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Autore: DarkLucifer    25/04/2012    4 recensioni
La storia di una morte,la storia dell'inizio di un tipo di amore, che va' oltre la vita...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il giorno seguente già da un tre ore buone,quando il ragazzo sentì la porta socchiudersi piano piano

Era il giorno seguente già da tre ore buone, quando il ragazzo sentì la porta socchiudersi piano piano.

Andava l’adattamento di Jeff Buckley di Hallelujah nell’aria di quello studiolo pieno di scaffali stracolmi di libri d’ogni sorta; oltre a tutto quel sapere centenario giacevano anche alcuni album,la testimonianza della vita di una famiglia felice.

La donna ritratta nelle foto sorrideva, ma quel suo viso, oltre a trasmettere la gioia che in quel momento era evidente provasse, trasmetteva anche una punta di quella serietà che era solita irradiare da lei e nei suoi discorsi; era stata una maestra e quella voglia di trasmettere il suo sapere non l’aveva più abbandonata, anche con il cambio di lavoro.

Sì, in fondo, lei avrebbe sempre voluto poter trasmettere quello che sapeva e che sperava potesse aiutare tutte quelle piccole menti assetate che avevano attinto da quella fonte.

Il ragazzino nelle foto, invece, risultava quasi sempre con quel sorriso a trentadue denti che da sempre l’aveva contraddistinto e che tutti gli avrebbero sempre attribuito: quel sorriso sembrava poter portare luce nelle vite di tutti quelli a cui veniva rivolto.

Ogni tanto faceva capolino l’ombra di un capriccio, ma faceva parte del suo carattere ,appena percettibilmente viziato ma fondamentalmente semplice e fanciullesco, ancora senza la benché minima traccia dell’ombra che avrebbe più tardi crepato quello splendido sole.

L’uomo che stava con loro in tutte le foto, era una delle luci più brillanti che quei tre soli: era un uomo non molto alto ma imponente, con pochi capelli che spesso e volentieri rasava completamente, anche se in passato erano stati abbastanza fluenti e lunghi e con un sorriso splendido, come quello di una persona che nella sua vita aveva passato molte gioie ed altrettanti dolori ma che alla fine sembrava realizzato e felice per la sua splendida famiglia.

Quell’uomo sarebbe morto per un ictus pochi mesi dopo che le ultime foto fossero state sviluppate.

Quando successe era una domenica mezzogiorno, la famigliola pranzava come sempre insieme ai tanti parenti ed il pranzo era quasi pronto, già dalla cucina volava pian piano l’aroma di un buon risotto ed altre prelibatezze.

Ma i bambini,cugini del bambino delle foto, erano troppo impegnati a giocare a terra con il padre del piccolo, che come sempre accadeva per il suo carattere da buontempone, faceva divertire il suo figlioletto ed i piccoli cugini di lui con giochi infantili che riuscivano comunque a coinvolgere tutti.

La voce di chi si stava occupando della tavola arrivò, accolta con un mugugno infastidito da parte dei bambini che volevano continuare a giocare con quel loro zio e papà tanto giocherellone; ma le mamme sanno essere molto persuasive e già i due cuginetti di quel bimbo si erano rassegnati e si stavano dirigendo verso il lavandino per lavare le mani e sedersi a tavola.

Il bambino delle foto si alzò per ultimo, prima ancora che suo padre lo accompagnasse, in quella che sarebbe dovuta essere una piccolissima gara tra padre e figlio per arrivare al lavandino…ma uno dei corridori non tagliò mai la linea del traguardo.

Il bimbo si accorse subito che qualcosa non andava, anche se suo padre era solito fargli degli scherzetti, al primo sentore della voce della mamma riacquistava un minimo di serietà e poneva fine ai giochi: ma allora perché restava lì per terra e per giunta non accennava nemmeno al mettersi seduto??

La bocca del papà era riversa in una strana angolazione, dettaglio che nella piccola mente del bambino sarebbe riaffiorato solo ad anni di distanza, e il braccio sinistro era teso verso il figlio, come se cercasse un appoggio per potersi levare di nuovo in piedi.

