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Autore: fifi15    20/04/2012    1 recensioni
E se un'intera storia d'amore fosse documentata da uno scritto intriso fino in fondo di quei sentimenti che ne sono stati i protagonisti? E se si potesse seguire, utilizzando un pizzico di immaginazione, un po' di immedesimazione e quanto basta di tutto il resto, quel filo che unisce un inizio a una fine passando attraverso tutto ciò che è dato all'uomo provare? Perchè in fondo è l'amore la forza che tutto muove, ad esso aneliamo e per esso saremmo pronti ad abbandonare ogni altra cosa. Questa è la storia di un amore come tanti, e proprio per tale ragione è unico, come tutti.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A  volte le mancava il fiato.
Aveva come l’impressione di guardare il mondo da una grande, enorme vetrina. Tutti, fuori, si divertivano, le passavano davanti senza degnarla di uno sguardo, giocavano spintonandosi allegramente e facendo vagare i propri pensieri. Lei, invece, inutile manichino  posto nudo e privo di ogni vestimento dietro i vetri di quella terribile gabbia era soltanto capace di ammirarli, di osservare le loro pose e i loro sorrisi, cosciente di esserne stata anche lei partecipe e artefice, un tempo.
A volte capitava che qualcuno tra quelli si bloccasse giusto un attimo lì di fronte, si guardasse attorno con aria spaesata come chiedendosi quale oscura forza l’avesse spinto a interrompere giusto in quel punto il suo procedere e poi, scuotendo con leggerezza il capo e sorridendo distratto, riprendesse il suo lento cammino, lasciandola ancora una volta priva di qualsiasi anche vana speranza. La sera, era quello di certo il momento peggiore.
Le giornate passavano tra mattinate oberate di lavoro e pomeriggi carichi di faccende e c’era da dire che, nel caso non ce ne fossero state, era lei stessa a crearsele, spesso. Teneva il più possibile la mente impegnata e distante da ogni seppur minimo attimo vuoto, in modo da evitare che quel pensiero, quel fastidioso e corroborante pensiero, tornasse a prudere all’interno del suo cervello come un tarlo.
Non sopportava accorgersi, spiacevolmente con una frequenza piuttosto alta, degli attimi in cui, da che stava china su un libro o con davanti un film, si ritrovava col viso in alto, gli occhi persi e distanti e la testa che, da sola, era già tornata lì. Da sola, era questo ciò che le dava fastidio. Magari, se la sua testa non avesse deciso di professare un totale regime di anarchia, sarebbe stata lei stessa, razionalmente e contro ogni forma di masochismo, a permettersi cinque minuti, giusto cinque minuti, di libero e, purtroppo, doloroso pensiero. Le era anche necessario, di tanto in tanto. Però in quelle condizioni, in quella sorta di assenza di qualsiasi governo della propria ragione, preferiva autopunire lo scarso controllo che era capace di esercitare anche soltanto in quella maniera. Non concedendosi nulla, ma proprio assolutamente nulla.
Era forte la sua mancanza, questo doveva anche ammetterlo. Inutile prendersi in giro, d’altronde: la mancanza di quella presenza nella sua vita era tanto pesante che sarebbe stato possibile tagliarla con un coltello, se solo prenderne uno in mano non le trasmettesse già di per sé strani e sinistri pensieri. Non aveva creduto fosse possibile, gliel’avessero anche detto giurando sull’ingiurabile. Avrebbe soltanto riso di cuore, una di quelle risate che di per sé risultano vuote e fastidiosamente rumorose, ma che ad altro non servono se non a dare una precisa e secca risposta: impossibile, ridicolo, assurdo. Inconcepibile. E per lei tale era già solo il pensiero: schiava di un sentimento? Ma dai! Mai, avrebbe detto tornando seria, con ancora un rossore leggero sulle guancie e gli occhi lucidi di genuine risa.
Non è assolutamente, tecnicamente possibile che a me, proprio  A ME!, capiti una cosa del genere. Eppure, era capitato. E senza che se ne accorgesse, senza che potesse dare o meno un assenso.
Semplicemente, era entrato nella sua vita senza bussare, senza fare rumore, senza quasi farsi avvertire. Nulla era cambiato in lei, nelle sue giornate. Solo ciò che la circondava aveva assunto tinte più forti, le parole toni più allegri e sagaci, le persone sfumature più accettabili e ironiche, dinanzi i suoi occhi. Ogni cosa, ogni singola cosa, era divenuta improvvisamente più concepibile e meno fastidiosa, ogni amaro discorso riusciva presto ad essere accantonato, ogni difetto prima insopportabile adesso quasi nascondeva del buono. Non aveva subito capito il perché, non aveva colto una causa precisa.
