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Autore: _Miwako_    12/11/2006    16 recensioni
Dal posto più innocuo a volte si può arrivare nel posto più folle, o più pericoloso, dipende dai punti di vista. Per Ginny Weasley, quell'estate, fu un campo di margherite. Dove inseguì un furetto bianco.
(Fic per il 1° concorso del gdr di Hogwarts Point / EDIT: mi rendo conto di essermi dimenticata di dare il link nel caso vi interessasse votare, il che dimostra ampiamente quanto sono sveglia°_° Se non vi scoccia, votatela qui, per favore! E grazie tantissimo a quelli che hanno commentato e commenteranno, siete gentilissimi)
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’estate del suo quinto anno, Ginny Weasley trovò un campo di margherite

L’estate del suo quinto anno, Ginny Weasley trovò un campo di margherite.

Di solito attorno alla Tana il paesaggio non era dei più esaltanti. La campagna inglese offriva un panorama piuttosto piatto e molto… molto verde, probabilmente. Comunque, più di qualche ciuffetto di viole un po’ depresse non cresceva nulla di vagamente gradibile a livello estetico.

A cento metri dalla Tana, però, era cresciuto quel campo di margherite. Dal nulla, all’improvviso, come tutte le cose migliori.

L’aveva scoperto un afoso giorno di luglio, mentre passeggiava alla cieca nel disperato tentativo di tenersi il più lontana possibile da casa, dove la pazzia imperversava a causa dei preparativi per il matrimonio di Bill e Fleur. Se avesse visto un’altra bomboniera rosa si sarebbe messa ad urlare.

Ginny guardò vagamente depressa la sua faccia riflessa allo specchio del bagno, una mattina ad una settimana prima del matrimonio Aveva l’aria distrutta di una che non dorme da giorni, ed effettivamente un po’ era così.

Erano solo le otto, ma già fuori dalla porta si era fatta la fila.

-         Ginny, ti vuoi muovere? Ci sei caduta dentro? – urlò per l’ennesima volta Ron, battendo con poca grazia il pugno contro la porta.

-         Ron, non si urla alle ragazze, maleducato! – disse la voce di Charliecomunque, Ginny, muoviti, quanto ti ci vuole per pettinarti due capelli? –

-         Io di solito ci metto poco – commentò la voce di Bill.

-         Perché, tu ti pettini i capelli? – chiese Ron, sinceramente allibito.

-         Ron, sei veramente uno sfigato, possibile che non ci tieni un minimo alla tua presentazione estetica? Fleur dice che… -

-         Bill, noto una preoccupante nota gay nella tua voce. Solo perché i francesi sembrano tutti un po’ di là non vuol dire che ti devi adattare… -

-         Charlie, l’unica cosa gay è il tuo attaccamento morboso ai draghi, se proprio vogliamo… -

Ginny perse la pazienza.

-         Ragazzi, la smettete un secondo? – urlò, urtando semi-distrattamente lo spazzolino di Fleur (inspiegabilmente nel loro bagno). – per almeno i prossimi quindici anni vorrei rimanere con la convinzione dell’eterosessualità dei miei fratelli, grazie. –

-         Beh, allora smetti gentilmente di darti il pennarello… -

-         La matita, Ron… -

-         … la matita negli occhi ed esci! –

Ginny sospirò pesantemente ed aprì la porta. Neanche il tempo di uscire che già le si era chiusa alle spalle. Col fatto che a casa stavano arrivando frotte di persone (tra Fleur, Hermione ed Harry e qualche saltuario parente sconosciuto che passava a dare un regalo, rimaneva una notte e scompariva misteriosamente) ed al piano superiore il bagno era solo uno, tutte le mattine era la stessa storia. Le mattine peggiori erano quando Ginny, Fleur ed Hermione si susseguivano (e allora tanto valeva cercare un cespuglio da qualche parte per espletare le proprie funzioni). Comunque, grazie al cielo avevano orari molto diversi (Hermione aveva la malsana abitudine di svegliarsi alle sei e trenta del mattino, cosa che in casa Weasley era tabù anche solo pensare, mentre Fleur si svegliava tardi –nonostante la signora Weasley facesse più rumore possibile nel rassettare casa-).

Non appena Ginny scese le scale e vide montagne di taffettà magenta sulla tavola fece immediatamente dietro front ed uscì dalla porta secondaria senza passare dalla cucina.

L’aria si stava lentamente rinfrescando. Era una bellissima giornata, con un sole quasi irritante per una persona che aveva passato tutta l’estate sorridendo un paio di volte a malapena.

Scavalcò lo steccato del giardino e cominciò a camminare. Da lì ancora non si vedeva nulla: bisognava salire leggermente per il campo sterrato fino al primo albero a destra: quando arrivava lì si stupiva tutte le volte. C’erano margherite, margherite ovunque: era come una piccola isola totalmente estranea alle stagioni. Passeggiò cautamente attraverso i fiori, stando bene attenta a non pestarne troppi e si sedette.

Era l’unico posto dove nessuno le avrebbe detto di sbrigarsi, se non altro.

Si lasciò cadere distesa e chiuse gli occhi, ignorando l’umidità dei fiori sulla schiena.

Non sopportava di pensare che soltanto due settimane dopo sarebbe dovuta tornare a scuola.

