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Autore: Brooke Davis24    24/04/2012    1 recensioni
La storia è incentrata non tanto sul personaggio di Brooke Davis, che, in tutta franchezza, adoro, quanto sull'attrice che la interpreta, Sophia Bush, e Austin Nichols (Julian Baker), partendo dall'ultimo dato - Non ufficializzato ma abbastanza certo! - che si sa su di loro come coppia: si sono lasciati.
Detto questo, ci tengo a precisare che a)E' tutto frutto di mie congetture e speranze, e che b)Non sono soddisfatta del lavoro che ho fatto, ma amo scrivere e non farlo per mesi mi ha fatta stare male; quindi, se anche non soddisfacente, ben venga, purché mi faccia tornare alla mia passione con la stessa regolarità di un tempo.
Come ultima precisazione, ci terrei a dire che non ho pianificato il numero di capitoli: potrebbero essere due, come di più. Vedremo! =)
Buona lettura e, ovviamente, grazie per l'attenzione.
Se la storia avrà un buon riscontro, continuerà. :)
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brooke Davis, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un altro volo, l'ennesimo di una lunga sfilza, in quella che, oramai, era divenuta una consuetudine. Un'altra automobile, come non fossero mai abbastanza, a testimoniare la frenesia della sua vita. Un'altra volta a casa, tra le persone che, per nove anni, erano state la sua famiglia e che aveva imparato ad amare con lo stesso trasporto dovuto ai suoi consanguinei. Un confronto, sotto le sembianze di una riunione, che le sarebbe costato integrità e pacatezza, avrebbe avuto luogo di lì a poco e, pur consapevole di apparire ingrata ed incoerente perfino ai suoi stessi occhi, non avrebbe potuto fingere di non sentirsi combattuta e di non esserlo stata dal momento in cui aveva ricevuto quella chiamata. Le persone che l'amavano avevano osservato le sue labbra tremare e i suoi occhi riempirsi di lacrime, all'annuncio di quella notizia, e i più attenti tra loro avevano scorto un'ombra sottile ma costante velare il chiarore delle sue iridi, rendendole mutevoli e sfuggenti, privandole della schietta e limpida bellezza di cui tutti avrebbero potuto tessere le lodi. Eppure, non aveva risposto con franchezza alle spiegazioni che le erano state richieste a riguardo, neppure alle amiche che, da sempre, rappresentavano una delle parti più grandi della sua vita e delle quali non si sarebbe mai privata. Non ne temeva il giudizio, né le aspettative, poiché possedeva la salda certezza di saperle al suo fianco, qualunque fosse stata la strada che avesse deciso di intraprendere; ciò che maggiormente paventava aveva a che fare con i propri sentimenti, con le conclusioni alle quali era pervenuta tempo addietro e, soprattutto, col timore di potersi ravvedere in qualche modo e andare incontro a quanto aveva scongiurato con la propria tenacia.
