Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: shesproudofdemi    26/04/2012    8 recensioni
Grazie a quel bar ci siamo conosciuti, poi lui ha sempre continuato a prendere la sua bottiglia d'acqua frizzante.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SAAALVE A TUTTI! <3
PROPRIO OGGI HO FINITO LA MIA PRIMA FF (A PROPOSITO, SE VI VA FATECI UN SALTO, NE SAREI FELICE DAVVERO!) E, VOLENDO CONTINUARE A SCRIVERE, MI E' VENUTA IN MENTE QUESTA ONE-SHOT.
NON HO MAI SCRITTO QUALCOSA SUI JONAS BROTHERS (NONCHE' MI BAND PREFERITA DA CINQUE ANNI E LA MIA VITA DA ALTRETTANTI), QUINDI HO PROVATO ADESSO SU UNO DI LORO.
SPERO VI PIACCIA E, BEH, BUONA LETTURA!

ps. volevo ringraziare la mia amica @martiiismile per avermi incoraggiato a scrivere una one-shot. Lei è bravissima, andate anche da lei. *ww*

CIAAAAO.






Ero seduta dietro il bancone del bar nel quale lavoravo da anni. Avevo i gomiti sulla cassa e il mento appoggiato sulle mie mani a mò di pugno: ero annoiata a morte.
Quel bar non aveva mai fatto grandi affari e si poteva vedere anche d'estate, com'era in quel momento, che non c'era nessun'anima che chiedesse qualche bicchiere d'acqua per il caldo afoso che faceva sempre in California.
Iniziai a rimpiangere i miei ventun'anni buttati nella spazzatura, di cui tre erano cestinati in quel bar.
Avevo i capelli legati in una coda alta, il grembiule legato a metà busto e i jeans a sigaretta che pizzicavano sulla mia pelle, essendosi appiccicati per il caldo. La maglietta nera dello staff che iniziava a puzzare. Comunque, clienti o non, io venivo pagata lo stesso e i proprietari non potevano licenziarmi, dato che ero l'unica ragazza sualla soglia dell'adulto che non era corsa via a gambe levate. Mi sentivo dire di essere una barista ottima, ma considerando che c'ero solo io, non erapoi un gran complimento. I proprietari erano un uomo e una donna, marito e moglie, tanto schizzionosi quanto puliti, infatti quel bar aveva solo una cosa buona: i tavoli, le sedie, il pavimento e i vetri brillavano.
Sbuffai rumorosamente, guardando i gruppi di ragazzi divertirsi e ridere a crepapelle con un gelato che colava sulle loro mani. C'erano genitori che urlavano contro il loro figli, i quali correvano nella piazzetta. C'erano adolescenti spensierati e fidanzatini troppo affettuosi per essere in pubblico.
Erano le cinque e mezza del pomeriggio e se nessuno entrava in quella, che era l'ora di punta in cui faceva più caldo, non sarebbero entrati nemmeno più tardi. Quasi disperata, presi il mio BlackBerry dalle tasche del mio jeans e iniziai a giocare a quello che era il gioco più divertente su quel telefono: BrickBreaker. L'ultima volta avevo stoppato al livello nove, perciò ripartii da quello. La pallina che si muoveva velocemente da una parte all'altra dello schermo era l'ennesima cosa che quella giornata d'estate si divertiva, persino più di me. Dopo dieci minuti mi stufai anche di giocare al cellulare, così mi alzai e andai in bagno per darmi una rinfrescata. Bagnai il viso e le mani, lasciandole gocciolare per un po'. Tornai al bancone e non c'era ancora nessuno: iniziai a perdere le speranze nel vedere qualcuno varcare quella soglia della porta scorrevole trasparente d'ingresso.
Per ammazzare dieci secondi di tempo, accesi l'aria condizionata e un piccolo filo di aria fresca mi passò dietro il collo, facendomi socchiudere gli occhi e sorridere. Quando aprii gli occhi, notai un ragazzo davanti a me. E che ragazzo! Mi guardava divertito, mentre io lo osservavo in ogni particolare. I suoi capelli ricci sudati che gli ricadevano sulla fronte, le gocce di sudore che scivolavano sulle sue tempie, i suoi occhi grandi e marroni, da bambino, come mi sono sempre piaciuti, e la bocca carnosa a cuoricino avevano trasformato quel pomeriggio noioso, in un qualcosa di estremamente emozionante. Aveva addosso uno smoking, o comunque qualcosa di elegante. Riuscii a vedergli una cartellina che portava in mano, le sue mani cicciotte e rosee. Per un istante mi parve di vedere quella piazza diventare un prato fiorito di tutte margherite. Cosa mi stava succedendo? 
 «Vuole qualcosa?» gli chiesi, scuotendo la testa e tornando sulla Terra, quel meraviglioso pianeta sul quale c'erano due meravigliose persone che concepirono quella meravigliosa creatura davanti a me.
Tutto ciò era assurdo.
«Un bicchiedere d'acqua, per favore.» mi rispose. Aveva una voce altrettanto perfetta, come ogni cosa che gli apparteneva. Accennò un sorriso e una fila di denti bianchi mi fece vedere di nuovo quel prato di margherite.
«Naturale o frizzante?» chiesi, ancora.