Hogwarts era rimasta aperta, nonostante tutto, con la McGrannitt con l’incarico semi-temporaneo (qualsiasi cosa volesse dire) di preside. Non aveva voglia di tornare, proprio per niente. Dato che tutti avrebbero dovuto far finta di non essere preoccupati, e così sarebbe stata costretta a farlo anche lei. Ron, Harry ed Hermione non sarebbero tornati a scuola, quell’anno. L’annuncio era arrivato due giorni prima, e ancora i signori Weasley si rifiutavano di acconsentire. Ma tanto, sapevano che con permesso o no, avrebbero fatto di testa loro.

Dove sarebbero andati, non l’avevano detto a nessuno. Ma era una questione importante.

Si rendeva conto di essere egoista ed un po’ stupida a sperare che cambiassero idea. E si sentiva ancora più stupida a sentirsi un po’ ferita perché avevano evitato di parlarne anche con lei.

Harry e Ginny avevano passato tutto il periodo da quando era arrivato nel tentativo disperato ed imbarazzante di evitarsi reciprocamente. Lo svantaggio di essere innamorata del migliore amico di tuo fratello, probabilmente.

Comunque, a causa del matrimonio e dell’’annuncio’, l’atmosfera ormai in casa era irrespirabile. Il campo di margherite era un ottimo nascondiglio, anche se quando tornava si prendeva sempre delle lunghissime ed a suo avviso un attimo esagerate strigliate sul fatto che in quel periodo rimanere da soli fuori casa era una specie di autocondanna a morte. Ma quel campo di margherite sembrava tutto tranne un posto in cui avrebbe potuto comparire di colpo un Mangiamorte.

Stava giusto figurandosi la grottesca immagine di un Mangiamorte che raccoglie docilmente margherite nel prato, quando sentì un rumore, come un passo, e subito la sua ironica strafottenza scomparve. Aprì gli occhi e scattò a sedere.

Non c’era nessuno in vista, tutto tranquillo, non tirava nemmeno un filo di vento.

Cominciava a pensare di stare subendo l’influenza paranoica dei suoi genitori quando, in mezzo a tutti quei fiori, scorse qualcosa di bianco muoversi. La cosa –bianca quasi più dei petali delle margherite- si fermò e si voltò a guardarla negli occhi, come se si fosse resa conto di essere stata vista.

Era un coniglio. Bianco. Oddio, forse non era un coniglio, non aveva le orecchie da coniglio. Ginny lo fissò sbattendo le palpebre, il coniglio-senza-orecchie-da-coniglio ricambiò lo sguardo, impassibile.

Lei si alzò in piedi.

-         Ehi – mormorò, tendendo la mano, e facendo un piccolo passo, come se si stesse avvicinando ad una tigre.

Il coniglio-senza-orecchie-da-coniglio sobbalzò. Non doveva aver gradito che si fosse avvicinata, perché corse via (corse, e non saltellò, il che lo escludeva definitivamente dalla categoria di coniglio) senza più degnarla di uno sguardo. Ginny d’istinto gli corse dietro –quante volte le capitava di vedere una creatura carina, avendo Hagrid ad insegnarle Cura delle Creature Magiche?- e lo vide raggiungere l’albero prima del campo e fermarsi accanto al tronco.

Di lì, lo vide decisamente meglio. Era un furetto.

Santo cielo, ma cosa diavolo ci faceva un furetto nel bel mezzo della pianura della Gran Bretagna? I furetti non erano tipo animali da montagna o cose simili (deduzione assolutamente fondata sul nulla)?

Il furetto, come se ne avesse abbastanza di avere un pubblico con uno sguardo così vacuo, si voltò e sparì dentro il tronco dell’albero. Ginny si avvicinò, riscuotendosi.

Non sapeva perché, ma era incredibilmente curiosa. Intorno alla Tana non aveva mai visto neanche un gattino, o perlomeno un incrocio più o meno decente di animali leggendari. Certo, sarebbe stato più strano trovare un unicorno galoppare attorno al suo giardino, ma ciò non le impedì di piegarsi sul tronco e guardare nel buco nero stranamente grande in cui era entrato il furetto.

-         Ehi, è la tua ‘tana’? – fece Ginny, piegando la testa nel tentativo di vedere meglio. Se ci avesse infilato la mano, l’avrebbe morsa?

Beh, diciamo che non avrebbe mai, mai e poi mai cercato di entrare in quel buco, neanche con un dito né tanto meno con tutto il corpo, se non avesse sentito un ticchettio provenire dall’interno.

Era come il ticchettio di una lancetta dell’orologio.

Tic, tic, tic.

E di colpo, un doon.

Come la campana di un orologio a pendolo.

Istintivamente guardò il suo orologio al polso. Effettivamente, erano le nove in punto.

Okay, la cosa si stava facendo agghiacciante. Era impossibile che là dentro ci fosse un orologio a pendolo. Doveva essere uno scherzo, o forse stava semplicemente impazzendo.

Raccogliendo un coraggio insensato, infilò cautamente la mano nel buco. Niente, il vuoto. Aggrottò le sopracciglia e provò ad avvicinarsi di più. Aveva infilato tutto il braccio là dentro ed ancora sentiva solo l’aria.

