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Autore: Miki_TR    13/11/2006    6 recensioni
Quattro momenti non particolarmente significativi che dipingono un rapporto. Difficile, come sempre tra due fratelli. Ma anche, in qualche modo, ricco e insostituibile, viscerale e unico al mondo.
E, in chiusa, un addio.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Molto d

Noticine prime di iniziare

Per prima cosa, non so esattamente perché ho deciso di postare oggi questa fanfic... Onestamente, penso, solo perché fuori dalla finestra c'è un tempo adatto a questa storia. Il che se ci pensate non ha senso, dal momento che nel resto d'Italia dubito che ci sia lo stesso cielo e soprattutto gli stessi tetti che vedo dalla mia finestra.
Comunque sia, pazzo o no, questo è il motivo che mi ha spinto a postarla.

In secondo luogo, questa One Shot tratta di uno dei rapporti che mi affascinano di più di tutta la storia, quello tra il fratelli Black. E' un tema su cui ritorno spesso, e che generalmente mi ronza sempre in testa anche quando sto scrivendo altro, e ogni tanto sento il bisogno di scriverci sopra.

Infine, il titolo è tratto dalla canzone "E un Giorno...", di Francesco Guccini. Il verso intero a cui fa riferimento recita: "[...] Non c'è solo il dolce ad attenderti, ma molto d'amaro, e non è senza un prezzo salato diventare grande...". Non la definirei la mia canzone preferita, ma ha il grandissimo pregio di essere assolutamente e del tutto vera.

Detto questo, vi auguro una piacevole lettura.

Un bacione a tutti,
Miki

 

 

 

Molto d'amaro

 

Frammenti di infanzia

 

La stanza restava quotidianamente semibuia, fatta eccezione per i pochi riccioli di luce che volenterosi superavano la barriera spessa della persiana accostata. I raggi del sole disegnavano linee sul tappeto polveroso, e il pulviscolo si sollevava pigramente in tranquille spirali irregolari nella calura del giorno estivo. Il pomeriggio si trascinava pigro per i due bambini rinchiusi nella stanza, sconfinata ai loro piccoli occhi, al sicuro da pericolose insolazioni grazie all'ombra, e al riparo da pericolose e imbarazzanti domande degli ospiti che vociavano al piano inferiore.

No, non erano sorvegliati da servitori o elfi domestici, quel giorno, i due fratellini. La stanza era chiusa e sicura abbastanza, i bambini beneducati, i giocattoli, che si accumulavano sul pavimento lasciando le ceste in cui venivano riposti a sera, controllati magicamente e non pericolosi.

Piccole giostre di porcellana e vetro, infrangibili grazie ad un incantesimo, giravano su se stesse sprigionando un arcobaleno di luci e musica da carillon, incantando per interi minuti due paia di occhi curiosi, finché qualche nuova idea non interveniva a distrarli, e le piccole mani andavano a frugare in una nuova cesta alla ricerca di un nuovo entusiasmante gioco da fare insieme.
Un cavalluccio di legno intarsiato e dipinto di colori vivaci fissava da un angolo della stanza i piccoli occupanti, anelando forse ad un poco di considerazione.
Piccole spade inoffensive e ingioiellate con preziosi emisferi di legno, dipinti come veri diamanti, giacevano dimenticate nell'anglo dove erano state lasciate quando la calura estiva aveva reso troppo faticoso inseguirsi e persino ridere.
La cesta dei costumi, abiti che evocavano grandi battaglie magiche del fumoso passato delle leggende, era stata svuotata già da tempo, e stracci colorati di broccato e seta decoravano il tappeto verde come nel camerino di una diva distratta. La cesta stessa era stata riutilizzata come fortino di fortuna in una battaglia accanita con piccole palle di preziosa carta filigranata, ormai un'ora prima.
La stanza sembrava contenere ancora un'eco delle risate precedenti, sebbene da qualche minuto fosse completamente silenziosa.

