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Autore: Acardia17    18/04/2012    9 recensioni
Non sarebbe sopravvissuto a quella serata.
Gli inservienti dello Scandals lo avrebbero trovato riverso in un cubicolo del bagno, soffocato nella custodia della chitarra nella quale avrebbe sigillato la testa per la vergogna. Lo avrebbero riconosciuto attraverso le citazioni dal testo di “Love is the drug” dei Roxy Music scarabocchiate a pennarello indelebile sulla tracolla.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Acardia17
Beta: Nefene (adorabile velocista ♥)
Pairing: Klaine
Rating: R/Arancione
Avvertimenti: What!if. Kurt e Blaine non si sono mai conosciuti… o forse sì?

É… una cosetta idiota. L’ho scritta in modo più che spensierato, ripetendomi “Sant’iddio, sto scrivendo fluff” e ridacchiando tra me e me, perché mi sono davvero divertita un sacco. Era da tempo che non scrivevo a ruota libera, lasciandomi guidare solo da qualche scintilla d’ispirazione e dalla voglia di raccontare senza troppe pretese. Questa mini-long – quanto mini ancora non lo so; ho mille idee per i capitoli seguenti a questo, tutto dipende quante di esse vorrò sviluppare! – nasce così, per intrattenermi e intrattenere. È la mia prima vera Klaine mediamente massiccia, mi fa ridere – non badate a me, l’ho farcita con qualche accenno di imbarazzantissima real life – e boh, spero diverta un poco anche voi!
Baci, e buona lettura!  

 




 
Come Blaine venne pubblicamente umiliato il giorno del suo compleanno – e ciò che ne conseguì.


 

