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Autore: margheritanikolaevna    27/04/2012    8 recensioni
Volete sapere la verità sulla morte di Aiden Burn? E vedere Mac Taylor come non l'avete mai visto?
Prima classificata e vincitrice del "Premio Giuria" al "The insanity contest", indetto da Liena90 su efp.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mac Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Citazione: "Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tener viva in noi qualche piccola follia."Marcel Proust;
Fase: Compieta (un’ora dopo il tramonto);

 
Introduzione: Questa storia si colloca idealmente tra gli episodi 2x22 (“Tra le mura domestiche”) e 2x23 (“Eroi”). Infatti, il caso di cui parla Mac è quello su cui indaga la squadra nella prima delle due puntate (un matrimonio a tre nel quale viene ucciso il “marito”), mentre la vicenda riguardante Aiden si sviluppa nella puntata 2x23, in cui vengono ricostruiti a ritroso gli avvenimenti che hanno portato alla sua morte e viene alla fine arrestato D.J. Pratt.  Anzi, potrebbe dirsi che “Eroi” comincia quando finisce questa ff, che vuole offrire una ricostruzione (molto) alternativa della trama dell’episodio in questione.  Il riferimento ai biglietti per l’opera è preso dalla puntata 8x1, dal titolo “Indelible”, ancora inedita in Italia, in cui appare Claire Conrad in un flashback e viene raccontato di come Mac finalmente avesse deciso di portarla a vedere l’opera, cosa che lei gli aveva chiesto più volte. Solo che, purtroppo, il giorno in cui lui le mostra i biglietti è sfortunatamente proprio l’11 settembre 2001: Claire morirà infatti nell’attentato alle Torri Gemelle. L’idea che si tratti della Butterfly è, invece, una citazione di un episodio della terza stagione in cui Mac e Peyton vanno a teatro a sentire questa opera di Puccini. La storia ha partecipato al contest indetto da Liena90 in forma di one-shot ma, pubblicandola,  data la sua lunghezza mi è sembrato opportuno dividerla in più parti per non appesantire la lettura e, spero, creare un po’ di suspance che non guasta mai…
Grazie a chi leggerà e a chi avrà la gentilezza di lasciarmi un suo parere.
 
A mani nude

 
 
Parte prima
 
 
Mac Taylor uscì dall’ascensore e, prima di dirigersi verso il suo appartamento, si soffermò un istante a guardare fuori dal finestrone che dava luce alle scale del palazzo: il sole poteva essere tramontato da un’ora o poco meno e laggiù a ovest, alle spalle dei grattacieli che occupavano buona parte del panorama, nel cielo insolitamente terso si spegnevano via via gli ultimi bagliori di quella che era stata una giornata torrida. Era l’ora in cui la città che non dorme mai, stretta nella morsa di una primavera precoce e rovente, cominciava finalmente a respirare, preparandosi a godere la notte.
L’ora che Mac Taylor preferiva.
Quella in cui, quando naturalmente non aveva il turno di notte oppure non doveva trattenersi in ufficio a causa di qualche caso particolarmente complesso, tornava dalla persona più importante della sua vita: sua moglie Claire.
Con lei poteva finalmente spogliarsi dei panni del rigido tenente della Scientifica, ex maggiore dei marines dallo sguardo impenetrabile e dall’espressione sempre severa, per ridiventare un uomo come tutti gli altri che alla sera, stanco dopo una giornata di lavoro, fa ritorno a casa. Poteva rilassarsi pensando ad altro, sfogarsi raccontandole come stavano procedendo le indagini in cui era impegnato e gli inevitabili problemi che lo assillavano oppure anche solo rimanere in silenzio, certo che lei comunque lo avrebbe capito e accettato.
Eh sì, quella era proprio l’ora che preferiva.
E il momento della giornata che attendeva con più ansia.
Mac Taylor guardò ancora una volta oltre i vetri impolverati e, con un leggero sorriso dipinto sul viso, infilò la chiave nella serratura, la girò e aprì la porta di casa.
Lo accolsero il silenzio di un appartamento ordinato, pulito, borghese e sul tavolinetto davanti al divano, in un vaso di cristallo lucente, un mazzo di peonie bianche (i fiori preferiti di Claire, quelli lui le aveva portato un paio di giorni prima) che, sfinite dal gran caldo, esalavano nell’aria tiepida i loro esausti sentori vegetali.
“Tesoro? Sono tornato!” esclamò il detective con voce allegra.
Fece scivolare il mazzo di chiavi in una coppetta d’argento posta sulla mensola accanto alla porta d’ingresso e il loro rumore metallico attraversò per un istante la casa silenziosa, riempiendo lo spazio fino a quel momento inanimato. 
“Claire?” chiamò, sfilandosi la pistola dalla fondina e chiudendola prudentemente in un cassetto della credenza.
“Oh, ciao tesoro!” disse alla fine, mentre si toglieva la giacca e la sistemava sulla spalliera della sedia accanto al divano “Sono contento di essere a casa! Non hai idea di che caso strano ci sia capitato oggi…”.
“Cosa c’è per cena?” chiese, sganciando il distintivo (che subito ripose nel cassetto accanto all’arma di servizio) dalla cintura e andando verso il bagno per lavarsi le mani.
 