«Frizzante, grazie.» con quella voce così angelica, non mi sarei stancata mai di parlare. O meglio, di ascoltare.
«Arriva subito.» gli sorrisi e lui ricambiò. Margherite, tante, tantissime e infinite margherite.
Gli riempii un bicchiere d'acqua frizzante e ringraziai il Cielo di non avermi fatto fare brutte figure, come per esempio rovesciare l'acqua per terra.
Gli porsi il bicchiere fresco e lui mi ringraziò gentilmente.

«Può darmene un altro po'? Fa un caldo tremendo oggi, in più sto tornando dal lavoro adesso e tra mezz'ora devo essere in un posto in cui ci metto tre quarti d'ora per arrivare.»
«Certo, ma deve pagare se ne vuole un altro. Sa, i proprietari sono un po' rigidi. -e lui annuì, iniziando a cercare i soldi in tasca. - Ma se vuole le do una bottiglietta d'acqua, magari fa prima.»
«Oh sì, meglio. Grazie mille.» e mi sorrise, di nuovo. Le margherite diventavano sempre di più, stavo impazzendo. E poi non l'avrei mai più rivisto, quindi era inutile farsi tante paranoie e film. Presi la sua bottiglia d'acqua frizzante dal frigo e gliela diedi.
«Grazie ancora.» mi disse, poggiando i soldi sul bancone e iniziando a rimettersi a posto e avviandosi verso l'uscita.
«Emh, scusi, devo dargli il resto!» urlai, con degli spicci in mano.
«Non si preoccupi, lo tenga pure. Devo scappare, arrivederla!» ed ecco che sparì. Le margherite ritornarono improvvisamente ad essere i bambini con i loro genitori e i ragazzi che si divertivano in piazza.
 
Adesso sono qui, dopo quindici anni, a raccontare questa storia ai miei nipotini.

«Quel ragazzo, Nick, tornò ogni giorno nel mio bar, era l'unico cliente che era puntuale. Anzi, era l'unico cliente e basta. Stessa ora, stesso smoking, stessa pettinatura e stessa perfezione di sempre.  Iniziammo a fare amicizia, scoprimmo molte cose l'uno dell'altro. In realtà non avevamo niente di particolare in comune, ma a me era piaciuto da subito, lui non so, non me lo ha mai detto. Poi un giorno, quello del mio compleanno, lui mi portò una rosa mentre mi chiedeva la solita bottiglia d'acqua frizzante. Non ho mai saputo come lui scoprì che era il mio compleanno, ma sinceramente non era importante. La sera stessa, mi chiese di uscire insieme a lui, poi ci mettemmo insieme e chiesi ai proprietari del bar di farlo assumere a lavoro, dato che il suo impiego precedente in banca gli era troppo caro. E ora guardateci, siamo sposati. Lui è al bar adesso, vogliamo andare a fargli una sorpresa?»
  
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