Era trascorso un anno, esattamente, dall'ultima volta che i suoi occhi si erano posati sui contorni dei paesaggi e degli edifici che aveva imparato a conoscere con maggiore disinvoltura e dimestichezza di quanto non avesse mai fatto con qualuque altra città; un anno dal frangente in cui, terminate le riprese di una serie televisiva che, per lei, aveva rappresentato molto di più di semplici episodi contenutisticamente connessi l'un con l'altro, si erano ritrovati a Wilmington e, mossi alle lacrime dall'impeto di un addio a lungo respinto, avevano salutato il teatro delle innumerevoli vicende vissute, talvolta fittizie, spesso reali: su quel suolo, erano stati, dapprima, liceali insicuri, alla ricerca di una guida in grado di prepararli a quanto li stesse aspettando al di là delle mura di una scuola fin troppo familiare e rassicurante per non essere rimpianta; erano stati giovani adulti intenti in una disarmante ed estenuante perlustrazione, volta al ritrovamente di un terreno fertile nel quale porre le rispettive radici; erano stati attori, amici, amanti, confidenti e, sovente, molto di più. Tornando indietro con la mente, le apparvero nitide le vicende di quei giorni finali, compunti di pressione, tensione, malinconia e, primi fra tutti, affetto e stima reciproca, e arginò a stento il flusso di commozione che la colse, ricordandole quanto suscettibile fosse il suo animo rispetto a quell'argomento. Sebbene la sua carriera avesse intrapreso un sentiero differente e non potesse chiedere nulla di meglio a riguardo, da nostalgica qual era, non aveva realizzato al meglio il proposito di lasciarsi alle spalle quel capitolo della sua esistenza, sul quale poggiava le basi la sua intera persona e dal quale, ancora a distanza di tempo, attingeva per trarne ispirazione e, se necessario, compostezza. Mark e i ragazzi le avevano dato tanto, più di quanto lei stessa avesse prospettato il giorno in cui, impettita in una minigonna inguinale, le era stato comunicato di essere divenuta membro del cast di "One Tree Hill"; Wilmingon e Brooke Davis le avevano impartito, con la delicatezza di un savio dell'Ottocento, l'insegnamento più grande che, fino a quel momento, le fosse mai stato dato e, per quanto sciocca si sentisse, le capitava spesso di sentirne la mancanza.
Sospirando, Sophia allungò la testa all'indietro, sistemandola scompostamente sullo schienale dei sedili posteriori, e chiuse gli occhi, nella speranza di allentare la tensione di ogni suo muscolo e di riacquistare il colorito che sembrava aver perduto ad alta quota. Disorientati ed indistinti, in una coltre nebulosa quanto il cielo plumbeo oltre il tetto della macchina, i suoi pensieri scivolavano, ruzzolavano e si contorcevano, pervenendo alla stessa, identica conclusione: non riusciva a credere che, nel luogo in cui il loro amore si era consolidato e le sue riserve avevano definitivamente ceduto, avrebbe incontrato la persona della quale si era imposta la dimenticanza. Mugolando distrattamente, sprofondò contro il sedile e, rannicchiandosi su di esso, si fece piccola come la bambina che, di tanto in tanto, tornava ad essere.
-Signora, va tutto bene?- domandò l'autista e, riscossa, la giovane donna sussultò, imponendosi di assumere quella parvenza di dignità che ogni lembo di pelle rigettava con tanta tracotanza. Sorrise, rassicurante, ed annuì allo sguardo perplesso che lo specchio le stava restituendo, distogliendo il proprio con celerità e puntandolo oltre il finestrino. -Sa, a volte, può essere d'aiuto parlare con uno sconosciuto...- tentò, timidamente, l'uomo dinanzi a lei, rallentando in prossimità di un'altra autovettura, schivandola e lasciandosela alle spalle con l'abituale confidenza a certe manovre che possiede soltanto chi, nella vita, percorre spesso ingenti distanze, seguendo sempre i medesimi percorsi. Portando la propria attenzione su di lui, osservò il grigio dei capelli, le rughe sul collo e sulle mani, la fede vecchio stampo che, per breve tempo, ella stessa aveva portato, e rise sommessamente, quando ebbe l'impressione di aver vissuto una scena simile e si rivide nei panni di una Brooke adolescente, indecisa sulla scelta per cui optare tra i propri amici o una precoce popolarità come stilista. Forse, le sarebbe servito come era accaduto alla sé televisiva.
-C'è un uomo, che non vedo da un anno, con cui ho avuto una storia e non credo di essere pronta a guardarlo negli occhi.- cominciò, dando voce alle perplessità con le quali si era angustiata, macerando un cuore che aveva appreso una dura lezione e faceva difficoltà a mitigare la rigidezza di alcune precauzioni. L'altro attese pazientemente che fosse pronta a dargli altre informazioni. -Non dovrebbe essere così. Sono stata io a lasciarlo e siamo rimasti in buoni rapporti,  ma non riesco a spiegarmi quale sia il motivo per cui la sola idea di vederlo mi faccia tribolare.- confessò e i suoi occhi verdi cercarono quelli piccoli e castani dell'autista, ridimensionati ulteriormente dallo spessore di cespugliose sopracciglia.
