Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: Scribe Figaro    17/11/2006    9 recensioni
"Quando le palpate diventano troppe, il troppo chiama pari. Così Sango sfida Miroku ai dadi. Tutto a causa della cattiva influenza del monaco…" Traduzione di mise_keith.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miroku, Sango
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La fanfiction è stata ripubblicata sotto il nome dell’autrice per adeguarsi alla regole del sito. Le recensioni sono state ricopiate manualmente ed inserite come anonime per consiglio di Erika.

 

Questa è una traduzione, autorizzata dall’autrice, di Getting Evens, di Scribe Figaro. La sottoscritta non si arroga alcun diritto, se non quello di (umile) traduttrice.

Ho amato i suoi Sango e Miroku così tanto da buttarmi in questa prima traduzione, in attesa di occuparmi di qualcuna delle sue opere più importanti. Intanto, una bella commediola, tanto per stuzzicare i vostri palati.

Qui, il link al suo account su FF.net, per recensioni, commenti, ecc. ecc. http://www.fanfiction.net/u/50527/

 Ad ogni modo, farò in modo di farle reperire le vostre considerazioni lasciate qui.

Buona lettura, mise_keith. (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=4004)

 

 

Notes: La storia è ambientata dopo l’episodio 132 dell’Anime (“La confessione più pericolosa di Miroku”), ancora assente nella serie italiana, quindi potrebbe essere spoiler per chi non ne conosce i fatti (ovvero un ulteriore avvicinamento tra Sango e Miroku, la famosa “proposta”). Ad ogni modo, non credo sia uno spoiler dannoso, né comunque ritengo che la storia non possa leggersi senza conoscere i fatti.  

La storia contiene diversi vocaboli giapponesi, tradotti alla bell’e meglio (decisamente a) in un glossario finale, per gli ignari come la sottoscritta.

 

Summary: Quando le palpate diventano troppe, il troppo chiama pari. Così Sango sfida Miroku ai dadi. Tutto a causa della cattiva influenza del monaco…

 

Getting Evens

( Pari o Dispari?)

 

I.

C’erano delle cose spiacevoli; combattere i demoni, viaggiare fino allo sfinimento. Gli sterminatori di demoni erano forti e fieri, ma non erano nomadi. O almeno, non lo erano prima dell’arrivo di Naraku. Prima che il loro villaggio fosse distrutto, e loro fossero decimati.

Ma non si erano estinti completamente, perché Sango continuava a portarli dentro di lei. Questo una volta era stato motivo di dolore, ma adesso era occasione di grande orgoglio. Il villaggio era scomparso, e non avrebbe perso altro tempo a lasciare indugiarvi il suo pensiero. I Taijiya si adattavano, e così anche Sango si era adattata. Avrebbe combattuto con i suoi amici, e diviso con loro la sua vendetta. E, se fosse stato possibile, avrebbe salvato suo fratello, e lo avrebbe perdonato per ciò che lo aveva visto fare.

Ma c’erano anche cose piacevoli della vita che conduceva. Incontrava ogni giorni gente nuova. Incontrava gente che la rispettava, rispettava i suoi amici. Aveva lottato così tanto per le lodi di suo padre, lodi concesse tanto raramente che ogni volta che accadeva che le facesse, erano importanti e ben meritate. Lui la amava, la amava tanto che non avrebbe permesso che il suo affetto per la figlia ridicolizzasse l’obiettiva valutazione delle sue abilità, non avrebbe lasciato che il suo addestramento fallisse perché aveva paura di rimproverarla, o di esserne deluso.

E per questo era strano per lei imbattersi in tante persone che la ringraziavano tanto profusamente. Aveva combattuto da sola prima, aveva combattuto alcuni demoni insetti più deboli, ma ora combatteva con una vera e propria squadra. Non sapeva se suo padre avesse mai affrontato youkai forti tanto quanto quelli che aveva sconfitto con i suoi amici il mezzodemone, il monaco e la sacerdotessa.

