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Autore: sistolina    22/04/2012    3 recensioni
(Emma/Jefferson (Mad Hatter) - Post 1x18
“E' qui per il nuovo John Doe della Rianimazione?”
“E' lì dentro?” chiese stupidamente Emma, presa dal panico
“Di certo non è nel Paese delle Meraviglie”
Pareti bianche, letto in ferro battuto, lento e ripetitivo trillo dell'elettroencefalogramma, lo stesso che fino a poco prima le era sembrato confortante la trascinava in un baratro di panico e angoscia, lenzuola bianche perfettamente stirate, plastificate alla consistenza del tocco.
Al centro di quell'immobile quadro minimalista di sospensione dell'incredulità, lui.
[...]
“Ricorda qualcosa?” troppo avventata Sceriffo, così non va.
“Nessuno ha ancora verificato. Lo hanno trovato conciato parecchio male sulla Statale, hanno chiamato il 911 e tanti saluti”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Kiss my eyes

and lay me to sleep

 

 

Il fondo di un cappello senza fondo

 

He's mad he's mad
He's mad he's mad
You may have read the book
You might have seen the film
But I've seen it with my eyes
(
Mad Hatter, The Strangler)

 

 

Lei non ha idea di chi sia io,
della nostra vita insieme,
del posto da cui veniamo.
Io si'.
E' questa la mia maledizione.
Riuscire a ricordare.

 

“Grace”

Era solo un sibilo. La parola più importante della sua vita era diventato un sibilo, a malapena udibile, sopraffatto dal continuo ritmico squillare invadente dell'elettroencefalogramma.

“Grace” avrebbe voluto dire, per lo meno sussurrare, ma la lingua era immobile contro il palato impastato, le labbra serrate in un sorriso rigido, inconsapevole, indebolito e falsato dagli antidolorifici.

“Grace” un solo suono per riemergere.

Solo il silenzio.

Ad occhi chiusi avvertiva se stesso nella stanza, ma non percepiva più il suo corpo, i muscoli del viso, le palpebre.

Intrappolato in una nuova piega dell'incubo in cui viveva da ventotto anni, una nuova frontiera della prigionia a cui la vita lo aveva sottoposto, una nuova pagina bianca di stanca sopravvivenza quotidiana, questo era diventato, il fondo di un cappello senza fondo.

E lasciò che lo inghiottisse per portarlo via, quell'innaturale pace artificiale, fino in fondo alla tana del Bianconiglio, costeggiando l'edera famelica del Labirinto, attraverso la nube azzurrina delle O cerchiate del Brucaliffo, fino alla fine della tavola del the, imbandita in suo onore.

Bentornato Cappellaio

diceva,

è l'ora

Ma l'ora per cosa se non sprofondare nel terrore? Nell'incubo?

Tagliategli la testa!

E poi il nulla, confuso e incerto, riavvolto come un nastro difettoso, su se stesso all'infinito: Bianconiglio, Brucaliffo, siepe e fumo, e poi di nuovo, per poi scomparire, un ricordo dentro l'altro, le scatole cinesi che si inghiottivano l'un l'altra, e lui dentro, nell'utero di una mente imperfetta, lasciata vagare troppo a lungo, una ferita sanguinante incapace di restare integra.

Un coniglio, una siepe, una rosa mal dipinta, un sorriso e una lacrima, la vecchia e la sua moneta d'argento mai posseduta, la seta, e il filo, e il suo corpo che cadeva a terra. Sorridi gatto, sorridi che la luna è piena, e sono le cinque, il fumo ti soffoca, il colpo di tosse che fa crollare il castello di carte.

Scappa!

Piedi immobili sul sentiero, porte, finestre e cripte sotterranee.

Uomini troppo piccoli, teste troppo grandi, un'accetta.

Un fungo, solo un pezzo, perché no?

Fallo funzionare!

Nulla.

Uno dentro l'altro, fagocitati dal nulla, i suoi ricordi.

Nulla.

“Grace”

Un solo attimo, ti prego...

Nulla.

 

Il fatto e' questo, Jefferson.

E' tutto qui.

Questo e' il mondo reale.

Un mondo reale.

Sei cosi' arrogante da pensare

che questo sia l'unico?

 

**************

 

Sai qual e' il problema in questo mondo?

Tutti vorrebbero qualche soluzione

magica ai loro problemi,

ma tutti si rifiutano di

credere che la magia esista.

 

E' un miracolo? Si poteva definire un miracolo?

Emma Swan non aveva mai creduto nei miracoli. E nemmeno in Babbo Natale, nella Fatina dei Denti, e nella magia.

Chi crede nella magia nel XXI secolo?

