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Autore: Amrita    23/04/2012    1 recensioni
« Ah, signor Holmes, lei ha la capacità di leggere le persone come fossero libri aperti, ma brancola nel buio quando si parla di capire i suoi stessi comportamenti. »
Genere: Generale, Thriller, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Holmes, non sia così testardo, almeno stavolta lasci che l'aiuti» sussurrò gentilmente la signorina Adler.
«Sono lusingato, ma io lavoro da solo, miss» rispose freddo Holmes, senza batter ciglio.
Gli sguardi dei due si incontrarono, così intensi che ci si aspettava ne scaturisse una pioggia di scintille.
«Da solo? Che mi dice di Watson? Per molti anni ha lavorato con il suo supporto» insistette maliziosamente la donna.
«Watson... il dottor Watson è un anomalia. L'ho fatto partecipare alle mie indagini soltanto per il suo bene. Era un uomo d'azione e la vita monotona l'avrebbe probabilmente portato alla depressione e ad un finale ben più triste. E poi, è stato divertente avere un compagno d'avventure» aggiunse illuminandosi.
La Adler sorrise enigmatica.
Holmes sollevò elegantemente un sopracciglio, a chiedere delucidazioni.
«Si sta arrampicando sugli specchi, mio caro» canticchiò lieve la donna, con un sorriso più largo.
Il detective schiuse d'un poco le labbra, in un espressione confusa e ben poco usuale al suo viso.
Il sorriso di miss Adler si attenuò: «Ah, signor Holmes, lei ha la capacità di leggere le persone come fossero libri aperti, ma brancola nel buio quando si parla di capire i suoi stessi comportamenti» asserì sapientemente.
«Possibile» continuò ancora «Che davvero dopo tanti anni lei non abbia capito? Si vanta di come si crogioli felice nella sua misantropia, ma non vede quanto in realtà sia... umano? Molti avrebbero lasciato il dottore nella sua tristezza, ma lei, Holmes, lei ne è stato incuriosito e l'ha reso felice. Entrambi sappiamo che, per quanto egli potesse lamentarsi dei suoi modi di fare, non avrebbe mai potuto farne a meno»
Holmes fissò il vuoto per un attimo e con un tono vicino alla tristezza, bisbigliò «Eppure ha deciso di lasciarmi.»
La signorina Adler, allora, fu combattuta: era fiera di se stessa per aver trovato il tasto dolente, la debolezza del suo geniale interlocutore, ma era pur sempre una donna e non poteva fare a meno di provare un minimo di compassione per la sua anima solitaria.
Osservò gli occhi grigi e malinconici di Holmes e gli angoli delle sue labbra che andavano piegandosi verso il basso e, non sapendo cosa fare, rimase in silenzio, sedendosi sulla poltrona dietro di lei.
Holmes, allora, alzò la testa e la guardò, e la donna avrebbe potuto giurare di aver visto quegli occhi solitamente freddi e calcolatori, diventare lucidi e riscaldati dai ricordi per solo un attimo.
La Adler capì in un istante che quella su cui si era appena seduta era la poltrona del dottore; pensò fosse meglio non dar a vedere di aver notato quell'attimo di debolezza del detective e, al contrario, sfruttarlo, perciò non si alzò e chiese eloquente «Allora, lascerà che l'aiuti?»
Ci fu una lunga pausa.
«Ci penserò su» fu l'unica risposta.
«E' abbastanza, per ora» disse scrollando le spalle la donna, poi si alzò e se ne andò, lasciando Holmes con un ultima occhiata fugace che racchiudeva mille parole, come solo le donne sanno fare.
 