Sirius stava tenendo il broncio a suo fratello da più di dieci minuti, senza un perché. Regulus sospettava avesse a che fare con quello che lui aveva urlato poco prima mentre Sirius lo minacciava di indicibili torture se fosse capitato nelle mani di un mostro, un Molliccio quella volta, in una delle sue solite spaventose storie.
La voce e il tono delle parole di Sirius andavano sempre a toccare qualcosa in Regulus, quel senso profondo di malessere che associava ai momenti in cui era spaventato. Come quando Sirius si nascondeva sotto il suo letto la sera, forte del permesso di restare sveglio un'ora in più, per spuntare fuori urlando improvvisamente appena la luce veniva spenta e le ombre si facevano più minacciose. Sirius rideva con infantile cattiveria e Regulus cercava con forza di impedirsi di piangere.

A Regulus non piaceva che suo fratello non avesse paura quando lui l'aveva, ma Sirius si divertiva a spaventarlo quando si sentiva particolarmente dispettoso o annoiato. E Regulus non sapeva esattamente perché, ma dal tormento della paura cercava sempre di difendersi ad ogni costo, con tutte le armi in suo possesso. E aveva imparato molto prima dei suoi attuali otto anni che colpire Sirius sui più recenti rimproveri della loro madre equivaleva a potere ancora vincere contro di lui. Sirius, come quel giorno, metteva il broncio e non parlava.

Giocavano ciascuno nel proprio angolo di stanza ormai da diversi minuti, e Regulus cominciava ad accorgersi che il suo esercito di soldatini e maghi da guerra d'argento e avorio non era molto impegnato senza un avversario da affrontare. Potevano esercitarsi per ore ed ore seguendo i suoi comandi confusi e infantili, ma non si scontravano davvero e non avevano uno scopo.
Arrischiando uno sguardo dall'altra parte dell'invisibile barriera creata come per magia dal litigio con suo fratello, vide Sirius che sembrava impegnato e concentrato su tattiche e schieramenti, seduto nel mezzo di un accampamento del piccolo esercito d'oro e legno. Come se si divertisse anche a giocare da solo, qualcosa che Regulus, che non era mai stato figlio unico, non poteva credere davvero.

Sirius era concentrato e assorto, e confabulava accanitamente con un sergente mago che evidentemente aveva qualcosa da ridire sul suo modo di schierare i fanti dietro la linea dei cavalieri di Ippogrifi e davanti a quella dei cavalieri dei Draghi. Sentendo che poteva iniziare un gioco divertente che avrebbe distratto suo fratello dal suo broncio, Regulus ordinò sottovoce una sortita ai suoi fidati esploratori, col compito di rapire alle spalle di Sirius il suo Ambasciatore Mago.

I soldatini di Regulus erano da molto tempo abituati ad agire di nascosto e in silenzio, colpendo alle spalle, e Regulus dovette ammettere che anche quella volta se la cavarono bene e senza un solo suono di troppo.
Nessuno in realtà poteva prevedere che Sirius si sarebbe improvvisamente girato e avrebbe visto il bagliore del soldatino dorato trascinato da pezzi avversari, quando era ormai a metà strada tra la sua zona della stanza e quella di suo fratello. Sirius scattò, ma per una volta Regulus fu più veloce e un attimo dopo chiudeva avidamente le dita attorno al giocattolo implorante, pregustando con la mente la battaglia che sarebbe seguita all'oltraggioso rapimento.

La reazione di Sirius non se la sarebbe mai aspettata. Per anni gli rimase impressa la sua faccia che da seccata passava a furiosa nell'arco di un secondo. E Sirius lo attaccò, fisicamente, cercando di riprendersi il soldatino dal suo pugno che, di riflesso, si strinse ancora di più attorno all'oggettino, come se tenerlo stretto fosse la cosa più importante.

-E' mio!- urlava Sirius, indignato, rinunciando a cercare di forzare la presa di suo fratello, acchiappando una manciata dei suoi riccioli neri e tirandoli nel tentativo di convincerlo a mollare l'oggetto della contesa.

-No, l'ho catturato io!- strillò Regulus in risposta, divincolandosi e cercando di sottrarsi alla morsa delle dita di suo fratello sui suoi capelli, ostinatamente rifiutandosi di perdere quel litigio cominciato per nulla, cercando di non piangere anche se Sirius gli faceva male.

