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Autore: xClodMoonLight6    24/04/2012    4 recensioni
Vado spesso in metropolitana e mi capita di intraprendere, oltre ad un viaggio fisico, anche un viaggio introspettivo; osservo molto ciò che mi circonda e analizzo a fondo le persone che vedo, ne percepisco le emozioni, ne ricostruisco vita e mentalità.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nei lunghi gialli vagoni di un comune treno della metropolitana, tappezzati all’interno da pannelli in plastica con diverse, talvolta più scure talvolta più chiare, gradazioni di grigio c’è un mondo a parte, il cui biglietto costa soltanto un euro e venti centesimi.

I graffiti sulle pareti degli oltremodo tristi rivestimenti plastificati, intervallati da poster riguardanti eventi del passato Capodanno, contribuiscono a creare l’atmosfera tipica di una normalissima scatola metallica che si muove ad altissima velocità sulle rotaie, stridenti al suo passaggio.
All’interno del treno si può scorgere la compresenza di tantissimi e differenti universi, ciascuno formato da una o più persone, che bene o male caratterizzano la quotidianità di una consueta giornata, con individui che salgono e scendono dall’affollato contenitore mobile.
Solitamente i soggetti che è possibile trovarvi sono gli stessi, facilmente identificabili anche grazie ai luoghi comuni ed ai pregiudizi di ciascuno di noi, ai quali darò voce e libera espressione.
La figura più frequente è il disilluso impiegato dalla ventiquattrore in pelle nera, con la fibbia in metallo, graffiata per l’usura del continuo aprirla e chiuderla. Muove il suo sguardo nell’ambiente circostante malinconico, osserva e negli occhi di chiunque attiri la sua attenzione scorge, nella sua visione distorta e spesso pessimista, soddisfazione per la vita, felicità e sicurezza, tutto ciò che insomma egli non possiede.
Nel quadro non può mancare l’uomo di mezz’età, che occupa scompostamente il suo posto in modo volgare e annoiato; mi guarda, mi fissa, senza distogliere mai lo sguardo dalla mia figura. Io, invece, sposto la traiettoria dei miei occhi dalla parte opposta del vagone e, dopo una manciata di secondi spesi a guardare altrove, riaccolgo nella mia visuale l’irritante figura del guardone, la cui posizione è invariata e che continua a scrutarmi.
Ci sono anche famiglie, due tipi in particolare: l’allegra famigliola, felice e divertita, che condivide piacevolmente il viaggio chiacchierando del più e del meno; la boccaccesca e rumorosa banda di periferia, che accompagna l’attesa all’arrivo con una conversazione fragorosa e irrilevante.
Nello specifico, il secondo tipo mi provoca divertimento, in quanto davanti ai miei occhi vi è teatro d’una scena delle tipiche commedie di basso ceto, i cui personaggi urlano e si muovono goffamente; infatti, la madre afferra bruscamente la figlia per il polso, che allo stesso tempo cerca di divincolarsi per raggiungere il suo fratellino, intanto schizzato dall’altra parte della locomotiva, rincorso frattanto dal padre, che maleducatamente urta le persone intorno a lui, gridando ai figli di stare fermi.
A proposito di famiglia, ridotta in numero di membri, è possibile anche imbattersi in una giovane ragazza-madre che si avvinghia al sostegno in metallo per mantenere l’equilibrio così come si era avvinghiata al suo compagno prima che abbandonasse lei e sua figlia, in quel momento lagnante nel passeggino. La bimba piange, pianto dettato dai capricci alla quale la mamma, inesperta, l’ha abituata. Per far cessare le lacrime della piccola, la madre decide di prenderla in braccio, ma il peso della borsa pendente dai due bracci del carrozzino, sostenuto dal corpo della bambina fino a quando vi era seduta, fa accasciare lo stesso, provocando un tonfo e attirando l’attenzione dei presenti.
Mi avvicino, allora, offrendo un aiuto, rialzandolo e sorridendo alla ragazza, che intanto cerca di calmare sua figlia, e ricevo in cambio un sommesso ma distratto cenno di ringraziamento, vuoto di gratitudine, ridondante di educazione.
La donna ritorna al suo di mondo, dopo aver fatto una breve comparsa nel mio o forse dopo aver accolto una mia breve comparsa nel suo, impaziente di scendere poiché ha scoperto che il motivo della lagna della bambina è la pienezza del suo pannolino.
Disloco lo sguardo per non essere invadente e lo riappoggio sui quadretti delle altre due famiglie, notando che l’inseguimento genitori-figli della brigata è ancora in atto e il colloquio dell’altra famiglia, quella quantomeno equilibrata, continua tranquillamente, estranea a tutto ciò che avviene intorno ad essa.