***
 
Mac Taylor era seduto davanti a una tavola apparecchiata con gusto e attenzione: sulla tovaglia inamidata spiccavano in bella mostra una bottiglia di vino bianco immersa nel suo secchiello del ghiaccio e una composizione di frutta multicolore. La luce ondeggiante di due candele disegnava ombre strane sulle pareti, facendo risplendere di fugaci bagliori le sfaccettature dei bicchieri di cristallo e le posate d’argento.
“Non devi scusarti, tesoro” disse il poliziotto, asciugandosi la bocca e poi posando il tovagliolo accanto al piatto “Non mi importa se non sei riuscita a preparare la cena, non fa niente: so che anche tu hai avuto una giornata impegnativa!”.
Appoggiò la schiena contro la sedia e sorrise.
“Come ti dicevo prima, oggi abbiamo iniziato a indagare su un caso veramente singolare: la vittima, un uomo d’affari sulla quarantina, è stata assassinata con un colpo di pistola al volto. Il proiettile gli si è conficcato nell’occhio destro e, mentre eravamo lì per i rilievi, è arrivata una donna sostenendo di essere la moglie del morto”.
Fece una pausa, bevve un sorso di vino e poi riprese.
“Fin qui, nulla di strano; ma dopo qualche minuto si è presentata anche un’altra ragazza, più giovane, che pure ha detto di essere sposata con la vittima! Pensa che le due non solo si conoscevano, ma si sono persino consolate a vicenda!”.
La risata lieve di Mac risuonò nel silenzio della stanza, che ne riportò un eco distorto, quasi sinistro.
“Quindi, Claire” proseguì il detective con fare allegro, sporgendosi in avanti “Capisci? Era un matrimonio a tre! Come una coppia sposata, ma in tre! Vivevano insieme, facevano sesso insieme… E dire che lui aveva una vita all’apparenza del tutto normale, anzi secondo chi lo conosceva sembrava quasi una specie di boy-scout”.
D’improvviso la sua espressione mutò, divenendo infinitamente dolce.
“Ecco” aggiunse dopo un istante “A noi una cosa del genere non potrebbe capitare, io non accetterei mai di dividerti con nessuno; noi non abbiamo bisogno di questi mezzucci, noi ci amiamo, non siamo come tutte le altre coppie”.
Socchiuse appena gli occhi e la sua voce si fece morbida come il velluto.
“Noi siamo felici”.
 