Non era fisicamente possibile che quel tronco fosse così largo, davvero. Ginny guardò scioccata l’albero, stretto ed apparentemente normalissimo. Il ticchettio continuava.

Beh, cosa mai poteva esserci di pericoloso là dentro, a parte un furetto vagamente antipatico? Non poteva succedere niente, se provava ad entrare.

Doveva essere completamente ammattita per perdere tempo in quelle prodezze, se ne rendeva conto, ma non riuscì a frenare la curiosità.

Estrasse la bacchetta e mormorando sconcertata lumos si accovacciò e provò ad entrare. Sembrava che il buco fosse apposta per la sua misura, perché vi entrò perfettamente, senza urtare nulla.

Per un attimo vide solo la luce della sua bacchetta. Continuò a camminare a quattro zampe sul terreno stranamente liscio, e cominciava seriamente a preoccuparsi, perché doveva aver fatto almeno tre metri ed ancora non si era scontrata con il dannatissimo fondo.

Non fece in tempo a pensarlo che sbatté le testa dritta contro un muro.

-         Ahia – borbottò, massaggiandosi il naso. Fece per alzarsi, ma sbatté nuovamente la testa contro qualcosa. La illuminò con la bacchetta. Era la maniglia di una porta.

Sì, certo. Dentro ad un albero largo sì e no cinquanta centimetri di diametro c’era una porta comprendente di maniglia.

Nonostante il suo sgomento ed anche un vago senso di non-vorrei-essere-qui, non resistette alla tentazione. Girò la maniglia e la porta si aprì con un normalissimo scatto.

La luce l’accecò per un attimo, fino a quando non riuscì a mettere a fuoco una stanza spaziosa. Di una casa. Con una scrivania, tende bianche al muro, un letto ad una piazza e mezzo perfettamente fatto e tutto quello che normalmente si trova in una camera. Di una casa.

Quella stanza non poteva essere dentro un dannatissimo albero.

Si guardò attorno sconcertata (ormai aveva totalmente dimenticato il furetto). Era abituata a vedere cose grandi in cose piccole (in tutti i sensi), ma non aveva mai visto niente del genere. Non aveva mai sentito di nessuno che viveva in un albero.

Oh. Magari non ci abitava nessuno, lì, anche se era molto pulito perché nessuno se ne occupasse.

Avrebbe potuto farne il suo nuovo nascondiglio segreto, effettivamente. Avrebbe potuto spostare le sue cose dall’affollata ‘stanza delle ragazze’ alla Tana e trasferirle tutte lì. Quel letto aveva l’aria di essere comodo. Avrebbe potuto togliere tutto quel bianco e mettere di poster ai…

Una porta (che non aveva assolutamente notato) si aprì all’improvviso, facendola sobbalzare tanto che quasi cadde all’indietro.

Oddio. C’era qualcuno. Era nei guai. Alla gente non piace trovare sconosciuti non invitati in casa propria. Specialmente alla gente che abita negli alberi, pensò.

Se avesse dovuto immaginare una persona, una persona qualsiasi, che potesse entrare da quella porta, avrebbe potuto immaginare chiunque (da persone normali, fino a goblin o qualsiasi fosse l’aspetto dell’inquilino di un albero), ma non quella persona.

Draco Malfoy la fissò come se per un attimo non si rendesse conto che Ginny Weasley lo guardava con espressione sconvolta, i capelli arruffati e la bacchetta alzata in una posizione che era tutto fuorché minacciosa.

L’ultima volta che Ginny aveva pensato a Draco Malfoy (mesi e mesi prima), era stato per rivolgergli mentalmente epiteti davvero poco educati e sicuramente meritati, ripromettendosi che se mai l’avesse rivisto (cosa di cui aveva sempre dubitato) gli avrebbe fatto pentire di aver messo piede a Hogwarts e sulla stessa Terra. Al solo pensiero della sofferenza di Harry e di tutti quanti per la morte di Silente, e sapendo quello che Malfoy aveva escogitato sapendo esattamente quello che faceva, le si stringeva il cuore e contemporaneamente le bruciava una rabbia mai provata dentro.

Ma, ora come ora, a trovarselo davvero davanti, non sapeva né cosa dire né cosa fare.

Si rese improvvisamente conto di quanti insulti esistessero, di come non sapeva sceglierne uno abbastanza tremendo, e di quante fatture tremende esistessero, e di non saperne scegliere una abbastanza tremenda.

La cosa peggiore che si poteva pensare di Draco Malfoy non era mai abbastanza.

Entrambi dovettero riprendersi quasi contemporaneamente, quando si puntarono di scatto le bacchette l’uno contro l’altra.

-         Che cosa diavolo ci fai qui, Weasley? Come hai fatto ad entrare? – gridò Malfoy, con un’espressione che non gli aveva mai visto, un misto di shock, un filo impercettibile di inquietudine e agitazione.

-         No, no, cosa diavolo ci fai tu qui, Malfoy – ringhiò di rimando Ginny, rimettendo i piedi per terra. Cercò di non far sentire come la sua voce tremava di rabbia solo a vederlo. – non riesco a credere che fossi così a poca distanza. Se l’avessimo saputo, a quest’ora staresti già a marcire ad Azkaban, che comunque è il tuo destino.