Gli strilli andarono avanti qualche minuto, e qualche calcio fu piazzato a lasciare un livido, prima che una governante attratta dal baccano li dividesse rimproverandoli severamente per il loro comportamento. Da dietro il grembiule inamidato di lei, Regulus sbirciò tra le proprie lacrime il volto di suo fratello, i suoi capelli disordinati e le lacrime di rabbia e stizza che scendevano dagli occhi arrabbiati.
Sirius lo guardava furioso mentre venivano rimproverati prima dalla governante, poi dalla loro madre richiamata dal baccano. Regulus cercava di ricambiare lo sguardo con uno altrettanto rabbioso, mentre stringeva così forte il soldatino di Sirius che aveva ancora in mano che la sua forma rimase incisa per qualche minuto nella pelle del palmo dopo che l'ebbe lasciato al sicuro nella sua camera.

Rimasero entrambi senza dolce quella sera, e Regulus silenziosamente ringraziò la governante per aver minimizzato l'accaduto con i loro genitori, o la punizione sarebbe stata peggiore.
Per tutta la cena Sirius tenne gli occhi bassi e mangiò come se stesse cercando di fare un dispetto a qualcuno in quel modo. Nessuno degli adulti al tavolo lo notò.

Dopo cena però Sirius andò nella sua camera prima che fosse ora di dormire, con in mano un libro illustrato di fiabe che a Regulus piaceva tantissimo, e lessero insieme una storia di centauri e folletti molto emozionante.
La voce di Sirius era un po' rauca per le urla del pomeriggio, e i suoi occhi ancora rossi (quelli di Regulus ancora bruciavano), ma la storia venne letta bene lo stesso, e le immagini che si muovevano tra le fronde di una foresta lontana e misteriosa erano splendide e affascinanti. E Regulus non ebbe paura quella sera del Lupo Mannaro cattivo, non nella sua stanza con suo fratello. Era solo una favola bellissima.

Il litigio tra i fratelli fu dimenticato come accade sempre tra bambini. Tuttavia, per qualche strano motivo, Sirius non richiese indietro il suo Ambasciatore Mago a suo fratello, né quella sera, né in seguito. L'esercito di Sirius rimase incompleto e Regulus dimenticò il giocattolo nel cassetto del comodino dove lo aveva riposto. E la vita al numero dodici di Grimmauld Place continuò come sempre.

 


 

Attimi di un addio

 

Il binario Nove e Tre Quarti era illuminato da una luce quasi accecante quella mattina, moltiplicata dal suo scintillare sui gioielli dei tantissimi maghi presenti, e sulle fibbie che assicuravano i bauli dei giovani rampolli del mondo magico, fino a riflettersi in brevissimi spazi di arcobaleno che comparivano effimeri sui muri di mattoni rossi.
Molte delle donne avevano portato un parasole, e tutti erano concordi nell'affermare che quella fosse l'estate meno nuvolosa che Londra ricordasse. I volti di parecchi ragazzi e anche di qualche adulto sprovveduto erano arrossati dai raggi impietosi che avevano caratterizzato la maggior parte di Luglio e Agosto, lasciando in ricordo scottature che si andavano spellando e un fiorire di lentiggini.

Sirius avrebbe ricordato per sempre quell'estate come l'estate della libertà.
Andarsene di casa, andarsene per sempre, per non ritornare, aveva rappresentato per lui un sollievo enorme, anche se gli era costato. Tutte le sue cose, la sua scopa, la sua bacchetta, erano rimaste nella sua stanza ed era stato necessario sostituirle. Non aveva più nemmeno una delle sue foto o delle lettere estive dei suoi amici.
Tuttavia si sentiva molto più in pace lontano dall'atmosfera del luogo dove era cresciuto, più sereno. Aveva smesso di essere sempre sul chi vive, di mentire e di tacere le cose più importanti per lui nel clima di terrore creato da sua madre in casa negli ultimi anni. Si sentiva infinitamente leggero, per questo. E stava bene dai Potter.

