"A Kaede Rukawa non piace nessuno”
A
Kaede Rukawa non piacciono le donne.
Non
sopporta quel loro continuo, odioso starnazzare; il suo nome sulle
loro labbra quasi lo nausea per il modo in cui lo pronunciano:
sognanti ed eccitate alla sua sola presenza; e proprio non ne può
davvero più delle loro asfissianti attenzioni o delle montagne di
lettere che gli spediscono, ornate di cuoricini rosa e promettenti
amore eterno.
Le
donne proprio non le digerisce, insomma, ma non gli piacciono neanche
gli uomini... o meglio, ad essere precisi, a Kaede Rukawa non piace
proprio nessuno. Lui, semplicemente, detesta la gente.
Il
basket è il suo solo credo, il suo grande amore, e solo attraverso
il cadenzato suono della palla che sbatte contro il parquet lucido,
nello stridere delle scarpe da ginnastica durante la corsa, nel
rumore del canestro che vibra sotto il peso e la foga di uno
spettacolare slam dunk; ecco,
solo in quei momenti lui riesce a sopportare il contatto umano, a
provare talvolta anche del rispetto per chi gli sta davanti e che,
come lui, condivide quelle stesse sensazioni; quella passione
bruciante che lo spinge ad alzarsi ogni mattina, anche solo per
giocherellare distrattamente e accarezzare la superficie ruvida e
arancione di quella palla pesante.
Kaede
Rukawa vorrebbe vivere di solo basket e qualche meritato pisolino tra
una partita e l’altra,
e di questo ne è assolutamente
certo... eppure adesso
non sta giocando, ed è sì, disteso sul letto, ma impegnato a
fissare il pallido soffitto, immerso nei suoi pensieri e a cercare di
capire perché, nonostante questa non sia la sua “situazione
congeniale”, lui si senta così dannatamente bene.
Non
ha alcun senso ai suoi occhi.
Perché
dovrebbe sentirsi tanto tranquillo, in pace e splendidamente
appagato, in un letto non suo,
tra lenzuola aggrovigliate che si appiccicano un po’
alla sua pelle nuda e ancora sudata; perché dovrebbe sentirsi tanto
leggero con la certificazione di “miglior giocatore dell’anno”
– neanche sua, per giunta! – che lo fissa dal muro a cui è stata
accuratamente appesa?
Dovrebbe
sentirsi indignato, almeno un pochino invidioso del fatto che lui non
l’ha
ancora ottenuta – anche se è più che ovvio
che succederà. È solo questione di tempo e di qualche spettacolare
“numero” di basket in più – e invece dentro sente di provare
un piccolo moto d’orgoglio
e grande rispetto per la persona cui appartiene.
La
stessa persona, cresciuta di un paio d’anni
o poco più, da quando ne è stata iridata, che adesso dorme
tranquilla, scomposta e beata, con il cuscino che preme un po’
sulla guancia.
Ed
è lì, a pochi centimetri da lui; così pochi che può ancora
sentire il suo respiro profondo accarezzargli la pelle, il suo
maledetto odore fresco che gli si insinua nelle narici e lo lascia un
po’
stordito, ed una di quelle lunghe e toniche gambe che è ancora unita
alle sue...
Hanno
fatto sesso.
Più
di una volta a dire il vero, e questa non è neanche la prima
occasione in cui succede. Eppure, stranamente, non prova alcun
fastidio nel lasciarsi toccare da lui. Non lo irrita la sua
vicinanza, sopporta perfino il suo continuo straparlare e, in quei
momenti, riesce anche a perdonargli la volta in cui l’ha
battuto – ovviamente con l’inganno
– in quel loro scontro in allenamento, uno contro uno.
Non
gli piaceva all’inizio.
A
dire il vero, in realtà, non gli piace mai
nessuno, né all’inizio,
né poi, ma quel dannato teppista
gli piaceva anche meno di tutto il resto.
Lui
che era stato un vero campione, una grande promessa del basket e che,
sul futuro e in quello sport in cui Kaede credeva – e crede – con
tutto se stesso, c’aveva
sputato sopra, rinnegandolo in tutto e per tutto.
