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Autore: Giuls_ _    25/04/2012    0 recensioni
Questa è la prima storia che pubblico e l'ho partorita alle due e mezza! Recensite e ditemi se è il caso che la continui! :) ( o meglio se è il caso che continui a caricarla, perché la continuerò a scrivere comunque!)
Lo sapevo che mi stava guardando. Sentivo gli occhi seri squadrarmi la nuca coperta dai capelli. Respirai profondamente e afferrai il coltello che avevo nella tasca della felpa, senza tirarlo fuori.
Neil mi fissava intensamente, ma non poteva vedere quello che avevo in testa e nemmeno cosa nascondeva il tascone largo. Inspirai, ma mi sembrò che l’aria fosse incastrata da qualche parte fra la gola e il cuore.
Strinsi la presa sul coltello e chiusi gli occhi. Ormai era tardi per pentirsi e lo sapevo bene.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sapevo che mi stava guardando. Sentivo gli occhi seri squadrarmi la nuca coperta dai capelli. Respirai profondamente e afferrai il coltello che avevo nella tasca della felpa, senza tirarlo fuori.
Neil mi fissava intensamente, ma non poteva vedere quello che avevo in testa e nemmeno cosa nascondeva il tascone largo. Inspirai, ma mi sembrò che l’aria fosse incastrata da qualche parte fra la gola e il cuore.
Strinsi la presa sul coltello e chiusi gli occhi. Ormai era tardi per pentirsi e lo sapevo bene.
«Che succede?»
Tremai di rabbia e di disgusto per me stessa.
Lui si era fidato, e io lo avevo portato alla morte.                                                 
Non risposi. Se gli avessi concesso qualche altro secondo poi non avrei più avuto il coraggio di reagire. Afferrai saldamente il coltello e lo estrassi lentamente dalla tasca, nascondendolo ancora a Neil.
«Che hai li?» mi chiese nervoso.
Fa che non se ne renda nemmeno conto, pensai un secondo prima di saltargli addosso con il pugnale d’avorio.
Ovviamente il mio desiderio non fu esaudito. Il ragazzo realizzò quello che stava succedendo un secondo prima che la lama indistruttibile sfiorasse il suo collo.
Mi afferrò il polso per fermarmi, ma mi divincolai in pochi secondi. Nella mano e nel polso vibravano ancora forti scosse elettriche. CI guardammo negli occhi; i miei, tristi e arresi dentro quelli  stupiti e feriti di Neil. Ci somigliavamo così tanto, eppure avevamo scelto strade così diverse. Buio e luce.
Provai un altro affondo nel petto del ragazzo, ma lui scartò in tempo e si ritrovò alle mie spalle. Avrebbe potuto uccidermi, eppure qualcosa lo aveva fermato, rendendolo incapace di muoversi.
Ne approfittai e mi lanciai contro di lui, il pugnale teso davanti a me.
Ad un tratto si accorse del mio secondo tentativo di ucciderlo. Mi avevano addestrata molto bene, ero una professionista, ma sentivo in ogni mio movimento il desiderio ardente di fermarmi e scagliare il pugnale quanto più lontano pissibile.
Mi schivò facilmente e in breve riuscì ad afferrare il pugnale. Lì dove la nostra pelle si era sfiorata entrambi sentimmo un bruciore terribile.
 Nel tentativo vano di liberarmi, mi girai di scatto, cadendo e portandomi dietro il ragazzo.
Neil risolse presto il problema, bloccando con una mano i miei polsi e tenendomi a terra con il peso del corpo. Sentivo con lucidità dolorosa l’elettricità di Neil scaricarsi nei polsi, e faceva male.
«Non urlare» mi ordinò. Poi urlò lui.
Un urlo di dolore straziante, che riempì la strada deserta. Poi, con mano sicura, corse sotto la mia felpa. Fa che non mi tocchi, sperai. Con precisione paurosa afferrò il minuscolo microfono che mi avevano attaccato sulla pancia senza sfiorarla; lo strinse nel pugno fortissimo.
Quando lo riaprì l’ultimo modello di microfono della Jiah era distrutto. Neil lo guardò con soddisfazione prima di lanciarlo lontano.
A quel punto anche io avevo capito. Avrei voluto parlare, ma il dolore me lo impediva.
«Tu sei della Jiah» disse furioso.