Eppure lo prendeva spesso in quei giorni di sole un'amara nostalgia di cose impensabili.
Non poteva immaginare che gli sarebbero mancate le stanze piene di ombra di casa sua, con gli scuri sempre socchiusi ad evitare che la pelle nobiliare si tingesse di un'indecorosa abbronzatura. Per tutta la sua adolescenza aveva spalancato la sua finestra in un gesto di sfida, ma per qualche giorno aveva faticato ad abituarsi alla luce che invadeva casa Potter dalle finestre sempre aperte.
Gli mancava dover uscire di nascosto quando i suoi non c'erano per comprare sigarette babbane o semplicemente per fare qualche passo in una Londra che non aveva nulla a che fare con Grimmauld Place.
Gli mancava l'adrenalina di infrangere un divieto, e la sensazione di essere spiato da occhi da delatore di elfi domestici.

Gli mancava qualcuno con cui litigare, non come sua madre, con la quale non poteva vincere, ma qualcuno con cui combatteva una battaglia ad armi pari, che spesso era un pretesto per rompere la noia o una sfida, più che un vero e proprio litigio.
Gli mancava qualcuno di cui non aveva potuto portare via i ricordi, di cui non aveva più foto magiche da guardare.
Forse, un po', gli mancava anche il poter scaricare su di lui la colpa di tante cose.
Gli mancava...

Sul sedile del treno che occupava fin dal primo anno, in una sorta di rituale del primo settembre, c'era un piccolo pacchetto.
Un involto di carta, lungo e stretto, piazzato accuratamente in modo che potesse vederlo prima di sedersi sul comodo velluto marrone del sedile. Un pacchetto che lo aspettava. Sirius sapeva che era per lui, anche se non aveva idea di cosa contenesse, prima ancora di vedere il suo nome scritto sul fronte dell'involto con una grafia anonima.
Sirius Black.
L'inchiostro nero marcava senza sbavature la sua proprietà, e la carta frusciò appena sotto le sue dita quando prese il pacchetto. Fu solo sollevandolo che si accorse che quella carta da lettere dell'involto improvvisato portava impressa una filigrana familiare.
Veniva da casa sua.

Anni di rappresaglie Black, che tendenzialmente non risparmiavano maledizioni e fatture, gli fecero balenare l'idea di lasciar cadere il pacchetto, abbandonando la fretta di scoprirne il contenuto in favore di un prudente esame che accertasse che non si trattasse dell'ennesimo "regalo" di sua madre.

Vinse la curiosità.
Per qualche motivo, l'istinto gli disse che non poteva aprire il pacchetto sotto gli occhi curiosi di James, preoccupati di Remus e solidali di Peter.
Ci sono cose nella vita di un uomo -di un ragazzo, anche, ad essere pignoli- che deve fare da solo. E fu felice di aver seguito il suo istinto quella prima mattina di Settembre, dopo aver aperto l'involto e scoperto il contenuto.

Una scatola di ciliegio finemente intarsiata, con lo stemma dei Balck impresso sul coperchio, e una chiusura d'argento. Era aperta sulla sua scrivania la notte che era fuggito, Sirius lo ricordava perfettamente. La serratura era magica, e una volta chiusa la scatoletta, solo il pollice di Sirius stesso poteva aprirla.

Non era difficile immaginare il contenuto, dal momento che si trattava di un porta bacchetta da scrivania.
Il mittente, tuttavia, restò un mistero fino al momento in cui il suo pollice impaziente si posò sulla chiusura che scattò con un click quasi impercettibile. I minuscoli cardini, anch'essi d'argento, erano perfettamente funzionanti e il coperchio si aprì rivelando l'imbottitura appena logorata da anni di uso.

La bacchetta di ebano era lì, poggiata come lui stesso l'aveva lasciata un mese prima, prima di scendere a quella cena che non avrebbe finito, lustra come se fosse stata lucidata da una mano affezionata prima che la scatola venisse chiusa.
Non c'era nella scatola nulla che potesse far indovinare a Sirius chi gli mandava quel dono, qualcosa di così personale che gli era mancato in quei giorni nonostante la sostituta appena mezzo pollice più lunga.
Un altro istinto, quasi una speranza di aver indovinato da chi provenisse l'involto, portò Sirius a tamburellare appena con la bacchetta sul lato sinistro della scatoletta, e un piccolo cassetto segreto, mimetizzato dagli intarsi, si aprì. Sirius sorrise, vedendolo pieno, sapendo che solo una persona era a conoscenza del doppio fondo, e poi con una strana emozione tra lo sterno e lo stomaco, si voltò appena verso il finestrino, scambiando uno sguardo indecifrabile con qualcuno che, fuori, era appena passato e l'aveva guardato dal binario.
Un'occhiata che durò un secondo, e poi la giornata riprese con il suo ritmo.