Conosceva ciò che andava rispettato, sapeva di dover essere ringraziata per la sua abilità e fatica, ma conosceva anche la differenza tra  l’accoglienza che riceveva una volta e quella che riceveva adesso. Prima, combatteva demoni che erano appena fastidi, che attaccavano provviste e bestie d’allevamento, che spaventavano donne e bambini, e che uccidevano molto raramente e solo qualche viaggiatore inconsapevole che si allontanava troppo dal villaggio dopo il calar del sole. Ma adesso combatteva veri demoni, demoni orribili, creature che non pensavano troppo mentre irrompevano in un villaggio pacifico alla luce del giorno ed uccidevano chiunque in pochi minuti, banchettando con i corpi, bruciando l’intero villaggio, per spostarsi poi verso un altro. Sango comprendeva la differenza tra qualcosa che uccide perché è affamata, e qualcosa che uccide perché si diverte a farlo. Quelli che combatteva adesso erano veri mostri, e il sollievo degli abitanti dei villaggi che salvavano era tanto sincero che a volte non sapeva neppure come comportarsi nei loro confronti.

Quello di quel mattino era un buon esempio. L’eliminazione di un demone orso era proceduta bene la notte precedente ed avevano tutti dormito in una delle più belle case che il villaggio poteva offrire. Il loro addio era stato breve ma caldo – erano venuti a decine per vederli andar via, ringraziandoli, alcuni con doni, altri con lacrime. I bambini e ragazzi circondavano Inuyasha e Houshi-sama, riempiendoli di complimenti e sfrenata ammirazione, pregandoli di far vedere ancora le loro mosse, o di insegnare loro come diventare cacciatori di demoni, o di portarli con loro come apprendisti. Inuyasha era scostante, come sempre, ma Sango poteva affermare dalla sua posa che era più imbarazzato che altro. Houshi-sama, ovviamente, si comportava splendidamente con i bambini, chinandosi, parlando con loro a bassa voce e con un tono eccitato che imitava il loro, raccomandando loro di lavorar sodo per le loro famiglie, di acquistare giorno dopo giorno la forza per diventare sterminatori di demoni, e di badare ai loro fratelli e sorelle più giovani. Lo osservava parlare con i piccoli, accarezzando loro le teste, sorridendo sinceramente, e arrossì. Lo amava. Amava vedere come giocava coi bambini. Amava pensare a che grande padre sarebbe diventato.

 

II.

Erano partiti, e avevano viaggiato quasi un’ora prima di realizzare che erano a corto di provviste. Era il suo turno di comprare cibo per il viaggio, ma le era sfuggito di mente quella mattina, e adesso avevano del riso in quantità appena sufficiente per quel giorno. Gli altri si offrirono di tornare indietro con lei, ma rifiutò. Era un viaggio breve, specialmente con Kirara, e non c’era ragione perché tutti loro s’incomodassero. Li avrebbe raggiunti quando si fossero fermati per il pranzo.

Houshi-sama incontrò i suoi occhi per un momento. Era uno sguardo che riceveva spesso da lui, dissimulato di fronte agli altri ma ben visibile per lei. Sebbene non dicesse niente quando la osservava, lei capiva che significava qualcosa come Sono qui per te.

Lo sapeva, ovviamente, ma quell’occhiata rassicurante era qualcosa che aveva cominciato ad aspettarsi da lui, qualcosa che non arrivava mai ad oberare, ma consolidava sempre il fatto che lui si preoccupasse per lei. Egli si manteneva al suo fianco a distanza di un braccio, come faceva con qualunque cosa fosse per lui importante. Non era nel suo stile dirle che l’amava. Lo sapeva già.

Anche lei era cauta. Ricambiava sempre lo sguardo, occhi negli occhi, e rispondeva con un cenno impercettibile del capo, o sollevando un angolo della bocca. Lo so. Grazie, Houshi-sama.