Un
codardo e un
traditore, ecco
cos’era
Hisashi Mitsui.
Uno
che non meritava neanche una briciola della sua attenzione,
nonostante l'onorificenza ricevuta; uno a cui, forse, non doveva
neanche essere restituita la grande gioia del giocare a basket... e
invece era tornato, e se lo era ritrovato tra i piedi, a saettare sul
parquet della palestra, a dimostrare a tutti il suo grande valore e i
suoi tiri precisi, puliti, infallibili.
La
grazia con cui si muoveva, la grinta che bruciava in quegli occhi blu
e la stoffa del campione che, nonostante tutto il tempo in cui era
stata nascosta e disprezzata dallo stesso uomo che la indossava, era
ancora lì, perfetta.
Hisashi
Mitsui si era riguadagnato tutto il rispetto con un solo tiro, ed
aveva ecceduto poi, giorno per giorno, continuando a correre e
giocare anche quando non aveva più aria nei polmoni, fino
all’ultima
goccia d’energia;
fino a quando non crollava a terra svenuto.
E
poi... be’...
e poi era successo.
Così,
dal nulla, senza un vero motivo apparente...
Lui
era sempre stato un vero habitué degli allenamenti extra.
Kaede molto spesso restava in palestra fino a tarda sera, a provare e
riprovare; ad accrescere la propria resistenza, a correre come un
pazzo e correggere la precisione dei propri tiri, terminando il tutto
con una di quelle schiacciate che, se fatta in partita, gli sarebbe
valsa certamente l’ovazione del
pubblico.
Quella
sera però, non era un pubblico intero ad acclamarlo a gran voce, ma
il singolo applauso di qualcuno fermo sulla soglia della palestra,
con ancora indosso la tuta sportiva e l’onnipresente
sorrisetto compiaciuto ad increspargli le labbra.
I
suoi occhi affilati avevano focalizzato la figura di Hisashi,
bellamente appoggiato con una spalla allo stipite della porta
scorrevole e lo sguardo un po’
strafottente di chi ha in mente una sfida e pregusta già la
vittoria.
«Ehi»
lo aveva salutato, avanzando di qualche passo e recuperando la palla
che dopo la sua impeccabile perfomance
era rotolata vicino ai suoi piedi,
«Ancora ti alleni?»
Kaede
aveva sollevato di un poco le spalle, in un gesto condito della sua
solita, proverbiale noncuranza. Come sempre, non aveva certo voglia
di perdersi in chiacchiere inutili.
Si
era avvicinato lentamente al cesto dei palloni per recuperarne un
altro, quando il suono di un veloce palleggio lo aveva fatto
nuovamente voltare.
Hisashi
gli aveva lanciato una strana occhiata, poi, come se fosse la cosa
più naturale del mondo; come se fosse semplice quanto respirare,
aveva infilato
un tiro da tre punti. «Uno contro uno?» gli aveva detto poi e,
senza neanche aspettare la sua risposta, si era tolto la giacca della
tuta e l’aveva
lanciata su una delle panche.
Era
iniziata così, da una semplice sfida che poi si era protratta con
una rivincita, e con la “rivincita della rivincita”, e via così,
per ore, fino a notte fonda.
Nessuno
dei due aveva sentito la fame; vivevano e si nutrivano di solo
basket, l’uno
con l’esperienza
e il talento dell’altro. Non avevano udito neanche lo squillare dei
cellulari, non provavano neppure la necessità di tornare a casa
nonostante la stanchezza.
Solo
un casuale e veloce sguardo all’orologio
li aveva fatti rendere conto di quanto fosse tardi e, senza dirsi
niente, si erano avviati prima verso gli spogliatoi, poi verso casa.
Non
erano servite parole o appuntamenti per trovarsi di nuovo lì, la
sera successiva. Un tacito accordo che li aveva visti complici per
ancora tante ore insieme. Alcune anche solo trascorse distesi sul
parquet, in silenzio, nel tentativo di ridare aria ai polmoni.
Il
perché non riusciva a spiegarselo, e più ci pensava e più gli
sembrava tutto così assurdo, eppure Kaede si sentiva bene
in quei momenti.