Il bambino si avvicinò velocemente tenendo nelle piccole manine la grande mano del padre, che spesso e volentieri aveva stretto anni prima quando doveva attraversare la strada o quelle volte che giocavano insieme ed il genitore faceva roteare il figlio per la stanza, simulando un volo; strinse quella manona e tirò con tutte le forze che i suoi dieci anni d’età gli consentivano ma purtroppo totalmente insufficienti per levare un uomo di più di ottanta chili di peso.

Fu solo allora che gli astanti capirono cosa non andasse ed accorsero.

L’uomo fu sollevato dai due cognati e poggiato sul divano e da quel momento nella mente del bambino tutto andò estremamente veloce: i parenti agitati che provavano la pressione e che cercavano di far reagire il malato, la zia più portata per le emergenze che comunicava prontamente al 118 tutte le informazioni necessarie e che li invitava ad essere più celeri possibile ed infine gli sguardi preoccupati ed afflitti dei due cugini più grandi, mentre nei piccoli occhietti della bambina di due anni, ultima arrivata di quella grande famiglia brillava un’attonita sorpresa verso tutto quel trambusto, così lontano dalla tranquilla routine della domenica a pranzo…ed infine arrivarono, quelle sirene con il loro colore strano che il piccolo figlio del pover uomo si sarebbe ricordato anche a distanza di anni.

Fu l'ultima goccia, non riuscì ad andare oltre, il bambino sentiva l'impellente bisogno di isolarsi da tutta quella ressa intorno al padre, soprattutto ora che erano arrivati gli infermieri con quelle loro tute arancio ed i loro strani strumenti.

Scappò via, andò in garage per schiarirsi le idee nel silenzio e nella fredda aria di ottobre.

Era riuscito ad estraniarsi da tutto così bene ed aveva appena riordinato i pensieri che una forza invisibile lo aveva costretto a tornare sui suoi passi, giusto in tempo per vedere il padre trasportato fuori in barella... ancora non lo sapeva, ma quella fu l'ultima volta che vide suo padre.

Piano piano il bimbo si diresse verso la sua cameretta, si mise in ginocchio davanti al letto come faceva a volte e con tutte le sue forze mentali cercò Dio, pregandolo e scongiurandolo di non portargli via quel padre che, anche se ogni tanto era burbero per le marachelle che suo figlio combinava, gli voleva il bene più grande che ci fosse e non aveva fatto nulla per meritarsi di andarsene; pregò quindi con tutte le forze, dando in pegno qualsiasi cosa Dio fosse disposto a prendere o desiderasse.

Alla fine ci mise dentro tanto di se' che fu assolutamente certo che Dio lo avrebbe ascoltato, che anche se era successo quello che aveva visto, non lo avrebbe privato di quel suo splendido padre, perchè Lui era buono ed il bambino era serio quando gli aveva promesso assoluta devozione, in cambio di quel favore.

Alla fine il bambino passò quella giornata a cercare di distrarsi con tutte le cose che di solito lo estraniavano da tutto ciò che lo circondava, riuscendo nell'intento di allontanare l'attenzione sui fatti del giorno, anche se spesso guardava nervosamente la porta, in attesa del ritorno dei genitori e dei parenti, o anche solo di qualcuno che lo rassicurasse di quanto fosse successo.

Quella notte la mamma non tornò a casa, gli fu detto che dormiva in ospedale per far compagnia al papà e che lui avrebbe dovuto dormire con la nonna; lui non ci fece caso e andò prima che potè nel mondo dei sogni, quel mondo dove nessuno può farci male e dove siamo noi gli Dei, dove siamo noi che decidiamo di tutto quello che succede.

Il bambino non fece sogni strani e anche se li avesse fatti, aveva sempre avuto problemi a ricordarseli, quindi fu tutto relativamente tranquillo.

Il mattino dopo si svegliò trafelato verso le nove: perchè era così tardi? Perchè nessuno lo aveva svegliato, aiutato a prepararsi e portato a scuola?