Si diresse di nuovo al villaggio a cavalcioni di Kirara, piuttosto velocemente, ma senza spronarla troppo. Non aveva fretta, e approfittò della possibilità di pensare tra sé per il poco tempo che impiegò per raggiungere il villaggio. Non era troppo sicura del perché volesse stare da sola, ma credeva potesse aver a che fare qualcosa con il monaco. Forse aveva solo bisogno di qualche momento per fantasticare, per pensare a lui ed arrossire, senza che i suoi amici interferissero con il corso delle sue riflessioni. Forse voleva soltanto pronunciare il suo nome, lì dove nessun altro poteva udirla.

- Miroku. –

Era un bel nome. Ma avrebbe continuato a chiamarlo Houshi-sama ancora per un po’.

 

Eliminò questo genere di pensieri nel momento in cui arrivò al villaggio. Gli abitanti erano andati ad occuparsi dei loro campi, il che era naturale, e lei odiava riapparire dopo aver detto addio. Andò dritta da una venditrice di riso sul confine dell’agglomerato di case.

- Taijiya-san! – esclamò quella, eccitata. La donna era giovane, non di troppo più vecchia della stessa Sango. Si stava riannodando il copricapo di stoffa quando Sango apparve, e non appena ebbe finito, corse immediatamente all’ingresso del negozio e s’inchinò.

- Ci siamo accorti che ci mancavano alcune provviste poco dopo la nostra partenza, - spiegò la giovane. – Speravo di poter avere tre libbre di riso crudo e una libbra di pesce, se ne ha. –

- Ma certo! – sorridendo, la donna si voltò verso il secchio pieno di riso dietro di lei e cominciò a pesarne una parte.

Sango si sentì colta da un lieve disagio.

- Dunque… suppongo che ora che il demone è sparito, tutto sia tornato normale qui. –

La donna scoppiò a ridere d’improvviso.

- I bambini sono tornati a giocare con spade di bambù, al posto di aiutare nei campi. Mio marito gioca di nuovo d’azzardo, e bara. Sì, tutto è tornato alla normalità, decisamente. –

Scosse la testa, mettendo da parte il riso, e tirò fuori qualcosa dal suo kosode.

- Ecco, guardate qui. Mio marito è stato beccato già due volte a barare, e che cosa fa? Compra un paio di dadi migliori. Ha buttato via una fortuna per questi, dicendo che vengono da Nara, che nessuno potrà accorgersene ancora. Come diavolo farà ad aiutarmi a trasportare il riso quando alla fine il proprietario della bisca gli romperà le braccia? –

Sango tese obbediente le mani e la venditrice vi fece scivolare dentro un paio di dadi.

- Sono dadi truccati? – chiese. Se li rigirò tra le dita. Le sembravano normali.

- Fateli rotolare sul bancone e vedrete. –

Li agitò tra i palmi chiusi a coppa e li fece scivolare dove le aveva detto. Sei e quattro. Pari.

- Provate di nuovo. –

Provò ancora tre volte. Vennero fuori diversi numeri, ma sommati erano sempre pari.

- Escono sempre pari? – domandò.

- Non sempre, ma quasi. Verranno dispari circa una volta ogni cinque, solo per far sembrare che tutti quei pari siano solo colpi di fortuna. Se giocate con qualcuno per qualche giro con questi dadi, non si accorgerà mai del trucco. Ma dopo due o tre giocate, sarà ovvio quello che succede. –

Sango accarezzò le facce bianche scolpite nell’osso, godendosi la levigatura degli angoli e  la lucentezza dei punti dipinti. Aveva giocato d’azzardo con gli altri sterminatori, anche se senza scommettere denaro, e si ricordava di quei dadi intagliati piuttosto rozzamente. Questi sembravano fabbricati da mani esperte, e non riusciva a dire se fossero lavorati stranamente o avessero un peso inusuale.

- Quindi anche un giocatore esperto potrebbe essere raggirato, se si non si giocasse troppo con lui. –

- Assolutamente. – rispose la venditrice. – Ma nessuno che abbia la passione per l’azzardo potrebbe giocare solo per poco. Mio marito vincerebbe una notte, ma continuerebbe a usare questi dadi fino a che non si facesse scoprire. –

La donna posò i dadi sul bancone.

- Potrei… - Sango afferrò i dadi e li strinse in una mano. – Potrei comprarglieli?

