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Autore: Andrew R Tyler    27/04/2012    3 recensioni
Il racconto tratta della vita, tutt'altro che facile, di uno scienziato, Andrew Robert Tyler, che, dopo aver perso la moglie ed il figlio, è coinvolto in prima persona in un'apocalisse zombie.
Il genere è prima di tutto fantascientifico, ma anche introspettivo, d'azione, violento, drammatico, romantico. Sinceramente credo che ognuno di voi, miei lettori, ci possa trovare un pezzo di sè, ma anche un pezzo di me.
Prima che smettiate di leggere, una breve nota: il primo capitolo è soltanto un antefatto, ma necessario a chiarire il resto della storia. Inoltre, buona parte delle cose che vi ho detto qui si scopriranno via via leggendo.
Buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ANTEFATTO

"L'inizio della fine"

 

03/07/2011, DESERTO DEL NEVADA, USA, LABORATORIO “CHRONOS CHEMICALS”

 

«Sembra tutto tranquillo… Almeno stanotte non c'è gente che lavora!!», questi i pensieri di James Brown, guardia di turno.

Nei giorni precedenti, il personale dello stabilimento era stato costretto ad un superlavoro davvero eccessivo: quasi ventiquattr'ore su ventiquattro. Nessuno sapeva ancora a cosa stavano lavorando, sempre blindati nei loro laboratori, con il più alto livello di sicurezza per gli standard americani. Sicuramente non stavano creando una nuova fragranza per il profumo del Presidente.

L'unico ancora al lavoro era un ex scienziato della Difesa, apparentemente supervisore ai test. Egli, lisciandosi il camice, salutò cordialmente James, invitandolo a prendere un caffè con lui. La guardia declinò con classe la proposta, lasciando solo l'uomo, che scomparì nella saletta per le pause.

James sorrise, e mentre pensava a cambiare idea sull'invito, udì un suono, flebile ma penetrante, simile ad un sibilo, seguito da un frastuono assordante: l'allarme generale!

I simboli del pericolo di contaminazione biologica lampeggiavano, rossi e fluorescenti, sulle pareti, accompagnati da una sirena stridula e ululante. La guardia correva a perdifiato verso il settore 4, in cui sembrava essersi verificato l'incidente.

Stava cercando di mettersi in contatto con gli altri. Dal walkie-talkie si sentivano solo scariche statiche. Nessun segnale. Le telecamere lo guardavano, lui si rifletteva nel loro piccolo obiettivo nero. La spia che ne indicava il funzionamento era spenta. «Maledizione!», urlò, per poi rendersi conto che c'era un problema. E grosso anche. Davanti a lui si stavano chiudendo le spesse porte stagne di acciaio, che servivano ad evitare fuoriuscite in caso di emergenza. Ci si tuffò attraverso, prima di rendersi conto che si erano bloccate a metà. Qualcosa non andava. Infilò alla svelta una tuta anti-contaminazione, superò la zona delle docce disinfettanti.

Voltò l'angolo.

Quello che vide lo sconcertò: un uomo, chiaramente morto, con delle pesanti catene legate a polsi e caviglie e riverso per terra. Nonostante il suo stato sembrava che ancora si muovesse, a scatti. Lo superò, sperando di esserselo solo immaginato. Arrivò di fronte alla porta di uno dei migliori laboratori della struttura, il George Washington: completamente divelta. Dentro un caos totale, sembrava fosse scoppiata una bomba.

Un rumore curioso proveniva da dietro di lui: si voltò e vide un tubo gravemente danneggiato, probabilmente la causa dell'allarme. Non sapeva cosa fare: calpestò delle schegge di vetro, si girò bruscamente e vide, di sfuggita, delle grandi gabbie, come una prigione, con degli esseri che si muovevano dentro.

Il sibilo si fece più forte, voleva andarsene, ma era tentato dallo scoprire cosa contenevano le gabbie. Un altro suono. Si voltò ancora: il morto steso sul pavimento sembrava alzarsi. L'impulso di gridare arrivò al suo cervello a circa 360 km/h.

Ma non fece in tempo. Il tubo gli esplose in faccia, poi diventò tutto nero.

  
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