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Autore: Hayley Black    24/04/2012    6 recensioni
Oliver/Katie | One-shot | Romantica
Oliver non è mai stato bravo a inventare scuse, Katie non è mai stata brava a ignorarle.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katie Bell, Oliver Wood/Baston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nickname: Hayley Black

Titolo: Pessime scusanti nel gelo di Londra

Pacchetto: Nita/Kenai – Koda Fratello Orso II

Uso (eventuale) del prompt: Incontro

Elementi usati: Immagine dei ragazzi sul divano

Genere: Romantico

Rating: Verde

Avvertimenti: One shot

Introduzione: Oliver non è mai stato bravo a inventare scuse, Katie non è mai stata brava a ignorarle.

NdA: Dunque, non ho molto da dire su questa storia: è una semplice shot sentimentale dove Oliver e Katie, il primo venticinquenne e la seconda ventiduenne, escono assieme per “una chiacchierata da vecchi amici”.
E’ il mio primo esperimento su di loro e, sinceramente, spero che mi sia riuscito abbastanza bene e che abbia saputo mantenere l’IC dei personaggi
J
Buona lettura!
POST CONTEST: A quasi tre mesi dalla fine del contest, o qualcosa di più, ho fatto betare la storia e sono cambiate parecchie cose (tra cui il titolo). Spero che vi piaccia, e ringrazio molto la mia beta AliH che ha smadonnato perchè questa storia era semplicemente uno scempio. 
Vi lascio qui perchè Internet mi sta facendo andare in bestia e sto letteralmente impazzendo.
Buona lettura!

 

Pessime scuse
Ovvero, di quando Oliver uscì con una ragazza e non parlò di Quidditch.

 

L’appuntamento era al Rollins, alle cinque in punto.
Katie si chiese come mai, dopo una buona mezz’ora, Oliver non fosse ancora arrivato: era sempre il solito ritardatario, pensò, picchiettando un piede sulla stradina coperta di neve.
Ovviamente, quando Oliver le aveva chiesto di uscire per una chiacchierata da vecchi amici, non aveva preso in considerazione l’eventualità di un pomeriggio passato al gelo di Londra; si maledisse più e più volte, osservando le persone coperte da strati su strati di vestiti che sfilavano davanti a lei – e si sentì invidiosa, perché indossava solo una misera giacca per proteggersi dal vento.
Sbuffò, l’attesa era diventata pesante: Oliver non arrivava e lei stava letteralmente congelando. Strofinò le mani intorpidite, di un colore violaceo, mentre il proprio respiro si condensava in cristalli di ghiaccio che scomparivano in pochi secondi.
Approfittò di quella solitudine per rimuginare ancora sul motivo di quell’appuntamento: la settimana prima un gufo aveva sfondato la sua finestra, provocando un fracasso infernale, per consegnarle una lettera dalla facile intuizione del mittente. La grafia disordinata e minuta di Oliver era inconfondibile, e Katie si era chiesta, da quel momento, cosa l’avesse spinto a invitarla a uscire: forse una chiacchierata da vecchi amici, come l’aveva chiamata in quella lettera, era solo una copertura per parlare di cose serie – che, nella testa di Oliver, volevano dire Quidditch, Quidditch, e ancora Quidditch.
L’ultima volta che era uscita con lui aveva parlato solo e soltanto dei Puddlemore United, del suo debutto, del suo infortunio, del legame che si era creato con la squadra; e lei, sorseggiando una Burrobirra bollente, non faceva altro che annuire e sorridere a intervalli regolari – un po’ per fargli capire che, insomma, dei Puddlemore United non le importava niente.
Però doveva ammettere di apprezzare l’ottimismo e l’allegria inconfutabile di Oliver: anche nel periodo del dopoguerra, dove la distruzione regnava sovrana, riusciva a essere terribilmente – a volte anche in modo irritante – ottimista. Ed era una bella qualità, pensò, sospirando per l’ennesima volta nel corso di quell’interminabile attesa.