La donna rise.

- Comprarli? Cara, se promettete di portarli molto lontano da qui, potete averli. Non importa quanto tenti di nasconderli, mio marito prima o poi li troverebbe. Prendeteli, per favore, con la mia benedizione. –

La giovane sorrise. – Grazie. -

 

III.

Non era sicura del fatto che avrebbe usato i dadi. All’inizio, quando ne era entrata in possesso, una settimana prima, ne era certa. Ma era rischioso. Houshi-sama aveva fiducia in lei, e lei non aveva intenzione di tradirla. Però non si stava comportando troppo bene. E si domandava, a volte, se avesse davvero smesso di spiarla quando si lavava, o se era semplicemente diventato più bravo a nascondersi.

Quel pomeriggio ricevette una palpata mentre lucidava Hiraikotsu, e fu allora che decise che si sarebbe meritato un po’ di serio imbarazzo. Per una questione di equità.

Avrebbero avuto stanze separate quella notte, visto che la locanda che li ospitava era grande, e avevano ricevuto un grossa ricompensa dall’uccisione dell’ultimo demone. Mangiarono assieme, e ognuno si ritirò ove gli era stato riservato.

Sango aspettò per circa un’ora, quindi si diresse verso la camera riservata monaco.

- Sango? –

Era sorpreso di vederla, ma lasciò emergere in fretta il suo solito sorriso compiaciuto, ed espresse la sua gratitudine per il fatto che fosse venuta, e voleva forse una carezza sul sedere? Con ogni sua parola in più sentiva ancor meno pietà per quello che era in procinto di fare.

Gli aveva portato del sakè. Sapeva che era più corpulento di lei, e più abituato a bere, e che di conseguenza se avesse bevuto quanto lui si sarebbe ritrovata a rovesciare l’intero contenuto del suo stomaco mentre lui era ancora sobrio. Ma bevve molto poco, e riempì immediatamente la sua coppa subito dopo ogni suo sorso, come un’obbediente ragazza di una casa da tè.

Lui sapeva quanto questo suo comportamento fosse strano. Stava tentando deliberatamente di farlo ubriacare. Non tanto da potersi approfittare di lui, ma abbastanza perché si accorgesse più lentamente del solito di qualunque tiro che avesse intenzione di giocargli.

Per fortuna la loro era una relazione silenziosa, visto che lei non riusciva a ragionare su niente da dire mentre bevevano insieme.  Era troppo eccitata per pensare ad altro.

Dopo un po’, gli chiese di giocare d’azzardo.

- Giocare? D’azzardo? -

- Qualcosa come i dadi. Ci hai mai giocato? -

- Beh, sì, ma non ha molto di gioco. Non c’è bisogno di alcuna abilità, solo fortuna. -

- Io non ci ho mai giocato. – mentì Sango. – Ma mi sono imbattuta in un paio di dadi qualche giorno fa, e mi è venuto in mente che mi sarebbe piaciuto imparare a giocare. Considerato che stanotte non riuscivo ad addormentarmi, mi sono chiesta se avessi potuto giocare un po’ con me, ed insegnarmi. -

Estrasse i dadi dalle pieghe del suo kosode, e li posò sulla porzione di pavimento fra di loro.

- Sono davvero ben fatti. – mormorò Miroku, raccogliendoli. – Li hai comprati? -

- Sono un regalo. -

Li poggiò per terra.

- Beh, è un gioco molto semplice. Non ci metterò molto a insegnartelo. -

Miroku svuotò la sua tazza di sakè, ne asciugò l’interno con la sua manica, e dopo vi fece scivolare i dadi. Dopo averli scossi per un po’, depose la tazza capovolta sul pavimento.

- Pari o dispari? – chiese.

- Pari. -

Sollevò la coppa. Sotto di questa, le facce mostravano il due e il sei.

- È pari. Hai vinto questo giro. –

- Cosa avevi scommesso? – domandò lei.

- Cosa? –

- Cosa avevi scommesso, Houshi-sama? Visto che è un gioco d’azzardo, dobbiamo scommettere. –

- Non vuoi che facciamo qualche prova prima? –

Scosse la testa.

