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Autore: Sonskyn    25/04/2012    4 recensioni
Cassiopea Hydra Malfoy è cugina di Draco e la sera prima di partire per Hogwarts, lui le chiede di incontrarsi. Le rivela di dover compiere una missione per Tu-Sai-Chi e le chiede di aiutarlo.
Cassiopea si trova davanti ad un bivio: accettare e rimanere dalla parte del torto, oppure rifiutare e portarsi dalla parte dei "buoni".
Ma Cassiopea riuscirà a trovare un compromesso a tutto questo....
"Tum, tum… Sentivo i battiti del mio cuore scandire il tempo che passava, a rallentatore.
Tum, tum… Ogni battito, ogni attimo che passava, l’espressione di Draco si faceva più disperata.
Tum, tum… Ad ogni battito, la scelta più giusta da fare prendeva forma nella mia testa.
Silenzio. Il mio cuore sembrava essersi fermato. Nella mia mente una sola, piccola e debole lampadina si stava accendendo. Un’idea flebile si creava, la cosa giusta da fare era lì, chiara.
«Ok, ti aiuterò» gli dissi, la voce che tremava «Ma non voglio avere il merito di nulla, nessuno deve sapere niente di tutto ciò. D’accordo?» lo guardai decisa.
«Grazie. Sapevo di poter contare su di te.»"
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Grazie a Payton_ e  HermyLily89
per aver Betato questa storia.
GrazieJocelyn Loxley  per avermi sostenuta.
GrazieSimona_Lupin  per avermi fatto da sostegno morale.
Grazie a Irene per essere stata la prima persona ad averla letta
e ad avermi incoraggiato a continuaere.


 

 

 

1. Si inizia a giocare

 





 
 