-Con tutto il rispetto, signora, lei è una bellissima donna e, se fossi più giovane di una ventina d'anni magari, starei tutti i santi giorni dietro la sua gonna.- le fece notare, strappandole una risata sincera a tal punto da averle rivonvigorito l'anima e lo spirito. La pressione costante ed ostile, intenta a intimorire il suo diaframma, spingendolo contro le costole, cominciò ad affievolirsi e, per ogni secondo in cui quella rasata risuonava nell'abitacolo e il sorriso permaneva sulle labbra di lei, l'atmosfera murò colorazione, passando dall'opacità di un grigio tortora alle accese sfumature di un rosso vermiglio. Sophia era bella di una naturalezza d'altri tempi, sincera di un'onestà andata perduta e buona di una gentilezza tanto delicata quanto disinteressata; ed era forte, impetuosa e caparbia come il più temerario dei guerrieri, inaspettata come il più sconvolgente tifone, cruenta come la più sanguinosa battaglia. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi.-Ora, mi chiedo perché una donna del genere si preoccupi di rivedere un suo ex. Se la ama ancora e siete rimasti in buoni rapporti, non basterà che farsi avanti per essere ripresa. Se non la ama più, le basterà battere un po' le ciglia, ridere come sta facendo adesso e ricordargli cosa ha perso per riaverlo.- concluse e Sophia lo trovò così sincero e divertente che non se la sentì di ribattere, mettendolo al corrente di quanto altrettanto aitante fosse Austin, di quanto poco dovesse faticare per avere una ragazza e, al contempo, di quanto meraviglioso fosse stato con lei.Quando la vettura raggiunse la destinazione alla quale la giovane aveva annunciato di dover pervenire, Sophia pagò l'altro, lo salutò con simpatia e gli concesse un sorriso pieno di calore, uno di quelli che, in un passato più lontano di quanto non si potesse immaginare, l'uomo aveva ricevuto dalla donna della sua vita, il medesimo che avrebbe trovato ad aspettarlo, una volta tornato a casa, sul volto di suo nipote.
L'ululato dispettoso del vento le stuzzicò i timpani, mentre i capelli venivano scossi quel tanto che bastava a dar forma al suo stato d'animo: era un'attrice, fingere sentimenti che non le appartenevano avrebbe dovuto essere semplice e spontaneo come respirare, se non fosse stata la persona che era. Persino quando recitava, le risultava impossibile simulare emozioni credibili che non appartenessero al suo repertorio; aveva bisogno di provare quel particolare dolore, sentirlo sulla propria pelle e detestarlo per poter soffrire come gli autori desideravano facesse; e doveva trovarsi in una disposizione emotiva vagamente allegra per riuscire ad esporsi in un'autentica risata, che risultasse anche semplicemente accettabile alle sue orecchie. Come avrebbe potuto ostentare tranquillità, quando al suo interno stava avendo corso una battaglia? Sarebbe stato più semplice trascinarsi per miglia, nascondersi agli angoli delle strade e sperare di spuntarla senza che nessuno la vedesse.
-Sophia!- urlò una voce in lontananza e, prima ancora di intercettare una cascata di vaporosi capelli biondi, seppe di chi si trattasse. Un sorriso distese i lineamenti della mora, mentre, a passo svelto, andava incontro all'altra e lasciava la valigia alle proprie spalle; due braccia la cinsero con affetto e, senza ulteriori inviti, imitò l'esile figura che si era avvinghiata al suo corpo. Inconsapevolmente, lasciò che le barriere che si era imposta di mantenere crollassero miseramente ed ebbe l'impressione di non aver mai lasciato quel luogo, di non aver sentito in maniera tanto acuta la mancanza di Joy, di non aver faticato a considerare "famiglia" un cast che non era il loro.
