Camminavamo nella città che si apriva e si chiudeva come un ventaglio, rapiti dal sinuoso movimento dell’aria frizzantina contro i palazzi. I nostri fiati dipingevano nel vento misteriosi arabeschi vitrei che schiudendosi, si sperdevano. Camminavamo uno a fianco all’altro, io e te, con la sciarpa accoccolata come un gatto sul collo e non parlavamo. Raccoglievamo gli ultimi raggi caldi del sole in vista dell’inverno. Ascoltavamo le foglie bagnate e calpestate per terra che gridavano. Annusavamo l’odore pungente e acre della pioggia. Vivevamo l’autunno, eravamo noi stessi l’autunno e ne comprendevamo il minimo repentino segnale. Uno sguardo e tutto era chiaro. Non esistevano misteri fra noi due; eravamo fatti della stessa fuggevole essenza. La gente intorno a noi correva al lavoro, comprava, parlava, litigava. L’autunno impalpabile era nostro, nessuno lo coglieva come un fiore e lo faceva suo. Solo io e te, nella voragine di pensieri. Io e te che ci facevamo amanti fisici e spirituali della Natura, che avevamo le nostre anime intrecciate al suo tronco, che ascoltavamo il suo respiro flebile ed universale, e vivevamo di esso. Vivevamo di suoni e di colori, di speranze e sfide, in quegli anni. 

Ma non sapevo che poco dopo il mondo mi avrebbe strappato da questa vita per mutarmi in una delle tante persone frettolose che correvano al lavoro, compravano, parlavano, litigavano. E non ascoltavano. 

 

Anni dopo provai a cercarti. Volevo vederti, ricordare insieme a te. Volevo ricominciare. Ma non ti trovai. Non ti trovai e non ti rividi mai più.