 
Non sarebbe sopravvissuto a quella serata.
Gli inservienti dello Scandals lo avrebbero trovato riverso in un cubicolo del bagno, soffocato nella custodia della chitarra nella quale avrebbe sigillato la testa per la vergogna. Lo avrebbero riconosciuto attraverso le citazioni dal testo di “Love is the drug” dei Roxy Music scarabocchiate a pennarello indelebile sulla tracolla. Doveva solo trovare il modo di scollarsi di dosso Nick e David e convincerli che tutto l’alcol che gli avevano fatto ingurgitare stava cominciando a suonare la fisarmonica con la sua vescica. Si sarebbe rinchiuso nell’unica toilette con una serratura ancora integra e avrebbe detto le proprie ultime preghiere chiedendo al destino perché, di tutti i modi possibili in cui farlo fuori, ne avesse scelto uno così crudelmente ridicolo, e poi…
“Ehi Blaine, hai l’aria di avere la gola secca!”
Thad gli piazzò in mano una Piña Colada ghiacciata, affibbiandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
“Per certe cose servono corde vocali bene oliate,” aggiunse Nick con un occhiolino.
Blaine non tentò neppure di opporsi. Emise un gemito sconsolato e nascose la faccia nel bicchiere, sperando che il colore acceso del cocktail non esaltasse il rossore sulle sue guance; bevve il più velocemente possibile nella speranza di stordirsi almeno un poco.
Dio, lui non sarebbe neppure voluto uscire. Aveva programmato una rilassante serata chiuso in camera, vestito di una tuta e in compagnia di una lunga playlist con la quale rintronarsi fino a quando non fosse scoccata la mezzanotte e non avesse potuto tirare un sospiro di sollievo al pensiero che il suo compleanno era passato, che aveva compiuto vent’anni senza incidenti e il giorno seguente se la sarebbe cavata con una frasetta o due di ringraziamenti cumulativi sul suo profilo di Facebook.
Magari avrebbe organizzato una cenetta tranquilla la settimana successiva, giusto per non scontentare nessuno e scansare le lamentele di chi l’avrebbe assillato di domande su come mai non avesse intenzione di far festa.
Aveva rifuggito i festeggiamenti deliranti anche in famiglia: dopo anni, era finalmente riuscito a convincere sua madre che cucinare tutti i suoi piatti preferiti bastava ad augurargli un “Buon Compleanno” delle stesse dimensioni dell’intera tavola da pranzo, ed era più che sufficiente a colmare ogni suo bisogno d’affetto – nonché il suo stomaco. Niente al di fuori dell’ordinario: solo il solito nuovo paio di guantoni da boxe che suo padre gli comprava ogni anno, convinto di avere individuato il regalo perfetto – la boxe era uno sport virile, dopotutto – e che tuttavia era sua madre a consegnargli mentre lui tardava a lavoro, cinguettando un “E anche quest’anno le tue mani da musicista sono salve.”
Dopo una veloce telefonata su Skype con suo fratello, in California a rimbalzare come una pallina da ping pong tra un’audizione e l’altra, aveva creduto di potersi accoccolare sulla propria poltrona di fronte al pc e navigare sul web del tutto a caso, sfogliando blog su blog e interessandosi a cose che non avrebbe mai avuto il tempo di approfondire. Il tutto ovviamente in compagnia della sua playlist, che avrebbe potuto ballare serenamente nella sicurezza della sua camera, naturalmente chiusa: a quell’ora circa suo padre tornava a casa da lavoro, e non sembrava mai troppo entusiasta di vederlo saltellare in giro per la stanza – Blaine sapeva bene di non avere movenze altrettanto virili nella danza quanto nella boxe.   
Poi, verso le dieci di sera circa, qualcuno aveva suonato il campanello. Blaine, che dopo essersi fatto la doccia si era appena arrampicato sul letto trascinandosi dietro il portatile e stava sfogliando le News di Relix meditando su quali compagni di corso avrebbe potuto ricattare perché lo accompagnassero a Broadway ad assistere a Once, aveva giusto fatto in tempo a tendere l’orecchio verso la porta prima che David e Nick irrompessero nella sua stanza con l’aria di chi è appena sceso dal Deja Vu di Six Flags. Il che avrebbe significato un’espressione nauseata nel caso di Blaine, ma non nel loro.
“È qui il festeggiato?” aveva trillato Nick, euforico.
“Uhm, bagnato,” aveva commentato David, notando i suoi capelli ancora umidi dalla doccia. “Sexy.”
Nick gli aveva tirato una gomitata e aveva ridacchiato complice.
Blaine avrebbe dovuto capire allora che qualcosa non andava, ma la verità era che era stato semplicemente felice di vedere i suoi amici. Organizzare una festa, con tutti i possibili inconvenienti, a una settimana scarsa da un esame di Statistica? Non faceva per lui. Un paio di battute nella tranquillità di camera sua? Gli faceva piacere che fossero stati loro a raggiungerlo, dato che lui si era riservato di rimandare i festeggiamenti al week-end successivo.
“Ehi,” aveva esclamato con un gran sorriso, scompigliandosi i capelli con una mano. Se sua madre avesse saputo che li aveva ancora bagnati gli avrebbe di sicuro fatto una ramanzina, compleanno o non compleanno. Si tirò il cappuccio della felpa sul capo.
“Mettiti un paio di pantaloni che non siano quelli del pigiama, Yogi,” gli aveva intimato Nick, dirigendosi verso l’armadio. “Ti portiamo fuori.”
Blaine gli si era parato di fronte. Primo, al momento era particolarmente affezionato ai suoi pantaloni del pigiama. Secondo, la superficie interna delle ante del suo armadio era tappezzata di foto che non era niente affatto desideroso che i suoi etero e fidanzatissimi amici vedessero. Si rovinerebbe l’anta, diceva a sua madre quando gli chiedeva perché non potesse toglierle. Le mancava poter ficcanasare nel suo guardaroba. Ma siccome a Blaine non mancava affatto, le foto rimanevano dov’erano.
“Ragazzi, a dire il vero…”
David si era lasciato cadere seduto sul letto e aveva sfoggiato un’espressione incoraggiante. “Una cosa tranquilla,” aveva assicurato. “Facciamo un giro in centro, un brindisi in macchina e poi ti riportiamo a casa in tempo per il tuo sonno di bellezza.”
“Io non fa-”
“Promesso.”
Blaine non avrebbe dovuto fidarsi.