Inoltre era terribilmente curiosa di sapere cosa l’avesse spinto a invitarla a uscire – soprattutto perché a Hogwarts non erano stati grandi amici, e lei si sentiva sempre in imbarazzo assieme a lui. Insomma, Oliver era più grande e le speranza di attirare la sua attenzione al di fuori del Quidditch era nulla.
Guardò ancora una volta il Big Ben, le lancette segnavano le cinque e mezza: erano passati quattro o cinque minuti dall’ultima volta che aveva gettato lo sguardo sulla torre; quella frazione di tempo le era sembrata un’eternità. Forse avrebbe dovuto rientrare in casa “e dargli buca”, così la prossima volta avrebbe imparato ad essere puntuale.
«Scusa il ritardo!» la voce di Oliver le arrivò alle orecchie da dietro l’angolo, e il ragazzo comparve davanti a lei sudaticcio e pallido. «Ho avuto un contrattempo» aggiunse, grattandosi la testa imbarazzato.
«Finalmente! Credevo non arrivassi più» esclamò lei con sollievo, «come va la vit-».
«Perché non andiamo subito al Nollins, o come si chiama, invece di perdere tempo in chiacchiere? Sto morendo dal freddo» la interruppe Oliver, infilando le mani nelle tasche con aria sbrigativa; la ragazza annuì.
«Rollins» lo corresse, trattenendo a stento una risata.
Quel giorno le strade della città erano affollate come non mai, e i loro piedi sprofondavano nella neve che copriva i marciapiedi: lasciavano impronte ben definite che rivelavano l’asfalto sottostante.
«È molto lontano, questo Bollins… Mollins?» le chiese Oliver, osservando incuriosito i grossi palazzi grigi che sfilavano davanti a loro.
«Non molto» rispose lei, «mi chiedevo cosa ti avesse spinto a invitarmi a uscire» aggiunse, sorridendo.
Le guance del ragazzo si colorarono lievemente di rosso, tradite da quell’affermazione inaspettata, e quando rispose lo fece con voce tremante: «E’ da tanto tempo che non ci vediamo». 
Ovviamente quelle parole non bastarono a Katie come scusa, ma non disse altro e continuò a camminare nel gelo di Londra. Le aveva fatto piacere quell’invito, quel voler riallacciare i rapporti dopo tutti quegli anni – in fondo Oliver era pur sempre stato il suo capitano e la sua prima cotta, non poteva reagire con indifferenza a quella lettera. 
«Cos’hai fatto in questi anni?» domandò a un certo punto Oliver. 
«Sono diventata un Medimago e ho comprato un appartamento qui in città» rispose Katie con voce piatta, sentendo le dita intorpidirsi. «E tu? Sei ancora la riserva dei Puddlemore United?». 
Il ragazzo la guardò con una punta di orgoglio negli occhi, scuotendo la testa: «Non sono più la riserva che cade dalla scopa alla prima partita» disse; lei gli sorrise, ipotizzando che volesse un po’ di appoggio da parte sua. 
«Sono sempre stata un po’ sfortunata quando giocavo a Quidditch» mormorò Katie in risposta, e lui inarcò le sopracciglia.
«Scherzi? Eri una delle più brave della squadra».
Arrossì a quel complimento, abbassando la testa e nascondendosi per qualche secondo dietro i propri capelli – aveva l’abitudine di usarli come scudo protettivo nei momenti più imbarazzanti e, guarda caso, la maggior parte delle volte usava quel trucco proprio quando era assieme a Oliver. 
I due svoltarono l’angolo e, infagottati come non mai nei cappotti, entrarono nell’ambiente tiepido e rumoroso del Rollins. Il proprietario, un cinquantenne dagli hobby stravaganti, stava lucidando bicchieri colorati dietro il bancone; Katie ricordava quando passava i pomeriggi lì assieme a suo padre, mangiando caramelle e disegnando omini buffi su fogli di carta stropicciata. 
Il Rollins non era molto affollato, c’erano un paio di coppie sparse qua e là accanto al camino e dei ragazzi che giocavano a carte; erano stati molto fortunati perché, di solito, era un posto molto gettonato e si faticava a trovare un posto libero. 
Oliver si guardò attorno spaesato, tirandole la manica della giacca: «Dove ci sediamo?» le chiese in un sussurro, e lei indicò un divano solitario dall’altra parte della stanza; lì avrebbero potuto parlare in santa pace. 
La ragazza fu la prima a sedersi, sprofondando nei cuscini, e strofinò le mani sui jeans per scaldarsi le gambe: il calore del camino raggiungeva entrambi, ma una serie di brividi le stava percorrendo la pelle. 
«Dunque, Katie…» cominciò Oliver, aggrottando la fronte. «E’ bello rivederti». 
E’ davvero strano”, pensò lei; il suo capitano era sempre stato molto lunatico.
«Tempo fa Harry ha organizzato una cena tra amici ma tu non sei venuto» anche qui ficchi tempo fa al centro e lasciato così ha davvero poco senso, sistema questo scempio disse Katie senza guardarlo. Era stata una bella serata: tutti loro erano cambiati – tralasciando la scoperta della relazione tra Seamus e Dean – e avevano avuto tanto da raccontarsi; Neville, più esuberante del solito, si era esibito in un discorso senza senso che aveva fatto emozionare Luna e che aveva fatto scomparire definitivamente dal tavolo le bottiglie di whisky. 
La ragazza trattenne una risata al ricordo, così Oliver la guardò di traverso. «Che c’è?» le chiese accigliato, «faccio ridere?».
Katie scosse la testa. «Certo che no!» rispose, sorridendo, «è stato un peccato che tu non sia venuto» aggiunse. 
«Avrei voluto parlare solo con te» spiegò lui, «ne è passato di tempo da quando eri una ragazzina». 
Katie si chiese, ancora una volta, di cosa volesse parlare Oliver: quindi, pensando che probabilmente avrebbe dovuto prendere la situazione in mano, prese la parola: «Ammetto che sono curiosa di sapere di cosa vuoi parlare. Non siamo mai stati grandi amici».
Oliver si passò una mano tra i capelli con sguardo vuoto, leggermente imbarazzato.
«In effetti non c’è molto di cui parlare, era solo una scusa per vederti» disse, abbozzando un sorriso impacciato. 
Tra di loro calò il silenzio – un lungo, lunghissimo silenzio. Quindi Katie gli sfiorò il dorso della mano con la punta delle dita, ricordando quando, ai tempi di Hogwarts, era follemente innamorata di lui. C’era ancora qualche residuo, pensò, specchiandosi nei suoi occhi e sentendo lo stomaco fare una capriola. 
«Non sei mai stato bravo a inventare scuse» mormorò, a mezza voce.
Oliver sorrise.

 

   
 
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