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Autore: Jailer    28/04/2012    3 recensioni
-Hai paura della morte, Bado?-
Il vero dolore è di chi rimane.
[Bado/Heine] [Dave]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Badou Nailson, Dave Nailson, Heine Rammsteiner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Resistance

-Il mio nome è Bado Nails.-
-Ah.-
-Già...-
-…-
-Il tuo?-
-…
Heine Rammsteiner.-
-Ah.-
-Piacere, comunque.-

***

Bado al fianco di Dave ha imparato ben presto che rischiare la pelle è cosa lecita, a patto di essere ben remunerati.
-Non è solo questione di soldi – disse un giorno di mille anni fa il maggiore, con una sigaretta fra le dita e il fumo davanti agli occhi -è un accrescimento personale.
Essenzialmente, ed è meno scontato di quanto tu possa immaginare, si parla di sapere quello che ti succede sotto i piedi in questa città impazzita.-
Dave indicò un punto verso il basso.
Bado lo osservò, rigirandosi una catenella fra le dita. La sigaretta lasciava cadere pagliuzze che annerivano le piastrelle; a lui sarebbe toccato pulire.
-Ma se muori a cosa ti serve sapere che cosa ti succede intorno?-
-Non saperlo, non tentare neanche di apprenderlo, significa essere sepolti vivi già in partenza.-
-Morire è peggio.-
Borbottò il minore. Non credeva in alcun modo che la conoscenza di qualcosa –cosa, poi?- potesse giustificare la propria morte.

Morire significa lasciare solo qualcuno. Morire per conoscere è egoista.

-Morire o restare vivi nella maniera in cui vuoi tu è la stessa cosa.-
-...-
-Non essere un codardo, Bado.
Sii solo più furbo degli eroi.-
Aveva i lineamenti di uno sciacallo, suo fratello, e lo stesso sguardo aggressivo e sfrontato. Era un giocatore d’azzardo.
-Eroi?-
-Gli eroi sono fessi: possono solo farsi uccidere, i furbi hanno la possibilità di decidere da soli della propria morte.-
Bado da solo ha ben presto capito che Dave poteva essere solo o uno stupido o un eroe. E che codardia e furbizia sono complementari nel modo volgare in cui lo sono le cose reali.

La sera della morte di Dave, dopo aver riesumato la propria anima da quel feretro che era la città, Bado Nails aprì il pacchetto che suo fratello gli aveva messo in tasca. Per la prima volta, comprese cosa c’era di buono in una sigaretta: l’amarezza condivisa.
Sopravvivere è l’unica costante.
-Non farsi infinocchiare, mai. Questo significa vivere, Dave.-
Si arriva a un punto della propria vita in cui gli errori degli adulti vengono svelati, ma si è già rimasti soli.

***

L'andatura di Heine, il solo trascinarsi dei suoi passi, è già una sentenza di morte. È il tacco della scarpa che sembra incidere la pietra, il suono regolare e pulito della cadenza; a volte è lo stesso portatore a tremare della propria eco.
Bado è seduto su una panca, ha la testa fra le mani e i capelli bagnati. Sembra un affogato, illuminato così dalle candele.
-Preghi?-
Heine schiocca le labbra ed è un tono da vituperio, una derisione. La verità è che vederlo così lo fa stare male.
Quando Bado gira la testa nella sua direzione, lasciando la fronte ancora appoggiata alle dita, ha gli occhi arrossati e una sigaretta spenta fra le labbra, un po’ storta e spiumata per la posizione in cui era stato fino a prima. Anche quella è umida in più parti, vicino al punto in cui il rosso ha le labbra e sulla estremità: potrebbe essere la pioggia battente dell’esterno.
È una lacrima.
Bado ha il viso rigato da stringhe nere e leggere che scheggiano le guance e definiscono ancora di più il profilo scavato. Non prenderà mai un chilo, se non smette di fumare.
Ha i polmoni pregni di catrame e di esistenza: un connubio che può essere immaginato facilmente, persino banale nel suo dolore.
-Pensavo che il fatto di dover dipendere da se stessi fosse già abbastanza deprimente. Affidarsi a un dio rende il tutto più drammatico.-
La voce è un rantolo sordo, gratta la gola. Heine sente il bisogno di tossire, tanto è fastidiosa quella raucedine.
-Dipendere da se stessi?-
-Non poter morire.-
-Se vuoi morire posso darti una mano io.-
Sorride, Heine, con il riso beffardo di una gioventù già invecchiata, di un'infanzia mai conosciuta.
Era un bambino a cui hanno messo un collare e una pistola in mano; ha imparato a colpire un bersaglio senza mai poter immaginare l’irrazionalità salvifica del gioco.
Ha le labbra spaccate per il freddo e tirarle così fa persino male; o forse è il gesto nella sua semplicità.
-Ci hanno già provato la settimana scorsa, grazie. È per quello che non posso farlo.-

