alzò lentamente ed afferrò il polso della ragazza, invitandola ad alzarsi a sua volta.
“Sono sicuro che Sonoko qui starà bene un altro po’. Vieni con me?” le domandò, lasciando sfuggire sulle sue labbra un sorrisetto accattivante e sbarazzino allo stesso tempo, che già aveva catturato Ran in quei giorni.
La ragazza scrollò le spalle e si mise a seguirlo, incrociando le mani dietro alla sua schiena e fissando il giovane detective con la coda dell’occhio. “Questa volta sai in anticipo dove portarmi?”*.
Shinichi sghignazzò. “Ti piacerà”.
 
 
Kazuha permise alla riva del mare di bagnarle i piedi nudi, mentre teneva le infradito tra le mani, dando così le spalle ad Heiji. Avevano camminato in silenzio per tutto il tempo, e la ragazza aveva sentito dentro di sé la rabbia scemare, lasciando il posto all’imbarazzo. Si vergognava per la reazione che aveva avuto quel pomeriggio, si vergognava di avergli detto quelle cose. Si vergognava del tono che aveva usato.
Non sapeva ancora come mai l’avesse presa così a male. Non era da lei attaccare la gente a quel modo, soprattutto nel mentre di una dichiarazione. Aveva fatto così le altre volte in cui un ragazzo le aveva aperto il cuore? Assolutamente no!
Le cose che le aveva rivelato Heiji avrebbero fatto piacere a chiunque, ma lei aveva subito pensato male, e lo aveva attaccato. Lo aveva accusato di averla spiata ed usata, ma in realtà, non era così. Si sentì stupida e svuotata. Probabilmente ora, il ragazzo, le avrebbe rinfacciato il suo comportamento, le avrebbe dato della bambina, e si sarebbe dimenticato di lei.
A quel solo ultimo pensiero, la pelle di Kazuha rabbrividì.
Dei passi attutiti dalla sabbia si avvicinarono alla sinistra della ragazza, e qualche istante dopo Kazuha poté scorgere la figura di Heiji accanto a sé, che fissava l’orizzonte scuro senza battere ciglio. Sembrava che si fosse scordato della presenza della ragazza.
Deglutì, pregando i Kami che la voce le uscisse ferma. “Volevi... parlare?” sussurrò mantenendo lo sguardo all’altezza del collo del ragazzo per non dover specchiarsi negli occhi di lui.
Heiji inspirò profondamente, e si voltò completamente verso di lei, inarcando un sopracciglio. Kazuha teneva ancora lo sguardo basso, in silenzio, attendendo ciò che il giovane aveva da dirle. Ma le parole di Heiji non arrivarono mai. Il giovane le afferrò un polso, stringendolo forte, facendo così in modo che gli occhi di Kazuha si sollevassero sul suo sguardo, interrogativi e presi in contropiede.
“Mi vuoi dire che accidenti ti è preso oggi?!” le domandò piccato. Kazuha non capì il perché del suo tono, diventato così burbero d’improvviso, e non fece in tempo a rispondere alla domanda che lui le aveva posto. “Lo sai come mi hai fatto sentire? Come uno sporco maniaco!”.
Kazuha gonfiò le guancie, risentita per l’accusa. Sì, lo sapeva, Heiji aveva ragione, ma la sua testardaggine stava per avere la meglio sulla sua razionalità. “Che cosa?! È quello che sei, infatti!” sbottò ad alta voce, gridando forse un po’ troppo.
Heiji non si fece intimidire e scoppiò in una risatina sarcastica. “Smettila di accampare scuse, la verità è che ti piaccio anche io, e tu, presa alla sprovvista, non hai voluto ammettere ciò che provi per me nemmeno con te stessa!”.
Kazuha arrossì dalla rabbia. “Ma che stai dicendo?!” gridò, riuscendo a liberarsi il polso dalla stretta ferrea del ragazzo di Osaka. “Io non provo per te che semplice simpatia!”.
Con l’affermazione che aveva appena fatto, era certa di smontare l’ottusità di Heiji, riportandolo alla realtà. Figurarsi se lei era cotta di lui! Lo aveva sempre considerato solo come un amico, e il fatto che lo considerasse un bel ragazzo non significava niente! Nemmeno il fatto che, alle volte, le era capitato di avvertire strani brividi sentendolo vicino a sé od osservandolo...
Heiji fece per controbattere alla ragazza, ma si bloccò quando una coppia di circa la loro età passò poco distante dai due. Stavano mano nella mano, si sorridevano innamorati e si sussurravano dolci parole, che furono strappate dalla loro intimità solo grazie al vento che si era appena levato sulla spiaggia.
Kazuha ne percepì alcuni brandelli, e sentì una strana morsa chiudergli lo stomaco e mandarle il cervello in tilt. Si spostò una ciocca dal viso, gli occhi ridotti a fessura che fissavano la sabbia ai suoi piedi. Era gelosa. Di quei due.
Appena la coppia li sorpassò senza curarsi della presenza dei due giovani di Osaka, Heiji fece un passo avanti verso Kazuha, lasciando cadere l’espressione piccata che aveva avuto fino a qualche attimo prima.
“Non sei ancora consapevole che, io e te, possiamo stare insieme.”
Quella frase, pronunciata, anzi, quasi sussurrata, con quella dolcezza e con quel tono mite, fece smuovere qualcosa all’interno dello stomaco della giovane, mentre il suo cuore prendeva a battere ancora più forte.
Erano quelle le famose... farfalle nello stomaco?
“Ti sbagli” tentò di ribellarsi la ragazza, mormorando appena la sua negazione, che vacillava persino nella sua mente. “Non hai capito niente, io... non sono... attratta... da te” disse lentamente, deglutendo a fatica.
“Kazuha?” la chiamò Heiji, troppo vicino.
“Sì?”
“Taci, per una buona volta” soffiò il ragazzo, con un sorriso accennato sulle sue labbra, prima di riuscire a lambire, per la prima volta, quelle di lei.
 
