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Autore: Artemisia89    16/11/2006    3 recensioni
Una storia onirica, molto molto nonsense ma contemporaneamente con un filo logico tutto suo. Su Ryu e Rika. Scritta tanto tempo fa...
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ryo Akiyama | Coppie: Ruki Makino/Rika
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' una shot che scrissi moltissimo tempo fa, e devo dire che rileggendola provo quasi tenerezza! Poi naturalmente attacco con le critiche tipo: che stile infantile! troppo pomposo, non mi piace per niente! Ma all'epoca mi appassionai tanto a scriverla, ero certa di sapere bene ciò che volevo da me, dal mondo. Potrei azzardare che è un ricordo molto importante, quasi come la musica di un koto che si lega a particolari avvenimenti.

A  voi

 

 

IL LUOGO DELLA STASI: LEGNO ROSSO






KOTO


Sei il ragazzo più strano che io abbia mai conosciuto lo sai?

Eri seduto di fronte a me, la prima volta in cui ci siamo visti, e l’unica cosa che vedevo era un essere pericoloso, pericolosissimo, un essere che poteva frugare nel mio animo e distruggere tutte le barriere che sapientemente ero riuscita a costruirmi, sapientemente e pazientemente.
Solamente quella sera, intorno al fuoco, sotto il cielo blu scuro di Digiworld, mi hai fatto così tante domande che non mi sarei mai aspettata da un ragazzo come me, ma neanche da un adulto.
Perché ti interessava sapere se abbiamo mai giocato insieme?
Perché hai continuato a fissarmi e mi hai costretta ad andare via?
Forse, hai ragione, non mi conoscevi, o almeno non conoscevi la Rika esteriore, quella finta, la maschera.
Una maschera svela immediatamente di cosa è fatta, ma non tanto facilmente il suo proprietario, avresti dovuto lasciarmi perdere subito, la mia è una maschera odiosa che nessuno è riuscito a togliermi se non mia madre e mia nonna, ma con loro è diverso con loro la tolgo io....
Il modo migliore per rimanere soli e aggredire gli incauti che cercano di avvicinarti e isolarsi dal gruppo!
E ti dirò che ho perso il conto di quante persone mi hanno gridato dietro:" Odiosa!", me lo hanno dette tutte quelle che ho incontrato sulla mia strada.
Tranne tu!

Ma perché mi devi far penare così tanto, mi costringi a trattarti male, io voglio che tu mi dica che sono una persona odiosa………….provi pietà?
Scordatelo, non ho nessuna intenzione di apparire come una persona bisognosa di compassione ai tuoi occhi!

Ma si può sapere chi diavolo ti ha mandato qui???
Sei venuto apposta per me, giusto per farmi un dispetto?

Vorrei saperlo Ryu Akiyama.
Voglio saperlo.

Ma che cavolo mi ritrovo a dire in un momento come questo?
Vergognati Rika, la regina dei digimon deve pensare solamente a vincere, in ogni occasione e in ogni momento.

Ma guardati ora!
Nuda, spogliata della tua armatura, dell’armatura lucente della tua Sakuyamon.
Nuda, spogliata di tutta la tua forza.
Nuda, privata delle tue barriere che tanto accuratamente avevi forgiato.
Nuda, bagnata dalle lacrime dei tuoi occhi che scoprono ormai, in una maniera troppo evidente i tuoi sentimenti.

Ma ora alzati e asciugatele, tu sei una ragazza forte Rika.

Non ci riesco.
Cado.

Alzati.

Non ce la faccio!

Alzati!

E’ inutile!

Sono stanca, stanca di fare tutto da sola, sono stanca della solitudine, sono stanca di non avere nessuno che si preoccupi per me!
Capitelo questo!







Era passata ormai una settimana da quando i digimon avevano lasciato la terra e Rika era caduta in uno stato…di depressione. Non incontrava mai nessuno, non usciva mai, rimaneva sempre nel suo giardino, ad aspettare chissà cosa e chissà chi…una cosa che non si sapeva sarebbe mai arrivata…ma che lei continuava ad aspettare.
I giorni passavano, passavano e di lei neanche l’ombra, solo il suo nome passava di bocca in bocca, ma lei, non c’era…solo e sempre ombre dietro i muri di quella casa, solo e soltanto fruscii e un fantasma…e un suono antico e un profumo dolce…
Tutti i suoi amici continuavano a chiedere notizie ed informazioni su di lei, ma era sempre la stessa storia, nessuno sapeva niente e tutti con la faccia di chi si sente superiore, tutti che continuavano a dire: "…poverina…mi dispiace…è stato un duro colpo…".