Morire fa male.
A chi muore e a chi rimane, non lo pensi anche tu, Dave?
No, tu non lo hai mai pensato.

-Perché?-
E allora Bado ripete il suo pensiero. Lo fa come un monaco amanuense, lo fa perché fa male tenerselo per sé dopo anni.
-Morire fa male.-
Heine tace perché lo sa: morire fa male, malissimo, ed è una sensazione fredda come il ferro e l’oblio. Ma risorgere è peggio.
Allora è una croce a destare la sua attenzione, nella semi oscurità di una cattedrale perennemente vuota. Chi è che sarebbe stato salvato da quella croce e da quella resurrezione?
Bado torna nella posizione in cui era prima dell’arrivo del compagno di guerra, perché è questo che è Heine. Nulla di meno, forse qualcosa di più.
Heine è un idiota, come suo fratello. Li chiamano eroi per offenderli di meno.
Lo chiamano cane per mortificarlo di più e premergli sulle orecchie l’atrocità di un progresso guerrafondaio e ambizioso.

-…
E tu dovresti saperlo.-
-Lo so.
Solo, non so che cosa ti sia preso.-
Rammsteiner vorrebbe ostentare un’arroganza che non sa possedere in quel momento, inietta parole di un veleno che fuori dalle sue labbra sembra solo il succo appena asprigno di un frutto non ancora maturo.
Bado deglutisce e si cuce addosso il buio e il silenzio.
-Eri lento oggi a sparare.-
-La tua sopravvivenza non sarebbe di certo dipesa dalla mia velocità di impallinare i nemici.-
-La tua sì.-
-E allora?-
-Morire fa male, ricordi?-
Silenzio.

Non voglio che anche tu muoia, Bado.

Bishop gli giunge alle spalle dall’ombra. È il primo Cerbero ed è un cane cieco che ha fatto di quella mutilazione il suo più grande potenziale: egli non vede le cose, le coglie e le spoglia con il buio dei suoi occhi e la chirurgia degli altri sensi. Heine lo ha udito a malapena, e solo quando il suo fiato gli era talmente vicino da accentuare la morsa gelida dell’aria.
Se solo il tintinnare del collare sul pavimento non lo avesse tradito all’ultimo.
-E veder morire*, Bado?-
Bado tace e sembra vibrare. È solo la luce flebile di una candela, oppure sta tremando.

*Frase sentita in chissà quale telefilm diversi anni fa, che recitava, più o meno: -è più facile morire che veder morire-, era, credo, Dr. House o qualcosa su dei medici. Se lo conoscete, battete un colpo.

