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Autore: Nykyo    13/11/2006    9 recensioni
Quale rapporto lega Albus Silente e Severus Piton? Qual è la vera natura di Silente: è solo un abile stratega, un condottiero che muove le sue pedine sulla scacchiera della guerra, o è anche un uomo, capace di paterno affetto? La vicenda dei diciassette anni trascorsi da Piton e Silente, fianco a fianco, raccontata dal punto di vista di chi, come il Preside, ha fiducia in Severus Piton.
Questo racconto ha vinto il primo premio al concorso "Piton e la Giustizia" del Sotterraneo di Piton
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Caspita ragazze, quanti commenti ^_^

 

Allora andiamo con ordine.

 

Mixky: grazie di cuore e non scusarti di nulla.

 

Stella: grazie ancora.

 

Truelena: Sono arrossita per le tue recensioni che mi hanno fatto immensamente piacere. Sono felice che tu abbia colto tante sfumature o scoperto nuovi punti di vista sulle vicende dei libri. Quanto ai sospetti di Severus su Sirius, beh, tieni conto che Piton ha particolari motivi di sfiducia verso Sirius. Il Sirius che ha conosciuto Piton è uno capace, già a quindici anni, di uccidere (con lui ci prova, col famoso “scherzetto”) ed è anche capace di passare sopra agli amici (se Piton non fosse stato salvato da James quella volta Remus si sarebbe ritrovato a diventare un assassino).

Per il tag non importa, succede.

 

Akire: Tu mi vizi! Che goduria tutte le tue recensioni! Non so se Severus amasse davvero Lily, ma ho la mia visione di un loro ipotetico “amore” e quanto a Harry non si può proprio dire che, pur avendo difficoltà a relazionarsi con lui, Severus non sia sempre stato lì a salvarlo da ogni catastrofe. Sono anche felice di aver saputo portare la tua attenzione su Silente, sui suoi pensieri, sul suo modo di agire. Silente non è facile da gestire, sembra così semplice ed invece è un personaggio complessissimo. Chiederà a Piton un sacrificio immenso, ma sa quel che fa ed ha le sue ragioni, del cuore oltre che per la causa. Del resto, appunto, spesso la cosa giusta non è né facile né indolore da fare. A volte bisogna stringere sul serio i denti, anche in frangenti assai meno drammatici di quelli del racconto. Quanto a quel che Severus si permette di pensare, anche se mai lo direbbe, grazie davvero, non sai come mi fanno contenta le tue considerazioni. Chissà forse i suoi discorsi su Narcissa colpiscono al cuore per l’accenno a sua madre. Io penso che c’entri anche Lucius però. Severus è una spia di Silente, ma ha sempre fatto in modo di tenere Lucius al riparo e ora, grazie al fatto che proprio lui ha mandato l’Ordine al Ministero, il suo amico è in prigione e Draco rischia la vita. Credo che anche questo faccia la sua parte. Per il resto temo che davvero Severus non abbia futuro, non voglia averlo, specialmente dopo il 6° libro. Chissà che farà J.K.R.. Speriamo bene ;)

 

Francesca e Kagome (non ho ricevuto la mail, per favore rinviala, ora sono curiosa da matti) grazie anche a voi, ho visto solo ora che, non so come, pubblicando sono svaniti nel nulla i ringraziamenti per voi due. Scusatemi.

 

E siccome con questo capitolo si conclude il racconto voglio ringraziare tutti coloro che l’hanno letto, sia qui sia sul Sotterraneo e tutti quelli che l’hanno votato.

 

Grazie ancora a tutti e, come sempre, buona lettura.

Nykyo

 

 

2. “Severus, ti prego… “.[1]

 

 

Correva.

Severus Piton correva come non gli accadeva più da una vita e i muscoli delle gambe gli rinfacciavano quella mancanza d’abitudine, gemendo provati sotto il morso feroce della fatica cui li stava sottoponendo.

Correva e gli sembrava di avere di nuovo undici anni, quando era appena arrivato a scuola e Hogwarts era ancora un immenso dedalo di corridoi in cui era fin troppo facile perdere l’orientamento. Bastava distrarsi, mentre una scala cambiava di posto, e un corridoio buio si sostituiva ad un altro, allontanandoti dalla tua meta.