Gli avrei voluto far notare che anche lui ne faceva parte, ma non ero ancora libera, così mi limitai a rimandargli uno sguardo cattivo.
Prima che potessi fare niente Neil mi liberò, scivolando lontano da me. I punti in cui ci eravamo toccati direttamente ardevano come fuoco, e avrei voluto immergere i polsi in acqua.
«Come hai potuto non dirmelo?»
«Ti ricordo che nemmeno tu l’hai detto a me» risposi rabbiosa.
In tutta risposta Neil si sollevò la maglietta di qualche centimetro. E li, nero come il petrolio, brillava il segno della Jiah. Impresso a fuoco sul bacino di Neil il cerchio nero della setta sembrava un’ustione. Posai immediatamente la mano sul mio, di marchio. Sulla nuca, all’attaccatura dei capelli.
I miei pensieri ritornarono dolorosamente al girono in cui mi avevano impresso quel simbolo. Avevo sentito delle scosse che dalla nuca si irradiavano  per tutta la colonna vertebrale, fino alla pianta dei piedi .
Neil si sedette per terra e poggiò la schiena contro il muro. Chiuse gli occhi e si abbandonò sfinito.
I capelli neri e lisci gli scivolarono sulla fronte.
Lo osservai in silenzio, ancora sconvolta da quello che stava succedendo; però vedere Neil così docile e indifeso, mi faceva sentire protetta.
«Dovevo ucciderti» dissi quasi inconsciamente.
«Era evidente».
Rimasi perplessa. Forse Neil non aveva capito bene la situazione.
«Devo ucciderti».
«Lo so».
«E?»
Neil finalmente aprì gli occhi e mi fissò con insolenza.
«E’ una minaccia?»
Ci riflettei qualche secondo. Non mi doveva sottovalutare. Quella era una minaccia? Volevo davvero ucciderlo? Chiusi gli occhi.
«No».
«Ci hai messo del tempo per rispondere» mi fece notare.
Aprii gli occhi e trovai i suoi fissi sul mio volto. Chissà se vedendomi continuava a pensare alla ragazza che abitava sul suo stesso pianerottolo. Quella che odiava la violenza e che aveva visto a casa loro decine di film horror coprendosi gli occhi con le mani.
Come sempre, sentii una fitta di dolore aprirmi il petto per ricordarmi che quella non era la mia vera vita.
«Dobbiamo andarcene», annunciò lui alzandosi di scatto.
«Dobbiamo?» chiesi perplessa.
«Vuoi rimanere qui? Quelli ti ammazzeranno non appena avranno capito che io sono scappato. E scapperò» aggiunse serio. «Non voglio morire per gli ideali di qualcun altro».
Rimasi in silenzio.
All’improvviso un pensiero mi fulminò. Mi alzai di scatto, il respiro affannoso, tremante. Mi poggiai contro il muro, devastata.
«Cameron» ansimai.
Neil mi fissò sorpreso per qualche secondo.
«E’ protetto, l’ho nascosto».
Non capiva, questa volta davvero. Dovevamo sbrigarci.
«NO, non capisci! Seguimi!»
Lo afferrai per il polso, senza nemmeno pensarci, ed entrambi venimmo scagliati a terra dalla potenza  dell’elettricità.
«Sei impazzita?» mi chiese con gli occhi sbarrati e il respiro corto.
Ma io non avevo tempo a perdere, dovevo salvare Cameron, o sarebbe morto per colpa mia.
«Seguimi».
Aprii la porta chiusa a chiave della camera e scivolai nel buio fino all’ascensore, premendo il pulsante per chiamarlo.
Sentivo la presenza di Neil dietro di me, ma non avevo il coraggio di voltarmi.
«Avanti, avanti!» sussurrai all’ascensore lentissimo.
Non appena le porte dell’ascensore si spalancarono mi ci fiondai dentro premendo all’istante il tasto zero. Neil fece appena in tempo ad entrare. E lì, alla luce bianca e asettica che ci illuminava, mi voltai a fissarlo. Senza rendermene conto gli avevo fatto un graffio sulla guancia sinistra ma lui non sembrava accorgersene.
«L’ho protetto io Cameron, non sono mica scemo. E’ dove nessuno lo potrà trovare, ecco perché non ti rispondeva più. E’ stato anche uno schifo, pensava di farti soffrire, e invece tu eri qui ad aspettare che io uscissi allo scoperto. Non ho lasciato tracce o indizi che possano portare a lui.»