 
                  
   
 
Holmes rimase solo, rannicchiato sulla sua poltrona, davanti al fuoco scoppiettante, per un po'. Un bussare sommesso alla porta lo risvegliò dai suoi pensieri e si accorse che per tutto quel tempo l'oggetto del suo sguardo era stato la vecchia poltrona del suo amico, rimasta intatta sin dall'ultima volta in cui il dottore era uscito da quell'appartamento, circa un mese addietro.
La porta si schiuse piano.
«Holmes?» chiamò una voce familiare, seguita da un viso ancor più familiare, che fece capolino nella stanza.
Il detective si raddrizzò un poco nella sedia «Watson, venga avanti, la prego. Cosa la porta qui?»
«Oh, soltanto la mancanza di un buon vecchio amico»
Holmes agitò la mano in aria «Andiamo dottore, non si perda in queste sue romanticherie» lo interruppe, con un sorriso mal celato.
«Holmes, mi dica, ma la donna che ho visto prima non era per caso la signorina Adler?» chiese Watson ingenuamente.
«La signorina Adler? Ma cosa va dicendo? Sarà un anno che non vedo quella donna ormai» mentì spudoradamente.
Il dottor Watson fece spallucce: i suoi occhi non erano più giovanissimi, ma era assolutamente sicuro di ciò che aveva visto. Nonostante ciò, conosceva abbastanza bene il carattere del suo vecchio compagno di avventure e sapeva che, per quanto potesse infastidirlo, se non veniva messo al corrente di qualcosa era sempre per un motivo più che valido.
«Vogliamo parlare invece» sollecitò Holmes malizioso «Del vero motivo per cui mi è venuto a trovare?»
«Cosa sta dicendo, Holmes?»
«Ah, amico mio, se avesse voluto vedermi sarebbe tornato prima. Mi dica, come vanno le cose con la sua adorata coniuge?»
«Holmes, la prego...» disse il dottore piano, facendo pressione sulla base del naso, sotto alle sopracciglia, stringendola tra il pollice e l'indice.
«Ha smesso di piovere da poco, ma considerando che lei vive piuttosto lontano da qui, di norma avrebbe preso una carrozza. Tuttavia, ha gli abiti ancora bagnati, e questo mi suggerisce che sia venuto a piedi. Quasi correndo, direi, a giudicare dallo stato dei suoi pantaloni...»
«Holmes...» disse Watson a voce un po' più alta.
Ma il detective insistette «Ma perchè stava non ha preso una carrozza e perché ha corso? Queste due domande mi portano ad un'unica risposta: non voleva parlare con nessuno se non con qualcuno che sapeva non parlare mai, e voleva farlo il più presto possibile. Questo perché voleva allontanarsi dalla sua dimora. Il motivo si chiama Mary Morstan, con ogni probabil...»
«HOLMES!» urlò infine Watson «Come ha potuto dedurre sono venuto da lei in cerca di tranquillità, le è tanto difficile astenersi dall'ispezionare il mio animo in ogni momento?»
Holmes rimase spiazzato e arricciò lievemente il naso con disappunto per l'interruzione.
«Come desidera.» 
Poi prese la pipa e iniziò a fumare.
 
Rimasero a fissare il fuoco per un po'.
«Allora, ha qualche nuovo caso per le mani?» chiese Watson, quasi sperando in un'avventura nella quale potesse essere coinvolto, che lo trascinasse via anche solo per un attimo dalla monotonia di tutti i giorni.
Holmes si alzò e andò a prendere il violino, sistemandosi la veste da camera.
«Niente di rilevante. O perlomeno niente di rilevante per lei» disse freddo, e incominciò a suonare una melodia di Bach.
Watson sospirò: era difficile fare parte dell'avventurosa vita del detective, che a volte sapeva essere anche molto infantile.
Il dottore, perciò si limitò a sistemarsi nella vecchia poltrona e chiudere gli occhi, cullato dalle note del violino del suo compagno, perdendosi tra i ricordi.
Holmes continuò a suonare per varie ore e, quando iniziò a calare il buio, Watson si alzò con una fugace occhiata alle finestre.
«Credo sia ora che io vada, amico mio» disse piano il dottore e, senza attendere una risposta, uscì lentamente dall'appartamento, quasi assaporando gli allegri scricchiolii del pavimento in legno, che sembravano salutarlo.
Il detective non smise di suonare finchè non vide il vecchio compagno sparire dietro l'angolo.
Rimase a fissare a lungo la vista fuori dalle finestre, fino a quando una nebbia densa e grigia salì, grigia come gli occhi e i capelli dell'uomo dal naso aquilino che ci perdeva dentro il suo sguardo.
   
 
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