Dopo la tardiva colazione, gli fu annunciato che avrebbe potuto giocare alla play station 1 finché la mamma non fosse tornata ed il bimbo saltò di gioia, sia per il fatto che non poteva mai giocare tanto sia per il fatto sia associava il poter liberamente giocare con i festeggiamenti che avrebbe fatto,saputo che il papà stava bene ed era fuori pericolo.

Dopo circa due ore la mamma lo raggiunse, portava gli occhiali da sole, anche se la giornata era abbastanza nuvolosa ed aveva le guance tutte rosse.

Entrata, gli disse di venirle vicino e quando lui le chiese del padre lei gli disse molto pacatamente che quella notte era scivolato in un sonno tranquillo ed il mattino dopo non si era più svegliato: la morte più bella del mondo, disse.

Quello che successe dopo quelle parole, si sfumò come se visto attraverso un vetro appannato: non sentiva realmente quello che tutti gli dicevano, non gli importava nemmeno di sentirlo.

Passò davanti a camera sua e si ricordò della sua promessa, così la rabbia lo prese ed iniziò a maledire quel Dio che non l'aveva ascoltato, che aveva preso il suo papà e l'aveva portato in un posto in cui lui non poteva vederlo o sentirlo in alcun modo.

Così un pensiero lo prese, che incrinò tutto quello che aveva pensato su quel mondo che lo circondava: e se in realtà, un Dio non ci fosse? Perché se c'era una cosa chiara e lampante, era che niente poteva giustificare la morte del padre, niente.

Passavano i giorni e tutto sembrava essere sospeso, sembrava che stesse capitando ad un'altra persona e che con quella famigliola prima felice non avesse assolutamente niente a che fare.

Il giorno del funerale arrivò anche troppo presto; il ragazzino si era categoricamente rifiutato di vedere il corpo del padre sul lettino dell'ospedale, vestito come quando doveva correre per arrivare in orario al suo lavoro di venditore in campo di telefonia, per far sì che non fosse quella l'ultima immagine di quel viso che tanto aveva amato.

C'era tantissima gente, più di quanta il ragazzino ricordasse di aver mai visto nei pressi di casa sua, e tutti erano lì per rendere omaggio a quella brava persona, a quello che per loro aveva rappresentato quell'uomo gentile e socievole.

Sempre quel velo d’indecifratezza e di ricordo offuscato rende impossibile al ragazzino tutt'oggi ricordare quel giorno e quelli successivi, ma ricorda che le lacrime erano un bene cui non poteva assurgere, non poteva mostrare debolezza quando la mamma, quello che ora era il pilastro portante della sua infanzia, era affranta e le sue lacrime sembravano non aver mai fine; non era mai stata una donna volubile o facile al pianto, e ciò rendeva ancora più tragiche le sue lacrime, donava loro un peso indescrivibile.

Il ragazzino sapeva che ora stava a lui essere la forza che avrebbe ridato alla mamma la sua determinazione, e se non ci fosse riuscito per diamine l'avrebbe portata avanti lui stesso, qualunque cosa fosse successa!

Così non pianse, nemmeno quando lanciò quel suo fiore sulla tomba che stava per essere interrata, per dimostrare a suo padre che non si sarebbero separati per così poco.

I parenti e gli amici scorsero via, fluendo pian piano come un fiume che cerca di riempire completamente un letto che non potrà mai essere colmo per davvero: tutti sussurravano frasi che sarebbero dovute essere di conforto per il ragazzino e la madre, ma che suonavano a malapena come vacue manifestazioni di altre presenze umane per i due.

Avvenne circa due settimane dopo: in quel periodo il ragazzino cercava di tirare su la madre ed ormai la vita sembrava scorrere ancora su dei binari almeno, invece che sulla strada deragliata che sembrava aver preso.

La madre era in un'altra stanza, impegnata a fare chissà cosa, mentre lui per prepararle una sorpresa aveva deciso di farle trovare la tavola già preparata, così da alleggerire il carico di lavori quotidiani, magari distraendola parzialmente dal dolore che era come una pietra immensa che si portava appresso da quando era successo tutto.