Malfoy ridusse gli occhi a due fessure e fece un passo in avanti con aria minacciosa (e ci riusciva molto più di lei).

-         Non ho idea di cosa tu stia parlando – ironizzò con cattiveria. – sparisci da casa mia o ti ammazzo. –

-         O magari chiami Piton a farmi ammazzare, così non ti sporchi le tue manine – sibilò Ginny di rimando. Malfoy non distolse lo sguardo né diede alcun segno di simil-pentimento o vergogna. Ci fu solo un impercettibilissimo ed intraducibile guizzo nel suo sguardo. – e certo che hai sempre avuto un bel dire a dire che io vivo da pezzente… almeno io non vivo in un albero. –

-         Cosa stai blaterando? – ringhiò Malfoy, spazientendosi.

Ginny si sentì stranamente stupida a spiegarlo.

-         Non fare il finto tonto. Ho scoperto il tuo nascondiglio. Un albero, ah. Sei proprio messo male. –

-         Weasley, tu sei totalmente pazza. Sei tu che ti sei infiltrata in casa mia. Questa è una villa, in un albero ci vivrà il tuo allevamento di patetici scoiattoli. –

La ragazze parve un attimo interdetta, ma cercò di non farlo apparire evidente.

-         Non prendermi in giro, Malfoy. Qui dentro ci si entra attraverso un dannatissimo buco di un dannatissimo albero. –

Malfoy dovette realmente pensare che fosse completamente ammattita, tanto che abbassò leggermente la bacchetta.

-         Non pensavo che tu saresti stata la prima dei patetici Weasles a crollare, complimenti. Ora provvediamo subito a farti sparire. –

Malfoy mise la mano sulla maniglia della porta da cui era entrato e la girò. Non si aprì. La girò di nuovo. Niente. Cercò di aprirla con più violenza. Usò la bacchetta e l’alohomora, eccetera. Non si aprì.

-         Apri immediatamente questa porta, Weasley, ne ho abbastanza dei tuoi giochetti! – si girò furioso verso di lei.

Ginny fece una smorfia.

-         Io non ho fatto un bel niente. –

-         Raccontalo a qualcun altro. Apri questa porta. –

-         Senti, non l’ho toccata, e smettila di darmi ordini. Ci penserei io a lanciarti una fattura come si deve, se non pensassi che il privilegio spetta ad Harry. –

Arretrò e girò la maniglia della porta da cui lei era entrata.

Non si aprì.

Ginny si voltò verso Malfoy.

-         Okay, basta con gli scherzi. Non ho intenzione di rimanere chiusa qui un secondo di più, e fra mezz’ora tu sarai in viaggio per Azkaban, non hai scampo. Perciò, ora apri questa porta, così posso uscire.

Malfoy la fissò di nuovo con quell’espressione disgustata da ‘questa è pazza’.

-         Vorresti farmi credere che sei entrata in casa mia dall’armadio? – disse, totalmente serio.

Tutto questo era spaventoso.

Chiusa in una stanza senza finestre. Bloccata. Presumibilmente in un albero. Con una delle persone peggiori del mondo.

Le mancavano le bomboniere rosa.

-         Va bene. Calma – disse Ginny, a se stessa, ignorando Malfoy che cercava di scardinare la maniglia con violenza ingiustificata. – se siamo entrati si potrà anche uscire. Questa casa-albero è la tua, giusto? E’ impossibile che ci rimani chiuso, per quanto tu possa essere deficiente. –

-         Weasley, dubito che uscirai viva di qui se non si riaprono le porte nei prossimi trenta secondi. Mi stai dando sui nervi oltre il limite permesso. –

-         Beh, calma i tuoi nervi, perché sarò io la prima a farti fuori se non sparisci dalla mia vista. –

Si guardarono in cagnesco.

Ginny distolse lo sguardo e tentò di respirare regolarmente e darsi una calmata. Se si arrabbiava troppo era la fine. Quando si arrabbiava troppo finiva per perdere il controllo della situazione, e non poteva permettere che ce l’avesse lui.

Guardò casualmente sopra la scrivania. Sgranò gli occhi. Due secondi prima quella boccetta e quella specie di scatoletta per pillole non c’erano, ne era sicura. Entrambi avevano un biglietto attaccato ad un pezzo di spago.

Ignorando ancora Malfoy che imprecava, si avvicinò e lesse il biglietto della scatoletta.

“Mangiami.”

Sbatté le palpebre.

-         Malfoy, fai per caso uso di anticoncezionali per donne? –

Il ragazzo smise di prendersela con la porta e si voltò a guardarla con sguardo gelido.

-         Hai finito di mettere in pratica la tua scarsissima ironia o hai intenzione di continuare per molto? –

-         Queste pillole sono tue? –

Malfoy roteò gli occhi, scocciato, e di malavoglia si avvicinò ad esaminare distrattamente la scatoletta anonima che Ginny teneva in mano.

-         C’è scritto ‘mangiami – sentenziò Ginny.

-         Sì, me n’ero accorto. Ma quella roba non è mia – replicò Malfoy con una smorfia.

-         Tutto questo mi ricorda qualcosa. –

-         Sì, devo aver fatto un incubo del genere una volta. –

Ginny gli lanciò un’occhiataccia.