Lui,
Kaede Rukawa, la persona più indisponente e scostante dell’intero
Giappone, se non del mondo intero, stava bene
assieme ad un’altra
persona.
Inizialmente
si era convinto fosse solo una “questione di basket”; che tutto
quel benessere fosse dipeso dal semplice fatto che la sua più grande
passione facesse da sfondo ai loro continui incontri, poi era
arrivata la consapevolezza che, scontrarsi contro Hisashi Mitsui, non
era lo stesso che farlo con altri.
Uno
“one-on-one” era sempre ben accetto per un individualista come
lui, ma per quanto non riuscisse a darsi una spiegazione, era fin
troppo evidente ai suoi occhi e al suo stesso corpo che c’era
altro
in quelle notti trascorse in palestra.
C’era
qualcosa in più; qualcosa che poi gli fu più chiaro durante
un’altra di
quelle loro sfide, quando esausti, ma troppo orgogliosi per
ammetterlo, finirono per cadere l’uno
addosso all’altro,
dopo un’azione
al limite del ridicolo.
Kaede
si ritrovò inginocchiato tra le gambe di Hisashi, quasi disteso su
di lui. Il fiato ormai corto, spezzato dalla stanchezza, e piccole
gocce di sudore che gli intrappolavano qualche ciocca di capelli
appiccicandogliela sulla fronte.
Si
sentiva stranamente inquieto; sentiva i muscoli tremare
impercettibilmente e qualcosa gli suggeriva che non era affatto una
conseguenza dell’aver
chiesto troppo al suo fisico. C’era
qualcosa nell’immagine
di Hisashi, a pochi centimetri da lui, che rideva come un pazzo per
la ridicola caduta di cui erano stati protagonisti, che lo scuoteva
dentro di quello strano tremore.
E
Kaede non seppe mai davvero neanche spiegarsi se il gesto che gli
uscì istintivo poi, fosse dovuto all’irritazione
nei confronti di Hisashi o se fosse letteralmente impazzito e belle
che pronto per il manicomio, ma il suono di quella bella, fragorosa e
genuina risata venne improvvisamente spento dalle sue labbra che si
avventarono a chiudere quelle dell’altro, con un bacio.
Un
semplice bacio; uno sfiorarsi appena delle labbra, e Hisashi si zittì
all’istante.
La bocca che restava schiusa per la sorpresa e quell’abisso scuro
dei suoi occhi che si mostrava con più decisione attraverso le
ciglia scure, fissandosi su Kaede.
Neanche
il suono dei loro respiri affannati spezzava più il silenzio. I
polmoni di entrambi erano saturi del fiato trattenuto a forza e le
guance del numero undici dello Shohoku si tinsero di un lieve rossore
d’imbarazzo,
per lo scriteriato gesto compiuto.
Kaede
fece per allontanarsi, come se quella vicinanza l’avesse
improvvisamente scottato, ma le dita dell’altro andarono
immediatamente ad artigliarsi sul colletto della sua maglia, in una
presa decisa, salda, forte, prima di strattonarlo in avanti e far
cozzare ancora le loro labbra.
Di
nuovo la sorpresa lo assalì; di nuovo quel tremore corse ad
avvolgerlo, mentre quel bacio da impacciato si faceva più profondo e
passionale, a tratti languido, e lo trascinava dentro ad uno strano
limbo in cui la sua mente si annullava.
Avevano
fatto sesso per la prima volta, quella notte, sul parquet che fino a
pochi minuti prima li aveva visti solo protagonisti di tante sfide da
manuale, dove il desiderio di essere il migliore era il sentimento
che spadroneggiava.
Si
erano amati lì, nel tempio del loro credo; del loro amato basket, e
tante altre volte quella stessa palestra aveva assistito al loro
sfiorarsi – a volte per scherzo, altre guidati da vera passione –
a baci donati ed altri rubati.