Alzai gli occhi verso di lui, esasperata. Possibile che non avesse quel gigantesco particolare che si era dimenticato di occultare?
«A no? Non hai lasciato nemmeno un indizio? Ma quando cavolo arriva questo maledetto ascensore?»  gemetti.
Neil era confuso, lo vedevo, ma non ebbi tempo di spiegargli perché, visto che le porte automatiche si erano aperte in quell’istante. La hall era deserta e, lanciando un frettoloso sguardo all’orologio, mi fiondai verso l’uscita. Appena fummo fuori iniziai a correre verso il posto il cui avevo parcheggiato la moto. Alle due e mezza nessuno circolava per le strade deserte di Apptown; solo qualcuno che tornava a casa in auto dopo una giornata di lavoro molto lunga.
Sentivo i passi morbidi di Neil dietro di me. Quando mi fermai davanti alla mia moto nera lo sentii trasalire.
«Io non ci salgo su quel coso se guidi tu»
«Non ti fidi?» chiesi esasperata. Cameron era in pericolo.
«Hai appena tentato di uccidermi»
In preda alla rabbia, alla paura e alla frustrazione gli lanciai le chiavi della moto con più forza di quanta avrei voluto. Per fortuna anche Neil era stato addestrato, ma mi guardò lo stesso male mentre si infilava il casco e io facevo lo stesso.
«Ma dove cavolo vuoi andare?»
«Da Cameron, a salvargli la vita. Credevo che quella fosse l’idea»
«Lui è al sicuro! Non ti porto da lui, altrimenti quelli della Jiah ci seguiranno e lo troveranno». Tremò al solo pensiero.
E così io esplosi.
«Stupido idiota! Sanno già dov’è! Glielo hai detto tu! Lì, in quella maledetta casetta nascosta tra le montagne in quel paesello verde sperduto è esplosa un’ondata di potere! Cosa diamine ti ha spinto a farlo? Spero che fosse in pericolo di morte, altrimenti lo hai condannato tu! Credevi che la Jiah non ti avesse messo nessuno alle calcagna? Ha sentito il tuo potere lontano un miglio, e a quel punto mi hanno mandata qui per farti fuori! Il prossimo è Cameron, e se adesso non ci muoviamo lui morirà! St. Eves!»
Neil mimò in silenzio il nome del paesello che avevo appena urlato, quello dove Cameron si stava rifugiando.
Senza aggiungere altro, si fiondò sulla moto e la accese. Io balzai dietro di lui e gli afferrai i fianchi un attimo prima che partisse sgommando.
Il viaggio sarebbe durato un’ora e mezza esatte, andando a ottanta all’ora, perciò mi sedetti più rigida, cercando di sfiorare Neil il meno possibile. A quel punto ebbi un’intuizione.
«Neil».
Mose il capo per segnalarmi che mi riusciva a sentire.
«Dopo questo io sarò una fuggitiva come te?» chiederlo finalmente ad alta voce mi fece sentire più libera.
Neil non rispose subito.
«Se adesso mi buttassi giù dalla moto credo che tutto sommato non dovresti fuggire. Vuoi buttarmi giù?»
Nemmeno io risposi subito, e quando lo feci rivelai più di quanto avrei voluto.
«Sono sempre stati la mia famiglia, da quando riesco a ricordare. Forse non sono stati i migliori del mondo, ma sono sempre stata più o meno felice. Chi siete tu e Cameron per togliermi la mia felicità? Ma non posso continuare così, mi sto autodistruggendo»
Rimasi in silenzio, senza aspettarmi davvero una qualche risposta, perché non ce ne erano.
«Non ti piacerebbe?»
Ci riflettei.
«Non credo, ma ormai non ho più scelta. Svolta alla prossima»
Possibile che fossimo già arrivati? Era passata forse mezz’ora. Lanciai uno sguardo al contachilometri e rimasi a bocca aperta. Duecentottanta chilometri all’ora. Neil era meglio di quello che avrei creduto. Averlo dalla mia parte non sarebbe stata una brutta cosa.
All’entrata del paesetto desolato la moto rallentò fino a sfiorare gli ottanta chilometri, che forse per  quelle strade lastricate di pietre nere logorate dal tempo era una velocità inopportuna.
