27/04/2012
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TOWER BRIDGE
Non sapevo da dove iniziare. Non sapevo da dove iniziare a dirgli che ero felice per lui, che occupare il mio solito posto nella sua vita mi sarebbe andato bene. Avevo soli undici anni quando lo conobbi, quando incontrai quegli occhi azzurri, e fui catturata.
“Come per gli indiani, che con non si fanno fotografare, io non mi facevo vedere da lui, sicura che , mi avrebbe rubato l’anima“
-Alexandra, devo parlarti- mi raggiunse il mio migliore amico, e si piegò sulle sue gambe, toccandosi la pancia per poter riprendere fiato.
Ecco come si aggravò il tutto.
Sette fottutissimi anni ad amarlo in segreto, e ora lui che faceva? Sposava quella Eleanor e qualcosa. Non mi era mai andata a genio, né il suo carattere né la sua faccia da schiaffi.
“Oh tesoro, sei sporca qui”
“Dove? Qui?” si toccò la faccia
“No, Eleanor, sull’altra chiappa”
Ero sempre stata gelosa, possessiva/convulsiva con lui, e facevo il sorriso falso a lei. Come non si era potuto accorgere che io l’amavo? Me lo chiesi anche il giorno del loro matrimonio. Coincidenza, era anche il girono del mio diciottesimo compleanno. Perché lui aveva insistito a doverla sposare proprio quel giorno, e proprio a diciannove anni? Magari si sarebbe accorto che non la desiderava davvero, magari si sarebbe accorto di amare me.
“Sogna Alexandra, sogna” pensavo poi.
Ed il tutto mi fece passare dalla padella alla brace quando li vidi baciarsi sull’altare.
“Faccia da cazzo. Hai una faccia da cazzo, brutta puttana”.
Sorrisi, falsamente, come sempre, e fu questo a farmi ritrovare, poi, sul Tower Bridge. Mentre i miei capelli venivano sconvolti dalla brezza notturna di Londra, mentre il fiume scorreva impetuoso a non so quanti metri d’altezza sotto di me, e mentre le mie guance venivano bagnate dalle mie lacrime.
Respiri bloccati dai singhiozzi, dalle lacrime, da quel misto di sapore amaro della vita che si mescolava al sollievo che avrei provato da lì a poco.
Salii sul muretto in pietra del ponte, prima appoggiandomi sulle ginocchia, e poi tirandomi su in piedi, mentre con la mano sinistra, la più debole, mi reggevo al lampione che illuminava la strada.
Ultimo respiro esalato, mi asciugai le guance infuocate con il dorso della mano, e chiudendo gli occhi saltai all’indietro.
Niente più paure, niente più emozioni. Non esistevo più, e non dovevo più nascondere quel dolore.
“Addio Louis, Addio vita”