Mi trovavo nel giardino sul retro del maniero, il mio posto preferito, dove si poteva ammirare un magnifico tramonto colorare di tonalità calde il cielo sereno. Il fumo della sigaretta si diradava nell’aria assumendo strane forme; come con le nuvole, cercavo di trovare immagini che nessun altro avrebbe potuto vedere.
Ero seduta sul dondolo di legno scuro, sprofondata tra una miriade di morbidi cuscini. Indossavo dei pantaloni di tuta blu, che si stringevano verso le caviglie, una maglietta larga a maniche corte che mi lasciava scoperte le spalle, semplice e bianca. I lunghi capelli color cioccolato erano legati in una sinuosa coda che mi ricadeva al lato sulla clavicola. Il viso leggermente ovale, dalla pelle candida, era pulito e senza un filo di trucco; gli occhi castani con delle sfumature color miele erano rivolti verso l’orizzonte ad osservare il paesaggio.
Pensavo all’estate ormai al culmine. Fin da quando ero bambina, i miei genitori mi avevano sempre portato in posti nuovi, ogni estate. E quell’anno avevo trascorso le vacanze in Canada, in un tranquillo villaggio Magico. A noi si era aggiunto anche mio cugino Draco, stufo di rimanere chiuso in casa con i suoi genitori e di sentirli lamentarsi.
Tre mesi di relax e divertimento, come mai avevo passato. Le partite a Quidditch con dei ragazzi locali e l’apprendimento di un nuovo sport, il Baggataway[1]; le escursioni nel folto delle immense foreste, dove abbiamo scoperto dell’esistenza di numerose specie animali da noi inesistenti, come il Caradrio o il Gullinbursti[2], e le serate nei pub Babbani- ogni sera mio cugino protestava, ma riuscivo sempre a convincerlo ad entrare.
Era sempre stato un ragazzo presuntuoso e snob e detestava le persone che non riteneva all’altezza della sua presenza, ma lo conoscevo meglio di quanto chiunque altro e sapevo come persuaderlo. Con quel suo sguardo duro, una corazza impenetrabile che non si lasciava scalfire dalle emozioni, io sono sempre stata l’unica a capirlo, a renderlo più umano.
Con me sembra un’altra persona, forse perché siamo cresciuti insieme come fratelli e sa di potersi fidare.
In quell’ultimo periodo, però, avevo notato un piccolo cambiamento. Si era chiuso a riccio e non mi permetteva più di oltrepassare quella linea di confine che lo separava dagli altri. Avevo pensato fosse colpa dello stress, anche se non capivo quale stress potesse avere un ragazzo di sedici anni viziato e vezzeggiato.
«Che stai facendo?» persa nei miei pensieri, non mi accorsi che era arrivata mia madre. Guardai lei, poi la sigaretta e infine di nuovo lei e automaticamente buttai il mozzicone tra i fili d’erba.
«Niente» le risposi.
«Sai che non voglio tu prenda certi vizi Babbani» disse alterandosi un po’ «comunque ero venuta a dirti che devi preparare il tuo baule. Domani ricomincerà la scuola e la tua camera sembra un campo di battaglia. Neanche Odette ha intenzione di metterci le mani! »
«D’accordo» le risposi.
«E quando hai finito, scendi per la cena» mi ricordò sorridendo. «Non voglio che mia figlia sparisca, stai diventando troppo magra».
«Dici così solo perché sei mia mamma!» replicai ridendo. «Comunque, sì, dopo scendo per la cena»
Mi alzai dal dondolo e attraversai il prato, poggiando i piedi nudi sull’erba. Entrai in casa dalla porta-finestra che dava sulla stanza della musica, seguendo mia madre. Al centro troneggiava un favoloso pianoforte a coda, lucido e completamente nero. Mi avvicinai, sfiorandone la superficie liscia, facendo riaffiorare alla mente splendide melodie che mio padre mi suonava da piccola. Sulla parete sinistra erano ordinati al muro un’arpa e diversi componenti della famiglia degli archi, mentre dalla parte opposta erano posizionati gli strumenti a fiato, partendo dal più piccolo fino ad arrivare al più grande.
Uscii dalla stanza e percorsi il corridoio principale, poi svoltai a sinistra verso l’ala ovest della casa, mentre mia mamma si dirigeva in salotto, e salii le scale che portavano al piano superiore. Mi avviai verso camera mia, aprii la porta di legno chiaro ed entrai. La stanza era un ammucchiarsi di vestiti, libri e oggetti di ogni tipo. Le pareti erano dipinte di un bianco candido, decorato da ghirigori colorati: verdi, indaco e magenta.