- Beh, non sono sicuro di cosa scommettere, - chiarì. – Ho il nostro denaro con me, ma non è mio, non posso metterlo in gioco. –

- E tutto quello che io ho con me sono i miei vestiti. –

Miroku deglutì udibilmente.

- Capisco… -

- Ma di certo non posso scommettere quelli. – continuò lei.

- Certo che no. –

- Perché potrei perdere, e quindi rimarrei nuda. –

- Ovviamente. –

- Sarebbe davvero sconveniente, - affermò – se Houshi-sama mi vedesse, mentre sono svestita. –

- Sarebbe immorale. – concordò.

- Davvero sbagliato. – precisò la ragazza.

Sango prese la sua tazza di sakè e ne ingollò il contenuto in un solo sorso. Tenendo la coppa poggiata alle labbra, lo scrutò da dietro l’orlo.

- Quindi sarà meglio che non perda. – concluse – Houshi-sama, credo di aver appena vinto il tuo kesa. –

Miroku annuì lentamente. Sciolse il nodo sulla sua spalla e lasciò scivolare via la stoffa avvolgendola deferente e porgendola a Sango.

- Lancia ancora i dadi, Houshi-sama. -

Così fece.

- Pari. – asserì Sango.

Ed era di nuovo pari. Divertito, Miroku svolse il suo nero e pesante koromo e lo passò a Sango. Lei non resistette e affondò il viso nel tessuto tiepido per un momento.

- Così comodo. Vorrei che i miei vestiti fossero così caldi. – sussurrò. Sorrise. – Credo di potere iniziare ad indossarlo, comunque, considerato che l’ho vinto. Lancia ancora. –

Miroku sospirò. Di nuovo, pari. Di nuovo, aveva vinto Sango.

- Non è giusto, - mormorò Miroku.

Allentando il suo hadagi, si sfilò il kyahan dalla gamba destra.

- Tutti e due, Houshi-sama. -

- Tutti e due? –

- Tutto ciò che è in coppia conta come uno. A cosa serve un solo kyahan? –

- Penso proprio che in questo gioco tu abbia più esperienza di quanto non dici. – disse Miroku.

- Penso proprio che tu sia un cattivo perdente. – replicò Sango.

Entrambi i kyahan vennero deposti davanti a Sango.

Un altro giro. Ancora pari. Presto avrebbe intuito qualcosa, ma stava per perdere tutto.

Sospettava che tentasse fortemente di non arrossire mentre slacciava il nodo sul lato destro del suo hadagi e sfilava il capo dalle sue spalle forti. Sentì qualcosa salire vertiginosamente dentro di lei mentre studiava il suo petto ben definito, i muscoli delle sue braccia e cosce, sul suo stomaco.

Sedeva immobile, osservando il suo Houshi-sama, che non indossava nient’altro che un fundoshi.

- Se perdo il prossimo giro, - iniziò Miroku – ho paura che verrò schiaffeggiato. Un bel po’. –

- Vedremo. –

- Devo ritenere che tu voglia proseguire col pari? –

- Ovviamente. Stasera mi porta fortuna. –

Miroku scosse i dadi e sollevò la tazza. Sei e uno. Dispari.

Non era molto sorpresa. I dadi non avrebbero potuto dare sempre pari. La volta dopo, ne era sicura, Miroku avrebbe perso.

Sango slacciò il suo mo-bakama e lo svolse dai fianchi, tendendolo a Miroku.

Il giro successivo era ancora dispari.

Solo un incidente, pensò. Infilò le mani nelle maniche del suo kosode, sciogliendo i nodi che assicuravano i tekkou ai suoi avambracci, e li sfilò.

Dispari, di nuovo.

- Stai barando! – sibilò. – Stai tirando male i dadi!

- Ti assicuro di no. Vuoi provare a lanciarli tu? –

- È quello che farò. – rispose, sollevando il kosode e allentando i nodi dei kyahan  attorno ai propri polpacci. Diede anche questi a Miroku.