-         Sembra quella storia che ho letto una volta… come diavolo si chiamava… in cui c’era una bambina che finiva in un posto assurdo e doveva mangiare un pezzo di qualcosa che la faceva diventare piccola, e sopra c’era scritto ‘mangiami’… -

Malfoy inarcò le sopracciglia.

-         Ti rendi conto che tutto questo non c’entra nulla con questa situazione assurda, spero. –

-         Beh, invece secondo me c’è qualche somiglianza. –

-         Affatto. –

-         Invece sì.

-         Ti dico di no.

Ginny sbuffò, irritata.

-         Comunque, forse se c’è scritto ‘mangiami’ dovremmo farlo. -

-         Weasley, te lo scordi. Dovrei ingerire qualcosa che non so cos’è? –

-         Beh, sì, magari schiatti, e ti dirò, non mi dispiacerebbe. –

-         In questo caso, ti cedo il passo. Mangiala tu. –

-         No, prima tu. –

-         No, tu. –

Si fissarono.

-         Questo scambio di battute sembra roba da romanzo di serie B, Weasley. –

Ginny lo ignorò, riflettendo. Si voltò a guardarlo.

-         Bene. Contemporaneamente. –

-         Prego? –

-         Ne mangiamo una per uno contemporaneamente. Massimo schiattiamo tutti e due. –

Malfoy inarcò di nuovo le sopracciglia. Di quando in qua la Weasley si atteggiava da disillusa o qualsiasi fosse il nome del comportamento pseudo menefreghista che stava tenendo? Visti i suoi precedenti attacchi da paladina della giustizia, a scuola, non pensava che in pochi mesi sarebbe potuta diventare così. Beh, in fondo non la conosceva per niente.

Sbuffò.

-         E sia. –

Presero entrambi una pillola tra le dita, controllandosi a vicenda.

Ginny lo squadrò per bene.

-         Non barare. –

Malfoy non rispose, sorrise soltanto.

Ginny ignorò la sua stessa irritazione e contò fino a tre. Entrambi inghiottirono.

Sul momento, la ragazza non sentì nulla. Ma fu questione di secondi.

Fu come usare la Polvere Volante, ma anche più spiacevole. Si sentì restringere o qualcosa del genere, come se l’avessero ficcata dentro ad un buco minuscolo.

E d’improvviso si rese conto che guardava Malfoy dal basso verso l’alto.

- Cosa diavolo è successo? –

Avrebbe voluto dirlo, in verità. Perché dalla bocca non le uscì altro che una specie di versetto stridulo.

Malfoy la fissò per un lungo momento prima, cosa assolutamente assurda ed inaspettata, di scoppiare a ridere.

Ginny agitò le braccia (‘cosa diavolo hai da ridere?’) e lo colpì al ginocchio (praticamente il massimo a cui riusciva ad arrivare dalla sua altezza).

E vide le sue mani. Erano minuscole.

Da bambina di due anni.

I suoi vestiti le stavano larghissimi, come una coperta enorme.

Malfoy doveva trovare la cosa molto divertente, perché non la smetteva di ridere. Ginny lo fissava allibita. Non aveva mai visto Malfoy ridere, e sicuramente non per una cosa così… così… drammatica, ecco! Perché era una cosa drammatica.

Ginny doveva essere veramente ridicola, però, in versione mini ad agitare le braccine con aria imbronciata contro un ragazzo di un metro e settantadue.

Quando Malfoy esaurì le risate (probabilmente quel giorno aveva sprecato tutte quelle concessegli nella sua esistenza) si piegò per guardarla in faccia senza dover piegare la testa.

-         Santo cielo. Per quanto prima risultassi assolutamente ridicola, non c’è confronto con ora. Ma guardati. Quanti anni avrai, uno e mezzo? Sei una lattante. –

Ginny lo avrebbe preso a schiaffi, ma dubitava che i palmi delle sue mani fossero abbastanza grandi anche solo per fargli il solletico. E non riusciva a parlare. Effettivamente, sua mamma le aveva detto che ancora a due anni non sapeva parlare.

Tutto ciò era terrorizzante. Quando aveva parlato della bambina che era diventata più piccola, non intendeva più piccola di età, dannazione!

Gesticolò nel tentativo di chiedergli rabbiosamente perché lui non fosse diventato piccolo.

Malfoy, stranamente, parve capire. Fece un sorrisetto irritante, aprì le bocca ed alzò la lingua. C’era ancora la pillola. Non l’aveva inghiottita, il maledetto.

Per qualche motivo, comunque, Ginny si ritrovò ad arrossire.

Ogni tentativo di schiaffeggiarlo si rivelò inutile.

-         Potrei cominciare ad apprezzare questa tua versione silenziosa – rifletté Malfoy, ignorandola.

Ginny gli tirò i capelli.

-         Ahia! - Malfoy si ritrasse e si alzò in piedi. Continuando ad ignorarla, tentò di aprire le porte, ma erano ancora chiuse. – ma non avevi detto che questo era il modo per uscire, o qualcosa del genere? L’unico vantaggio è il fatto di non sentire più la tua voce irritante. –

Ginny sbuffò rumorosamente e digrignò i denti. Maledetto. Avrebbe dovuto aspettarselo, visti i suoi precedenti, che fosse davvero uno stronzo.