IL GIORNO DOPO 
 
“Detective Taylor, ma lei non richiama mai?” esclamò il giovane avvocato dai capelli ricciuti e un tantino spettinati, quando riuscì finalmente a raggiungere il poliziotto che, a passo svelto, stava uscendo dal suo ufficio dopo avere ascoltato da Stella gli ultimi ragguagli circa i residui di sparo rinvenuti sulle mani della “seconda moglie” della vittima, sospettata di aver ucciso il “marito” per gelosia.
“Sono stato occupato” borbottò Mac, sperando di liberarsi rapidamente di quello che sapeva essere uno scocciatore.
“Il signor Pratt dice di essere pedinato da qualcuno del suo Dipartimento…” iniziò l’altro, fermandosi in mezzo al corridoio.
“Il signor Pratt”  lo interruppe Mac, brusco e come scimmiottando le parole dell’altro “è il sospettato in un’indagine in corso, ma le assicuro che al momento non c’è nessuno dei miei uomini addetto alla sua sorveglianza”.
“Allora il mio cliente se l’è inventato?” incalzò l’avvocato, che iniziava a irritarsi per l’atteggiamento del poliziotto.
“Il suo cliente è uno stupratore” ribatté l’altro, gelido.
Si fissarono per un istante, trafiggendosi a vicenda con lo sguardo.
“L’ha trasformata in una vendetta personale, vero?” continuò il legale, con aria di sfida.
Mac non raccolse la provocazione e rispose seccamente: “Non è una vendetta, è il mio lavoro”.
“Allora le rinfresco la memoria” proseguì l’altro “Ha già provato a incastrarlo due volte, ma ha sempre fatto un buco nell’acqua: nel primo caso la vittima non ha testimoniato e nel secondo non avevate prove sufficienti!”.
Il detective replicò con un sorrisetto beffardo: “Sa cosa si dice della terza volta?”. 
L’uomo in giacca e cravatta sospirò, scosse la testa e disse: “Presenterò una formale querela per vessazioni ingiustificate e persecuzione”.
“Faccia pure!” fu la laconica risposta.
“Adesso ha finito?” aggiunse il poliziotto, spazientito.
“Per ora…” fece l’avvocato, tentando di sembrare minaccioso.
“Bene. E allora si tolga dai piedi!” tagliò corto Mac.
 Senza guardarsi indietro, il tenente si allontanò.
 
***
 
Mac parcheggiò l’auto sotto casa, scese sul marciapiede, chiuse la portiera a chiave e guardò il cielo; il sole era scivolato dietro l’orizzonte mentre se ne stava imbottigliato nel traffico dell’ora di punta e adesso l’aria fresca della sera e un vento leggero che portava i suoni della città gli accarezzarono il viso.
Negli ultimi minuti era caduto un lieve scroscio di pioggia; l’atmosfera era umida e greve, tutt’intorno ai lampioni tremolava una nebbiolina iridescente e i marciapiedi deserti qua e là rilucevano.
Era stata una giornata massacrante e il detective, stremato, sospirò rumorosamente.
Che cosa gli importava della pioggia, della fatica, di quel criminale di D.J. Pratt che se ne andava ancora in giro libero, nonostante avesse brutalmente stuprato due donne? Che cosa gli importava dell’intera città?
Importava solo essere a casa, finalmente.
 