Afferrò i dadi, scuotendoli furiosamente, lasciandoli cadere con un certo baccano.

- Pari, - esclamò.

- Non devi indovinare se sei tu a gettare i dadi. – le fece notare Miroku.

- Non m’importa. Ho detto pari. –

Sollevò la tazza. Tre e due. Dispari.

- Depravato! –

- Sei stata tu a chiamare, Sango. –

Scuotendo la testa, aprì il suo obi e lo lanciò verso di lui.

- Mi chiedo, a cosa può servire un obi senza un kosode? – rifletté Miroku.

Sango fece scivolare il kosode via dalle spalle e glielo gettò in faccia.

- Ottime cuciture. – considerò – Credo che mi frutterà un bel po’ al prossimo villaggio, ne, Sango? –

- Tira quei dannati dadi. –

Sedeva di fronte a lui, vestita solo di un hadagi, con le braccia incrociate al petto, essendo il tessuto abbastanza sottile perché lui scorgesse il profilo del suo seno. Il giro successivo, uno dei due sarebbe stato nudo.

Sapeva quel che aveva fatto. Aveva sostituito i suoi dadi. Dopo qualche giro, doveva aver realizzato che aveva dei dadi truccati perché uscissero sempre pari. Quante possibilità c’erano che avesse dei dadi che dessero sempre dispari da qualche parte tra i suoi vestiti, identici ai propri, e che fosse riuscito a scambiarli senza che lei se ne rendesse conto?

Gettò un’occhiata ai suoi pesanti abiti neri, piegati accanto a lei. La stoffa era tanto spessa e vasta che era possibile per lui nascondervi decine di astuzie. Non aveva avvertito, carezzandolo tra le mani, il sacchetto di monete, o il fascio di pergamene sacre, o la piccola boccetta d’inchiostro che l’aveva visto estrarre a volte. Si era tanto sforzata di rimanere impassibile mentre egli si svestiva che sarebbe stato facile per lui produrre dal nulla, non visto, un altro paio di dadi e batterla al suo stesso gioco.

I dadi vennero lanciati. La tazza si trovava tra loro due. Sango sorrise.

- Dispari. – mormorò.

Miroku batté le palpebre.

- Ne sei sicura? –

- Sicurissima, sukebe. So che hai sostituito i dadi. Dispari. –

- Sango… -

- Non ci cascherò, Houshi-sama. Dispari. –

Così dicendo, si chinò in avanti e sollevò lei stessa la coppa.

Due e due. Pari.

- Come hai…? – biascicò.

- È perché ho barato. – confessò – Non devi fare niente. Il gioco è finito. –

- Hai barato per poter perdere. –

Lui scrollò le spalle.

- In effetti, dopo che ho iniziato a barare, era solo una questione di chi dovesse mettere nel sacco l’altro. –

Lei si alzò in piedi.

- Sango. –

Era arrossita violentemente, portando le dita alla chiusura del suo hadagi. Ma era determinata. Era determinata a non sembrare un’ipocrita nei confronti del monaco. A non far sembrare che avesse paura. Che si vergognasse, o si sentisse ingannata. 

Fissandolo dritto negli occhi, sciolse il nodo dell’abito e lo lasciò scivolare sul pavimento.

Lui abbassò gli occhi.

- Sango è abbastanza. Per favore… -

- Non sottovalutarmi, Houshi-sama. Prendo seriamente le mie scommesse. Se non sai mantenere un po’ di autocontrollo non dovresti nemmeno giocare. Sei per caso un ragazzino che non riesce a guardare una donna senza perdere la ragione? –

Lui sorrise col suo solito ghigno sfacciato, sollevando lo sguardo.

- Nelle situazioni in cui le altre donne sono le più timide, tu sei sempre la più audace. È raro che passi un giorno senza che tu mi sorprenda, o mi elettrizzi, o semplicemente mi terrorizzi. –

Lo guardò di sottecchi.