 
 
Mezz’ora dopo si trovavano davanti allo Scandals. L’intera squadra degli ormai ex Warblers, al completo di tutti coloro che aveva conosciuto dal primo all’ultimo anno trascorsi alla Dalton, era appostata di fronte all’ingresso. Erano tutti vestiti di scuro, ma sul loro petto la cravatta satinata rossa e blu della vecchia divisa scolastica risaltava nel buio come un segnale stradale.
Avevano esultato vedendoli, fischiando e agitando le braccia per salutarli mentre si incamminavano dal parcheggio. 
Blaine aveva rivolto un’occhiata stralunata a David - lo Scandals? Per fortuna che dovevano fare un giro in centro. Ma si rendevano conto di dove esattamente si trovassero? – e aveva abbassato lo sguardo sulla propria polo bianca, che sia Nick che David gli avevano consigliato caldamente di indossare. Nessuna cravatta per lui.
“Lo Scandals. Sul serio,” aveva sbuffato incredulo, senza ben sapere come commentare la truppa in attesa proprio al di sotto dell’insegna. Nonostante tutto, non era riuscito a non sorridere.
Nick e David l’avevano spinto in avanti, tra le pacche sulle spalle e gli auguri dei suoi amici. Jeff lo aveva abbracciato per il collo e l’aveva scrollato dall’alto della propria statura.
“Tu sarai anche un veterano di locali gay all’ultima moda,” aveva esclamato ridacchiando. “Ma dacci tregua, c’è gente con la fidanzata qui. Non eravamo sicuri di essere pronti a qualcosa di più di questo.”
“Pronto alla tua serata, Blainey?” aveva strillato invece Thad, già vagamente alticcio, agitando un pugno per aria. 
Blaine era indietreggiato di qualche passo. Aveva un bruttissimo presentimento. Tutto quell’entusiasmo aveva un non so che di leggermente contrastante con la definizione di “cosa tranquilla” di David.
Forse se avesse cominciato a correre molto forte sarebbe riuscito a seminarli e a raggiungere di nuovo la sicurezza di casa. Forse gli sarebbe bastato nascondersi dietro un cespuglio.
“Ok, fatemi capire,” aveva balbettato. “Cosa sta succedendo qui?”
Nick aveva esibito il sorriso di uno Stregatto che ha tra le grinfie un'Alice molto succulenta, poi aveva estratto da dietro la figura corpulenta di Jack la custodia di una chitarra – la sua chitarra - e un sacchetto in microfibra con lo stemma della Dalton che Blaine riconobbe come l’involucro degli asciugamani sovvenzionati dalla scuola. “La tua sorpresa di compleanno, ovviamente.”
Il sacchetto in microfibra era tenuto chiuso da un lungo laccio scuro. Prima che Blaine potesse provare a fuggire, Nick gliel'aveva legato intorno a un polso. Poi aveva sfilato la chitarra dalla custodia e gli aveva appeso la tracolla a una spalla, tenendola stretta come se fosse un guinzaglio.
“Io non entro così lì dentro,” aveva protestato Blaine. Tra il fatto che si trovava circondato da un plotone di ragazzi vestiti di nero con la stessa identica cravatta mentre lui indossava una maglietta chiara e la chitarra che gli pendeva dalla spalla, sarebbe spiccato nella folla come un’insegna al neon. Sempre che lo facessero entrare con una chitarra. E che cosa diavolo avrebbe dovuto farci, lui, con una chitarra?
“Oh, ma tu non entri,” aveva ridacchiato David. Dannato David. Era chiaro come il sole che fosse lui la mente dello scherzo. “Tu aspetti qui fuori. Le serenate non si sentirebbero con la musica in sottofondo.”
“Le se…” Blaine stava cominciando a capire. “Oh, no-”
“Oh, sì!” aveva asserito Jack.
Jeff era scoppiato in una fragorosa risata. “Hai scaldato le corde vocali, usignolo?” 
“Mentre noi ci diamo il turno per andare dentro a prenderti qualcosa da bere, perché ne avrai bisogno,” aveva iniziato a spiegare David, euforico, “tu aspetti che i ragazzi escano da quel locale, quando ne vedi uno che ti piace lo fermi e gli fai pescare un bigliettino dal sacchetto.”
“Oh, no. No, no, nononono…”
“Sì, sì, sì, sì.”
“Ma voi siete completamente fuori di testa.”
“Oh avanti, un po’ di coraggio! Lo facciamo per te, Blainey!”
“Senti la forza, Luke!”
“Non vorrai mica continuare a fartela solo con le foto attaccate all’armadio?”
Blaine aveva assunto una tonalità purpurea.
“Per ogni bigliettino c’è una canzone che conosci.”
“Un paio di versi, che vuoi che sia-”
“Noi facciamo l’accompagnamento-”
“Voi siete completamente pazzi.”
“Di te!”
Scrosci di risa.
“Vi odio.”
“Buon Compleanno, Blaine.”