Decise di ignorarlo anche lei, e zompettò di nuovo verso la scrivania. Si arrampicò sulla sedia (Malfoy la guardò cadere diverse volte, e non mosse un dito per darle una mano) e guardò sopra il tavolo. Allungò la mano verso la boccetta che aveva vista prima, anche quella con il biglietto.

Bevimi.”

Nel momento in cui lo lesse, si ricordò. Ma certo!

-         Cosa stai tentando di fare? – mormorò Malfoy neanche tanto interessato, osservandola vagamente stappare la boccetta con energia. Ginnyversione due anni’ ne bevve qualche sorso. Sapeva di fragola.

Come si era aspettata, stavolta la sensazione fu contraria, anche se un po’ più dolorosa, come se le ricrescessero le ossa. I vestiti tornarono ad aderirle normalmente.

-         Alice! – fu la sua ‘prima parola’.

Malfoy la guardò con aria ironicamente delusa.

-         No, hai già trovato il modo di tornare come prima? –

-         Alice! – ripeté Ginny, cercando di fare finta che non avesse parlato.

Malfoy sospirò pesantemente.

-         Chi è ‘Alice’? – chiese, quasi controvoglia.

-         Era ‘Alice nel paese delle meraviglie’, quella storia! Era Alice che si rimpiccioliva ed ingrandiva! Come ho fatto a dimenticarmelo? –

-         Inconcepibile… - mormorò Malfoy, cercando di aprire una porta senza nemmeno ascoltarla.

-         Ma perché dovremmo essere finiti inAlice nel paese delle meraviglie’? E perché Alice dovrei essere io? E tu cosa diavolo c’entri? Ti ci vedevo meglio come lupo di Cappuccetto Rosso. –

Malfoy diede un calcio alla porta che non si apriva.

-         Se ti dicessi che non ho idea di cosa stai blaterando, staresti zitta? -

-         Comunque, questo posto di ‘paese delle meraviglie’ non ha proprio nulla! E’ più un incubo… -

Malfoy strattonò innervosito la porta da cui Ginny, presumibilmente, era entrata.

E si aprì.

Era buio, là dentro.

-         E così non mentivi – fece Malfoy, sinceramente stupito.

-         Perché, cosa diavolo pensavi che ci facessi, qui?

Malfoy non la guardò.

-         Pensavo mi aveste trovato. –

A Ginny, per qualche motivo, mancarono le parole. Avrebbe voluto sentire un filo di pentimento, un barlume di qualcosa che le facesse capire che anche Draco Malfoy, in fondo, era umano. Entrambi sapevano a cosa si stavano riferendo, ma non ne facevano parola.

E la cosa assurda fu che lei non rilevò traccia di pentimento in quelle parole, ma quasi di speranza.

Come se quasi volesse essere trovato, catturato.

Ma come al solito, ogni parola Malfoy poteva avere un doppio significato.

Ed era intraducibile, per lei.

Stava per chiedergli qualcosa, qualsiasi cosa, come se dovesse cogliere quel momento, in cui Malfoy le sembrava non un quasi Mangiamorte, ma un ragazzo semi-normale, ma lui estrasse la bacchetta e l’accese.

-         Dopo di te – ghignò, riprendendo il suo tono insopportabilmente sarcastico.

Ginny fece una smorfia.

Ma no.

Estrasse la bacchetta, mormorò lumos e senza guardarlo si inoltrò nel buio, aspettandosi di vedere, ad un certo punto, la luce dell’uscita. Capì che Malfoy la seguiva soltanto dal suono dei suoi passi.

La bacchetta, in quel buio così denso, pareva pressoché inutile.

-         Comunque, sono venuta qui perché inseguivo un… - disse, più per riempire il silenzio che altro. Ma proprio mentre pronunciava queste parole, se ne rese conto.

E fu lei a scoppiare a ridere.

Udì Malfoy sbuffare.

-         E ora cosa diavolo hai da ridere? – disse, tagliente. – sei davvero impazzita? –

-         No, stavo pensando che… insomma, Alice finisce nel paese delle meraviglie inseguendo un coniglio bianco. Io invece sono capitata qui inseguendo un furetto bianco. –

-         E questo ti fa ridere? A me sembra, oltre che improbabile, piuttosto agghiacciante. –

-         Beh, mi fa ridere se penso che tre anni fa ho visto te trasformato in un furetto, e finora non l’avevo ricollegato. –

Anche se non poteva vederlo, sicuramente Malfoy stava facendo una smorfia, anche se non disse nulla.

-         A dire la verità, tutto questo è così paradossale che mi sembra… -

Non ebbe il tempo di finire la frase. Aveva fatto un passo, ma non aveva trovato terreno su cui posare il piede.

Si sentì cadere verso il basso, come in una specie di pozzo, urlò ed istintivamente cercò di aggrapparsi in poche frazioni di secondo al pavimento su cui aveva camminato fino a poco prima.

Malfoy là illuminò con la bacchetta, avvicinandosi. Stava cadendo in una specie di voragine nel pavimento.

-         Malfoy, dammi una mano, dannazione! – gridò Ginny, sentendo che stava per cedere.

Lui tacque per un attimo, fece un mezzo sorrisetto.

-         Uhm, dovrei? – ghignò.

