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Autore: Giuls_ _    26/04/2012    1 recensioni
«Daresti mai una pistola carica al tuo nemico, rimanendo disarmata?»
«Tu non sei mai disarmato» gli feci notare.
Allargò il sorriso, uno scintillio bianco, come a confermare quello che avevo appena detto.
Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Quindi non è vero niente?»
Mi guardò pensieroso per qualche secondo. Gli angoli delle labbra perfette erano piegati leggermente verso il basso. Con una mano continuava ad accarezzare Oscar, quasi soprappensiero.
Chissà se poi era possibile.
«Quasi tutto», ammise.
Quel quasi mi metteva leggermente a disagio. Sapere che esisteva qualcosa in grado di ucciderlo mi fece tremare. Una scena distorta, frutto di anni di film dell’orrore, si insinuò nel mio cervello. Cercai di scacciarla guardando quegli occhi verdi che mi sentivo addosso, ma il risultato non fu piacevole.
«Cosa?» chiesi non del tutto sicura di volerlo sapere.
Mi sorrise, ironico. Una leggera ombra gli oscurò gli occhi.
«Daresti mai una pistola carica al tuo nemico, rimanendo disarmata?»
«Tu non sei mai disarmato» gli feci notare.
Allargò il sorriso, uno scintillio bianco, come a confermare quello che avevo appena detto.
Però non mi rispose.
In quel momento Oscar decise che la mano del suo padrone lo stava infastidendo e, con uno sbadiglio, saltò giù dal divano e si accoccolò sulle mie gambe.
«Gli piaci molto», osservò come se fosse ovvio sapere quello che stava pensando il gatto.
«Almeno ai gatti» risposi fissando la folta pelliccia rossa di Oscar che si alzava al ritmo del suo respiro.
Si mosse così velocemente che non ebbi il tempo di rendermene conto. Un attimo prima era sul divano, quello dopo a pochi centimetri da me.
«Sai che non è così».
Il suo odore mi arrivò addosso con molta potenza, e per qualche secondo rimasi inebriata dal profumo di foresta che emanava.
Piantò i suoi occhi nei miei, per ammaliarmi, ma con me non attaccava. Trattenni il respiro.
«Cos’è vero?»
Sospirò, sconfitto, fissandomi ancora negli occhi.
«Vuoi proprio che ti dia la pistola eh?»
Non risposi, continuando a guardarlo. Si allontanò da me e tornò a sedersi sul divano, questa volta a velocità normale.
Mi soppesò per qualche secondo, forse decidendo se io sarei mai potuta davvero diventare una minaccia per lui.
«L’argento» rispose così piano che quasi non lo sentii.
Spalancai gli occhi.
Possibile che l’unico modo per uccidere i vampiri fosse proprio l’argento?
«E non me lo hai mai detto in tutto questo tempo? Sei stato proprio stupido!»
Rise come se avessi appena fatto una battuta molto divertente. Ma io trovavo la situazione piuttosto sgradevole.
Chissà quante volte lo avevo ferito con i bracciali e le collane di argento che gli avevo chiesto di chiudermi. Con un brivido sorpreso mi ricordai del bracciale che lui stesso mi aveva regalato. Era una spessa corda di argento, con diversi pendenti a forma di sole e luna dello stesso materiale.
Guardai il bellissimo bracciale  per la prima volta con orrore. Perché me lo aveva regalato?
Aveva un malsano senso dell’umorismo? Non voleva starmi vicino? Cosa?
Iniziai a lavorare freneticamente sul gancetto del bracciale, deciso a lanciarlo in qualche angolo, quando una sua grande mano bianca mi fermò il polso.
«Non farlo» mi supplicò.
Il suo tono di voce era talmente sconfitto che mi si paralizzarono le mani.
«Perché?»
«Mi rende sano mentalmente sapere che esiste qualcosa in grado di opporsi tra te e me. Qualcosa che possa salvarti». Una microscopica goccia rossa tinse per qualche secondo l’occhio destro di Gabriel.
Staccai gentilmente la sua mano dal mio polso, poi lo guardai per qualche secondo intenso.
Oscar era scappato chissà dove.
«Non voglio che niente si opponga tra me e te» gli dissi sinceramente.
Seppi immediatamente di aver detto la cosa sbagliata. Gabriel si alzò in piedi di scatto, e mi fissò con ira.
Tutto il corpo rigido per la rabbia.
«E’ per questo che non dovevo dirti niente! Perché tu non sei normale! Saresti dovuta fuggire, non chiedermi di raccontarti tutto. Sei una stupida!» urlò.
Lo guardai, con gli occhi e la bocca spalancati, incredula.
«Esci Holie, esci!»
Non mi mossi dalla poltrona, anzi afferrai scioccamente i braccioli con le mani. Quel gesto non gli sfuggì.
«Holie è il mio ultimo avvertimento. Vattene!» sibilò.
Sembrava un serpente a sognali. Ma sapevo che era molto più pericoloso.
«Non ho paura».
«Ah, no?» non c’era la minima traccia di allegria sul suo volto.
E, all’improvviso, cambiò.
Il volto si contorse in un’espressione feroce. I canini spiccavano  come lame bianche dalle labbra, gli occhi divennero neri e delle ombre violacee li circondarono. Le mani strette in pugni gli scendevano molli lungo i fianchi.
Era spaventoso. Terribile. Per un secondo seppi con certezza che il mostro cattivo delle favole era Gabriel.
Mi resi conto solo allora di aver smesso di respirare. Quando ricominciai, sentii che un pezzo di monto tornava al suo posto.
Gabriel era terrificante, un mostro. Ma io non avevo paura.
Anzi, con quel aspetto era molto più attraente di quanto non lo fosse di solito, con un’aria da dannato pentito che esercitava una notevole dose di attrattiva.
Ma non fu quello che mi spinse a sfilarmi dal polso il bracciale.
Nel nero profondo dei suoi occhi io riuscivo a vedere il verde che mi faceva sentire i brividi ogni volta che trovavo a fissarmi.
«Non ho paura» ripetei convinta.
Gabriel si rese conto che mi stavo sfilando tutto l’argento che avevo addosso. Non era molto, a parte il suo bracciale, ma non si mosse. Mi sembrava che non stesse respirando.
Quando lasciai cadere a terra l’ultimo bracciale, il suo, lo sentii afflosciarsi sul divano.
Temetti che fosse svenuto, ammesso che fosse possibile. Ed era tornato normale. Le ombre viola intorno agli occhi erano sparite e i canini erano tornati lunghi il giusto. Le palpebre erano abbassate sugli occhi, nascondendo il verde.
«Io sono il mostro, il cattivo, capisci?»
«No»
Mi resi subito conto di quanto fosse suonata stupida la mia affermazione, così mi affrettai a correggere.
«Capisco.» Respirai a fondo perché quello che stavo per dire non sapevo che effetti avrebbe avuto. «So che tu sei il mostro. Ma non sei il cattivo.»
Mi guardò diffidente e leggermente sconvolto. Forse mi credeva pazza.
«Che differenza fa? Mostro, cattivo. Alla fine delle favole perdono tutto. E fanno del male a tutti.»
Mi alzai delicatamente dalla poltrona e gli sfiorai una guancia.
Sentii i muscoli della guancia irrigidirsi sotto il mio contatto.
«Noi però non viviamo in una favola».
  
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