Frottole.

Intanto un ragazzo camminava per la strada principale del quartiere. I capelli castani risplendevano sotto il sole cocente, camminava lentamente quasi strascicando i propri passi per non sforzarsi.
Ogni minimo sforzo sarebbe stato uno spreco inutile di energie e un accentuazione del caldo infernale di quel giorno.




…………………………………………………………………………………………….


Fa davvero caldo per le strade di Tokyo, è ancora molto presto, chi me lo ha fatto fare ad uscire di casa con quest’afa? Passare l’estate a Tokyo vuol dire fare una visita all’inferno nel periodo di punta…ho bisogno di rinfrescarmi, di bere…non c’è neanche un bar aperto…forse…quello laggiù…

Shinjuku, una delle principali vie di Tokyo, sempre affollata di solito…così deserta ora, deserta come il mio cuore…ho bisogno di una cosa che non so cosa sia…ho bisogno di…
…e continuo a cercare, quando mai troverò una cosa che può appartenere solo a me ed io a lei…?

Entro in questo bar, mi piace questo quartiere, è sempre pieno di alberi, qui c’è una casa enorme, grandissima, più che una casa sembra una villa, non ci sono mai entrato, chissà a chi appartiene…
Stavo ancora cercando di entrare con gli occhi in quella villa quando una voce gentile mi fa distogliere lo sguardo da quella casa.

- Desideri qualcosa giovanotto? Mi dice una signora che potrebbe essere mia nonna.
- Io vorrei…un tè freddo grazie…
- Te lo porto subito…

Aspetto, e intanto mi appoggio alla colonna posta all’entrata del bar, guardo ancora questa villa, vorrei entrarci, c’è qualcosa che mi attira, come una calamita…io voglio entrarci…forse…

- Tieni ragazzo.
- Oh, si grazie

Prendo il tè freddo in mano, la mia mano calda prova sollievo toccando la superficie gelata del vetro, porto il bicchiere alla bocca e comincio a bere, questo tè ha un buon sapore, mi disseta e mi faccio scappare un sorriso, non lo faccio da molto tempo…
…da quando tu…

Ma immediatamente, irrimediabilmente ridivento serio, il mio sguardo si posa di nuovo sulle mura di quella villa.
Cos’è questa cosa che continua a chiamarmi?
Cos’è questa voce silenziosa che solamente io devo percepire?
Cos’è questa tortura?
Io non la voglio rendere infinita, non le permetterò di consumarmi, questo fuoco che continua a bruciare sarà spento.
Parola del re dei digimon.

Mi volto verso il bancone e poso il bicchiere prosciugato dalla mia sete, mi dirigo verso la cassa e pago, quando, una voce mi chiama, decisamente non è quella che fino ad un attimo fa stavo ascoltando.
E’ la voce della vecchia, di nuovo, mi giro controvoglia e mi chiedo: "cosa vorrà?"

- Vorresti chiedermi qualcosa?
Ah, questa è bella, una vecchietta telepatica!
- Si, chi sono i possessori di quella villa?
E io pure che le do retta!
- Ci abitano una bella signora che non c’è mai, la figlia che non si fa più vedere da tempo e una anziana signora che per i miei gusti si fa vedere anche troppo.
- Era proprio quello che volevo sentire, la ringrazio…

Detto questo mi abbassai la visiera del cappello, lasciai i soldi sul tavolo e uscì da quell’inferno - paradiso, lasciare un bar con aria condizionata non era il massimo, si, ma continuare a stare in quel luogo dove c’era una vecchietta telepatica e pure pettegola significherebbe incamminarsi direttamente sulla via del suicidio, senza sperare in un ritorno.
Esco dal bar e come se fossi caduto in trance mi ritrovo davanti quella villa, a meno di cinque passi dal portone di legno rosso.
Appoggio la mano sul legno vecchio, la ritiro e la porto al naso, questo legno ha un buon odore, è un legno antico dalla fragranza delicata e ammaliante.
C’è un citofono.
A cosa mi servirebbe?
Mi presento e dico che siccome questa villa mi piace troppo e sento una voce che mi chiama sbucata da chissà dove ho l’urgente bisogno d’entrarci?
Potrei farlo, tanto la gente non mi potrebbe dire di esser diventato più pazzo di quanto non lo sono veramente.
Non servirebbe neanche sporgermi, il portone è troppo alto.
Cosa devo fare allora?
Mi siedo per terra, per fortuna i grandi alberi mi fanno ombra e evitano al mio corpo di evaporare.