 
 
Due Margarita e una Caipiroska alla fragola più tardi, Blaine era ancora sicuro che sarebbe morto d’imbarazzo. In un modo o nell’altro, l’umiliazione o l’alcol gli avrebbero dato alla testa e gliel'avrebbero fatta scoppiare.
Si era rifiutato categoricamente di fermare chicchessia, così Nick e Jeff avevano deciso di farlo per lui. E mentre vederli discutere su quanto fosse carino o meno un ragazzo quando nessuno dei due era in grado di vedere oltre un seno prosperoso o l’alternativo paio di curve pronunciate, Blaine sudò freddo quando iniziarono a dirigersi verso un giovane lentigginoso a occhio e croce della sua stessa età.
“Ehi, tu! Tu! Il nostro amico vuole cantarti una canzone!” presero a strillare.
Blaine, la faccia in fiamme, si voltò verso Trent e seppellì il viso sulla sua spalla. Cosa che avrebbe fatto solo ed esclusivamente con lui, perché era certo al mille per mille che non avesse a che fare con quella messinscena. Non Trent, che oltre a condividere i suoi gusti aveva la stessa malizia dell’Ape Maia.
“Vi odio,” disse comunque, perché, per quanto Trent avesse una spalla morbida e abbastanza grande da nascondervi comodamente il volto, era pur sempre un complice.
Nel frattempo il ragazzo lentigginoso – altra vittima innocente – era stato trascinato verso di lui.
“Blaine! Vieni, su – devi scusarlo, è timido-“
“Hai una canzone da cantare!”  
Trent gli batté una pacca di compatimento sulla schiena.
“Fagli pescare il biglietto!”
Blaine si voltò con un sospiro e rivolse un’occhiata sconsolata al ragazzo, che, doveva ammetterlo, nonostante l’espressione disorientata era piuttosto carino. Il fatto, invece di confortarlo, lo calò ancora più a fondo nella disperazione.
“Mi dispiace,” mugugnò preventivamente, tendendo il braccio a cui era appeso il sacchetto.
Il ragazzo sorrise. “Come mai… questa cosa?” chiese mentre Jeff scioglieva tra le risa il nodo del laccio.
Blaine trattenne un gemito nel vedere esattamente quanti bigliettini erano contenuti all’interno dell’involucro. Se davvero a ognuno corrispondeva una canzone, entro la fine della serata non avrebbe avuto più voce. E neppure dignità, ovviamente.
“È il mio compleanno,” rispose, come se gli stesse rivelando una maledizione.
“Auguri,” commentò il ragazzo con un sorriso – denti storti, notò Blaine - immergendo la mano tra i foglietti. David, alle sue spalle, stava sbirciando senza ritegno. Non appena il biglietto fu dispiegato scoppiò sfacciatamente a ridere, indietreggiando per condividere il titolo con Nick e gli altri.
Blaine, che si era limitato a ringraziare per gli auguri, si sporse a leggere.  
‘Britney Spears – Baby one more time”.
In basso a sinistra era vergato a penna il suo numero di telefono, affiancato da un grosso ‘Chiamami! Lo solitudine mi uccide*!’.
Li avrebbe ammazzati. Tutti, dal primo all’ultimo.
 