 
“Mi hai portata qui per farmi fuori?” domandò Ran con tono ironico, scalando con poca fatica anche l’ultima sporgenza rocciosa dello scoglio dove Shinichi aveva deciso di portarla. Si issò con l’aiuto delle gambe agili, e quando si mise dritta in piedi, per poco non cadde all’indietro per la meraviglia che le si apriva davanti: l’immensità dell’oceano.
L’acqua tranquilla era appena rischiarata dalla luna piena che brillava di luce riflessa in cielo, posando l’argenteo bianco su tutto ciò che le stava al di sotto, come una lieve carezza. Ran girò su se stessa per contemplare quello spettacolo a trecentosessanta gradi, dedicandosi infine al sorriso che era appena nato sulle labbra di Shinichi, divertito e contento di essere riuscito a stupirla – forse – per l’ennesima volta.
“Mi hai sul serio fatta fuori” gli disse Ran, in un sussurro ancora emozionato, tornando a guardare il mare sotto di sé. “È... bellissimo”.
Shinichi ridacchiò, si sedette incrociando le gambe ed aspettò che Ran facesse lo stesso, per poi sistemarsi quanto più possibile accanto a lei. La ragazza avvertì la pelle calda del giovane contro la sua lasciata scoperta, e avvertì una sorta di scossa passare dal corpo di Shinichi al suo. Non era fastidiosa, ma piacevole. Non era calda, o fredda, era bollente. Ardeva di vita propria. Era un qualcosa di sconosciuto e di sublime al tempo stesso.
“Lo sai che potrei stare qui per tutta la notte, fino all’alba?” gli fece sapere Ran, facendo guizzare lo sguardo negli occhi blu del ragazzo.
Shinichi annuì. “Lo vuoi? Possiamo farlo. Nessuno ce lo impedisce” rispose tranquillamente.
Ran arricciò il naso. “Ma poi gli altri si preoccuperebbero. E si farebbe troppo tardi...” Shinichi le tappò la bocca con la mano, cominciando a ridere. “Ma ti senti?” le disse dopo un po’. “Sei sempre in pena per gli altri, mai una volta che ti rilassi. Siamo qui per questo, no? Ascolta te stessa, per una volta...”.
Ran ammutolì, scostandosi dalla mano del ragazzo, sentendo le guancie scaldarsi per la premura che costantemente le riservava. Shinichi era un angelo, caduto prepotentemente – e violentemente – nella sua vita, e ringraziò tutte le divinità della Terra per averglielo inviato. Le stava facendo bene, non sapeva ancora come rivelarglielo, ma in un modo o nell’altro, avrebbe trovato il modo di farglielo sapere e di ricambiare.
La Ran dentro di lei scalpitò dall’emozione, e le gridò contro di non azzardarsi ad andarsene di lì. Per una volta, la ragazza l’ascoltò. Per la prima volta, l’ascoltò. Aveva una voce melodiosa, nonostante fosse arrabbiata ancora con lei per essere stata completamente ignorata da qualche anno a quella parte, e la stava invitando a rimanere. Voleva vedere l’alba, ma si sarebbe accontentata di rimanere in quello sprazzo di pace anche solo per un altro po’. Voleva perdere lo sguardo nella profondità dell’oceano, voleva sentire ancora la brezza scontrarsi con la sua pelle, voleva ascoltare il frangersi delle onde contro il loro scoglio.