Sirius ricacciò una mezza lacrima che gli pungeva in un occhio, fece scivolare la bacchetta in tasca, e nascose la scatola sul fondo dello zaino che era il suo bagaglio a mano.

Per tutto il viaggio, però, mentre rideva e raccontava la sua fuga rocambolesca ai suoi amici, tenne in tasca un piccolo soldatino, un Ambasciatore Mago di legno di quercia e oro, accarezzandolo ogni tanto e stringendolo, ricacciando indietro a tratti un po' di nostalgia.

 


 

Pezzi di scelte

 

Il tramonto d'inverno era breve, ma non per questo meno suggestivo visto dalla riva del Tamigi. La luce delle stelle ancora era qualcosa che riguardava solo il cielo, che rendeva la striscia blu al di sopra di quella rossa simile ad un prezioso pezzo di seta bucherellato da tarme irrispettose, dopo essere stato relegato in un baule da un padrone negligente. Quelle luci ancora fievoli, che presto avrebbero dominato il cielo di Londra, nemmeno si riflettevano sulle acque, che quella sera in contrasto con la luce aranciata rendevano il fiume un sinuoso serpente di un verde limaccioso.

Sirius passeggiava seguendo la corrente del fiume, le mani nelle tasche del lungo cappotto nero, lo sguardo perso ora a seguire il flusso costante della corrente, ora quello della folla indaffarata.
Nella mano indurita dai calli di una lunga guerra il mago stringeva la bacchetta, sul chi vive a dispetto dell'aria da passante casuale, pronto a reagire con i riflessi di un soldato in guerra.
Solo saltuariamente le dita sfioravano appena l'altro oggetto che aveva in tasca, soffermandosi sulla forma familiare e indugiando un istante, prima che una sottile nostalgia diventata abituale negli anni tornasse a lasciare spazio alla tensione dei sensi all'erta.

Aspettava da almeno un quarto d'ora, ma non ne era davvero sorpreso. Chiunque nella situazione in cui quell'incontro si doveva svolgere avrebbe preso più di una precauzione, e lui stesso non si era recato all'appuntamento impreparato.
Il lusso della fiducia era qualcosa che ci si poteva concedere solo in tempo di pace, e non sarebbe stato certo lui ad essere così ingenuo da pensare che il sangue costituisse un motivo sufficiente per essere certo di della lealtà. Altrimenti lui stesso sarebbe stato schierato a morire dalla parte sbagliata, in quella guerra.

Vide arrivare l'uomo che stava aspettando a venti minuti dall'ora convenuta.
La figura sembrava fendere la folla con il passo sicuro di uno spettro, ma era reale e tangibile. Il mantello nero di foggia antiquata non avrebbe ingannato un babbano ad un esame attento, ma con la luce morente era quello che ci voleva per passare inosservato nella folla preoccupata di affrettarsi a casa senza fare brutti incontri. Lo stomaco gli si strinse in una morsa quando si rese conto che riconosceva il passo della persona, come se anni di distanza non avessero il potere di danneggiare i suoi ricordi precisi.

L'uomo era a pochi passi da lui. Sirius strinse la presa sulla bacchetta, muovendola appena nella tasca perché il suo gesto non passasse inosservato alla figura, che si fermò a un metro circa, togliendo le mani dalla tasche ed alzandole in un piccolo gesto di resa.
Disarmato.
O più probabilmente, convinto con la sua stessa arroganza che non ci fosse bisogno di avere già la bacchetta in mano per colpire prima del suo potenziale avversario.

-Regulus.- disse, come saluto, il tono della voce volutamente freddo.