Un ambito simile è quello delle coppie di fidanzati, all’interno del quale è possibile effettuare un’ulteriore divisione: ci sono le coppie d’innamorati, che trascorrono l’intero viaggio a baciarsi, a mangiarsi l’un l’altra come se la passione riempisse loro lo stomaco dopo un lungo periodo di digiuno, e provocano anche lo sconforto e l’imbarazzo di coloro hanno intorno, costretti ad assistere a tale scena; ci sono le coppie di non più innamorati, due persone sedute l’una accanto all’altra che parlano con meno entusiasmo di un malato terminale, scambiandosi risposte scontate, ormai giunti al limite della sopportazione di quel rapporto che stentato si protrae nel tempo solo per noia di un’eventuale rottura o solitudine.
Affianco alla realtà delle famiglie e delle coppie, posso cogliere quella dei singoli individui: nervosi masticatori di chewing-gum, capaci di far innervosire anche Madre Teresa a causa del loro ruminare rumoroso e volgare.
Ci sono inoltre gli uomini che indossano il cappellino con visiera, anche senza uno scopo identificabile con qualcosa di concreto, che spesso serve solo a coprire la loro calvizie, della quale si vergognano profondamente.
Non possono mancare i classici ragazzi, spesso di periferia, con le cuffie nelle orecchie che ascoltano la musica; i più spavaldi si concedono anche di mimare le parole della canzone con la bocca, accompagnandole a leggeri movimenti a ritmo di danza, quasi invisibili e impercettibili però dagli altri.
Ulteriore figura frequentissima è quella dell’individuo col libro; può essere un’universitaria che ripassa per un esame, può essere un uomo che legge per passare il tempo, un appassionato che consuma le pagine del libro che sta leggendo e che si è portato nel viaggio perché non riusciva a separarsene.
All’appello non manca nemmeno l’anziana signora che, impaurita e diffidente, si guarda intorno per anticipare eventuali pericoli o scippatori, nella sua mentalità sempre pronti a strapparle la borsetta e scappare. E’ sempre vestita con variopinti vestiti, spesso con disegni floreali, dalle sfumature rosse, grigie e gialle, capaci di provocarmi le allucinazioni per lo strambo accoppiamento di colori che una persona sana di mente eviterebbe anche per una sagra di paese.
Come potrebbe inoltra mancare lo stanco operaio? Indossa ancora la tuta da lavoro, che non ha potuto togliere per non perdere la coincidenza dei tre differenti treni che deve prendere per tornare a casa, da sua moglie e i suoi figli, per i quali sgobba talvolta anche oltre il limite del sopportabile umano. Spesso i suoi indumenti sono sporchi di vernice, se si tratta di un imbianchino; di polvere se si tratta, invece, di un operaio. Sul suo volto scorgo stanchezza, fiacchezza, è costretto a chiudere gli occhi, che però si spalancano con il rumore dell’apertura e della chiusura delle porte ad ogni fermata.
Vedo anche un uomo di colore che tutti evitano come fosse una bestia e guardano come se avesse commesso chissà quale crimine; mi sorride e ricambio il sorriso. Non è giusto che gli sia riserbato questo trattamento, per la sola differente gradazione del colore della pelle.
Sposto ancora la mia attenzione. I miei occhi non rimangono mai fermi più di un minuto, nel quale sono capace di scorgere le più nascoste e insolite caratteristiche di ogni persona soggetta alla mia accurata e dettagliata analisi.
Sembra passato tantissimo tempo da quando ho avuto una prima visuale dell’ambiente a me circostante. Le lancette dell’orologio posto sullo schermo attaccato al soffitto si muovono in modo incredibilmente lento: è l’apparecchio ad avere un difetto nel funzionamento o sono io ad aver perso la cognizione del tempo, impegnata ad osservare la varietà di situazioni che mi si ripresentano sotto gli occhi?
 
Dopo aver esplorato praticamente ogni singola persona del vagone, la mia attenzione ricade sulla porta che congiunge una locomotiva all’altra: è lucida e specchiata e riesco, anche attraverso quel vetro, a vedere tutto ciò che mi circonda. Da qualunque parte io mi volti, posso riconoscere le differenti e molteplici realtà di quel treno, ma se presto maggiore attenzione alla figura più grande nel vetro, noto che ci sono anch’io. La domanda che mi sorge spontanea è: tra tutti gli stereotipi che sono stata in grado di identificare, qual è la mia collocazione?

   
 
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