Correva senza badare a nulla, se non a quel che poteva essergli di ostacolo o di inciampo, e gli pareva che, invece, mentre lui accelerava, tutto all’intorno rallentasse, fin quasi a fermarsi, come se il tempo volesse intrappolarlo e bloccarlo per sempre; pietrificarlo come una delle tante statue che ingombravano i corridoi.

Correva maledicendo se stesso per non essere riuscito a farsi dire da Draco come e quando intendeva agire; detestando con ferocia l’Oscuro Signore che non lo aveva messo al corrente dei propri piani.

Ombra più scura tra le ombre che si stagliavano sulle antiche pietre di Hogwarts e sui polverosi arazzi, il mago bruno correva, pregando di avere ancora tempo. Di avere ancora una scelta.

Man mano che si avvicinava all’imbocco della Torre di Astronomia il sonoro caos della battaglia in corso si faceva più nitido, rimbombandogli nelle orecchie.

Sfrecciò accanto ai combattenti senza fermarsi, mentre una rabbia sorda gli invadeva la mente ed il petto.

Loro possono combattere, lottare a testa alta, a viso aperto, mostrando al mondo intero chi sono.

Lui no, non gli era consentito. Lui poteva solo sperare che non fosse troppo tardi.

Non era concesso alla spia perfetta di issare il cuore sul bavero e farne il proprio stendardo.

Per un istante fu realmente tentato di restare e dare man forte all’Ordine e a quello sparuto gruppo di ragazzini che mostravano un immenso coraggio. Restare e morire battendosi, confidando che Draco non avrebbe comunque commesso i suoi stessi errori.

Lanciarsi nella battaglia e attendere che il maleficio di un Mangiamorte o l’infrangersi del Voto gli spegnessero per sempre l’angoscia nel petto.

Non poteva. Albus era lì, sicuramente in cima alla Torre, non poteva che essere lì dove era apparso il Marchio, forse ancora vivo e lui doveva assolutamente raggiungerlo.

Per questo passò oltre, senza rallentare, impedendosi anche di controllare se qualcuno dei suoi era caduto, osservando soltanto, con la coda dell’occhio che Draco Malfoy non fosse tra loro.

Imboccò svelto la barriera stregata creata da uno dei Mangiamorte, senza nemmeno accorgersi della sua esistenza, finchè non sentì l’aria fremere intorno al corpo, mentre l’attraversava.

Il Marchio – pensò.

Il maledetto, dannatissimo Marchio che si portava addosso da una vita; doveva essere quello la chiave d’accesso alle scale.

Per una volta ringraziò con tutto se stesso di possederlo. Arrivare tanto vicino a Silente e Draco e non poterli raggiungere sarebbe stato terribile, inaccettabile.

Ma l’idea dei servitori dell’Oscuro Signore che insozzavano con i loro passi di morte i consunti pavimenti di Hogwarts lo riempiva di nausea e disgusto.

Il pensiero del Marchio Nero alto nel cielo della scuola, verde contro il nero della notte, a risplendere con le sue sinistre orbite vuote era orribile e blasfemo.

Un sacrilegio che non avrebbe mai voluto trovarsi sotto gli occhi.

Hogwarts, l’intoccabile. Hogwarts: imprendibile bastione in cui un intero mondo confidava, in cui lui aveva sempre confidato. Hogwarts e Silente.

Raptor aveva condotto l’Oscuro Signore stesso all’interno di quelle mura millenarie; Barty Crouch Jr. le aveva contaminate per un anno intero. Ma ora era diverso, era peggio.

Quel simbolo svettante nel buio era un grido di trionfo di Voldemort e gli feriva le orecchie, lacerandogli le viscere.

Cosa hai fatto, Draco? Come hai potuto infliggere al luogo che ti ha fatto da seconda casa per anni un simile oltraggio?

Non doveva pensarci, o sarebbe impazzito.

Varcò l’entrata della Torre talmente in fretta da darsi eccessivo slancio, quindi colpì violentemente la curva parete di pietra con la spalla ed un gomito. Il dolore, però, lo raggiunse solo tre gradini più avanti. Era troppo teso per riuscire a sentirlo davvero.