Fratello pensò, come se la parola avesse un significato profondo che pensava di aver dimenticato dopo l'infanzia.

Regulus non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto a scuola, più di un anno prima. Si era fatto più alto, ma restava un ragazzo magro e l'ombra di barba regolare che aveva lasciato crescere non riusciva a farlo sembrare più adulto dei suoi diciotto anni.
Gli occhi erano rimasti nuvolosi e fragili come quando era un bambino e Sirius non sopportava di vederlo piangere.

-Sirius.- rispose Regulus imitando la stessa voce atona di suo fratello. -Volevi vedermi?- chiese poi, quasi casualmente, come se non ci fosse tra loro tutto quello che c'era.

Sirius lo scrutò per un altro attimo, prima di girarsi verso il fiume, appoggiandosi con gli avambracci al parapetto della strada e fissando lo sguardo nell'acqua che si faceva nera man mano che la luce scompariva. Era una posizione di vulnerabilità, ma apriva uno spiraglio di fiducia proprio per questo, e questo era importante nella conversazione che stavano per intavolare.
Sirius si sentiva appena a disagio in quella posizione, non solo in pericolo, ma anche troppo dannatamente simile ad una scena da libro giallo babbano. A voler convalidare la somiglianza, si accese una sigaretta estratta dalla tasca, e porse dopo un secondo di esitazione il pacchetto a suo fratello perché si servisse. Regulus accettò la sigaretta offerta e poi si appoggiò a sua volta al parapetto, di fianco a Sirius, imitando la sua posizione rilassata, in attesa.

Sirius tirò una boccata di fumo e la espirò nell'aria fredda di Londra. Non era da lui tergiversare.

-Sono vere le voci che ho sentito su di te?- chiese. Era sicuro di conoscere la risposta alla sua domanda, ma in quel caso specifico doveva farla.

Regulus nemmeno chiese di che voci si trattasse, come se quella conversazione fosse cresciuta con loro negli anni, dal momento indefinibile in cui avevano cominciato ad allontanarsi, fino a quella sera, quando ormai le decisioni erano prese e definitive per entrambe le loro vite.

-Sì.- rispose, semplicemente, senza staccare gli occhi dal fiume, senza guardare suo fratello.

Sirius se l'era aspettato, in verità, ma non era preparato al fatto che quel sì così sicuro gli togliesse per un attimo il respiro. Ma era così, e ora aveva la definitiva prova.
Regulus era un Mangiamorte.
I rapporti che da settimane si accumulavano sulla sua scrivania da Auror, e che lui non aveva aperto dopo aver letto il nome asetticamente vergato sulle etichette, non si sbagliavano. Suo fratello. Nelle file di Voldemort, per la vita e per la morte, poteva giurarci.
Era un tradimento così grande continuare nonostante tutto a sperare che fosse per la vita? Non gli importava davvero saperlo, non davanti a suo fratello che fumava senza guardarlo negli occhi.

-Stupido ragazzino idealista. E magari credi ancora che tutto questo sangue possa far fiorire un mondo migliore e stronzate simili.- sbottò.

Regulus gli rivolse un sorriso cinico senza guardarlo negli occhi, ancora.

-Una predica da fratello maggiore? Non sei tu l'idealista, tu che credi ancora che si possa migliorare il mondo senza qualche vittima?- chiese, la voce ironica e appena incrinata. Poi continuò: -Che altro abbiamo davvero da dirci, Sirius? Abbiamo sempre saputo che sarebbe finita così prima o poi. Dai due lati del campo di battaglia.-

Sirius rimase pensieroso appena qualche secondo. La sigaretta si consumava lentamente tra le sue dita tra una tirata distratta e l'altra, e Sirius la lanciò nel fiume appena prima che la brace arrivasse a scottargli la mano.

Poi si voltò e abbracciò suo fratello, qualcosa che non faceva da quando erano bambini. Un abbraccio rapido, che sorprese Regulus e lasciò i suoi occhi turbati, quando pochi secondi dopo Sirius lo lasciò andare e incrociò il suo sguardo limpido.
Regulus aveva odore di dopobarba e di lana, odore di incenso che era quello di casa, odore di Regulus. Non, ancora, odore di morte. Sirius si sentì appena sollevato.
Fece scivolare nella tasca di suo fratello un piccolo pezzo di un vecchio esercito di giocattoli, mentre lo lasciava, un pegno di un legame che avevano comunque, a dispetto di qualunque guerra.