Cosa fai laggiù tutto solo?
Cosa cerchi?
L’amore forse?
Lo troverai superando le sue barriere.
Cosa fai seduto tutto solo?
Chi cerchi?
Me forse?
Mi troverai oltre il portone di legno rosso.

Ce la farai a compiere il grande passo?
Sarà pauroso, terrificante come vedersi puntati addosso la canna di una pistola.
Nera lucente sotto questo sole.
Sarà pauroso come vedere il grilletto della stessa pistola emettere uno schiocco.
Sordo, un eco freddo che continua ad espandersi senza trovare ostacoli.
Ma poi scopri che la pistola è caricata a salve.
E che non c’è nessun proiettile.
E che tutte le tue paure non erano altro che fantasmi creati dalla tua ignoranza.
Dalla sconoscenza.
Tu non conosci i sentimenti di qualcuno.
E quindi soffri a causa di ciò che non sai.

Eppure abbiamo passato tanto insieme.
Credevo che tu mi conoscessi bene.
Solamente tu hai trovato le chiavi che io avevo gettato nel blu del nero mare della solitudine, e hai aperto la mia anima.
E cosa hai trovato?
La vera me stessa.
Senza nessuna maschera sul viso.
La vera me stessa.
Quella che sa ridere.
Quella che sa giocare e scherzare.
Quella che sa apprezzare.
Quella che sa amare.
Quella che ama…chi ama la ragazza?
Sai dirmelo tu?
Custode delle chiavi?
Me lo sai dire?

Quella che tu stai sentendo ora è la vera voce del mio cuore.
Al cuor non si comanda.
Quindi neanche alla sua voce.
Che giunge alle orecchie dell’anima gemella, limpida, chiara.
Come una musica.
Che giunge all orecchie dell’anima mancante, persistente, instancabile.

Forza, non vorrai forse vedere il vero viso e il vero corpo di questa voce che ti tormenta e che non ti lascia pace?

Entra guardiano delle chiavi.
Non sarà certo un portone di legno rosso a fermarti.
/
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/
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Un soffio leggero di vento.
Una brezza fresca improbabile e irreale.
Come in un atmosfera da sogno.
Il portone di legno rosso che si apre.
Era aperto e io non me ne sono accorto?
Come può essere successo?
E’ stata quella voce ad aprirlo?

Troppe domande.

Non sono più quello di un tempo.

Entro.
Entro.
Entro.
Non entro.
Entro.
Entro.
Entro.

Il mio corpo si muove da solo.
A quel paese la legge sulla privacy.

Sogno.
Un’atmosfera da sogno.
Oltre il portone di legno rosso, c’è un giardino da sogno.
Guardo per bene tutto ciò che mi circonda.
Spalanco gli occhi e guardo per bene ciò che mi circonda.
Alberi secolari, mi sento come in un tempio, mi sembra quasi di sentire le loro voci nel silenzio surreale di questo posto.
Tante strade, tante vie, spesso mi chiedo come si fa a sceglierne una su questa terra.
Come si fa a scegliere una casa.
Come si fa a scegliere un paese.
Come si fa a scegliere una donna che possa essere tua.
Per sempre.

Ottimo, sei entrato, se sei riuscito a non aver paura della pistola allora io non servo più a niente.

Significa che mi lasci qui voce?

Silenzio.

Solo lo stormire degli alberi secolari e il turbinare dei petali di ciliegio caduti.
Solo il movimento lento e secco delle canne di bambù delle fontane.
Nessun uccello a farmi compagnia.
Nessuno.

Mi volto per andarmene.
Qui non c’è nessuno.
Non varrebbe la pena rimanere qui, come un idiota, forse dovrei cominciare sul serio a preoccuparmi, continuare a sentire voci che sbucano da chissà dove non credo sia normale.