Oh, diavolo. Perché, perché, perché era così stronzo? Era nel suo dna, o qualcosa del genere? Possibile che vedere una persona cadere in un buco spuntato dal nulla non gli facesse cadere la sua stupida ed insopportabile maschera impassibile?

Ginny sentì le mani cedere.

Bene, Malfoy, l’hai voluta.

Si aggrappò alla sua caviglia senza preavviso, lasciandosi cadere, Malfoy perse l’equilibrio e caddero entrambi in quella voragine assurda.

Dovettero passare pochi secondi (ma parve un’ora), quando cadde violentemente a terra rotolando addosso a Malfoy.

-         Ahiaaa! – si lamentò. Aprì gli occhi.

Okay, tutto ciò si stava facendo ridicolo.

Erano nel campo di margherite. Vicino all’albero in cui era entrata.

Va bene, era fisicamente impossibile, davvero, entrare in un posto da sinistra verso destra e uscirne dall’alto verso il basso. Cioè.

-         Credo che tu mi stia lussando la spalla – disse la voce di Malfoy, impassibile come al solito.

Ginny si rese conto che effettivamente tutti i sue quarantanove chili erano sopra il suo braccio, e sebbene forse sarebbe stata una tortura che lui avrebbe meritato, si costrinse ad alzarsi.

Si guardò intorno, mentre Malfoy imprecava per il dolore.

C’era qualcosa che non andava. Dov’era la Tana? Da lì si vedeva sempre.

E non c’era assolutamente niente lì attorno. C’era solo terra incolta, terra incolta, pianura, e terra incolta lì attorno.

A parte il campo di margherite.

Per qualche motivo, guardò l’orologio.

Le lancette giravano in tondo, come impazzite.

-         Ma cosa diavolo è questo posto? – esclamò Ginny, esasperata. Non si ricordava che fosse successo niente del genere, ad Alice. Ed Alice non aveva nemmeno Malfoy a imprecarle dietro, fortunella.

-         Pensavo lo sapessi tu – disse Malfoy, sospirando indispettito.

Basta. Ma dov’era casa sua? La situazione era così assurda che non aveva più forze. Era un incubo, davvero. Possibile che fossero vittime di un qualche incantesimo? Anche se non aveva mai sentito niente del genere. Perché qualcuno avrebbe dovuto farle un incantesimo il cui scopo era farla piombare di peso in un campo di margherite con Draco Malfoy (che tra parentesi con quel paesaggio allegro stonava parecchio)?

Si lasciò cadere all’indietro, come… beh, non sapeva quanto tempo fosse passato da quella mattina. Le lancette dell’orologio continuavano a roteare per conto loro.

Il profumo delle margherite le penetrò nel naso. Era quasi tranquillizzante, ricordava la camomilla della mamma. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente.

-         Cosa intendevi dire, prima? – mormorò.

Malfoy si voltò a guardarla. Come diavolo faceva a stare così tranquilla, distesa tra i fiori ad occhi chiusi come se non fossero appena caduti da un buco dentro al suo armadio?

-         Prima quando? – fece, roteando gli occhi.

-         Quando hai detto che pensavi ti avessimo trovato. Riguardava Silente, no? –

Malfoy tacque, fingendo di non ascoltarla.

Ginny aprì gli occhi e senza alzarsi lo squadrò. Possibile, possibile che non ci fosse traccia di rimorso in quello sguardo?

Possibile.

-         Non ti senti in colpa? Silente è sempre stato buono anche con te. Harry ce l’ha raccontato. Ti aveva dato una possibilità, tu l’hai rifiutata, l’hai persa. Non ti senti un verme, ora? – disse, con voce così seria che quasi non si riconobbe.

Malfoy continuò a guardare in avanti, ma non finse più non ascoltare.

-         Pentirsi, per quanto mi riguarda, non ha senso – disse, con voce piatta. – conta quello che fai. Ormai è successo, l’ho fatto. Quella ‘possibilità’ non si adattava alle mie esigenze. E sentirmi un verme non risolverebbe alcun problema.

Ginny lo fissò.

-         Pentirsi – disse, dopo qualche attimo. – serve a far capire agli altri e a se stessi che si può essere persone migliori di quello che si è state. –

-         Sono solo ipocrisie che ti hanno messo in testa. –

Lei si mise a sedere. Era davvero un ragazzo di diciotto anni, quello che stava guardando?

Aveva nello sguardo così tanta disillusione che sembrava aver vissuto molto di più.

O magari solo quando si è giovani si crede che si possa davvero essere disillusi.

- Non è ipocrita – replicò. – è crescere. –

Malfoy scrollò le spalle, irritato.

-         Se ti fa piacere crederlo.

Ci fu qualche attimo di silenzio.

Ginny non sapeva perché ci teneva tanto, ma davvero non poteva credere che fosse giusto lasciare che lui la pensasse in quel modo, così cattivo.

-         Questo è quello che saresti voluto diventare? –

Malfoy, per la prima volta, le lanciò un’occhiata.

-         Perché perdi tempo a chiedermi cose che non ti riguardano, Weasley?

Ginny si sforzò di fare un sorriso. Alzò il braccio e gli mostrò l’orologio al polso.

-         Perché tanto qui il tempo non esiste.

Malfoy inarcò le sopracciglia, e stranamente fece un mezzo sorriso.