Ma Emma Swan non aveva mai creduto nell'amore, nell'amicizia e nella fiducia negli altri, non aveva creduto che esistesse l'affetto disinteressato, e la complicità di una tazza di cioccolata calda, un attimo sospeso nel tempo in un parco giochi dallo scivolo scrostato e la casetta di legno piena di cuori e di dichiarazioni d'amore sbiadite.

Emma non aveva creduto a niente che non fosse il serbatoio del suo maggiolino giallo pieno fino all'orlo e una lunga linea bianca a separarla da chi aveva finto di essere quel giorno e chi avrebbe finto di essere quello dopo.

Poi era arrivata a Storybrooke, e aveva cominciato a credere in qualcosa che non sapeva esistesse: Emma Swan. La se stessa amica, la se stessa Sceriffo, la se stessa madre; tentativo di madre, almeno.

La se stessa che stava abbastanza in un posto da ricordare il nome della via dove abitava, il colore della cassetta delle lettere del suo vicino, a che pagina erano i dolci nel menù della tavola calda dietro l'angolo. Abbastanza da vedere indosso a qualcuno lo stesso vestito per due volte, e capire quando Ruby era andata dal parrucchiere a rinfrescare le meches rosso sangue. Abbastanza da ricordarlo, il nome di Ruby.

Forse anche questo, semplicemente, poteva definirsi un miracolo.

Ma che Katherine Nolan fosse tornata dal regno dei morti, beh, decisamente andava oltre qualsiasi concezione lei, ma anche chiunque si trovasse in quello sterile corridoio con le consumate piastrelle azzurro opaco e i poster sulla prevenzione dei tumori al collo dell'utero, potesse ascrivere ad alcun tipo di “circostanze fortunate”.

Perciò, quando l'infermiera dall'evidente ricrescita sale e pepe alla radice dei capelli neri si avvicinò, Emma Swan ancora non credeva che sarebbe uscita da lì con una notizia capace di risvegliare Mary Margaret dal suo più recente e vivido incubo, anziché un corpo morto in un telo di plastica incapace di scagionare chicchessia.

Non era una donna di fede, semplicemente, non lo era.

“Posso parlare con lei?” la donna, alta una spanna buona meno di lei e decisamente più abbondante sui fianchi, scosse la testa in un sorriso gentile ma perentorio

“Mi dispiace, è stata sedata, e fino a domattina non potrà ricevere visite, ma può lasciarle un pensiero se lo desidera, al pian terreno abbiamo...” ma Emma non la stava più ascoltando da quando, più o meno, le aveva negato ciò che voleva trenta secondi prima.

Ogni secondo che trascorreva circondata dalla prevenzione, dagli slogn sul sesso sicuro e i vaccini per i malanni di stagione, Emma Swan sentiva di perdere tempo. E Mary Margaret non aveva tempo, non quanto avrebbe voluto.

David comparve dalle porte automatiche dell'ascensore, la camicia abbottonata male e il colletto della giacca a vento ripiegato all'interno.

“Emma” no, decisamente non aveva tempo per spiegargli come sua moglie fosse comparsa per magia nel parcheggio dietro al Granny's quando il suo cuore, tecnicamente, era immerso nel formaldeide nell'ufficio del coroner.

Decisamente no.

Continuò a camminare nel corridoio, lasciandosi alle spalle le infermiere sovrappeso, i parenti ansiosi, i bambini con le braccia rotte o le ginocchia sanguinanti, e il sorriso speranzoso di David Nolan. La mancanza di attributi era un difetto che costava ad Emma il novanta percento della sua pazienza, dote che, con tutto il rispetto, non aveva mai nemmeno vagamente vantato di avere.

 

Forse sei tu quella matta.

Non e' folle vedere e non credere?

Apri gli occhi.

Guardati intorno.

E svegliati.

Non ti sembra sia arrivata l'ora?

 

La terapia intensiva era un luogo decisamente più consono alle persone come lei: ampie vetrate, silenzio, spazio, modo, tempo di pensare, larghi corridoi dove passeggiare e riflettere. Silenzio, soprattutto quello, accompagnato solo dal ritmico e confortante suono degli strumenti di monitoraggio, lieve, accomodante, conciliante. Un silenzio pieno, animato, non sterile e spaventoso come l'assenza di suoni, la solitudine del buio, un letto in ferro battuto appoggiato ad un muro bianco, solido, estraneo.

In quel silenzio anche i medici e gli inservienti sussurravano, per non disturbare un sonno che sapevano tutti essere fin troppo tenace.

Quasi tutti.

