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Autore: bianchimarsi    23/04/2012    1 recensioni
Hermione Granger non aveva mai pensato di aver bisogno di uno psicologo. La sua infatti era una vita perfetta: aveva un marito, molti amici, un lavoro per cui pregava da sempre e una bambina splendida. [...] Hermione Granger non aveva mai pensato di aver bisogno di uno psicologo: sapeva semplicemente che aveva bisogno di uno psichiatra.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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CRESCERE

Hermione Granger non aveva mai pensato di aver bisogno di uno psicologo. La sua infatti era una vita perfetta: aveva un marito, molti amici, un lavoro per cui pregava da sempre e una bambina splendida.

Hermione Granger aveva un marito che amava fin da quando era una ragazzina. Degli amici con cui era cresciuta fin dall’infanzia. Un lavoro nel Ministero che probabilmente presto l’avrebbe portata a ricoprire cariche importanti, forse addirittura quella di Primo Ministro. E una figlia splendida, con gli occhi azzurri come il cielo e intelligente come lei. Dimostrava la sua intelligenza anche con il pannolone e senza saper camminare: aveva iniziato a dire qualche parola molto prima di qualsiasi altro bambino e quando incrociava il suo sguardo sembrava che le leggesse dentro. Aveva capito subito che non era una bambina normale quando, appena nata, la aveva guardata: aveva il sopracciglio destro scarruffato, quasi riccioluto, come i suoi capelli. Aveva alzato gli occhi e quando i loro sguardi si erano incrociati aveva fatto una buffa smorfia, alzando il sopracciglio incriminato, come a dire “Embè? Sono qui. E adesso… Eh beh, adesso sono guai…”

Ma non erano solo guai. Erano cazzi, cazzi amari.

Hermione Granger non sapeva più se amava suo marito: non sopportava di sentirlo parlare, di lasciarsi toccare da lui. Le sensazioni che provava quando le era vicino si erano via via affievolite, fino a scomparire. Non sentiva più le farfalle nello stomaco quando incrociava il suo sguardo, le sua guance non arrossivano mai mentre lo pensava, forse perché non lo pensava affatto, il loro rapporto si era ridotto al saluto alla mattina e a poche altre frasi smorzate.

Hermione Granger aveva molti amici, ma quanti di loro potevano considerarsi veri amici? Si contavano sulla punta delle dita: Ginny, Neville, Luna, Harry.. Tutti fidanzati o sposati, ai quali non poteva (o non credeva di potere?) rivolgersi per ogni suo dubbio o capriccio. Troppo impegnati per tenerla in considerazione. Troppo cresciuti per avere con lei il rapporto che avevano un tempo, molto tempo prima.

Hermione Granger aveva un lavoro nell’ambito della legge al Ministero: la sua grande passione. Ma non sopportava più tutte le scartoffie, i problemi insulsi della gente, i colleghi leccaculo che la trattavano come un dio sceso in terra per la sua popolarità e la sua intelligenza, i superiori antipatici e le lunghe notti insonni passate ad analizzare fascicoli su fascicoli per qualche ricorso in tribunale.

Hermione Granger amava la sua bambina speciale, ma quando piangeva la notte appena si era appena addormentata, svegliandola di soprassalto, oppure quando non mangiava per capriccio o non stava ferma mentre la cambiava, avrebbe tanto voluto uccidersi. Più volte pensava a modi indolori per morire: buttarsi da un palazzo, bere un veleno, un Avada Kedavra, spararsi: ne esistevano a bizzeffe. La sua mente malata, quando si sdraiava sul letto, viaggiava nei meandri di pensieri infelici e sanguinolenti, nei quali Hermione si immaginava stesa su un letto, cadavere, mentre tutti la piangevano. Aveva addirittura comprato una fiaschetta di veleno: la teneva nella tasca dei pantaloni, e più di una volta aveva pensato di berla e di farla finita, ma non ne aveva avuto il coraggio.

Hermione Granger non aveva mai pensato di aver bisogno di uno psicologo: sapeva semplicemente che aveva bisogno di uno psichiatra.

**

Le sedute erano cominciate due settimane prima: una volta ogni tre giorni si sdraiava sul lettino e stava zitta, a guardare le pale del ventilatore che giravano sul soffitto, aspettando. Dopo qualche minuto il Dottor Webb iniziava a parlare con una voce confortante: le parlava del tempo, di musica, di cinema, a volte anche di politica. Hermione lo stava a sentire e gli rispondeva, cercando di fingersi interessata, mentre in realtà pensava soltanto a ciò che avrebbe dovuto fare una volta tornata a casa e a come stesse sprecando tempo. Una settimana prima il dottore si era però finalmente deciso a darle i primi farmaci: erano dei semplici tranquillanti, piccole pasticche al retrogusto di camomilla che ingoiava assieme al suo cappuccino mattutino nel bar all’angolo. Avevano avuto un effetto straordinario: poco dopo aver preso la prima si era improvvisamente rilassata: i suoi muscoli sempre tesi si erano improvvisamente afflosciati, l’espressione perennemente imbronciata della faccia rasserenata, il mal di testa dovuto al poco sonno quietato. Ah, i benefici della magia…