Comincio a camminare verso il portone di legno rosso.
E’ aperto, niente e nessuno mi costringe a rimanere qui, neanche la voce che prima mi tirava verso questo luogo.
E allora che diamine ci faccio ancora qui?
Non riesco ad andarmene, non posso.
Non posso e non devo.
Io qui troverò qualcosa che rimarrà con me per sempre.
Troverò la mia strada.
Troverò la mia casa.
Io troverò la mia…
/
/
/
/
/
/
Una voce.
Non quella di prima però
Un canto questa volta.
Melodioso, bellissimo, ammaliante, aggraziato, delicato, candido.
Una voce di ragazza, che scivola per i rami degli alberi sacri.
Che scivola nell’acqua delle fontane per poi riuscirne asciutta.
Perché l’acqua non può essere bagnata dall’acqua.
Si, si può paragonare solamente all’acqua, mai sentita un qualcosa di così fresco in questa estate così calda.
Refrigerio divino.
Una corda fatta di miliardi di note su un unico pentagramma, che scivola per il mio corpo e mi tira.
Come il mare.
Un onda che mi accarezza.
Come acqua.
Sale sul mio corpo e poi…
Come onda.
…e poi mi tira con lei.

Un passo.
Due passi.
Tre passi.

Mi muovo attraverso un sentiero fatto di piccole mattonelle ai lati, sparsi sulla mia strada petali di ciliegio.
Questo canto che arriva alle mie orecchie e continua ad estasiarmi.
E’ leggero.
Sembra il canto di un fantasma.
Tutto potrebbe essere.
Tutto.

Plon.

Un suono.
Il suono di un koto.
Io sono sicuramente morto e non me ne sono accorto.
Un posto come questo non può esistere in terra.
Non può.

Passo dopo passo incontro sul mio sentiero di tutto, fiori colorati e profumati come non mai, alberi e arbusti che non sanno cosa significhi la siccità che regna dietro al portone di legno rosso.
Alberi che vivono un eterna primavera dormendo.
Sonno profondo.
Se dormi non puoi provare dolore.
Ottima strategia.
Complimenti davvero.

Cammino ancora.

Un passo.
Due passi.
Tre passi.

Il suono del ruscello mi accompagna per questa strada che mi condurrà sicuramente dritta lassù, busserò alle porte del paradiso. Sicuramente io sono già morto e non me ne sono accorto.
Si, perché ora mi sembra persino di vedere un fantasma.
E petali di ciliegio sui suoi piedi.
E la corda mi libera, non mi trascina più, non ne ha più il bisogno, farò tutto da solo ormai.
Ormai.
E i suoi capelli castani / lisci / raccolti / intrecciati / un nastro azzurro / scivola e si posa sulla tua schiena / un kimono ti riveste / bellissima come sempre / un soffio di vento muove i lacci del tuo fermaglio che / suoni uno strumento / uno strumento che ha un suono antico e un profumo ammaliante / un fantasma / il suono è delicato come non mai / melodia che non può stare in terra / melodia che proviene dal cielo da cui tu / posso vedere le tue spalle / questo tuo kimono rosso, finemente lavorato / seta giapponese / questo tuo kimono rosso, finemente lavorato le lascia scoperte / pelle vellutata, come pesca / tu non puoi essere una creatura terrena / o sei un fantasma o sei un angelo / provieni comunque da qualcosa che sta molto più in alto / di noi / poveri mortali / di me / non posso far altro che / guardare in silenzio / una cosa che non potrà mai appartenermi / perché forse io potrei insudiciarla / fragile vetro ricoperto da una protezione più dura dell’acciaio / tu, sotto questo gazebo / non leggi i miei pensieri / non puoi / eppure io so / che in qualche angolo del tuo cuore tu / già lo sai / creatura divina / perfetta / sotto ogni aspetto / nessun graffio all’esterno /
/
/ ma /
/
devastata all’interno / anima fragile che non sai cosa significhi la parola affetto / non ne sai dare anche se stai imparando a riceverne e a regalarne / e ora la persona a cui più tenevi se ne è andata / e neanche un cane a consolarti, neanche a dirti / e tu lo vorresti il mio aiuto?
Scusami se forse sto osando troppo / scusa se sto cercando di avvicinarmi a te /
ma /
ma /
ma /
tu / lo vorresti il mio aiuto?

Un passo.
Due passi.
Tre passi.


Accarezzi le corde del koto con una delicatezza sovrannaturale, mani da dea, certo.