Imprecò mentalmente, mentre rischiava di inciampare quasi ad ogni passo e s’impose di calmarsi.

Cosa vuoi fare? Precipitarti lì in questo stato? Arrivare lassù sconvolto, senza un briciolo di padronanza di te? Cosa otterresti?

Maledizione, calmati! Non fare il bambino!

Eppure, non era mai stato tanto difficile domare la propria mente ed il cuore.

La verità era che aveva paura ed era furioso, soprattutto con se stesso. Erano anni che non assaporava più la paura, anni che non temeva più niente.

Ora, aveva un immenso terrore di non arrivare in tempo o di non riuscire comunque a fare qualcosa.

Fare cosa? Cosa devo fare? Dimmelo, Albus, forza. Cosa?

I suoi desideri combattevano una battaglia non meno feroce e cruciale di quella che si svolgeva sotto di lui. Lottavano contro la razionalità, contro le mille ragioni del vecchio, contro la causa e, soprattutto, contro la richiesta paterna di un uomo che credeva in lui e teneva a lui al punto da affidargli la propria morte.

E le scale non smettevano più di arrampicarsi verso l’alto in una buia sinuosa spirale senza fine, mentre il tempo correva inesorabile.

Rifletti. Pensa con lucidità.

Con lucidità, Merlino!

Se rifletti riuscirai a calmarti. Devi essere freddo quando arriverai lassù.

Per prima cosa era ancora vivo, segno che il Voto estortogli dalle lacrime di Narcissa e dal suo ruolo di spia non era ancora spezzato.

Un’ovvia deduzione che non lo rassicurava affatto e non lo portava a nulla.

Era vivo, ma cosa implicava il fatto che il suo cuore batteva ancora, pompando troppo svelto il sangue in circolo per tutto il corpo?

Che anche Silente era ancora sano e salvo e che quindi c’era ancora tempo?

Oppure solo che sbagliavi su Draco. Che ti sei illuso che il ragazzo fosse migliore di te e, invece, contro ogni previsione, ha portato a termine la sua missione e Albus è morto.

Morto per mano di uno dei suoi allievi, per mano di colui che voleva a ogni costo salvare, magari sotto gli occhi irridenti dei servi di Voldemort.

Una scossa gelida gli trafisse la spina dorsale.

No, questo no. No, no, non così.

Avrebbe preferito bruciare anche l’ultimo brandello liso della propria anima piuttosto che leggere negli occhi ancora sbarrati del Preside l’orrore e il dolore di essersene andato fallendo, con il cuore gonfio di rimpianti.

I gradini scorrevano più veloci sotto i suoi piedi, mentre accelerava ancora e, finalmente, fu in cima, dinnanzi alla porticina della Torre, incorniciata da uno spigoloso arco a sesto acuto, scolpito nella pietra secoli e secoli addietro.

Avrebbe voluto spalancarla con forza, senza preoccuparsi di contenere la sua furia, anche se quella fosse finita fuori dai cardini a causa dell’eccessiva foga.

Invece, si fermò e rimase immobile per un lungo istante; i pugni ed i denti serrati, lottando contro i muscoli del proprio viso e contro il tremore del corpo.

Si fermò, e incanalò la rabbia solo contro se stesso, violentandosi per costringersi a calare ancora una volta la maschera sul volto affilato.

Una maschera fatta di niente, eppure poteva sentirla perfettamente premere sugli zigomi e sulle labbra e instillare sotto la pelle il velenoso dolore del gelo, modellando il suo viso.

Una maschera inesistente, a differenza di quella di lucido argento che indossava al cospetto dell’Oscuro Signore, ma ancor più impenetrabile e tragica.

Il fatto di essere riuscito a indossarla lo ferì e lo calmò insieme.

Ora poteva aprire la piccola porta dai battenti borchiati di ferro e andare incontro al destino, qualunque cosa lo attendesse oltre il vetusto strato di legno tarlato.

Sfoderò la bacchetta e spinse l’anta, mettendoci comunque molta più energia di quanto non avrebbe voluto.

L’uscio si spalancò e, anche se ancora non poteva saperlo, e ringraziò il cielo nel vedere Silente ancora vivo, il suo tempo finì in quell’istante.