***

Heine non vorrebbe, ma è più cane di quello che ci si potrebbe aspettare. E del cane ha la fedeltà e il senso del branco.
Che questo lo laceri da dentro e infanghi il suo orgoglio poco importa.
Ha camminato con Bado fino a casa, avanti di un’incollatura–effettivamente no, non ci ha camminato: lo ha scortato.
È una cosa che i cani si sentono, è il bisogno di trovarsi nella condizione di proteggere l’uomo, di non farlo intaccare mai da nulla, a costo di restare feriti.
È questo che rende i cani creature meravigliose e meravigliosamente stupide.
Si prostituiscono per una carezza e si sacrificano per la salvezza di altri. Del proprio padrone.
Ed è così odiosa questa parola, pensandoci. Perché padrone è un carceriere che non concede la vita –ma nemmeno la morte.
Lo sa Heine, che ha per croce un collare e per flagellatore il risvolto di un ego duplice e troppo profondo.
Davanti alla porta del palazzo si è fermato e ha guardato le spalle del rosso, leggermente ricurve, piegate per inserire la chiave nella serratura. Quando apre il portone, arriva alle narici l’odore caldo e un po’ puzzolente di umidità delle scale.
Resta immobile, Heine. Bado si gira e lo guarda: ha quella giacchetta di pelle senza maniche e la pancia è scoperta. Bado rabbrividisce, ma come diamine fa?
-Vuoi salire?-
Heine tace e lo guarda con occhi di porpora, non sembrano iridi ma fiori rari.
L’albino borbotta qualcosa e lo segue. Solo perché fa freddo, biascica, poi avanza con il passo circospetto che hanno in comune gli assassini e i gatti.
Le scale del condominio sono tiepide rispetto all’esterno e, malgrado l’odore di muffa, quasi piacevoli da fare. L’appartamento di Bado, invece, è un monolocale stretto e ordinato in maniera quasi maniacale.
A dispetto di quello che ci aspetterebbe, l’odore di fumo è solo lieve, più leggero di quello che gli puoi sentire sulla pelle, quando ti avvicini un poco di più. Non c’è nulla fuori posto, nulla.
-Sai cucire e sei anche una buona signora di casa.-
Lo prende in giro, Heine. Bado è fatto di dettagli e piccolezze imperscrutabili, di piccole fissazioni e tic che a malapena cogli. Che poi dimentichi subito perché, quando hai Bado davanti, tutto ciò che vedi sono i capelli rossi, una benda sull’occhio destro, una cortina di fumo sul sinistro. E il trambusto di un’anima che pace non sa darsene, e si trincera dietro a un aspetto di volpe.
-Cazzo vuoi? Tanto questa è casa mia.-
Nails si toglie le scarpe e posa un pacchetto di sigarette accanto alle chiavi in corridoio, poi si dirige in cucina.
Di sigarette ne avrà almeno due in tasca e una decina di pacchetti sparsi in tutta la casa. In ordine anche quelli, si suppone, arrivati a questo punto.
-Vuoi da bere?-
-Che cosa c’è?-
-Thé o caffè.-
-Alcolici?-
-No. E se ci fossero non li darei a te.-
Heine passa sopra alla risposta, ogni tanto se lo permette. Bado ha risposto e nel muovere le labbra ha rivelato un volto ancora più stanco e pallido di quello di cui si ricordava. Uguale solo a quello che gli aveva visto il primo giorno.
-Allora caffè.-
È imbarazzo quello, Heine lo deve notare mentre Bado riempie la caffettiera. Fra loro disagio non c’è mai stato, soprattutto non senza un motivo.
Il rosso è diventato fragile dopo l’entrata in quel teatro, dopo quelle nuove ferite. Rivelazioni nuove o semplici riesumazioni del passato.
Perché, malgrado tutto, gli eroi pazzi che strappano il cuore sono quelli che si piangono più a lungo e con più forza. Sono spettri che non se ne vanno mai.
Forse è semplicemente il modo in cui prende a girare il mondo quando cade l’anniversario di qualcosa. In quel giorno dell’anno, poi, ne cadono sempre due. Uno per disprezzare il mondo e l’altro per buttarlo gambe all’aria.
La morte di Dave e l’incontro con Heine.
Sette anni di un distacco senza parole o rabbia, che di rabbia ne ha generata, però; tre anni di una salvezza sporca di sangue e in cerca di riposo dalla vita intera.