Lo riconosco.
Incantesimo.
Ogni cosa immobile, nella musica del silenzio che ha come sottofondo il suono del koto, che entra in ogni minima foglia, in ogni animale, in ogni goccia d’acqua, in ogni parte del mio corpo.
Che penetra dentro me.
Ogni cosa immobile, nel tempo, a me va bene così, posso stare qui anche anni.
Va bene così.
Anche il solo guardarti è per me un tesoro.
Ma non guardarti, questa parola è troppo forte per la fragilità della tua bellezza, anche il solo guardarti è pericoloso.
Posso solo sfiorarti con gli occhi, niente più, nascosto dietro un salice, niente di più, uno sguardo diretto ti frantumerebbe, perché ormai ho capito chi sei e come sei, Rika.
Rika.
Rika.
E anche se vorrei urlare il tuo nome so che non posso, non perché come un ladro mi sono intrufolato in casa tua, non perché voglio spaventarti, ma per il semplice fatto che tu ti ricorda di me.
Che tu ti ricorda che io esisto.
Perché per me questo è ciò che risulta importante.
Sapere che tu ti ricorda almeno di un ragazzo come tanti altri di nome Ryu Akiyama, un ragazzo che ha cercato di sfidarti e che ancora non ha perso.
Un ragazzo che ha osato salvarti la vita.
Tutto qui.
Non pretendo altro.
/
/
/
/
/
Silenzio.
Un uccellino incauto comincia a cantare.
Non è più silenzio.
E’ musica.
Un koto.
Continui a suonare, indifferente dei problemi di un comune mortale.
Continua a suonare, non curarti di me.
Voglio morire sentendoti suonare quel koto.
Non mi muoverò più da qui.
Voglio morire qui con te.
Hai visto signorina divinità cosa succede a scendere sulla terra per una passeggiata? Succede che hai fatto innamorare follemente di te un ragazzo come tanti altri, a te non potrà importare più di tanto, certo, tu sei immortale.
E’ logico che voi non pensiate a me.
Sono un povero essere umano.
Sono un povero essere umano che è reso debole da questi sentimenti.
Amicizia.
Prima.
Affetto.
Dopo.
Amore.
Ora.
/
/
/
/
Continuare a vivere,
in questo deserto color ruggine,
della mia povera anima
che non conosce la pietà.

Una bambina continua a correre e non si fermerà,
perché sa che dietro c’è la morte che l’aspetta.
Nasconditi e cela ciò che più di caro hai,
perché quella signora dalle scheletriche mani

può rubartele, non più ridartele,
per poi sparire nel buio dell’odio,
e non farsi mai più vedere.

Una ragazza continua a correre, ferite sulle sue gambe, non si fermerà
cade e si rialza ancora per l’eternità.
Ogni cosa ha un suo tempo, non ce la farà.
Ma lei è forte e sa che deve farcela.
Non può fermarsi no, non può, perché è dietro di lei,
cammina impercettibile, inesorabile e inarrestabile,
son vuoti gli occhi suoi,
son fredde le sue mani,
è lunga la sua falce…
è affilata la sua lama.


Una donna continua a correre, si, si fermerà
ha deciso e sulla sua decisione mai più indietro ritornerà.
Vuole guardarla in faccia questa morte, vuole provare il vuoto dei suoi occhi
e il freddo delle sue mani e la lunghezza della sua falce.
Ma non vuole provare la sua lama.
La donna si ferma.
Un eco freddo dietro di lei.
Un bastone che poggia a terra.
La donna si gira.
E
/
/
/
/
/
/
…e non vede niente.

Vetro che si frantuma, il buio che se va, vicoli e strade sporche che scompaiono, il labirinto che si dissolve.
Vetro che si frantuma, buio, poi ombra, poi luce. Luce che mi abbaglia, fortissima, potentissima, chiudo gli occhi che cominciamo a bruciarmi. Lacrimano.
Vetro che si frantuma, si cambia scena signori, tutti via dal palco, ogni luogo non è più lo stesso, e il mappamondo gira e gira e gira e gira e…
e…
e…
e…
Vetro che si frantuma…sbatto le palpebre, luce, niente ombra e niente buio, soltanto luce che mi accarezza le guance e che riscalda il mio corpo.
Luce che mi accarezza.
Il profumo di una pianta
Due fiori grandi viola sopra di me.
Su una pianta color dei papaveri che non avevo mai visto.
No, un momento, mani che mi accarezzano, non luce.
Il profumo del tuo corpo, non di una qualsiasi pianta.
Due occhi grandi e viola, non fiori.
Il tuo kimono, non una pianta.
Tu.
Tu bambina, tu ragazza, tu donna.
Ma comunque tu.
Tu e non una divinità.
Una persona come me.