-Abbi cura di te, piccolo Regulus.- gli augurò all'orecchio prima di lasciarlo andare.

Non aspettò di sentire la sua risposta, se mai fosse giunta.
Si allontanò sotto il cielo ormai buio di Londra, nella scacchiera delle luci dei lampioni che offuscavano appena le stelle fisse nella volta celeste, superando la loro luce fredda e ipnotica.

Sperò contro ogni logica che non fosse l'ultima volta che vedeva suo fratello.

 


 

Antifona di una fine

 

Non era mai stato un uomo mattiniero, ma non volle perdersi quell'alba. La luce filtrava lieve dalla finestra della sua stanza, la stessa che aveva occupato da bambino, piena delle sue cose, dei suoi libri, dei ricordi di quello che aveva amato. Aveva aperto gli scuri e vedeva chiaramente il cielo tingersi di rosa all'orizzonte, tra i palazzi che infrangevano la luce e che gli avrebbero impedito di veder sorgere il sole.

Nonostante fosse ancora buio, la luce della sua stanza era spenta, perché non aveva bisogno di vedere altro che lo specchio chiaro della finestra per compiere quello che doveva.
Un chiurlo, un piccolo e anonimo gufo notturno che non aveva nemmeno un nome, attendeva pazientemente istruzioni per il piccolo pacchetto che portava appeso ad una zampa.
Regulus lo prese sul polso, fermandosi appena a riflettere, prima di lanciarlo, su come fosse possibile che un animaletto tanto minuto fosse adatto ad un compito che pesava come un macigno.

Un'ultima consegna per lui.
Un testamento, quasi, per Regulus.

Lanciò il rapace con un gesto deciso, e lo vide spiccare il volo nel cielo che si andava schiarendo pian piano. Lo seguì con gli occhi fino a vederlo scomparire. Salutò con lo sguardo il messaggero che portava a suo fratello il suo ricordo, quel piccolo soldato di legno e oro con cui avevano giocato, che si erano disputati da bambini e passati come un testimone da adulti.
In ricordo di lui.

Aveva un compito da svolgere, quel giorno. Di importanza fondamentale, non per una stupida idealistica causa, come l'aveva definita Sirius al loro ultimo incontro, ma per mettere un piccolo pezzo di aiuto per fermare l'orrore. L'unica cosa che era riuscito a scoprire, l'unica cosa che poteva davvero fare.

Scese lentamente fino all'ingresso principale, al buio quasi, guidato dalla luce grigia dell'ultima mattina della sua vita.
Si accomiatò dagli oggetti familiari che incontrò lungo il suo percorso, dalla porta della stanza dei giocattoli che non apriva più da anni, dai riccioli scolpiti su un tavolo nel corridoio che era appartenuto ad un suo antenato, dai ritratti sonnacchiosi, dalle piante rigogliose nei vasi, per sempre perfette grazie ad un incantesimo.

Percorse per l'ultima volta i corridoi e lasciò le ultime impronte sul tappeto, sentendo una sottile angoscia e un senso di riconoscenza per la vita che aveva vissuto.
Lasciò una breve lettera per sua madre sul mobiletto ottocentesco di fianco alla porta di ingresso, dove l'avrebbe trovata un elfo quando ormai lui sarebbe stato lontano.

Salutò le ultime spoglie della sua vita, poi aprì la porta e si incamminò nella piazza, e di lì, in strada.
Non si girò a guardare Grimmauld Place, numero dodici, che scompariva come inghiottita dalle anonime case vicine, cresciuto abbastanza per andare avanti nonostante la nostalgia amara.

E si incamminò in quell'ultima alba ancora fredda, con in mente solo il suo scopo.
E il vago ricordo di una vita intera come brevi immagini nella sua mente, un retrogusto amaro alla luce nascente del sole.

  
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