Finito il lavoretto si scostò dal tavolo, in procinto di chiamare la madre per preparare da mangiare, quando improvvisamente si rese conto di un particolare, che nella sua sottile ma evidente presenza squarciò il torpore in cui il ragazzino si trovava in quei giorni: aveva apparecchiato per tre.

Un vecchio vizio, per quando il papà tornava dal lavoro, anche se carico d’impegni e di tensione, si rilassava sulla sedia conversando con quello che era il suo mondo di allora: la sua famiglia.

Quel posto sarebbe sempre stato vuoto, non lo avrebbe più occupato, non avrebbe più mangiato, non avrebbe più scherzato sulla ragazzina che piaceva al figlio, non avrebbe più fatto battute alla moglie sul presunto far tardi intrattenendosi con altre donne, anche se tutti sapevano che amava sua moglie come null'altro in vita sua,  ma che non avrebbe più potuto riabbracciare, ora che era scivolato nel non essere.

Fu in quel momento che il peso di quello che era successo cadde come un masso sulle spalle di quel ragazzino di dieci anni, che fu costretto dal tempo a crescere prima del dovuto.

Si rifugiò in un angolo della cucina e, attento a non fare rumori o farsi sentire dalla madre e  lasciò che tutto quello che non aveva voluto provare fino a quel momento fosse riversato ed espulso dalla sua anima: sembravano anni di dolore ed erano soli quattordici giorni che l'uomo era mancato.

Trascorsero dieci anni, quel ragazzino ormai uomo di quasi vent'anni non sapeva ancora spiegarsi come fossero passati, ma era così.

La madre aveva pianto tutte le lacrime che quell'uomo aveva meritato ed ora stava andando avanti, dopo 6 anni in cui non aveva assolutamente cercato altre storie, un uomo gentile aveva fatto quello che il ragazzo non pensava fosse possibile: era entrato nella vita di sua madre, senza pretendere di cambiare ma con l'intenzione di prendersi cura di lei.

Inizialmente c'era un velo di diffidenza nel ragazzo, derivata dal fatto che per sei anni si era prodigato a vegliare sulla madre, anche se ovviamente c'erano litigi, come in ogni famiglia che si vuole bene e con animi suscettibili, come quelle due entità.

Eppure quell'uomo era stato gentile, rispettoso verso di lei e verso quel figlio in piena adolescenza, con tutte le lotte e le sfuriate annesse e connesse... quell'uomo stava in disparte ed interveniva con dolcezza quando sentiva di poter perorare una causa.

Addirittura non si schierava sempre dalla parte della donna, supportava anzi il figlio in alcune cose che per lui erano importanti.

Questo insieme di cose fece sì che il figlio lasciò senza mai proferire parola in merito, che quell'uomo gentile lo sostituisse parzialmente nell'affiancare quella madre che era stata ed era ancora tutto il mondo del ragazzo.

In tutti quegli anni però il ragazzo non sognò mai suo padre, mentre sua madre in diversi episodi si mostrò felice e contenta per essere finalmente riuscita a parlare di nuovo con lui e scambiare così opinioni su quello che era successo da quando lui mancava. Il ragazzo ne fu ferito inizialmente, come se fosse un fatto personale che suo padre si rifiutava di parlare con lui per qualche motivo; con il sopraggiungere della maturità, il ragazzo semplicemente smise di sperare e non si sognò nemmeno di incolpare il padre per un meccanismo interno del suo cervello: insomma si rassegnò, e tutto andò meglio.

Ritorniamo ora in quello studiolo, dove il nostro ragazzo si trova, seduto su una sedia davanti al computer, mentre la madre era a letto da un'ora ormai.

La giovinezza è quasi del tutto sparita dal volto del giovane uomo, con una barba di due settimane che per capriccio si era lasciato crescere sul volto; chiunque lo incontrava, da piccolo lo paragonava sempre al padre, il quale alla sua età era veramente molto simile, a parte un diverso taglio degli occhi.