Voleva stare ancora un po’ accanto a Shinichi.
Voleva sentire ancora la scossa passare dal corpo di lui nel suo.
“Raccontami un po’ di te. So davvero poche cose, a parte il fatto che odi il tè e frequenti la mia stessa università...” gli domandò Ran, poggiando il capo sulla spalla del giovane, abbracciandosi un secondo dopo le ginocchia.
Shinichi le permise di appoggiarsi bene a lui, nonostante il gesto della ragazza all’inizio gli avesse provocato una certa rigidità. Scosse lievemente il capo. “Che cosa vuoi sapere?”.
“Non lo so! Tutto” disse Ran con una risatina, sentendo il giovane imitarla.
Shinichi allungò le gambe e fissò gli occhi sul cielo stellato che li sovrastava, sentendosi immensamente piccolo sotto lo sguardo delle stelle, ma anche sotto lo sguardo di Ran. Con la coda dell’occhio, notò la ragazza sbadigliare silenziosamente e accoccolarsi meglio sulla sua spalla.
“Avanti? Perché non cominci a raccontare?” domandò Ran, chiudendo gli occhi.
Shinichi li chiuse a sua volta, iniziando a parlare. “I miei genitori si sono trasferiti in America quando avevo all’incirca sedici anni. Mia madre, da giovane, era un’attrice, mentre mio padre...”
“No, no, no!” lo interruppe Ran con un sorriso. Shinichi riaprì gli occhi e fissò interrogativamente il volto della ragazza ancora chiuso. “Cosa?” le domandò.
“Non voglio sapere la storia della tua vita in questo senso”.
“Avevi detto che volevi sapere tutto...” le fece notare il ragazzo.
Ran sorrise ancora di più, affondando il capo nell’incavo della spalla di Shinichi. “Qual è il tuo piatto preferito? E il tuo colore preferito? Leggi il giornale mentre fai colazione o durante una noiosa lezione universitaria? Leggi? E cosa? Ti piacciono gli horror? Io li adoro! Qual è il tuo profumo preferito?” domandò alla velocità della luce Ran, per poi aprire gli occhi e fissarlo furbetta.
Shinichi si sciolse a quello sguardo, scompigliandole i capelli meglio che poté e ghignando beffardo. “Adoro gli Yakitori**; il mio colore preferito è il giallo, come i romanzi che leggo più spesso; il giornale lo leggo andando all’università; gli horror non mi dispiacciono e il mio profumo preferito è la vanig...” e si interruppe bruscamente, arrossendo fino alla punta dei capelli.
Ran lo fissò confusa, non avendo capito l’ultima risposta. Shinichi scosse la testa, cominciando a ridacchiare nervosamente, sminuendo la situazione con una scrollata di spalle. “Ha altre domande, detective?” le chiese allora lui, ammiccando.
Ran sorrise e scosse il capo, tornando ad appoggiarsi alla spalla del ragazzo, chiudendo nuovamente gli occhi. Il torpore che emanava il corpo di Shinichi avvolse Ran come una coperta, per nulla soffocante nonostante il caldo della serata. Le sue palpebre pesavano, e sentiva le braccia di Morfeo cominciare a cullarla dolcemente.
Voleva sapere ancora qualcosa su Shinichi, ma il sonno la rapì troppo velocemente.
 