Sapevo esattamente dove trovare la casetta, nonostante non ci fossi mai stata di persona.
 Però l’avevo vista nella testa di Shannon, la ragazza che la Jiah aveva messo sulle tracce di Neil.
Era una bella casetta dalle pareti rosa e il tetto rosso. Sulla finestra più a nord, con le tende di velluto giallo chiuse, si affacciava un vaso di tulipani viola e lievemente secchi.
Neil si fermò sgommando e, proprio come stavo facendo anch’io, sondando il perimetro della casa. L’unica mente che riuscii a trovare fu quella profondamente addormentata di Cameron ed evidentemente anche Neil la pensava come me, perché spense il motore e si fiondò in casa.
Mi chiusi la porta alle spalle e sentii le iridi rimpicciolirsi per effetto della luce al neon appena accesa.
Cameron, sulla soglia di una camera da letto, in pigiama, ci fissava terrorizzato con una mano stesa davanti a se. Un bagliore azzurro potente illuminava la sua mano e i contorni del suo copro erano   sfocati e celesti. Trattenni il fiato, investita da tanta potenza. Però quando Cameron vide Neil si rilassò e fece scivolare il braccio contro il fianco, sorridendo all’amico. Io invece rimasi a fissare sconvolta il punto in cui un attimo prima la mano di Cameron aveva quasi preso fuoco.
«Neil» annaspai.
Mi aveva mentito ancora. Solo a quel punto Cameron si accorse di me, e mi fissò con un’espressione tanto gioiosa da farmi dimenticare per un momento cosa ci attendesse nel futuro.
«Lindsay». Era scioccato e piacevolmente sorpreso, ma io non potevo preoccuparmene.
Mi voltai furiosa verso Neil, che mi fissava circospetto.
«Sei pazzo!?» non avevo parole per esprimere il mio sgomento.
Neil mi lanciò un’occhiata colpevole.
«Deve pur sapersi difendere».
«Senza spiegargli nemmeno le regole? Se qualcuno è andato all’hotel per cercarmi lo avrà sentito di sicuro! Maledizione!»
«Sentito? Che intende?» chiese Cameron imbarazzato a Neil, che non gli rispose, continuando a fissare me.
«Dobbiamo andare adesso, altrimenti non ce la faremo più».
Il mio cervello lavorava frenetico. Se avevano davvero sentito il goffo tentativo mentale e fisico di Cameron di difendersi, allora da quel momento anche lui sarebbe entrato nella lista dei ricercati rintracciabili. Da quel momento in poi lo avrebbero riconosciuto non appena avesse provato a usare la sua forza.
Chiusi gli occhi, i pensieri lucidi come succedeva ogni volta che stava per accadermi qualcosa di brutto, e parlai.
«Cameron, vestiti. Neil, esci e dai fuoco alla moto. Me l’hanno data loro, perciò sarà la prima cosa che cercheranno» respirai a fondo. «Neil, lui può correre?»
«Si»
«Quanto?»
«Quello che basta»
Annuii, fissando Cameron.
Neil uscì e sentire le sue mani che facevano a pezzi la mia moto fu più difficile di quello che avrei pensato.
«Che ci fai qui?» mi chiese Cameron all’improvviso.
«Cerco di salvarci la pelle»
«Non capisco» ammise Cameron, fissando il pavimento confuso e frustrato.
Sentii istintivo avvicinarmi a lui e sfiorargli il volto con la mano. Non ricevetti nessuna scossa. Cameron non ne sapeva poi molto.
«Ti prometto che appena avrò il tempo di respirare ti spiegherò tutto. Vatti a cambiare» aggiunsi tornando subito al tono pratico sentendo l’odore della benzina.
Cameron sparì oltre la porta della sua camera proprio mentre Neil entrava.
«Dove pensi che dobbiamo arrivare?»
Riflettei.
«Se fossimo solo io e te, ti direi che la Spagna sarebbe il posto migliore. Ma dato che c’è Cameron… che ne dici della Francia? Ci può arrivare?»
Neil annuì. Sapevo quanto sforzo ci sarebbe stato dietro quel si, e senza pensarci gli afferrai la mano. A sorpresa, nessuna scossa mi fulminò.