- Questo mi ricorda qualcosa, - intervenne – Non mi aspetto che tu faccia veramente qualcosa di strano, ma se solo volessi provarci, devi sapere che ho già escogitato cinque modi per spezzarti in due. Vuoi che te li descriva? –

Lui agitò una mano, afferrando la tazza da sakè con l’altra e quindi riempiendola. – No, no. Per favore, non rovinare il divertimento. – Si chinò indietro in una posa che sembrava esternare il navigato giocatore d’azzardo che era.

- Credo che dovrei approfittare il più possibile della situazione, allora. Peccato che non mi aspetti questo genere di cose da te, o avrei chiesto a Kagome di prestarmi  qualcuno dei suoi pennarelli. –

Mentre parlava, lasciò i suoi occhi vagare su di lei. La guardava assolutamente privo di vergogna, la sua espressione che variava da ambigua a cogitabonda, lasciando trapelare dubbiosa puerilità o curiosità. Il suo sguardo la avvolgeva, accarezzava e con ogni movimento dei suoi occhi, mentre si focalizzavano su una parte o su un’altra, lei stessa si ritrovò a esplorarsi con lui, pensando come lui.

Qui c’erano i suoi capelli, corvini, lisci, lunghi, i folti ciuffi davanti alle orecchie, uno stile che lei sapeva popolare nel suo villaggio, la sua spessa frangia, che cadeva disordinata sulla fronte. Qui i suoi occhi, grandi, castani, un’ombra di polvere di corallo su ognuno, a meno che non fosse già svanita durante la serata, o che avesse dimenticato di applicarla la mattina. Quand’era stata l’ultima volta che si era guardata allo specchio per farlo?

Quindi il suo viso, il piccolo naso, la sua bocca piena, i denti che mordevano nervosi il labbro inferiore, le guance imporporate dal rossore. Le sue orecchie, forse un po’ più grandi di quanto non avesse voluto. Le sue spalle sottili ma troppo muscolose per essere quelle di una donna. Le sue braccia, forti ed allenate. I suoi seni, da sempre più abbondanti di quello che desiderava – li aveva fasciati con delle bende già da quando aveva tredici anni, sempre più stretti, in modo da rallentarne la crescita, ma il suo corpo si ribellava con ostinazione, e le fitte al petto provocate dalla bendatura si facevano sentire; così, a sedici anni ammise la sconfitta, e si affidò alla sua uniforme da taijiya perché accogliesse la sua forma ancor più matura di donna. Agognava in qualche modo ancora un petto spianato che non interferisse quando sguainava la spada, e che non fungesse da contrappeso mentre trasportava Hiraikotsu, che non dolesse correndo o che non invitasse le mani del monaco come soda, frutta matura.

Egli dedicò la sua attenzione al suo seno, come lei sapeva avrebbe fatto, ma lei non lo rimproverò, né incrociò le braccia al petto. Studiò invece la sua espressione, notando come lottava per distogliere lo sguardo, per poi posarlo sul viso di lei, come per chiedere scusa. Ancora sotto c’era il suo stomaco, i muscoli appena visibili che tradivano la sua vita da combattente e da donna la cui unica fonte di sopravvivenza fosse il suo corpo – flessibilità e forza, la capacità di correre e saltare e calciare. I suoi occhi seguirono il lieve pendio della sua pancia, la curva delle sue cosce, le sue ginocchia, i polpacci ed i piedi.

Prese l’ultimo sorso dalla coppa, la mise via, e s’inchinò profondamente.

- Piangerò il fatto che adesso la luna d’autunno e il cielo d’estate non possiederanno più alcun incanto ai miei occhi. La mia percezione della bellezza è interamente cambiata. In confronto a ciò che ho visto stanotte, il giardino più lussureggiante non è che un covo di erbacce e bruttura. –

- Idiota. – sibilò lei fra i denti, raccogliendo il suo hadagi. Mentre si copriva di nuovo le spalle lui riempì un’altra tazza e si alzò.

- Ad ogni modo, mi sento molto più vicino a Buddha, adesso, e per questo devo ringraziarti. –

Portò la tazza all’altezza del viso di lei, tenendola troppo vicina perché potesse prenderla lei stessa, ma facendolo abbastanza lentamente che avrebbe potuto afferrarla se avesse voluto. Lei strinse solamente il nodo al suo fianco e ricambiò il suo sguardo.