“Sveglio? Come diavolo fa ad essere sveglio dopo lo stato in cui l'hanno trovato? Sì, va bene, le dica che sto arrivando. Cristo Santo le sembrò uno che si aspettava un risveglio, questa mattina? A stento mi sono messo le calze appaiate!” l'uomo, un medico alto e sottile, con un evidente principio di gobba e una porzione generosa di nuca glabra e lucente sotto i neon, le passò davanti quasi travolgendola “Mi scusi” biascicò stizzito prima di notare il distintivo. Si fermò fra un passo e l'altro “oh, Sceriffo, non mi ero accorto” inclinò il capo, interrogativo “è qui per il nuovo John Doe della Rianimazione?” Emma aveva il cuore che le bombardava le orecchie troppo forte per poter sentire o rispondere alcunché. L'uomo interpretò il suo silenzio come un assenso, esattamente come i bambini che giocano a patata bollente e se la passano l'un l'altro. Superarono tre porte chiuse, e nel momento esatto in cui Emma sperò che non fosse vero, che si trattasse di un falso allarme, di un fraintendimento, il Dottor Green, a giudicare dalla targhetta identificativa che pendeva storta dalla tasca del suo camicie gremita di penne dai tappi mangiucchiati, si fermò.

“E' lì dentro?” chiese stupidamente Emma, presa dal panico

“Di certo non è nel Paese delle Meraviglie” borbottò l'uomo precedendola nella stanza.

Almeno su una cosa erano d'accordo.

Pareti bianche, letto in ferro battuto, lento e ripetitivo trillo dell'elettroencefalogramma, lo stesso che fino a poco prima le era sembrato confortante la trascinava in un baratro di panico e angoscia, lenzuola bianche perfettamente stirate, plastificate alla consistenza del tocco.

Al centro di quell'immobile quadro minimalista di sospensione dell'incredulità, lui.

 

I cappelli...il the...

il tuo comportamento psicotico...

tu credi di essere il Cappellaio Matto.

Mi chiamo Jefferson.

 

*********

 

Vedi...io so quello che tu ti

rifiuti di ammettere, Emma.

Tu sei speciale.

Hai portato qualcosa di

prezioso a Storybrooke.

La magia.

Tu sei matto.

 

C'era qualcosa oltre le pareti bianche, la consistenza delle lenzuola fra le dita, del tubo dell'alimentazione giù per la gola, il ritmico scandire il tempo dei segnalatori di parametri vitali.

C'erano volti e c'erano voci, c'erano occhi che vagavano e labbra che si muovevano. C'erano mani che sfioravano, si agitavano, si stringevano, e lunghi capelli biondi che si confondevano con il candore sterile della stanza. C'era uno strano calore.

Grace

“I valori sono buoni, ottimi se si considera il volo che ha fatto” l'uomo, doveva essere il dottore, parlava svogliato, come se avesse avuto milioni di cose migliori da fare piuttosto che essere lì. Malasanità.

Ma lei era attenta, lei lo osservava con un misto di angoscia e sollievo, e un pizzico avventato di paura. Paura per cosa Sceriffo?

Sorrise di un'immaginaria soddisfazione, immobile maschera di cera che scorreva nelle sue vene sotto forma di morfina.

“Ricorda qualcosa?” troppo avventata Sceriffo, così non va.

“Nessuno ha ancora verificato. Lo hanno trovato conciato parecchio male sulla Statale, hanno chiamato il 911 e tanti saluti” la cartelletta di plastica blu che aveva fra le mani non l'avrebbe aiutato, lo sapevano entrambi, ma qualcosa da guardare che non fosse lui era ben accetto.

La gente che scampa alla morte è sempre terribilmente affascinante e sconvolgente, come gli incidenti d'auto, e più sono spaventosi, mortali e bagnati di sangue più la bilancia oscilla.

Eccolo, il loro incidente d'auto, tubicini e il resto, il respiro debole e irregolare, gracchiante, il cuore che sapevano battere solo per quella linea discontinua su uno schermo trillante di sollievo.

Il dottore se ne andò alla svelta, tacchi che battevano sul pavimento, perché il suo cercapersone aveva suonato nel silenzio imbarazzato della stanza. Un incendio, quattro feriti, qualche vittima, una brutta giornata.

E lei rimase sola ai piedi del piccolo letto che sentiva di occupare per intero, non lasciandole abbastanza superficie per distogliere lo sguardo.

Decise di aprire gli occhi una volta per tutte, perché guardarla disperarsi nell'attesa gli provocava un piacere tanto lancinante da sconfinare nel dolore.

Grace

“Ieri ero più bello” biascicò, la bocca che acquistava sensibilità un doloroso respiro alla volta.