Ora però il ragazzo iniziava a ricordare sempre di più la madre, soprattutto per quei capelli neri mossi e per quegli occhi, anch'essi scurissimi, che gli conferivano una profondità che gli altri a volte scorgevano in lui, ma che lui si affrettava a nascondere sotto un velo di indifferenza o infantile contentezza o tristezza, a seconda dei casi.

L'unica traccia della sua infanzia era racchiusa in quel sorriso a trentadue denti che sfoderava sempre nelle foto ed in alcune occasioni felici: era la testimonianza della solarità e dell'ottimismo di quel ragazzo, che nei periodi bui veniva assorbita da un cupo "realismo" che sovrastava tutto il resto nella mente del ragazzo, anche se lui si sforzava sempre di far trionfare l'ottimismo, visto che lui per primo sapeva per certo che le cose non finivano bene, le fiabe erano belle ma nella vita di tutti i giorni se non ti salvi da solo, nessuno lo farà per te.

Quando sentì la porta, il ragazzo si spaventò un momento, perché non aveva sentito il rumore del letto cigolante della madre muoversi e la sua mente volò veloce ad un malintenzionato con cui avrebbe dovuto cercare di ragionare.

Prima ancora di avere il tempo di vedere per intero la figura che entrava nella stanza sentì una voce che credeva di aver dimenticato che sussurrava quella provocazione che tanto lo infastidiva in tenera età:

"Ehi pistolino, vedi di non fare tanto casino che la mamma dorme, non vorrai svegliarla!"

Il ragazzo pensò che il cuore gli si fosse fermato per un secondo, per poi tornare a sfondargli con più vigore che mai la cassa toracica.

Era lui. La testa pelata, il sorriso con le due capsule d'ottone ai lati della bocca, la barba accennata, leggermente più basso del ragazzo ma di qualche taglia più grosso, come risultato di trent'anni quasi di lavoro sulle spalle.

Il ragazzo avanzò con un'ombra sul viso, si parò dinnanzi al genitore morto... e gli assestò una spinta sul petto.

In realtà non ebbe molto effetto, ma non era quello il suo intento, l’intento era quello di scaricare tutta l’infantile frustrazione che si può riassumere in una frase: “Perché ci hai abbandonato?”.

Il ragazzo iniziò ad aggrapparsi a lui e sfogare la rabbia immotivata per la sua assenza.

Alla fine le lacrime l'ebbero vinta e lui si lasciò cullare aggrappato al collo di suo padre, il quale lo strinse forte forte,come se con quel gesto potesse comunicare oltre le parole,che era lì solo per lui e che non l'avrebbe mai lasciato.

Quello che seguì fu il dialogo che il ragazzo si era sempre sognato ma che aveva nascosto sotto le spoglie del menefreghismo, per non essere ferito dall'irrealizzabilità di quest'ultimo.

"Cazzo papà ne son successe di cose da quando ci hai lasciati qui..."

"Lo sai che non è stata una mia scelta, che non vi avrei mai e poi mai abbandonati vero??"

"Sì sì papà figurati non intendevo quello...”.

Con un sorriso l'uomo disse:

"Sei cresciuto un sacco... ancora stento a credere a quello che tu sei ora”.

"E tu resti sempre il vecchio di sempre!!" rispose divertito il figlio, sapendo che l'età era da sempre l'argomento in cui il padre era più suscettibile.

"Ma tu guarda questo!! Succederà anche a te sai? E' la vita."

"Lo so, papà..."

"Scoprirai che per noi uomini non è per nulla così scontato come sembra, è una gran seccatura dover invecchiare, soprattutto con un figlio come punto di riferimento vicino"

"Ah adesso è colpa mia papà?" replicò divertito il ragazzo

"Ma no,cosa dici! Hai capito quello che volevo dire,non fare lo spiritoso,sottospecie di ragazzino"

Il figlio rispose con una risatina alla provocazione e disse di aver perfettamente capito quello che voleva dire,ma di essere in arretrato di una decina d'anni di prese in giro e stuzzicate.

"Ma la mamma? Aspetta che vado a svegliarla,non vorrà perdersi questo momento!"