Lei, così perfetta e ordinata in tutto, così dispotica e tirannica, così assoluta e sentenziosa nei suoi discorsi, nelle sue morali, nei suoi giudizi, adesso riusciva quasi ad accordare un margine di scusa su ogni sbaglio altrui. Riusciva quasi a giustificare, a passare sopra. Lei! Si era guardata intorno, infine, gli occhi sgranati, le labbra dischiuse dallo stupore in una posa di muta scioccante acquisita consapevolezza, e si era ritrovata dietro lui.
Lui.
Lui, che era arrivato senza farsi avvertire ma che adesso, con calma pazienza e amore, stava perfettamente mettendo a soqquadro la sua intera esistenza. Stava alterando ogni cosa nella perfezione assoluta, nell’ordine imposto dalla necessità. Stava dando un senso compiuto e conchiuso a tutto ciò che, fino a quel momento, un senso non aveva. A tutto ciò che un senso, per lei, non avrebbe mai potuto avere. E le stava dietro. E le intimava soltanto di andare avanti tenendolo sempre lì con sé, in modo che sarebbero tutto e due stati felici e pienamente soddisfatti: l’avrebbe per sempre protetta da tutto e tutti e lei, in cambio, avrebbe soltanto dovuto accordargli un piccolo posto nella sua vita. Ma quel posto, senza saperlo, lui se l’era già preso, lo aveva ottenuto. E lei, non appena si rese conto di tutto, non tentò in alcun modo di estirparglielo: le stava bene, anche se non avrebbe voluto ammetterlo, la rendeva forse felice, un sentimento che solo blandamente arrivava a concepire.
Era qualcosa di troppo astratto e inafferrabile per i suoi gusti. Le sembrava una di quelle parole che, come l’amore come la gioia, avevano il solo scopo di farti comprendere al meglio ciò che di più bello e irraggiungibile esista. Ecco, guarda, conoscilo, tanto non potrai mai averlo. Eppure, dall’avversione che a causa di ciò aveva sempre provato per quei sentimenti che solo belle parole le sembravano, da quando aveva scoperto di averlo alle sue spalle si era accorta che anche loro andavano assumendo tinte più precise e colori più definiti. Infine, giratasi a guardarlo negli occhi scuri un giorno e afferratolo per mano sorridendo di una freschezza e di una genuinità che mai le erano appartenute, l’aveva posto accanto a sé, stringendolo forte al suo fianco.
È qui il tuo posto, aveva fortemente pensato sapendo benissimo che anche lui conosceva a menadito ogni suo più segreto pensiero. Qui, accanto a me.
E il mondo, da oggi, non mi farà più del male. E non dovrò difendermi e lottare da sola, non dovrò ergere mura insormontabili per barricarmici dietro e sentirmi sicura. Ho bisogno soltanto di te, ti voglio. E poi, un altro bel giorno di sole, continuando a camminargli silenziosamente a fianco e fissando gli occhi al cielo, si era d’un tratto fermata, e lui con lei.
L’aveva osservata aggrottando un poco le folte sopracciglia, un angolo della bocca incurvato.
E d’improvviso tutta la sua genuinità, ogni suo pudore, ogni barriera erta caddero ai suoi piedi e senza neppure accorgersene un alito di vento birichino la spinse ad assaporare quelle labbra mai nemmeno guardate prima.
Consumarono lentamente tutto l’amore di cui erano capaci su un folto prato tinto d’azzurro del cielo, di giallo del sole, di rosso, colore della ormai sua perduta purezza. Entrarono in un connubio di perfetta unità, afferrando con ogni loro forza quel momento che li percosse e li fece tremare sotto l’urto del suo potente giungere, avvinghiati strettamente nella palpitazione degli attimi che veloci li chiudevano in sé.
Soffiarono ogni loro più profondo respiro abbandonandosi stancamente nel sudore della pelle, nell’alito dell’erba. Infine, aperti gli occhi dopo quelli che le parvero secoli, si ritrovò nuovamente dietro quella vetrina. Nulla portava addosso, era pienamente scoperta dinanzi gli occhi del mondo che, però, sembrava tanto impegnato da non accorgersi che lei era lì, sola, nuda, indifesa.
Aveva abbandonato ogni difesa, ogni protezione e, adesso che lui mancava, l’unica cosa che poteva fare, l’unica cosa che le era possibile fare, era attendere.
Attendere che tornasse a porsi al suo fianco, che tornasse a pervaderla di sé. Senza di lui nulla era, nulla riusciva più ad essere.
Ecco che cosa era la sua mancanza: una voragine tanto profonda e intrisa di ogni difficile vivere che anche solo affacciarvisi oltre comportava l’acuirsi di ogni dolore, di ogni paura, di ogni incertezza o tribolazione.
Ecco che cosa era lui, ormai: quel tutto che solo riusciva a dare un senso al niente di ogni suo giorno. 
  
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