 


Dopo ‘Baby one more time’ fu il turno di “I want it that way” – Chiamami! Sei il mio fuoco!* -, “Naughty girl” – Chiamami! Voglio sentirti dire il mio nome!* -, “Bye bye bye” – Chiamami e facciamo pace* – e “Candyman” – Chiamami, zucchero!*
Blaine avrebbe voluto scomparire. Scavarsi una fossa nell’asfalto del parcheggio dello Scandals e infestarlo in eterno cantando nenie tetre dalle profondità del cemento.
Avrebbe voluto smettere di fare caso a chi David e gli altri fermassero, affogare l’umiliazione nell’alcol e limitarsi a cantare - sarebbe bastato non presentarsi mai più in quel locale, che tra parentesi distava appena un isolato da casa sua, e dimenticarne l’esistenza -  ma divenne difficile quando la voce che un gruppo di pazzi stava umiliando pubblicamente un amico nel parcheggio costringendolo a cantare serenate compromettenti a caso si diffuse, e un nutrito gruppetto di persone si appostò fuori dall’ingresso dello Scandals ad assistere alla sua mortificazione.
Mortificazione che in fondo – in fondo in fondo, ma davvero molto in fondo – aveva cominciato in parte a tramutarsi in divertimento.
Quando un ragazzo davvero attraente estrasse “Glad you came” con un sorriso che spaccava le pietre, Blaine pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto se avesse dato retta a quel ‘Chiamami, e il tuo universo non sarà mai più lo stesso’.
Certo, Blaine non era tipo da sconvolgere l’universo di nessuno, tantomeno quello di una specie di Principe Azzurro in brillantina con lo sguardo di chi è abituato a vedere i ragazzi cadere ai propri piedi con una sola occhiata – era mai possibile che la bellezza dovesse sempre andare a braccetto con un ego smisurato? – ma c’era la remota possibilità che dopo quella serata avrebbe ucciso solo un paio dei suoi carnefici. Nick e David, decise, quando questi due gli chiesero se volesse appartarsi in un angolo con uno dei fortunati pretendenti, e se per caso non gli potesse fare comodo anche un paio delle loro cravatte – così, per ogni evenienza. Decisamente sarebbe toccato morire a Nick e David.   
Al quinto drink cominciava ad avere la testa decisamente più leggera e con orrore si accorse solo troppo tardi di  essere scivolato in ginocchio sulle note di “Let me love you”, ai piedi di una specie di gigante moro in camicia di jeans e cappellino da baseball.
Il nugolo di curiosi applaudì ed esultò, e Blaine si rialzò in piedi immediatamente,vergognandosi come un ladro e correndo a nascondersi alle spalle di Trent senza nemmeno degnare di un’ulteriore occhiata l’orso bruno.   
“Anche tu, dai!” sentì urlare Jeff rivolto all’amico del tizio in cappellino da baseball.
Blaine provò a pigolare un “Basta” sconsolato, ma Jack lo afferrò per le spalle e lo spinse in direzione del ragazzo, facendogli rimbalzare la chitarra sullo stomaco.
Era alto non più di qualche centimetro più di lui, considerò Blaine, e aveva un viso rassicurante. O almeno così sembrava a lui, dato che non riusciva a capire se lo stesse compatendo, se non fosse particolarmente divertito dalla situazione oppure se lo fosse e gli stesse facendo la cortesia di non mostrarlo troppo apertamente. 