Contro la parete, di fronte alla porta, si trovava il letto a baldacchino, rialzato di qualche centimetro da terra. Era matrimoniale, ricoperto da lenzuola color verde, ricamate con motivi floreali bianchi; su di esso erano appoggiati numerosi morbidi cuscini, jeans e magliette, lì da qualche settimana.
Accanto al baldacchino era sistemata una cassettiera bianca con pomelli a forma di bocciolo, qualche cassetto aperto ne mostrava il contenuto: biancheria intima di ogni colore e tonalità, calze a righe, a pois e tinta unita, pigiami di flanella e pile per il periodo invernale e camice da notte di seta per quello estivo. Anch’essa era nascosta sotto il cumulo di vestiti mai riordinati, mentre la cabina armadio nell’angolo sinistro della stanza era completamente vuota.
Sul pavimento era riversato il contenuto del baule, svuotato durante l’estate per svolgere i compiti assegnati. I libri di Incantesimi, Storia della Magia e Trasfigurazioni si trovavano sullato destro della stanza, sparpagliati a terra assieme a pergamene macchiate di inchiostro; quelli di Pozioni e Erbologia erano nascosti sotto il letto; mentre Difesa Contro le Arti Oscure, Aritmanzia, Antiche Rune e Astronomia erano ben tenuti e ordinati sulla mensola. Sulla scrivania accanto alla porta, si scorgevano boccette d’inchiostro e piume, sommerse da rotoli di pergamena con parole sbavate e cancellature nere.
Dovrei ancora finire i compiti, ma penso proprio che me li farò passare da Draco domani sul treno.
Sotto la scrivania c’era il calderone, riempito con due cuscini e una copertina per fare da cuccia a Eileen, la mia gatta, e sulla sedia Odette aveva poggiato la divisa con la cravatta verde e argento appena stirate.
Così cominciai a raccogliere vestiti, libri e oggetti sparsi al suolo e a sistemarli all’interno del baule o nella cabina armadio. Dopo circa mezz’ora la stanza era tornata ordinata e pulita, finalmente ci si poteva camminare senza avere il terrore di rompere qualcosa; il baule era chiuso e posato alla parete e le iniziali scritte in caratteri d’oro risaltavano sullo sfondo scuro: CHM, Cassiopea Hydra[3] Malfoy.
I due nomi li aveva scelti mio padre, Lucas Malfoy. Entrambi i nomi erano di costellazioni, un modo per onorare la famiglia da cui i Malfoy discendevano, i Black. Mia madre Isla Pereira, invece, avrebbe preferito nomi spagnoli come Rocio o Elena, ma mio padre ebbe il sopravvento.
La famiglia Pereira era una famiglia di Maghi Purosangue molto rispettata nella società magica della Spagna, ma si trasferì in Inghilterra nel 1965 quando mia madre aveva solo 5 anni. Così, all’età di 11 anni, frequentò la scuola di Hogwarts e fu smistata in Corvonero. Era una ragazza brillante e di vedute aperte, senza alcun pregiudizio nei confronti dei Babbani. Conobbe mio padre al terzo anno, fratello di Lucius e figlio di Abraxas Malfoy, una delle più importanti famiglie Purosangue del tempo.
Il loro incontro fu scontroso, in quanto lei frequentava il corso di Babbanologia e lui la rimproverava della scelta, non adatta ad una ragazza del suo rango. Da lì nacque un duello, poiché mia madre non permetteva a nessuno di farsi dire ciò che doveva fare, e si concluse con una bella reclusione in Infermeria per entrambi.
Si innamorarono, probabilmente rimanere rinchiusi per così tanto tempo da soli, permise loro di conoscersi meglio.
Finito il settimo anno, si sposarono e in una calda giornata di primavera nacqui io.
Un ticchettio insistente mi fece tornare alla realtà.
Guardai la finestra incorniciata da lunghe tende color girasole e vidi un gufo reale picchiettare al vetro. Lo riconobbi subito: era di mio cugino. Aprii l’anta e feci entrare il rapace; presi il foglietto che teneva legato alla zampa sinistra e lo posai sulla scrivania, in modo da avere la mano libera e poter dare da mangiare all’animale. Poi si andò a sistemare sul trespolo accanto alla finestra ancora aperta.
Presi il messaggio, sfilai il nastrino nero e ruppi la cera lacca con il sigillo dei Malfoy. Lo aprii e lessi:
 