Il padre lo fermò dolcemente,mettendo la sua mano sulla spalla del figlio.

"E' peccato svegliare una donna che dorme figliolo, lo capirai...lasciala riposare, con lei mi faccio vivo quando ha bisogno lei,come ho sempre fatto nella mia vita."

"Ah, ok papà...ma senti un po', che ne dici...sì insomma...di lui?"

"Ti riferisci all'uomo che si prende cura di lei ora?"

"Si...da piccolo pensavo ti volesse sostituire, ma so che non è così ora che sono più grande"

"Hai ragione...noi due dobbiamo solo ringraziare la sorte che ora lei sia felice e che lui la tratti come merita. So che tu le sarai sempre vicino e non avrei mai desiderato di meno da te."

"...grazie papà..."

Il dialogo durò per quelle che al ragazzo sembrarono ore e ore,i due parlarono di tutto quello che veniva loro in mente,dalle sciocchezze quotidiane alle storie amorose del giovane, alle quali il padre commentò divertito che avrebbe tanto voluto esserci di persona,per poter rivivere attraverso di lui quei momenti di alti e bassi a distanze infinitesimali.

C'era una domanda, che il ragazzo sentiva nel cuore ma che non voleva fare, forse perché temeva la risposta o forse semplicemente perché l'emozione del momento gli tirava un brutto scherzo.

Arrivò infine il momento in cui l'uomo si alzò in piedi e disse:

"Bene, il nostro tempo insieme sta finendo, tu devi tornare alla tua vita ed io...”.

"E tu?"

Un sorriso si dipinse sulle guance dell'uomo, che sogghignò:

"Ti piacerebbe saperlo eh? Dovrai aspettare come tutti, chi credi di essere? Ma guarda questo..." ma sorrideva ed il ragazzo non se la prese nemmeno,ma accettò lo scherzo con un sorriso.

"Beh allora ciao, papà!" e lo strinse forte, come per comunicargli tutto quello che per vari motivi ancora non gli aveva detto.

"Ciao bello, vedi di rigare dritto..."

e si avviò verso la porta,strinse le mani sulla maniglia e poi si fermò:

"Ah a proposito..." si volto e lo guardò con un amore così grande e così profondo che il ragazzo pensò che si sarebbe rimesso a piangere,mentre quell'uomo che lui amava sorrideva e riluceva di una strana luce.

"Non devi nemmeno chiederti se sono orgoglioso di te...quando ti ho visto,la prima volta,già sapevo che tu mi avresti reso fiero,come qualsiasi padre assennato pensa. Non solo, tu hai saputo reagire alla mia assenza meglio di come mi sarei aspettato,sei un uomo migliore di quello che pensi ed io non potrei essere più felice e fiero di avere un figlio come te.

Io c'ero, quando tu facevi quei passi in cui avresti voluto che io ci fossi e ci sarò, quando farai i più grandi passi della tua vita, non ti lascerò mai.

Sii fiero di quello che sei e di quello che sarai,perché io lo sono e lo sarò sempre".

Pronunciata che fu l'ultima parola, l'uomo aprì la porta dello studiolo e scomparve, risucchiato dall'ombra che regnava in tutta la casa.

Il ragazzo stette per un tempo indeterminato a fissare il punto dove il padre era scomparso, più che per seguirlo con lo sguardo per riordinare le idee.

Era stato un sogno? Eppure in studio ci si trovava già prima dell'apparizione e non poteva essersi appisolato e non essersi accorto di essersi poi risvegliato...

Il dibattito interno fu interrotto dalle note di una vecchia canzone, "La Mia Signorina", di Neffa; quella canzone era il simbolo dei bei momenti passati con il padre, il quale, pur non avendo una buona intonazione amava canticchiarla ogni volta che erano insieme.

Una calda lacrima di gioia scese pian piano ad inumidire la guancia del giovane, che, sfoderato un gran sorriso, si diresse verso la sua stanza, conscio e contento, per la prima volta in vita sua, che quella notte non avrebbe fatto sogni, ma andava bene così: andava tutto bene.

  
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