- Poiché sono arrivato alla soluzione di molti misteri. L’enigma che portano con sé gioia e sofferenza. Il numero di pietre con cui sono innalzati i palazzi di Kyoto. Cose del genere. –

Avvicinò la coppa alle labbra di lei, inclinando la testa in modo da essere sicuro di non versarne il contenuto. Ella schiuse le labbra e prese un sorso, molto lentamente. Lui sorrise, ritirò la tazza, e una goccia scivolò dal labbro inferiore di lei, intirizzendolo.

- Ovviamente sto sognando, giusto? – domandò. – Qualcosa nel sakè? –

- Certo. – rispose lei. – In realtà adesso sei in un fosso non so dove. E un gruppo di bambini ti sta punzecchiando con dei legnetti mentre parliamo. –

- Capisco. Perdonami, ho versato… -

Si chinò in avanti e la baciò, passando la lingua sul suo spesso labbro inferiore, cancellando la torpidità con il proprio calore, e quando si allontanò lei sorrise, e gli diede uno schiaffo tanto forte che la coppa volò via dalle sue mani e atterrò con una spirale sul tatami, mentre lei continuava a sorridere.

- Sei già sveglio, Houshi-sama, che fa sogni tanto improbabili? –

Si strofinò la guancia con una mano. – Sfortunatamente, no. Questo sogno potrebbe durare tutta la notte. Potresti quindi sdraiarti e metterti comoda. –

- Potrei anche darti qualche calcio in mezzo alle gambe. – suggerì servizievole – Dammi solo un minuto per stirarmi i muscoli. – completò, sollevando il suo hadagi a metà coscia e avvicinandosi a lui.

- Questo renderebbe difficile adempiere la mia promessa. – ribadì – La parte sui bambini mi sembrava piuttosto importante nel contesto. –

- Potremmo adottarli. Sei pronto, Houshi-sama? –

- Ripensandoci, le mie palpebre stanno sbattendo. Sì, sono quasi sveglio, adesso. Dovrei sdraiarmi in modo da non riaprire gli occhi troppo disorientato. –

- Oh? – esclamò lei, sporgendo le labbra. Lo osservò mettere via le tazze e sistemare i suoi vestiti mentre lei raccoglieva i propri.

Sistemò il necessario per dormire e si sdraiò sul futon mentre la guardava rivestirsi, senza fare alcun tentativo per nasconderlo. Quando fu abbastanza decente per essere vista lasciare la sua camera gli si avvicinò, si inginocchiò al suo fianco, e lo baciò sulla guancia.

- Presto, - sussurrò.

- Quando sarai pronta, - disse lui.

- Sono già pronta. È solo… -

- Vuoi farlo durare. – indovinò.

- Sì. A piccoli assaggi. –

- Ci affameremo fino a crepare, così.- la avvertì.

- No. – rispose – Ma potremmo impazzire. –

Lui sorrise. – Mi piacerebbe. –

- L’amore in qualche modo è follia. – affermò lei.

- Lo so. Non è meraviglioso? –

- Già. –

Gli mise i dadi tra le mani.

- Per la prossima volta. –

 

 

 

 

 

**********************************************************************

Glossario

Taijiya: Sterminatore di demoni.

Houshi(-sama): (Onorevole) Monaco

Kesa: Indumento drappeggiato sopra la tunica buddista.

Koromo: Tunica buddista.

Hadagi: Sottoindumento, generalmente di lino, cotone o seta, da indossare in clima freddo sotto i normali abiti.

Mo-bakama: Grembiule.

Kosode: Sorta di kimono femminile.

Obi: Cintura.

Fundoshi: Perizoma (sorta di).

Tekkou: Coperture per le mani.

Kyahan: Usati analogamente ai tekkou, avvolti attorno ai polpacci.

Tatami: Unità di pavimento giapponese.

Futon: Letto giapponese.

Sukebe: Pervertito.

 

 

  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: Scribe Figaro