Era vestito in modo del tutto diverso rispetto all’amico: camicia bianca dal taglio elegante, stretti pantaloni neri e panciotto grigio fumo sdrammatizzato da un foulard di un giallo lucido e acceso infilato nel taschino.
Blaine si accorse di starlo osservando in modo un po’ troppo insistente – non era particolarmente appassionato di moda, ma sapeva apprezzare un tocco di gusto personale nel vestire, senza contare il fatto che la sua mente inibita dall’alcol sembrava processare certi dettagli al rallentatore - e tese velocemente il braccio con il sacchetto.
“Sei bravo. Davvero bravo,” commentò il ragazzo, sorridendo appena. “Te ne mancano ancora tanti?” aggiunse poi, occhieggiando il sacchetto e i biglietti al suo interno.
Blaine lo guardò da sotto un paio di ricci ribelli – non osava immaginare che mostruoso cespuglio dovesse avere in testa, visto che era uscito di casa con i capelli ancora umidi – e decise che… beh, gli piaceva.   
Gli piaceva il tono timido – misurato, più che timido - con il quale gli aveva fatto i complimenti, la sua voce flautata – più che flautata poteva davvero sembrare quasi femminile – e il fatto che fosse… ordinato.
Emise un sospiro. “Non sono sicuro di avere abbastanza voce.”
A Blaine piacevano le persone ordinate. Il che era un pensiero piuttosto singolare e un indice abbastanza lampante di quanto effettivamente potesse sconvolgere il mondo di qualcuno, essere il fuoco di qualcun altro e cantare “I’m sexy and I know it” credendosi davvero tale, ma dopo un’intera serata trascorsa a cantare una gamma di canzoni nel migliore dei casi orecchiabili ai ragazzi più disparati, selezionati grazie all’indiscutibile buongusto dei suoi amici, gli sembrava una qualità indispensabile. 
Quel ragazzo aveva qualcosa di familiare, che lo metteva a suo agio.
Abbastanza a suo agio da non battere ciglio quando lesse sul bigliettino “Katy Perry - Teenage Dream. Chiamami, se vuoi entrare nei miei jeans” - , quasi grato che non gli fosse capitato qualcosa di peggio (era quasi certo che da qualche parte in quel sacchetto ci fosse anche un pezzo delle Spice Girls, dai frammenti di conversazione che aveva colto tra quegli psicopatici dei suoi amici). Non lanciò neppure un’occhiataccia a David – la calligrafia era la sua, nonostante avesse inutilmente cercato di camuffarla – e si sistemò meglio la tracolla della chitarra sulla spalla.
Il ragazzo invece emise una risata sinceramente divertita. Blaine lo guardò tra il perplesso e il mortificato, conscio d’un tratto della propria maglietta bianca stropicciata, del sudore sulla propria fronte e delle ginocchia impolverate dei propri pantaloni, frutto della scivolata di fronte all’orso bruno.
“Scusa,” esclamò lui in risposta, agitando le mani. “Il palcoscenico è tutto tuo.”
Blaine abbassò il capo e si scompigliò i capelli per dissipare il nervosismo. Poi appoggiò il plettro sulle corde della chitarra, deglutì l’imbarazzo, prese fiato, e cominciò a cantare.
 