Scattò come punta da una vespa gigante l'affascinante Sceriffo, una gigante vespa di senso di colpa e coda di paglia.

“Come si sente?”

“Non sento molto a dire il vero, ho ancora tutti i pezzi?” provò a scherzare, ma gli occhi di lei si dilatarono al di sotto delle palpebre distrattamente truccate, le occhiaie scure che decoravano il suo viso più di qualsiasi make up

“Perché nessuno ha saputo identificarla?” un dondolio flebile del ginocchio destro, gli occhi a vagare sul suo viso in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa, si ostinava a non concederle.

“Non ho documenti con me, suppongo” tentò di sorridere “Mi chiamo Jefferson Hat, vivo al 215 di Rosewood Street, a Storybrooke, nel Maine. Sono appassionato di cartografia e astronomia, non so cucinare, ma sono un vero asso ad ordinare da asporto” sembrò studiarlo, attentamente, chirurgicamente, esaminando ogni microscopico cambio di espressione, tonalità, ogni movimento dei suoi occhi che roteavano per la stanza.

Perché si trovava lì?

E lui? Cosa ci faceva in un letto d'ospedale?

La sua mente tentò di afferrare le voci, lo sfocato acquerello dei suoi ricordi sbiaditi, ma nient'altro che una densa nebbia azzurrina riempiva gli anfratti atrofizzati della sua memoria.

“Non ricorda nient'altro?” tremava, come una bambina spaventata, come qualcuno che avrebbe dato via tutta la vita pur di non essere lì, in quella stanza che odorava di sterilizzante, con lui. Perché Sceriffo? Perché?

Serrò le palpebre in un maldestro tentativo di fare chiarezza.

Cosa mancava?

“Che giorno è oggi?” glielo disse, tentennando ancora, tentennando sempre, le dita che giocherellavano con la cerniera dell'impermeabile, le punte dei capelli biondi ancora umide dopo la corsa sotto la pioggia per arrivare fino a lì, l'orlo del dolcevita a collo alto che cominciava a scucirsi su un lato, un filo arricciato catturato immediatamente, definitivamente. “L'ultima cosa che ricordo è di essere uscito da Granny's una settimana fa” parve concedere a se stessa il tempo di elaborare, poi semplicemente annuì gravemente, ancora attenta a non guardarlo troppo a lungo, a non toccarlo, a non parlargli più del necessario.

Perché?

Non si erano mai incontrati. Ricordava di aver visto il suo viso, distrattamente, una mattina leggendo il giornale. Ricordò di aver pensato che era troppo giovane e bella per essere il nuovo Sceriffo, e ricordò di aver desiderato incontrarla, per qualcosa che gli era sembrato di vitale importanza, a cui non sapeva più dare un nome.

Perché?

Ma sentì di desiderare ancora il suo viso, qualcosa nell'angolatura della mandibola, nel mento deciso, nella distanza precisa degli occhi rispetto al naso. Provò il desiderio che lei lo sfiorasse, che affermasse senza dubbio alcuno l'esistenza di entrambi in quella stanza. Desiderò poterle dire perché si trovava lì. Desiderò ardentemente saperlo lui stesso.

“La lascio riposare adesso” concluse spedita, dirigendosi a grandi passi verso l'uscita.

Poté solo fissare la sua schiena che diventava una macchia indistinta.

Emma...

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Angolo della delirante autrice: buonasera...è quasi l'una, sono consapevole di ciò, ma non potevo aspettare per sottoporvi la prima parte di quella che sarebbe dovuta essere una OS così a caso e che quasi per certo si dividerà in due, se non in tre parti ahahahah Come sempre esagero tutto ù__ù
Dunque oggi ho recuperato un po' di episodi di Once Upon a Time, e indovinate? Mi sono letteralmente innamorata del Cappellaio Matto. Ma chissà perchè poi, e dire che Sebastian Stan non mi è mai piaciuto (no, noXD).
Quando amo qualcosa mi ossessiono, e quando mi ossessiono scrivo, e voi siete costretti a leggere, se volete, e a commentare, se ne avete voglia e queste schifezzuole che scrivo vi fan venir voglia di dire qualcosaXD
Non so esattamente che dimensione prenderà la cosa, perchè onestamente doveva essere una cosa molto più easy e invece finisce che devo dire mille cose, e una OS non mi basta e trallallero, quindi fatemi sapere che ne pensate, perchè è la prima volta che scrivo su questo pairing, e sono un po' terrorizzata di aver toppato in pieno^^
La canzone è linkata nel titolo, ma fa abbastanza pena, quindi se non vorrete ascoltarla vi capiròXD Alla prossima, spero^^

   
 
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