Quando l’albino sfiora il caffè con la lingua ne avverte il sapore intenso, amarissimo. Ha un sapore familiare e allo stesso tempo diversissimo, quasi mutevole via via che ti resta in bocca. Lo prende senza zucchero, perché quella dolcezza gli ha sempre fatto bruciare la gola.
Bado esce dalla cucina, attraversa il corridoio e si getta nella propria stanza. Heine lo segue e lo fissa steso sul letto, il rosso gli dà le spalle ed è in posizione fetale, con le ginocchia tirate all’altezza delle anche e le ginocchia posate l’una sopra l’altra.
Si appoggia allo stipite della porta, ha una gamba portata avanti, sul parquet della stanza. Bado sembra ancora più esile visto in quel modo, pensa.
È un corpo sottile e pallido, fatto di quella debolezza falsa, solo apparente. Perché se non fosse un codardo, no, solo furbo, come dice lui, avrebbe i vestiti più sporchi di sangue altrui di quelli del cane.
-La tua ospitalità fa venire i brividi.-
Heine ha il tono asciutto di chi vuole solo rompere il silenzio; Bado storce il capo verso di lui, restando girato di schiena, a osservarlo è l’iride verde. La benda per l’occhio destro è posata sul comodino, sembra seta nera, sa di lutto.
-Tu che mi parli di ospitalità? Ti ricordo che quando avevo perso le chiavi di casa, non solo tu mi hai tenuto nell’androne delle scale per un’ora e mezzo per dio solo sa quale motivo, ma mi hai fatto anche dormire sul tappeto!
-Ma non ti ho chiesto mica io di salire quella volta.-
-L’ho fatto perché vai sempre in giro mezzo nudo e mi veniva freddo a guardarti.-
-Non è colpa mia se sei uno stupido.-
-Mpf.-
Heine si siede sul pavimento appoggiando le spalle contro il letto, con lo sguardo fisso davanti a sé, oltre la porta, sulla parete del corridoio.
Batte sulla schiena del rosso un dito, quello risponde con un mugugno.
-Allora, perché sei depresso?-
Usa il tono di una conversazione poco impegnata, ma seziona ogni gesto un chirurgo. Non ha mai avuto il dono dell’empatia, Heine, la sua mattanza lo ha condannato all’egoismo di chi conosce le regole del salvarsi, ma possiede l’occhio del cacciatore e del medico.
-Non sono depresso… -
Bado struscia quelle parole contro il cuscino. La voce è bassa ma armonica, il profumo del caffè forte alle narici. Un tipo di oro nero che li ha sempre messi d’accordo, loro due. Anche se Bado avrebbe sempre preferito il thè perché ama i sapori più delicati, quelli che solleticano il palato, meno avventati della bevanda scura. Quelli che ti fanno immaginare un momento di tranquillità, che vanno sorseggiati in silenzio.
-Non sei depresso ma lo sei.-
-Non sono depresso.-
-Comunque, perché?-
Il silenzio di Bado riempie la stanza, rotto solo da Heine intento a grattare con l’indice un’incrostatura di caffè sul tappeto. L’unica macchia dell’intera casa, deve dirlo.
Il rosso decide di voltarsi verso di lui con tutto il corpo. Appoggiato al letto, Heine ha testa tra le ginocchia appuntite e il petto magro del padrone di casa. Le orecchie percepiscono il respiro e il battito cardiaco regolari; le narici confondono l’odore della bevanda nella tazza al profumo che si spruzza Bado tutte le mattine, acqua di colonia. E fumo, quello sempre.
Trema appena, il cane, perché ha i sensi mille volte più affinati dell’uomo e una percezione del mondo fatta di suoni e odori, più che di immagini. Una sicurezza in battaglia e una piaga nella vita, perché i primi sono capaci di soverchiare l’istinto e la ragionevolezza.
Trema appena, perché questo lo sa. E lo sa anche Bado, che in fondo ama prenderlo in contropiede e che rivolge nei suoi confronti la flebile eco di quel coraggio sfacciato e suicida che raramente impiega nelle sparatorie. Che sollecita solo l’astinenza da nicotina.
-Heine, tu sai qual è il prezzo di un legame di sangue?-
Heine tace un momento, poi è il viso di Lily a urlare nella sua testa.
-Il sangue non te lo togli mai di dosso –sibila Bado, senza attendere risposta; il fiato gli solletica l’orecchio, gli sposta delle ciocche sulla tempia – non importa quanto tempo sia passato. Il sangue ce lo hai dentro e ti avvelena l’anima.