Stasera al nostro rifugio. Mezzanotte.
Sii puntuale.
Draco

 
Il messaggio mi stupì e cominciai a preoccuparmi.
Cosa deve dirmi di tanto importante da non poter aspettare domani sul treno?
Con questa domanda fissa in testa, mi avviai verso la porta del bagno, ruotai la manopola dell’acqua calda e preparai l’accappatoio. Cominciai a spogliarmi sopra le note di “The snow is dancing” di Claude Debussy e ne canticchiai il motivo. Entrai nel box e mi feci una doccia rilassante, lasciandomi cullare dalle note della musica e senza permettere alla preoccupazione del messaggio di invadere quel momento di relax.
Dopo mezz’ora uscii e mi avvolsi nell’accappatoio, misi una salvietta in testa e frizionai i capelli. Andai verso la cassettiera, passando davanti alla porta. Notai che era socchiusa e intravidi un vassoio con la cena. Sorrisi.
Lo portai dentro e lo poggiai sul letto; rubai uno zuccotto e ne morsi un pezzo. Poi, tornai in bagno e mi vestii velocemente. Quando ebbi finito, uscii legandomi i capelli.
Mi sedetti sul letto e cercai di finire di leggere il libro di Aritmanzia affidato per l’estate, mentre, con il vassoio sulle ginocchia, punzecchiavo la cena.
 