 
Il mattino – pomeriggio? - dopo, Blaine si svegliò con la testa sepolta sotto il cuscino e con il cellulare che vibrava schiacciato sotto lo stomaco. Era sicuro che avesse suonato almeno dieci volte. Deciso a ignorare anche quell'ennesimo squillo, inarcò il busto tanto quanto bastava per recuperare il telefono e premere una mezza dozzina di tasti a caso affinché smettesse di trillare.
Evidentemente doveva aver scelto la sequenza sbagliata, perché all’improvviso la voce di suo fratello risuonò in vivavoce nella stanza.
“Ehi, Schizzo, sveglia. Ho appena sentito la mamma e sta cominciando a presagire la tua morte per almeno una decina di moventi diversi. Cos’è poi questa storia che tieni la porta di camera tua chiusa a chiave? Quando torno da Los Angeles la voglio spalancata e pronta ad accogliere il tuo fratellone. Lo sai che ogni tanto ti rubo un cravattino dall’armadio. Tutto il resto mi va stre-”
“Non è chiu-” lo interruppe a effetto ritardato Blaine, che per lo sorpresa si era alzato a sedere. Oh. Sì. Lo era. L’aveva chiusa per evitare che sua madre lo vedesse nello stato pietoso in cui era stato recapitato a casa da Nick e David.
E considerato che attualmente aveva indosso solo i pantaloni del pigiama e la cravatta della sua ex divisa della Dalton, aveva fatto bene.
“Mmh. Sì. Ok,” mugugnò, rotolando giù dal letto. “Metti giù che spendi. Grazie.” Chiuse la chiamata ancora prima di finire la frase.
 Stropicciandosi gli occhi, intercettò l’orologio a muro. Le due. Sua mamma probabilmente aveva già vagliato l’ipotesi del tentativo di suicidio.
Si sfilò la cravatta dal collo, tastò il materasso alla ricerca della maglia del pigiama e afferrò il cellulare, avviandosi verso la porta. Era quasi giunto sulla soglia della cucina, dove sua madre stava sparecchiando la tavola del pranzo, quando diede un’occhiata allo schermo del telefono.
La decina di squilli che aveva sentito non erano trilli della sveglia, ma messaggi.
Tre erano da parte di Wes.
Mi hanno raccontato cosa ti hanno fatto fare. Non ci credo.
Dovevo esserci. La prossima volta Jessica festeggia il nostro anniversario con sua madre!
Non le dire che te l’ho detto. 

Uno proveniva da un numero sconosciuto e soprattutto straniero, e aveva a che fare con una misurazione piuttosto dettagliata di cui Blaine cancellò ogni traccia prima ancora di scorrere la totalità del testo.
Ce n’era uno di Trent – Quando sarai sobrio ti chiederò scusa!!! Non so proprio come tu abbia fatto a resistere. Grande! -  e uno di David – Sono il migliore amico che CHIUNQUE possa avere – ma fu a causa dell’ultimo messaggio in lista che Blaine ignorò completamente la ramanzina di sua madre.

Ehi, Teenage Dream, alla fine ti è rimasta un po’ di voce?

      

 
Continua…









* Gli asterischi contrassegnano alcuni riadattamenti di citazioni dai testi dallo splendido repertorio che il povero Blaine è stato costretto a cantare. Suvvia, le riconoscete! Eccome se le riconoscete!
La maglietta bianca è colpa di Darren Criss, che sta bene in tutto, ma la maglietta bianca è la maglietta bianca.

Un ringraziamento amoroso e appassionato va a Zuzallove, che ha letto questo capitolo in anteprima e mi ha contagiata con il suo splendido entusiasmo. Il fandom di Glee è più bello se c’è lei.
Ovviamente devo ringraziare anche la mia Beta d’eccezione, Nefene, che ha dato una revisionata lampo al testo qualcosa come – mezz’ora fa? È meravigliosa, sapevatelo.
Dulcis in fundo, le due sopracitate donzelle e la sottoscritta hanno ideato una challenge su Facebook: The Gleeky Cauldron. Se vi va di scrivere, leggere e folleggiare in compagnia, ci trovate lì ♥ 
 
   
 
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