 
Sonoko si strofinò stancamente le guance, cercando di levare quanta più possibile fuliggine dal suo volto. Perché aveva acconsentito a spegnere da sola il falò della spiaggia, permettendo a Kita ed Akane di andare a casa prima? Ma certo, era ovvio: per far colpo su Makoto!
Si riconosceva a stento. Da quando era così servizievole e gentile con i ragazzi che le piacevano? Le sembrava di essersi piegata al fascino del giovane con troppa facilità, e la cosa la mise in guardia. Non voleva cascarci un’altra volta, non voleva farsi male un’altra volta.
Ma Makoto... Kami, se era diverso! Non l’aveva mai guardata con sguardo languido, non ci aveva provato né con lei né con Kita o Akane, non aveva mai detto più del necessario. Effettivamente, non era molto loquace, ma quello non era il punto! Le sembrava maledettamente puro, e senza secondi fini. E questo, le fece battere il cuore ancora più velocemente.
“Qui abbiamo finito. Puoi pure andare a casa” disse una voce bassa alle spalle di Sonoko. La ragazza sobbalzò impaurita, per poi voltarsi con le pupille dilatate al massimo e una mano poggiata sul petto.
Ma era solo Makoto. L’aveva spaventata, si era avvicinato nel silenzio più totale, e lei era sovrappensiero. La stava guardando in silenzio, immobile, e, se lei non fosse stata certa che in lui scorresse vita, l’avrebbe potuto scambiare per una statua di cera venuta fuori molto bene.
“Oh!” si riprese, cominciando a tormentarsi il vestito, cercando di nascondere alla bell’e meglio le macchie di cocomero e la sabbia incrostata. Si passò una mano sul capo, liberandolo da quel ridicolo cappellino, sentendo le lacrime premere per uscire.
Ma quanto diavolo era impresentabile?! Avrebbe dato tutti i suoi averi per risultargli vestita di tutto punto e con la messinpiega. Forse lui era abituato a ragazze di una certa classe, o quanto meno presentabili. Dannazione, doveva fargli proprio schifo...
“I tuoi amici dove sono?” le domandò, guardandosi attorno, sfilandosi gli occhiali da vista ed iniziando a strofinarli in un fazzolettino pulito.
Sonoko arrossì senza sapere il perché, e si mise a guardarsi attorno a sua volta. Aveva perso di vista Kazuha ed Heiji da nemmeno si ricordava quando, mentre aveva visto Ran allontanarsi assieme a Shinichi. Probabilmente, a quell’ora erano rientrati tutti all’ostello. Erano le una e mezza passate della notte, ed era certa che fossero tutti sfiniti per il lungo viaggio che avevano percorso per raggiungere Shirahama.
“Sono andati via. Adesso me ne vado anch’io...” gli disse abbozzando un sorriso tirato, per poi voltarsi in fretta e cominciare la risalita verso la fine della spiaggia, desiderosa di togliersi dalla vista di lui e di farsi un bel bagno caldo.
“Aspetta!” la chiamò lui, raggiungendo Sonoko con un paio di lunghe falcate. La ragazza si fermò e si voltò lentamente verso il giovane karateka, con il cuore in gola e la deglutizione faticosa. Che altro voleva? Forse sapere dove aveva sistemato le ultime cassette di angurie rimaste intatte dopo la corsa di cocomeri? Ma certo, Kita le aveva chiesto se poteva informare su dove le avrebbe sistemate all’ultimo animatore che avrebbe incontrato. E, l’ultimo, era proprio Makoto.
Sonoko fece per aprire bocca e parlare, ma il ragazzo l’anticipò. “Suzuki, giusto? Dove alloggi?”.
La giovane ereditiera sbatté le palpebre più volte, non capendo cosa c’entrasse quella domanda coi cocomeri. “All’ostello Unmei, accanto al parco Kanrenshita”***.
Makoto annuì serio. “So dove si trova. Ti accompagno” disse semplicemente, cominciando a farle strada.
Sonoko rimase ferma dov’era per un intero minuto, prima di riuscire a comandare alle sue gambe di muoversi e di seguire il ragazzo. Stava anche per dirgli che non c’erano problemi, e che la strada la sapeva ritrovare, ma pensare di passeggiare con lui la rincuorava e la faceva sorridere interiormente.
Si mise al passo con il giovane, lanciandogli rare occhiatine di sbieco, giusto per accertarsi che lui non fosse un miraggio. La verità, era che Makoto era un ragazzo di poche parole, e per tutto il viaggio non pronunciò una sola frase, facendo calare tra i due un silenzio non meno carico.
Sonoko si fermò e si convinse a guardarlo dritto negli occhi solo una volta arrivati davanti alla porta dell’ostello, per poi rivolgergli il sorriso più presentabile che riuscisse a fare alle due del mattino.