Cameron tornò da noi indossando i più anonimi dei vestiti, camicia e felpa, e io annuii pesantemente. La parte più facile del viaggio era finita, quella in cui io potevo ancora fingere di essere salva, di avere una scelta. Una solitaria lacrima di rabbia mi rigò il volto.
Sgranai i gli occhi, decisa, pronta ad affrontare tutto quello che mi aspettava.
Lasciai la mano di Neil e scattai fuori. Il fuoco prodotto dalla mia moto si stava allargando sull’erba, e presto avrebbe distrutto anche l’adorabile casetta. Lanciai uno sguardo a Neil e a Cameron, uno alla mia destra, l’altro alla sinistra, poi spiccai la corsa.
St. Eves era al confine tra Galles e Inghilterra, e ci avremmo messo due giorni per arrivare al confine senza macchina. Almeno io e Neil ce l’avremmo fatta, con molta fatica, certo, ma dato che era in gioco la nostra vita non avremmo avuto ripensamenti.
Purtroppo Cameron sarebbe stato un peso, e ne io ne Neil potevamo permetterci di sprecare troppe energie con lui, visto che saremmo dovuti sempre essere pronti alla lotta.
Per questo Neil mi guardò sbalordito mentre mi fermavo nel bel mezzo della campagna e gli indicavo la direzione da seguire, verso una piccola città di cui non sapevo il nome.
Tentai di ricordami quali città ci fossero in quella parte dell’isola, ma il mio cervello non riusciva a elaborare nulla.
Neil mi raggiunse prima che i lampioni della superstrada ci illuminassero.
«Che diavolo fai? Il piano non era correre fino in Francia?»
«E Cameron? Non possiamo consumare così tanta energia, ragiona. Perciò non essere stupido. Qui prendiamo una macchina, giunti al confine l’abbandoniamo e ce la facciamo a nuoto»
Neil sembrò approvare, così ci avvicinammo indisturbati alla cittadina dormiente. L’orologio comunale segnava le sei e trenta. Speravo che la città prendesse vita il prima possibile.
Trovammo una microscopica concessionaria, con due sole macchina in vetrina, e ci sedemmo su una panchina lì davanti, in attesa.
Nessuno fiatò per molto, e io mi dedicai a osservare la città nei minimi dettagli, cercando di non pensare.
Tetbury, ecco il nome di quel piccolo paese. Era un classico paesello inglese, con le case con i giardini, pieno di verde. Un luogo nel quale i bambini possono correre per strada in sicurezza, poiché il limite di velocità è di trenta all’ora.
Era un posto che trasmetteva tranquillità con alberi tagliati con varie forme, e un forte e delizioso odore di erba bagnata.
Lentamente il sole illuminò l’intera Tetbury, dando luce alla vita. Per un istante mi ritrovai a pensare, a desiderare, un futuro come quello di tutte le persone che quella mattina di sarebbero svegliate in quel paese.
Poi la realtà mi ripiombò addosso con la mano di Neil che mi sfiorava la spalla.
Non ero preparata, perciò il ragazzo barcollò per alcuni secondi a causa della mia scossa.
«Scusa, scusa, scusa!»
Ma Neil si era già ripreso e ci avviammo verso la concessionaria.
La commessa, una ragazza circa della mia età, aveva le occhiaie e sbadigliava vistosamente.
«Salve» ci annunciò Neil.
La ragazza, Stacey a quello che diceva il cartellino, alzò gli occhi sorpresa di trovare tre forestieri a quell’ora del mattino. E in più due di loro erano davvero belli.
Neil con gli occhi azzurri brillanti e le sopracciglia aggrottate, sovrastate da capelli neri e leggermente ricci, magro e slanciato ma atletico, alto un metro e novantaquattro, secondo la mia stima, con le mani affondate nella felpa. Chiaro di carnagione e con un sorriso mozzafiato.
La Jiah aveva gusto.
E Cameron, biondo con gli occhi grigio-verdi, sottile e alto un metro e ottantadue, gli occhiali grandi che gli coprivano una buona parte del viso, le labbra sottili incurvate verso il basso, la felpa larga e i jeans chiari. Fissava il pavimento, ostentando indifferenza, ma da come erano piegate le sue labbra io riuscivo a vedere la differenza.