Quelle
quattro candide mura avevano visto la nascita di un amore del tutto
segreto al resto del mondo. Nessuno sapeva di loro, neanche gli amici
più stretti o i compagni, nonostante Hisashi ci provasse un gran
gusto a provocarlo durante gli allenamenti, lanciandogli delle
occhiate divertite e spavalde quando tutti gli altri erano impegnati,
o sussurrandogli frasi irripetibili quando erano casualmente vicini.
Hisashi
se la rideva come un pazzo a vederlo imbarazzato. Adorava il modo in
cui riusciva a far incrinare quella gelida maschera d’indifferenza
che l’aveva
sempre caratterizzato, e Kaede avrebbe tanto voluto ucciderlo il più
delle volte, tra atroci sofferenze, se solo quel maledetto teppista
non avesse imparato a farsi sempre ampiamente perdonare...
A
Kaede Rukawa, comunque, non piace nessuno, e ancora non ha davvero
ben compreso la tortuosa e assurda strada che l’ha
condotto fin lì, disteso in un letto non suo, tra
lenzuola aggrovigliate che si appiccicano un po’
alla sua pelle nuda e ancora sudata.
Non
capisce perché non prova disappunto per quella maledetta
certificazione che ancora lo fissa dall’alto, né perché il suo
corpo cerca il calore di quello disteso accanto, invece di provare il
solito fastidio.
«Ehi...»
una voce profonda, resa più scura dal sonno appena terminato, lo
risveglia dai suoi pensieri e da quel vortice di ricordi e di domande
da cui si è lasciato trascinare. Kaede sposta lo sguardo ad
incontrare quei bellissimi occhi blu, ancora un po’
assonnati, e per un attimo gli sembra di vedere tutto con più
chiarezza; di trovare in quelle iridi scure la risposta ad ogni
“perché”.
«Ehi»
gli fa poi eco, con un filo di voce, per poi continuare a fissarlo
con intensità.
«Che
cazzo c’hai
adesso?» borbotta Hisashi, che ormai ha almeno imparato ad
interpretare i suoi silenzi e gli strani mugugni. Ha visto qualcosa
nel suo sguardo, solo che ancora non sa cosa aspettarsi.
Kaede
però non risponde. Non ha ancora compreso come fare a dar voce ai
propri pensieri in modo chiaro, e l’altro
a questa sua scarsa loquacità c’è
già abituato e non insiste. Sa che non esiste un metodo per
costringerlo a parlare e che in fondo c’è
solo un modo con cui Kaede riesce davvero a liberare se stesso e ad
esprimersi: il basket.
«Una
doccia e due tiri a canestro?»
«Hn..»
mugugna appena Kaede in risposta a quella proposta, ma nel momento in
cui l’altro
fa per scostare le lenzuola ed alzarsi dal letto, con un gesto
istintivo circonda il suo petto ampio con il braccio e lo trattiene
giù, ancora al suo fianco. «... ma tra un po’»
spiega poi, e vede Hisashi abbandonare quel suo cipiglio stranito e
sorridere sincero, prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi ad un
sonno cullato dal calore e dall’odore
del suo compagno.
A
Kaede Rukawa non piace nessuno, è vero...
Eppure
ama Hisashi Mitsui.
*'*'*
Os
nata un po’ per scherzo, un po’
a caso, dopo aver rivisto qualche puntata di Slam Dunk, ma
soprattutto, dopo aver rivisto quella puntata; quella della
“famosa” sfida tra Mitsui e Rukawa, proposta proprio da
quest’ultimo.
Probabilmente,
per i più che la leggeranno, non avrà molto senso ciò che ho
scritto XD, ma loro due sono sempre stati i miei favoriti, fin da
quando seguivo assiduamente questo anime ai tempi delle medie, su
MTV. Mi è rimasto sempre nel cuore, specialmente per le grasse
risate che è sempre stato capace di farmi fare, e perché è sempre
un gran piacere da rivedere, e queste cinque misere paginette sono
nate così, di getto.
E
niente, non ho davvero altro da aggiungere, se non che spero di non
aver messo su “carta” un vero disastro. XD
Ringrazio
anticipatamente tutti coloro che riusciranno a leggere questa OS fino
alla fine e ovviamente a chi lascerà un segno del suo passaggio. :)
Ancora
grazie.
Veronica.