-         Davvero credi di potermi convincere che tu hai ragione ed io ho torto? Sei un’illusa. –

-         E tu non lo sei abbastanza.

Il ragazzo sbuffò, ma per qualche motivo non riuscì a ripristinare la sua solita espressione cupa.

Ci fu un po’ di vento che alzò il profumo delle margherite.

-         Non sono pentito, e non mi pentirò – disse, inaspettatamente. Ginny si voltò a guardarlo.

Per la prima volta pensò che il suo sguardo grigio, per quanto fastidioso, insopportabile, strafottente o impassibile, fosse un… fosse un bello sguardo. – questo non vuol dire che se tornassi indietro lo rifarei. –

Questo fu davvero, davvero inaspettato.

Così inaspettato che il cuore di Ginny ebbe un sussulto, di quelli forti, di quelli che ti scombinano i battiti per diversi secondi.

-         Fai attenzione, Malfoy – disse Ginny, con un sorriso nervoso. – se dici così, potrei cominciare pensare che non sei la persona peggiore del mondo. -

Malfoy fece un ghigno, e la guardò.

-         Questo mi dispiacerebbe molto. –

Era solo un’impressione, o si era creata una strana atmosfera?

Ginny sentì nella sua testa scattare come un segnale di allarme, uno strano, del genere ‘c’è qualcosa che non va’ ma al tempo stesso del genere ‘non potrebbe andare meglio’. Forse era vittima degli avvenimenti.

Malfoy la fissò.

-         Perché mi guardi in quel modo? – fece, diffidente.

-         Non ne ho idea – si lasciò sfuggire Ginny, sconcertata.

Draco ricambiò lo sguardo. D’un tratto non si sentiva a suo agio come al solito.

E d’un tratto la mente non ebbe più il controllo delle azioni. I suoi movimenti fecero completamente di testa loro.

Si sporse verso di lei e la baciò.

Le labbra di Draco Malfoy erano fredde. E ti davano un brivido, un brivido lungo tutta la schiena, che però era un brivido stranamente caldo. Ginny sentì il cuore batterle così forte, di quel battito da mozzare il fiato, come se non avessi più bisogno di respirare, come se non ci fosse modo migliore per respirare se non quello. Istintivamente portò le mani al collo di Malfoy, che si avvicinò meglio per approfondire il bacio.

Non aveva mai provato niente di simile. Era come essere in un posto fantastico, extraterrestre, qualcosa di straordinario.

Si separarono solo quando fu strettamente necessario.

Ginny si sentì arrossire di colpo come se andasse a fuoco.

Malfoy la fissò con aria sempre impassibile, ma il suo sguardo era quasi come… stupito, di se stesso, più che altro.

-         Hai appena baciato una persona che odi – sentenziò all’improvviso, con un sorriso beffardo.

Ginny alzò gli occhi al cielo, senza riuscire ad impedirsi di sorridere.

-         Anche tu.

Draco fece un cenno con la testa, come se le concedesse quell’affermazione.

Ginny di colpo non si sentì più così esasperata come quando erano piombati in quel posto, ovunque fossero, comunque avessero potuto andarsene. E per ora non aveva neanche voglia di sentirsi in colpa per quello che aveva fatto.

Si lasciò ricadere sulle margherite, chiuse ancora gli occhi.

-         Comunque, forse comincio a comprendere il significato di tutto questo. Forse non è reale –  disse.

-         Già – concordò ironicamente Malfoy. – nella realtà non avrei mai permesso che accadesse una cosa del genere. –

Ginny gli lanciò un’occhiataccia, prima di richiudere gli occhi.

-         In fondo – mormorò. – alla fine della favola di Alice, si scopre che tutte quelle cose folli che le erano successe – sbadigliò. – non erano altro… che un sogno… -

Sentì una margherita solleticarle il naso, e la scacciò con la mano.

- Ginny, ma stavi dormendo? -

Aprì gli occhi.

Bill la guardava, stupito.

Ginny si sedette di scatto. Si guardò intorno, con gli occhi sgranati.

Malfoy non c’era più. Da dov’era, riusciva a scorgere la Tana.

-         Ti abbiamo chiamato per secoli – disse Bill, mentre lei si alzava sconcertata. – è ora di pranzo. –

La ragazza guardò l’orologio. Mezzogiorno e mezzo.

Aveva dormito?

-         Solo tu puoi addormentarti nel bel mezzo di un campo di margherite – rise Bill.

Ginny guardò il vuoto.

-         Ho fatto un sogno – mormorò.

-         Ah, sì? E dov’eri?

 

Draco aprì gli occhi, ad almeno cinquecento chilometri di distanza.

Pansy Parkinson lo guardava, la testa appoggiata sul suo petto, il seno coperto dal lenzuolo.

-         Ciao – gli disse, sbattendo le ciglia e allungandosi a baciarlo.

Draco non rispose.

Pansy lo fissò con un sorriso.

-         Che espressione – disse. – hai sognato? –

-         Sì – rispose Draco, dopo un po’, stranamente.

Pansy lo guardò, curiosa.

-         E dov’eri?

 

Ginny Weasley e Draco Malfoy ci pensarono per qualche attimo.

 

-         Nel paese delle meraviglie. –

 

 

Fine.

 

 

 

  
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