Ora poteva solo scegliere e morire, qualunque cosa avesse deciso di fare.

Lasciare che la sua vita si spegnesse a causa del Voto o uccidere il proprio cuore.

Comprese più che mai che non gli restava nient’altro da fare, mentre lasciava correre rapido lo sguardo sul quadro agghiacciante che aveva dinnanzi, illuminato dal verde odioso bagliore del Marchio.

Un primo tuffo al cuore, quando vide in che condizioni era ridotto il vecchio.

Non era solo la maledizione dell’anello di Gaunt, doveva essere accaduto di peggio. Un altro Horcrux? Sapeva che Silente sarebbe stato via quella notte. Albus aveva trovato l’Horcrux e, nel distruggerlo, era andato incontro a qualcosa che l’aveva ulteriormente indebolito?

Cosa hai fatto, Albus? Cosa ancora, per rendere la tua vita sempre più incerta e inchiodarmi ai tuoi desideri?

Poi sollievo, nello scorgere il tremore di Draco, nel leggergli vergogna ed esitazione sul viso imberbe.

Draco era sempre in bilico, ma non era ancora caduto.

Poi, di nuovo un battito mancato, nella sua cassa toracica, e altri a seguire con disperato impeto, mentre si rendeva conto di quale masnada di sadici animali Draco aveva avuto l’indegno ardire di portare dentro la scuola.

Assassini senza scrupoli e bestie feroci, come Fenrir Greyback che gioiva e godeva del sapore acre del sangue. Liberi, in un castello pieno di ragazzini indifesi che non avevano mai avuto nemmeno la più pallida idea di cosa fosse realmente l’orrore.

Non devono restare qui, non posso lasciarli liberi di uccidere e devastare ogni cosa. Deve esserci un modo per allontanarli da Hogwarts.

Infine, l’ultima scheggia di consapevolezza a dilaniargli il petto, dove il cuore, perfettamente celato, era ormai impazzito: due scope abbandonate sul pavimento a tratti sconnesso della Torre.

Due, non una.

Potter.

Lì, vicino a lui, in mezzo a quel cenacolo di morte, il figlio di Lily si era cacciato nell’ennesimo enorme pericolo.

Silente doveva avergli impedito di commettere una delle sue solite ardimentose sciocchezze, ma Potter era lì, da qualche parte, magari nascosto sotto il Mantello dell’invisibilità che era stato di suo padre e che il Preside si ostinava, nonostante avessero più volte discusso al riguardo, a fargli tenere.

Non bastavano tre vite in gioco su questa dannata terrazza, Albus? Non finirà mai?

Pensieri angosciosi che erano durati solo lo spazio di pochi battiti di ciglia, susseguendosi rapidi come saette, mentre le iridi dure e nerissime del mago bruno percorrevano veloci ogni volto e ogni angolo della terrazza.

Aprì la mente, anche se sapeva che non ce n’era bisogno, perché era nudo, come sempre, sotto gli occhi del vecchio. La aprì con selvaggia disperazione, conscio che nessun altro, oltre a Silente, era in grado di leggerla.

Albus, no.

No, non chiedermelo ancora una volta, non posso, non ce la faccio.

“Abbiamo un problema, Piton” – la voce di Amycus segnò lo scadere delle sue speranze, riconducendolo ad una scelta straziante e impossibile – “Il ragazzo non sembra in grado… ”[2] .

No, Draco non era in grado, non voleva esserlo e in una situazione diversa lui ne avrebbe esultato, colmo d’orgoglio per il proprio pupillo. Ora, però, l’esitazione del giovane Malfoy, la salvezza di quell’anima cui teneva tanto, condannavano lui, se il vecchio avesse ancora preteso di vederlo sopravvivere al Voto.

Draco non è in grado, Albus, ma io? Perché doveri esserlo io? Ti prego, no, Albus, no.

Un pensiero gettato dentro gli occhi azzurri del preside in un istante, vanamente.

“Severus” – il suo nome pronunciato con dolcezza, con un tono accorato e quasi di supplica, gli gelò il sangue nelle vene.

No, Albus, no, basta! Lasciami andare. Lascia che sia io a morire, abbi pietà.