“Sei stato molto gentile. Grazie per... avermi accompagnata” mormorò la giovane ereditiera, prostrandosi in un lieve inchino, per poi correre velocemente dentro all’ostello senza curarsi di augurargli la buonanotte. Una volta arrivata accanto alla reception si permise di fermarsi, ma senza trovare il coraggio di voltarsi per controllare se lui se ne fosse già andato.
“Makoto Kyogoku, uh?” domandò curiosa la voce della portinaia, abbassando una rivista di gossip e fissando Sonoko con un sopracciglio alzato. Era una donna di circa sessant’anni, che indossava un vestito leggero di color giallo canarino, e teneva tra i capelli gli stessi bigodini che Sonoko e gli altri le avevano visto quella mattina. Puzzava tremendamente di tabacco misto a un profumo francese, ed aveva il contorno labbra disegnato con una matita rossa. Le rughe del volto anziano si distesero non appena i suoi occhi scorsero il rossore sulle guancie della giovane forestiera. “Non devi essere di certo una ragazzina qualunque, per essere riuscita ad avvicinarlo, uh? È un tipo che se ne sta parecchio sulle sue, e fa stragi di cuore fra tutte quelle della tua età. Uh, è davvero un bravo ragazzo, non credere che sia un casanova! Uh, sei la sua nuova fidanzata?”.
“Alloggio 1-53!” sbottò Sonoko sempre più rossa, afferrando – anzi, strappando – dalle mani della vecchia portinaia il mazzo di chiavi della sua stanza, cercando di non dare peso né alle sue parole, né al sorrisetto perfido che le aveva rivolto.
Corse su per le scale fino a quando non arrivò davanti alla sua camerata. Fece girare le chiavi ed entrò nel buio, sentendo il lieve russare di qualcuno. Si trattava della signora che era arrivata quella mattina poco dopo del gruppetto di Tokyo, e che era stata sistemata assieme a Sonoko, Ran e Kazuha in quell’alloggio. La giovane ereditiera arrivò fino al suo letto facendo meno rumore possibile, e si lasciò cadere stancamente sulla brandina, posticipando al mattino seguente il bagno caldo di cui aveva bisogno.
Si tolse lentamente i sandali e strinse a sé il cuscino, senza riuscire a togliere dallo schermo delle sue palpebre calate l’immagine di Makoto, mentre la ascoltava ringraziarlo di averla accompagnata fino all’ostello. Se non fosse stato lui, probabilmente avrebbe provato a baciarlo. Se non fosse stato lui, probabilmente si sarebbe comportata in maniera diversa. Avrebbe fatto la civetta come era suo solito fare, e si sarebbe lodata per tutto il tempo, invece che darsi da fare per una festa di cui non era nemmeno la sponsor! Ma cosa aveva di così speciale da riuscire ad intimidire proprio lei?!
Sonoko sospirò, sentendo il sonno scomparire nel momento stesso in cui la porta della stanza si aprì per la seconda volta. Una figura si stagliò contro la luce proveniente dal corridoio, inghiottita dal buio non appena la porta fu richiusa alle sue spalle.
Il peso di un corpo si scontrò con la brandina che stava accanto a quella di Sonoko, e la giovane ereditiera capì di chi si trattasse: Kazuha.
“Dove diavolo sei andata a finire?” le domandò a mezza voce per non svegliare la sconosciuta coinquilina russante.
Kazuha sospirò, mettendoci un po’ troppo per rispondere. “Possiamo parlare domani? Sono a pezzi” disse con voce tremante.
Sonoko si puntellò con i gomiti, inarcando le sopracciglia. “Prima sparisci tu, poi Ran. Santo cielo, mi avete fatta stare in pena!” mentì la ragazza, per carpire ancora un po’ di informazione. Un sospiro ancora più pesante di quelli precedenti provenne dalla donna accanto a loro.
“Scusa” mormorò Kazuha. “Ma Ran sarà con Shinichi, no? Sta sicuramente bene”.
Sonoko ghignò. “E come mai sai che con loro non c’è anche Hattori?”.
Kazuha alzò il capo in uno scatto, mandando fumi dalle narici. “Possiamo parlarne domani, ho detto?!”.
“Allora con il bel tenebroso c’eri tu...” accusò Sonoko, scoppiando a ridacchiare.
Kazuha le rimbrottò di parlare piano, fin quando il russare della donna non si interruppe bruscamente. “La volete piantare, voi due?! Qui c’è chi vuole dormire!” sbottò, rigirandosi nel letto.
Kazuha voltò il capo, nascondendolo dagli occhi indagatori di Sonoko, e le mormorò la buonanotte.
“Sì... buonanotte”.
 