-Mi sei mancata!- le disse, o, almeno, questo credette di aver pronunciato, tra un respiro ed un altro. Detestava gli addii, erano ciò che maggiormente fiaccavano il suo spirito guerrigliero, ma, se la dolcezza del ritrovamento era tanto sublime, avrebbe potuto sopportarne qualche altro.
-Sei meravigliosa! LA ti giova.- fece Joy, scostandosi per guardarla e passando il dorso della mano sugli zigomi, nella speranza di cancellare i segni di un'esplosione che aveva promesso di contenere. Sophia ridacchiò e ne copiò i gesti, ma si rese conto della loro inutilità, quando vide avanzare gli altri dinanzi a lei e le sue labbra assunsero un'innaturale posizione. Due braccia diverse, più vigorose stavolta, la sorressero, mentre concedeva alle proprie emozioni di fluire, e non ebbe bisogno di indicazioni per comprendere a chi appartenessero le spalle a cui si stava attaccando con tanta disperazione. La familiarità tra i loro corpi era ancora tale che le sue mani si posizionarono laddove sapevano che avrebbero trovato un appiglio e vi si incastrarono perfettamente, rendendo naturale come poche altre quella stretta.
-Abbiamo scommesso venti dollari che saresti scoppiata in lacrime, disperata. Dovremmo vederci più spesso!- la prese in giro, baciandole una tempia e stringendola quel tanto che bastava a farle percepire che, se le sue gambe avessero minacciato di crollare, sarebbe stato lì per lei, come sempre, al di là di tutto.
-Stupido!- lo rimproverò, ridacchiando e scostandosi per osservare con un cipiglio austero quel viso impudente, ma non fu in grado di risultare credibile. Austin rise, osservando gli occhi verdi annacquati dal pianto, il naso arrossato e il viso imperlato da un velo di lacrime salate, lo stesso che, nemmeno un anno prima, aveva baciato con fare possessivo e del quale avrebbe saputo indicare ogni più piccola variazione, se solo glielo avessero chiesto. Fu lieto di aver ritrovato in lei la Sophia di sempre, quella per cui aveva stravolto la sua vita, la Sophia che aveva disorientato la sua mente ed il suo cuore, facendogli perdere la testa, e, mentre la osservava salutare gli altri, si concesse il lusso di ammirarne l'intrepida bellezza. Era stato doloroso lasciarla andare, separare la propria vita dalla persona che lo aveva completamente assorbito nell'arco di tempo in cui erano stati insieme, ed era stato amaro il sapore che quella rottura gli aveva lasciato in bocca. Aveva sperato con tutto se stesso, nei giorni successivi al loro allontanamento, che la situazione tornasse come un tempo, che i timori dei quali lei aveva millantato l'assenza svanissero e le permettessero di credere in loro, oltre la distanza e gli ostacoli, al punto che vedere deluse le proprie aspettative aveva acuito la sua sofferenza, spingendolo a comporre più volte il suo numero, ma ad attaccare prima che rispondesse. Avrebbe voluto dirle, ognuna di quelle volte, che, se soltanto gliene avesse dato modo, se si fosse concessa la possibilità di essere felice con qualcun'altro e lo avesse investito della fiducia che meritava, non avrebbe deluso le sue speranze. Ma non ne aveva avuto né il coraggio, né la voglia: a cosa sarebbe servito lottare, se lei si era già arresa?
-Andiamo, Romeo?- attirò la sua attenzione Jana, ammiccando nei suoi confronti, e Austin seppe di essere stato colto sul fatto. Sospirando, le sorrise, consapevole di non dover fingere con lei, e le avvolse le spalle con il braccio, pronto a seguire il gruppetto che, prima di loro, si era avviato verso uno dei loro ritrovi preferiti. -Non tutto è perduto, sai? Se è la tua Giulietta, cosa ti impedisce di riprendertela?Sai di non avere rivali, vero?- lo incoraggiò, spingendosi laddove non aveva mai osato per timore di ferirne i sentimenti.
-Le sue paure. E, credimi, sono più potenti di qualunque rivale.-
 
  
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