The illusion.

Non è possibile.

- Perché dici che non è possibile?
Lei mi sorride, un sorriso vero, la sua bocca non è un illusione.
- Perché non so più niente…
- Cosa cerchi qui tutto solo?

The voice.

- Cerco certezze, cose impossibili in questo luogo da sogno.
- Hai mai provato a cercarle?
- Si, e ho trovato solo mistero.
- Il mistero è nella realtà che ci circonda, perché credi che io mi sia rinchiusa qui?
- …per scappare da questo inferno di vita.
- Sbagliato…la vera vita è la fuori.
- E allora perché diavolo non sei uscita fuori da questo posto? Dimmelo, ho aspettato anche troppo!

The time.

Un sorriso le sfugge, non è divertita, non è soddisfatta, è felice.
- Questo è semplicemente un luogo di transizione, di attesa, io ho aspettato per tutto questo tempo. Ho dormito solamente e se dormi non puoi provare dolore, ho giocato e se giochi non pensi alla sofferenza, la sofferenza non esiste qui, ma un mondo in cui non esiste il male non può esistere neanche il bene.
- E…chi sarebbe la persona che aspettavi?
- Henry.

The Dark.

- Ah, capisco…
Lacrime agli occhi, lo sapevo, d’altro canto lei e lui si conoscevano da molto prima di me, io sono stato solamente un suo sostituto.
Illusione/
/ logico/
/ la sua voce/
/ lei non mi appartiene/
avrei dovuto aspettarmelo.
Lo sapevo.

Un sorriso, ho il capo basso ma mi sembra d’aver percepito la sua risata, dolce tortura, ancora.
Ormai è registrata nella mia mente, non se ne andrà più.
E anche se ora ridi di me io non sono ancora capace di odiarti.
Non me ne hai data la possibilità.
Creatura divina, e quindi /
/ irraggiungibile.

Ho il capo basso, ma anche lei vedo che lo abbassa e si piega finché il suo naso non tocca il mio, il kimono lascia scoperte le sue spalle e i capelli le ricadono soffici sulla pelle e sulla stoffa di seta rossa finemente lavorata.

- Scherzetto mio caro re dei digimon!
- Che cosa?
- Scherzetto!!
- E allora si può sapere chi è che aspetti…

E Ryu non fece in tempo a finire la frase perché i grandi occhi viola di quella ragazza lo zittirono, e il suo viso si fece sempre più vicino e…successe quello che doveva accadere perché tutto era già scritto nel grande libro.
Un quadro.
Il vorticare dei petali di ciliegio immobili nell’aria, sospesi.
Il fruscio degli alberi immobili nell’aria, sospesi.
Il movimento dell’acqua e le sue gocce, immobili nell’aria, sospesi.
Le sagome di due ragazzi, i loro visi vicini in un bacio che aveva un sapore vero, reale, terrestre, umano, un bacio che sapeva di ciò che è e che doveva essere.

Lei, dietro un paravento di carta, ombre giapponesi, si cambia, lui che aspetta imbarazzato.
Escono.
Fuori da qui, loro devono vivere.
Si prendono per le mani.
Il portone di legno rosso è aperto.

Un passo.
Due passi.
Tre passi.

Sono fuori, si guardano felici e sfiorano le proprie guance.
Loro dovevano vivere.

Si girano e cominciano a correre felici, le loro risate, forti echeggiavano nel silenzio della strada.
Corrono e schiamazzano, vivono, e non si accorgono che il luogo dell’immobilità di cui entrambi erano prigionieri, una all’interno e uno all’esterno si sgretola, si dissolve, si frantuma, scompare e comincia a volare senza lasciare alcuna traccia visibile ad una persona felice.

Sospeso nel tempo questo luogo, continuerà a vagare per cieli e per terre di paesi lontani, per valli e per fiumi di terre sconosciute parlando lingue ignote, continuerà a vagare con tutte le sue storie finché qualcuno forse troppo stanco per continuare a vivere non lo troverà.
/
/
Nel silenzio riecheggiò il suono di un koto.





FINE.

 


 

  
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