 
Shinichi non aveva potuto augurare la buonanotte a nessuno, ma, quando un raggio di sole si infiltrò prepotentemente tra le sue palpebre, si destò di soprassalto e poté dare il buongiorno allo splendido panorama che si stagliava ancora davanti a lui.
Si passò una mano tra i capelli arruffati e ci mise qualche secondo a realizzare e a ricordare ciò che era successo la sera prima: era andato alla festa sulla spiaggia assieme al gruppetto di Tokyo, era stato scambiato per il marito di Sonoko, e poi aveva portato Ran su quello scoglio per guardare il panorama.
 
Ran!
 
Il ragazzo si guardò freneticamente intorno, sentendosi sollevato quando scorse il corpo di lei raggomitolato su se stesso di fianco a lui, le spalle che gli impedivano di guardare il suo volto dolcemente ancora addormentato.
Erano veramente rimasti lì tutta la notte. Shinichi strabuzzò gli occhi, continuando a massaggiarsi la testa, facendo nascere un sorriso soddisfatto e imbarazzato sul suo volto. Aveva passato la notte sotto le stelle assieme a Ran, e questo gli fece toccare il cielo con un dito.
Era rimasto solo con lei, e poco importava se non avevano fatto altro che parlare. Lei era lì con lui, lei era lì per lui. E anche per...
Shinichi si avvicinò al volto della ragazza, scostandole delicatamente una ciocca di capelli dalla guancia. Fece scorrere la punta del suo naso sulla sua tempia ed inspirò la fragranza di lei, che ora era diventato il suo profumo preferito: vaniglia.
“Ran...” la chiamò piano, battendole una spalla. La ragazza strizzò gli occhi, senza aprirli, come infastidita. Il giovane non demorse e le cominciò a pizzicare un fianco, facendole sbarrare lo sguardo e scattare a sedere spaventata.
Ran, i capelli simili ad una palla di fieno, si voltò verso Shinichi, realizzando che lui era il colpevole di quel brusco risveglio.
Gli diede un pugno poco gentile alla spalla, assottigliando gli occhi. “Ma che ti è preso?!” sbottò con voce ancora impastata di sonno.
Shinichi sorrise. “Guarda” disse con un cenno del capo.
Ran seguì lo sguardo di lui, fino a che i suoi occhi non si rilassarono e si spalancarono per la meraviglia di ciò che le si apriva davanti: l’alba.

 
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* Ovviamente è riferito al fatto che Shin, nel capitolo 6, non sapesse dove portare Ran, dopo averle chiesto di uscire
 
** Gli Yakitori sono tipici della cucina di Tokyo, e sono degli spiedini di pollo cotti alla brace, conditi in salsa dolce e accompagnato da verdure, porro o uovo. Solo a vederli, mi viene l’acquolina -> http://www.zenmarket.biz/eshop/yakitori-non-tare-sauce-salsa-per-marinare-481.html  :9
 
*** Ho voluto giocare con queste due parole: unmei significa ‘destino’, mentre kanrenshita vuol dire legati. Ho pensato che i destini di Sonoko e Makoto si siano  legati con Shirahama ed è venuto fuori questo XD
 
 
 
 
Lo so, lo so... dovevo aggiornare domenica...
Ma lunedì avevo simulazione di terza prova ed in più ho passato il week-end con la febbre e il raffredore (che mi porto ancora dietro -.-“ Ma si può, al 17 aprile?!?!? D: )
Comunque... eccolo qua, il decimo chap!!
Che mi dite, sono curiosa?? Avete notato Kazuha? u.u sono orgogliosa di lei!!

Ahhaha!
Non posso dimenticare di ringraziare le mie recensitrici del nono capitolo!! Grazie mille a: mangakagirl, withoutrules, Yume98, Shine_, 88roxina94, izumi_  e  _Flami :D
E grazie anche a Morgan92 e lore92 per aver messo la storia nelle seguite! <3

Grazie anche a chi legge solamente!
Ci vediamo all’undiciiiiii!

Un abbraccio,
 
Dony 
  
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