Mercoledì aveva preso tre pasticche. Il libretto delle istruzioni ne consigliava al massimo due, ma l’effetto svaniva in poche ore e Hermione non aveva voglia di tornare a essere la solita nevrotica. Si era presa un giorno di ferie, aveva fatto la spesa e una lunga passeggiata nella Londra babbana, aveva comprato un vestito e un nuovo completino intimo molto semplice color panna e infine era tornata a casa e aveva preparato la cena. Alle sei era andata a prendere Rose all’asilo e l’aveva fatta mangiare. Fra le braccia della mamma, insolitamente tranquilla, la bambina si era addormentata in pochi minuti, stanca dopo una giornata di giochi con i suoi coetanei. Aveva atteso Ron che era arrivato tardi. Lo aveva accolto con una cena a lume di candela e quella notte, dopo tanti mesi, avevano fatto l’amore.

Il giovedì prese sei pasticche. Ne era ormai assuefatta: come succede per le sigarette, dopo che hai preso il vizio, passa sempre meno tempo fra una sigaretta e l’altra. Così dopo appena due ore svaniva l’effetto degli psicofarmaci, così che doveva prenderne un altro per calmare il piccolo mostro che da dentro iniziava a rinascere…

Quel giorno Hermione uscì prima da lavoro. Era particolarmente stanca, le palpebre le si chiudevano. Tornata a casa, si scordò di andare a prendere la figlia e si addormentò sul divano. Ron tornò a casa infuriato, con la bambina in braccio: aveva intenzione di dire alla moglie che non ci si può scordare dei propri figli, che lo avevano chiamato a lavoro per dirgli che Rose non era stata presa dalla madre all’asilo all’ora prestabilita. Ma quando tornò a casa, vedendo il sonno agitato della moglie, preferì non svegliarla e lasciar perdere.

Venerdì mattina Hermione aveva preso otto pasticche. Aveva lavorato senza riuscire a concludere niente, tanto che il suo superiore, Mr Baker, era andato a vedere cosa stesse combinando in ufficio. Avendola vista pallida e leggermente sudata, le aveva consigliato di andare a casa e di prendere qualcosa contro la febbre. Hermione non aveva intenzione di tornare a casa e starsene con le mani in mano: sentendosi stanca e un po’ calda sulla fronte, pensò di essersi presa una leggera influenza e decise perciò di mangiare qualcosa al bar e di prendere una pozione contro le febbri stagionali e tornare in ufficio. Andò al bar del Ministero e ordinò un tramezzino e il suo solito succo di pera, mangiò in fretta e buttò giù la pozione.

Non appena la ebbe ingoiata, sentì un fortissimo bruciore di stomaco e corse in bagno a vomitare. Rigettò probabilmente tutto quello che aveva mangiato anche nei giorni precedenti. Le forze la abbandonavano e si sentì svenire. Fece appena in tempo a premere il numero uno sul cellulare, ovvero il tasto del primo numero delle chiamate rapide, che svenne sul pavimento del bagno, battendo con forza la testa.

-Pronto? Hermione? Non ti sento! Pronto?

L’uomo attese che Hermione gli rispondesse, invano. Chiuse la chiamata e si girò verso il suo interlocutore.

-Era Hermione? Salutala da parte mia quando la vedi. Quella donna è troppo impegnata, è impossibile incontrarla se non per caso nei corridoi del ministero!

-Certo, Kingsley, con piacere- rispose Harry, mettendosi il cellulare in tasca.

 

NOTA D’AUTORE

Aggiungo ora una nota perché ieri sera ero troppo stanca per farlo. L’idea mi era venuta di getto, avevo voglia di scrivere (non l’ho più da un po’ di tempo, tanto che l’altra mia fan fiction appena iniziata è rimasta a metà) e a dirla tutta neanche mi riusciva far funzionare l’html e mi sono anche innervosita xD In poche parole è per questo che aggiungo adesso questa cosa che mi piace chiamare “nota d’autore”, neanche fossi una scrittrice affermata.

Il personaggio di Hermione non è certo l’eroina super-tettona e mezza-alcoolizzata di alcune fan fiction e neanche la super-sfigata di altre. Ho cercato di renderla più simile all’idea che ho del personaggio, ma non ho inserito l’avvertimento “OOC” perché ritengo che l’Hermione Granger che descrive la (santissima) Rowling non sia perfetta e sempre lucida: per fare un esempio, il pungo che tira a Draco nel terzo libro, o semplicemente quando si richiude nei bagni per una semplice offesa nel primo libro. Se però ritenete che debba metterlo come avvertimento, seguirò più che volentieri i vostri consigli!

Bianca

  
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