«Benvenuti» ci accolse sorridendo calorosamente. «Io sono Stacey» indicò il cartellino «Che ci fate da queste parti»
Erano normale che una commessa di comportasse così, oppure Stacey esagerava con gli occhiolini e i sorrisetti? Ma Neil non le badò affatto. Osservava le auto.
Così lei ripartì all’attacco.
«Non potete essere capitati a Tetbury per caso, non ci capita mai nessuno. Come vi chiamate?»
Riuscivo quasi a sentire il cervello di Neil lavorare.
«Io e mia moglie» disse scandendo bene e le parole e indicandomi «siamo venuti a trovare il nostro amico» e indicò Cameron «a Chavenage, ma ci siamo persi e siamo finiti qui. Purtroppo entrambe le macchine sono in panne, quindi ne dovremmo comprare una qui, e abbiamo molta fretta.»
Mi atteggiai come se avessi conosciuto quella storia anche io, mentre Cameron continuava a sembrare distaccato.
Alle parole “mia moglie” Stacey mi aveva lanciato uno sguardo curioso e invidioso. Come biasimarla.
«Sposati? Ma avrete al massimo la mia età» protestò.
Ovviamente io avevo la sua età, e Cameron aveva solo un paio di anni di più. Ma Neil ne aveva vent’otto. E sicuramente Stacey non aveva vent’otto anni.
«L’amore non ha età» dissi sbrigativa, iniziando a guardarmi intorno alla ricerca di una modello decente. Essendocene solo due, mi avvicinai a quella che ricordava vagamente un’auto sportiva e la esaminai accuratamente.
Quando mi voltai per dire a Neil che quella sarebbe stata nostra, lo vidi venirmi in contro con le chiavi strette in pugno. Stacey ci fissava con un sorriso ebete che riconobbi subito.
«Arrivederci» biascicò.
Salimmo in macchina e uscimmo dal retro. La città aveva ripreso vita e le persone si voltarono curiose verso il rombo della macchina rossa che sfrecciò via da Tetbury per non ritornare più
Quando ci ritrovammo sulla superstrada non potei che sentirmi sollevata.
La presenza silenziosa di Cameron pesava come un macigno.
«Cameron, vuoi la verità?»
Neil mi lanciò uno sguardo preoccupato con i suoi occhi penetranti. Le labbra strette in un’unica linea.
«Più di quella che mi ha detti detto tu?» Chiese rivolgendosi a Neil.
«Qualcosa» ammise Neil contraendo la mascella.
Avrei voluto sfiorarlo, toccare il dorso della mano che in quel momento rischiava di mandare in frantumi il cambio, ma rimasi immobile.
«Cosa?»
Presi fiato e lanciai uno sguardo a Cameron. All’improvviso mi sembrava un bambino smarrito.
E gli spiegai tutto. Della Jiah, dei bambini strappati ai genitori per diventare guerrieri, dei doni, dei nostri doni, dei pericoli e delle limitazioni.
Non mi trattenni, non fui delicata, non gli addolcii la pillola.
Volevo che si spaventasse, volevo che capisse l’urgenza con la quale dovevamo fuggire.
«E sono davvero così pericoli, questi della Jiah?»
Sospirai e gli mostrai il segno inciso con il fuoco del potere sulla mia nuca.
«Avevo quattro anni, Cameron. E ti posso garantire che con il tempo non si sono ammorbiditi».
Neil continuava, muto, a guidare.
«E perché mi dovete proteggere? Non potete lasciare che mi prendano? Mi possono addestrare…»
L’auto inchiodò e, nonostante fossi riuscita a mettermi in posizione tale da evitare danni, il gesto mi sembrò strano.
«Neil ma che..?»
«Zitto» intimai a Cameron.
Avevo capito.
Neil spalancò lo sportello dell’auto e si scagliò fuori. Lo sentivo vibrare.
Cameron fece per aprire lo sportello, ma lo immobilizzai.
«Stai fermo dove sei. E’ colpa tua, perciò vedi di rimanere immobile esattamente dove sei, Cameron. Sarebbe bello se per una volta obbedissi».
Aprii lo sportello e, prima che potessi chiuderlo, sentii la voce di Cameron mugugnare.
«Sarebbe bello se voi capiste che non sono un bambino».
Ma le parole, troppo ovattate e troppo inopportune, non mi sembrarono riferite a me.
  
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