Finito il capitolo del libro, erano circa le 23:00 e decisi di incamminarmi verso il luogo dell’appuntamento con Draco. Il nostro rifugio risaliva a circa 14 anni prima, quando, giocando ad impersonare i personaggi della fiaba “La fonte della Buona Sorte”, ci eravamo ritrovati in una radura circondata da fitti alberi, al cui centro si trovava un bacino d’acqua non molto profondo e pensavamo di aver trovato la vera Fonte.
Da allora, fu il nostro rifugio.
Uscii dalla mia stanza. Indossai una canottiera rossa e un paio di jeans, ai piedi un paio di infradito di corda. Cercai di non fare rumore e scesi le scale furtivamente. Raggiunta l’entrata, uscii respirando la brezza fresca della notte e l’odore di rugiada. Percorsi il viale di ghiaia affiancato ai lati da una fila di alberi maestosi e uscii dal cancello; camminai per una buona mezz’ora nel bosco, seguendo un percorso non tracciato, finché sbucai nella radura. Ammirai la bellezza di quel luogo di notte, la luna che si rifletteva nello specchio d’acqua e che illuminava il paesaggio di una luce bianca e magnifica. Sulla riva del bacino d’acqua, Draco era seduto su un masso. Aveva le mani tra i capelli e la testa china, con un’espressione preoccupata sul volto. Quando mi avvicinai, sollevò la testa e si alzò di scatto, quasi spaventato.
«Sei in ritardo» mi disse. Lo guardai storto e risposi: «Veramente sono le 23:30».
Mi avvicinai ancora e sedetti sul masso lasciato libero, mentre lui stava ritto in piedi davanti a me. Era teso.
«Perché mi hai dato appuntamento qui?»
«Volevo vedere la mia cuginetta preferita» mi schernì, con un sorriso beffardo. Nascondeva sicuramente qualcosa.
«Ti conosco troppo bene per farmi abbindolare dalle tue balle. Quindi vieni al nocciolo della questione!» ribattei convinta. Il sorriso svanì dal viso di Draco, che assunse un’espressione seria.
«C’è una cosa che mi sta divorando dentro. Riempie completamente il mio tempo, i miei pensieri, i miei… sentimenti» mi guardò con ansia «è una tortura. Non posso, non posso farlo. Ma non riesco ad uscirne e.. devo. Ne va del mio nome, il nostro nome, ne va della mia famiglia. Ne va della mia vita!» si riprese la testa tra le mani e abbassò lo sguardo, disperato.
«Draco, cos’è successo?» dissi, cercando di mantenere la calma e nascondere il terrore nella voce. Avevo paura di quello che poteva rispondermi. Appoggiai la mano sulla sua spalla, per cercare di consolarlo o almeno calmarlo. Lui la prese tra le sue, agitato.
«Devi aiutarmi, Hydra. Sei l’unica che può farlo. Devi aiutarmi a portare a termine il mio compito. Se avrò successo non ucciderà me e i miei genitori»
«Quale compito? Chi te l’ha affidato? Chi vuole ucciderti?» cominciai ad alzare il volume della voce, agitata quanto lui e completamente terrorizzata. « Draco, ti prego, parla!»
«Il Signore Oscuro mi ha affidato un compito, una missione, e se fallisco Lui mi ucciderà. E ucciderà anche i miei genitori»
«Quale è questa missione?» chiesi diffidente.
«Devo trovare un modo per far entrare i Mangiamorte nella scuola e.. »
«E… » già la prima parte era terrificante e premetteva una battaglia. Non osavo immaginare cosa altro doveva fare.
«…devo uccidere Silente» le ultime parole, sussurrate velocemente, arrivarono alle mie orecchie con un eco fastidioso. Continuavano a ripetersi nella mia testa. Rimbombarono, insistenti.
Ritrassi le mani dalle sue e mi allontanai leggermente con il corpo.
Lo guardai con un misto di terrore, rabbia e ribrezzo, come si guarda un lebbroso da tenere a distanza per paura di essere infettati.
«Come può pensare che tu commetta un atto tanto orribile? Sei solo un ragazzo e credo proprio tu non debba farlo. Devi rifiutarti!»
«Come riesci anche solo a pensare ad una possibilità del genere? Pensi che si possa andare da Lui dicendo “Ehi guarda, mi piacerebbe molto, ma non posso farlo” e riuscire ad andarsene senza pagare le conseguenze? Ma fammi il piacere…»
«Sei consapevole del fatto che qualunque cosa abbia in mente il Signore Oscuro è sicuramente terrificante e frutto di una mente malata, e nonostante questo tu continui a stargli dietro come un cagnolino e non fai nulla per opporti? Sai anche che io non farò mai niente che possa nuocere a Silente, è un uomo rispettabile, molto potente e in piena ragione di voler Voldemort morto. Non ti accorgi che sei dalla parte sbagliata della scacchiera?» lo guardai con espressione dura, di rimprovero, ma lui non cedeva e manteneva lo sguardo fisso, ribattendo con altrettanta durezza.
Orgoglioso, arrogante, testardo, talmente stupido da essere cieco davanti alla verità!
«Ti ho chiesto di aiutarmi, non un consiglio su come ottenere una morte sicura. Questa è la mia missione, Lui si fida di me» il suo tono gelido mi lasciò spiazzata. Rimasi a fissarlo con occhi sgranati e bocca spalancata. Era il momento di prendere la fatidica decisione, pronta o meno che fossi: con lui o contro di lui?
«Non farmi questo… Non costringermi a dover scegliere… »
Rimasi per qualche minuto a fissarlo, con un’espressione combattuta sul volto. Draco mi guardava ansioso.
Tum, tum… Sentivo i battiti del mio cuore scandire il tempo che passava, a rallentatore.
Tum, tum… Ogni battito, ogni attimo che passava, l’espressione di Draco si faceva più disperata.
Tum, tum… Ad ogni battito, la scelta più giusta da fare prendeva forma nella mia testa.
Silenzio. Il mio cuore sembrava essersi fermato. Nella mia mente una sola, piccola e debole lampadina si stava accendendo. Un’idea flebile si creava, la cosa giusta da fare era lì, chiara.
«Ok, ti aiuterò» gli dissi, la voce che tremava «Ma non voglio avere il merito di nulla, nessuno deve sapere niente di tutto ciò. D’accordo?» lo guardai decisa. Il suo viso si rilassò e le sue labbra si distesero in un sorriso appena accennato. Nei suoi occhi si poteva leggere gratitudine, sentimento quasi sconosciuto a lui.
«Grazie. Sapevo di poter contare su di te.»
Si inizia a giocare.
 




[1] Sport da cui trae origine il Lacrosse, nato nel nord America nelle tribù Amerinde.
[2] Caradrio: uccello bianco con la coda di rettile, le cui feci hanno poteri curativi (infiammazioni degli occhi).
Gullinbursti: cinghiale dal folto pelo d’oro, in grado di correre più veloce di qualunque altro destriero di notte e di giorno, nell’acqua e sulla terra. Molto usato in cucina.
[3] “[Idra] era quindi consanguinea del dragone posto a guardia delle mele d'oro e ricordato nella costellazione del Drago.”
Ho scelto questo nome per sottolineare il forte legame con Draco.





NdA

Buondì bella gente! :3
Mi sono finalmente decisa a pubblicare il primo capitolo di questa mia nuova long e spero di non avervi annoiato troppo!
*schiva i pomodori*
Se avete critiche, consigli e avvisi, sono sempre graditi purchè fatti civilmente.
Ok, senza nient'altro da dire, vi saluto! :D

Baci, Son
   
 
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