Una risposta muta la sua, poi si fece avanti e spinse Draco dietro di sè, rudemente, mentre la maschera sul suo volto rischiava di incrinarsi mostrando la rabbia e il dolore che lo dilaniavano. L’odio e il disgusto che provava per se stesso, all’idea di obbedire al vecchio, di accordargli ciò che Silente gli chiedeva da tempo.

Questo posso concedertelo, Albus: la salvezza di Draco, solo questo. Il resto no, è orribile, fa troppo male.

Mi odio al solo pensiero di poterlo fare, è disgustoso e mostruoso, inaccettabile.

“Severus… ti prego… ” [3] – parole mai udite prima sulle labbra del vecchio, perché Albus non era il tipo da supplicare. Troppo orgoglioso solitamente per farlo.

Eppure, l’aveva detto davvero – “Severus… ti prego… ” – e poi aveva spalancato la mente a Piton, senza pietà – Non deludermi, ragazzo mio, fa ciò che è giusto. Vivi, ti prego, per la causa e per me. Vivi per me!

Il mago bruno alzò la bacchetta e la puntò contro Silente, mentre il cuore gli si serrava in una morsa feroce, uccidendolo eppure lasciandolo dolorosamente in vita.

Come vorrei poterti odiare, Albus, come vorrei poterti infliggere il dolore della delusione.

Invece, non possedeva nemmeno più lacrime, solo odio e ribrezzo per l’assassino che non avrebbe mai cessato di essere e un affetto troppo grande per chi aveva sempre confidato in lui.

“Avada Kedavra!” – disse, mentre quei sentimenti affioravano sui suoi duri lineamenti, e il lampo verde dell’Incantesimo senza Perdono rischiarò l’oscurità che presto l’avrebbe risucchiato.

Il maleficio colpì Silente in pieno petto, spezzando l’ultima supplica della sua mente – Perdonami, figliolo, perdonami.

Un’invocazione perduta nella notte. Inutile, perché Severus Piton aveva già assolto il suo mentore, anche se non avrebbe mai smesso di condannare se stesso.

Rimase come pietrificato dal suo stesso gesto, desiderando solo di poter gridare il suo lutto e il raccapriccio e il dolore per quel che aveva appena dovuto compiere per dovere, lealtà e amore.

Sapeva di non poter lasciare che le sue labbra si schiudessero, perché ormai non gli era più dato di abbassare le maschera, doveva fingere, dinnanzi agli odiati emissari dell’Oscuro Signore; mentire anche col proprio viso, intrappolato nel suo ruolo di spia, finchè non fosse giunta la resa dei conti.

Non poteva che recitare, o il sacrificio di Silente sarebbe stato vano e lui non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Così, l’urlo di orrore non uscì mai dalla bocca di Piton; silenzioso e immobile, fu costretto a guardare Silente scagliato in aria: per un istante parve restare sospeso sotto il teschio lucente, e poi cadde lentamente all’indietro, oltre le merlature, come un’enorme bambola di pezza, e scomparve.

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

N.B.: L’intera frase, da “l’urlo di orrore” a “e scomparve” è presa da HP6; pag. 539, ma io, nel voler descrivere un altro punto di vista differente rispetto a quello solito di Harry Potter, mi sono permessa di cambiare il nome Harry in Piton (cosa che ho appositamente evidenziato usando il corsivo).

 

 

 

 



[1] Nell’intero capitolo mi sono permessa di giocare con le esatte parole di J.K.Rowling, per descrivere ciò che lei non ci ha detto su Piton nel sesto libro: i suoi pensieri e la sua angoscia profonda. Se alcune frasi sono prese interamente e letteralmente da Harry Potter e il Principe Mezzosangue, in altri casi il lettore potrà provare la vaga sensazione di aver già letto questo o quel termine nel libro della Rowling (ad esempio, si vedano l’odio e il disgusto cui accenna Piton nei propri pensieri). Il lettore si tranquillizzi, la cosa non è casuale.

[2] Le parole tra virgolette (pronunciate da Amycus) sono tratte alla lettera da HP6; pag. 539.

[3] Sempre da HP6; pag. 539, come anche il modo dolce in cui Silente chiama “Severus” poche righe più su.

   
 
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