***
 
“Insomma, Claire…” proseguì Mac mentre, seduto sul letto, finiva di abbottonarsi la parte superiore del pigiama blu scuro “La vittima e sua moglie erano sposati da un anno e quando il sesso tra loro è diventato routine, si è aggiunta Laura: hanno addirittura fatto una seconda cerimonia nuziale!”.
Si alzò e attraversò la camera per raggiungere la finestra e tirare le tende per la notte.
“È una ragazza strana, Laura” aggiunse il poliziotto, meditabondo “Pensa che stamattina, quando le ho detto che eravamo a conoscenza del fatto che cinque anni fa aveva sparato al suo fidanzato, si è infuriata talmente tanto che mi ha addirittura schiaffeggiato, in mezzo alla strada, davanti a Stella!”.
“No, non preoccuparti tesoro” continuò, portandosi una mano alla guancia sinistra “Non mi ha fatto male e anzi il fatto che abbia ceduto alla mia provocazione ci ha consentito di portarla in Centrale con l’accusa di aggressione a un poliziotto, così abbiamo potuto prelevare dei campioni per verificare se recasse o meno tracce di polvere da sparo sulle mani. Ma secondo Stella si è trattato solo di un trasferimento secondario: insomma, forse non è stata lei a premere il grilletto”.
Si sedette di nuovo sul letto e lentamente s’infilò sotto le lenzuola.
Spense la luce, chiuse gli occhi e intrecciò le dita dietro la nuca mentre i muscoli, indolenziti dalla lunga giornata di lavoro, cominciavano a rilassarsi.
“Sai” disse, dopo qualche minuto di riflessione “in fondo anch’io non penso che quella donna sia l’assassina, sembrava proprio sconvolta per la morte del “marito”; credo che l’amasse veramente e che abbia accettato di lanciarsi in un ménage à trois pur di non perderlo”.
“È incredibile cosa si riesca a sopportare per amore: Laura si era illusa che così potesse funzionare! Era una vera pazzia e sono certo che anche lei se ne fosse resa conto; ma, come si dice, a volte è necessario coltivare dentro di sé qualche follia per poter continuare a vivere…”.
 
***
 
“Aiden?” la voce di Mac Taylor risuonò nell’ufficio ancora deserto a quell’ora del mattino.
“No, non mi disturbi affatto, anzi. Mi fa piacere sentirti, come stai?” proseguì il detective, tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio per un istante mentre si toglieva la giacca e si sedeva dietro alla scrivania.
Dopo aver ascoltato per qualche decina di secondi, riprese: “No, non ci sono novità sul caso di D.J. Pratt… il suo avvocato è venuto da me perché quel delinquente si lamenta di essere importunato da qualcuno dei miei, ma io gli ho risposto che non è così”.
Ci rifletté su un istante e poi aggiunse, in tono più serio: “Aiden, dimmi che non c’entri tu in questa storia! Mi raccomando, sta’ attenta a non fare sciocchezze: quello è un tipo pericoloso e tu non sei più una poliziotta, se ti metti nei guai io non potrò proteggerti”.
Ascoltò ancora per un po’ le rassicurazioni dell’ex collega e quindi la salutò, non prima di averle promesso che se ci fossero stati sviluppi l’avrebbe avvisata subito.
Chiusa la conversazione, ripose il telefonino e appoggiò le mani sul tavolo, le labbra premute in una linea esangue.
Sbuffò: Aiden Burn era uno dei suoi rimpianti.
Una ragazza estremamente capace, un’ottima investigatrice.
Ma impulsiva e impaziente: aveva preso troppo a cuore la storia di una delle vittime di D.J. Pratt, intraprendendo una sfida personale con quell’uomo. Per lei catturarlo era diventata un’ossessione e, pur di incastrarlo, si era spinta fino a manomettere delle prove.
Poi Aiden ci aveva ripensato, certo, ma il guaio ormai era fatto: il suo comportamento era stato troppo grave, aveva messo a repentaglio la credibilità dell’intero laboratorio e, per quanto fosse stato difficilissimo farlo, lui era stato costretto a licenziarla.
Quell’ossessione le era costata la carriera.
Certo, anche a lui bruciava il fatto non essere riuscito a sbattere in galera uno stupratore seriale, ma sapeva che per farlo bisognava seguire le regole.

 

Per fortuna, sembrava che lei avesse capito le sue motivazioni e non gli serbasse rancore; mesi prima gli aveva detto che stava studiando per prendere la licenza come investigatrice privata e lui sperava con tutto il cuore che la sua ex collega riuscisse a voltare pagina, rimettendo in carreggiata la propria vita. E che, soprattutto, non si mettesse di nuovo nei guai per colpa di quel bastardo di D.J. Pratt.
  
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