La morte di un fratello ti distrugge più di ogni altra cosa, perché continuerà sempre a scorrerti nelle vene.-
-È la nostalgia di Dave, allora?
Heine si volta verso Bado e lo fissa negli occhi, i loro visi sono vicini, ma quello che respirano è solo il veleno fatto di rabbia dell’altro.
-No, è il fatto che di quel legame non sia rimasto più nulla, che mi sconvolge.-
La mandibola del rosso trema appena. Senza benda il viso sembra assumere una forma tutta nuova, più squadrata, maschile, un profilo più severo e meno fanciullo.
È anche quello, Bado: la croce di un’imprevedibilità pericolosa e a doppio taglio.
Va spogliato da quel filo di fumo che ha sempre addosso, va sondato lentamente. Va amato, e Heine lo sa, perché riesci a sopportarlo solo se scendi a compromessi.
Il compromesso è l’amore, l’obolo da versare è la catena che da esso deriva.
E Bado non lo sa, o forse ostenta un’ingenuità che gli appartiene e che ha ben limato con gli anni; perché è un informatore e, per quanto possa essere squinternato, conosce gli argomenti su cui tacere e il momento per farlo.
I detentori del sapere sono più infidi degli assassini perché sanno che di loro non puoi fare a meno. Il sapere non può essere ucciso perché sopprimendolo, il rischio di lasciare buchi neri in una città già troppo piena è un delitto vero e proprio; il sapere è fatto di sfumature e una sfumatura è una scommessa e un rischio.
Se uccidi un informatore potresti veder sfiorire la tinta che avrebbe dato un senso al tutto; gli assassini competono sul filo dell’abilità, se ne abbatti uno basterà trovarne un altro più abile.
Gli informatori colgono le parole e i dati, e quello non può essere riprodotto fedelmente. Gli assassini uccidono solamente, e non ci sono vie di mezzo a questo.
Forse è in questo che Bado ha più valore di Heine.
Forse è per questo che il cane non può ucciderlo, o vederlo morto. È solo per quello.
Heine trema per un momento, quando sente la pelle di Bado a contatto con la sua: ha appoggiato una mano alla sua spalla e la stringe con le dita ossute e una forza che non potrebbe immaginare.
-E sai perché ho dimenticato mio fratello?-
Rammsteiner freme a qual contatto, ha la pelle d’oca e prega che Bado non se ne sia ancora accorto. Freme perché vorrebbe scappare–ancora non accetta il contatto fisico con nessuno, il cane, perché sente violato il suo spazio vitale, ma freme anche perché vorrebbe accorciare la distanza. Fanno uno strano effetto, quella presa e quel profumo così vicini, spirano possesso e riluttanza.
Heine apre la bocca una volta, poi una seconda, per tentare di rispondere e prendere fiato, ora che Bado sta recidendo la distanza e lui nota la prima volta le efelidi spruzzate sul naso e la forma mostruosa della cicatrice che recide l’occhio destro del collega.
-Perché, Heine?
Ti ricordi com’ero ridotto in quel bar quel giorno: depresso marcio ed esaurito? Ed erano passati quattro anni, quattro.-
Bado si sbilancia in avanti dal letto, facendo perno con entrambe le braccia sulle spalle di Heine, pesando su di esse. Ha l’alito caldo e pregno di fumo.
-E adesso a malapena ricordo il viso di mio fratello, che è stato anche un padre per me.
E tutto per te, perché sei arrivato il giorno sbagliato al momento giusto, bastardo.-
Bastardo.
Allora, Heine allunga il collo verso il viso di Bado e lo osserva come poche volte ha fatto nella sua vita con qualcosa. L’informatore è un codardo maledetto e bellissimo; è un lupo magro con scarso senso del branco: più imprevedibile e selvatico, in fondo, del cane che è lui.

-Sopravvivere è una scommessa fatta di attimi, dovresti saperlo, malpelo.-
Ha labbra chiare e sottili, un po’ rovinate dall’arsura. Non sa cosa sta facendo, Heine non lo sa mai veramente, ma si avvicina e lo sfiora, mordicchiandogli il labbro inferiore. Sa di fumo, Bado, ed è un sapore amaro più del caffè.
Il rosso non si muove, non trema, forse nemmeno respira; durante quel contatto ha tenuto gli occhi aperti; curioso il modo in cui riesca a rimanere razionale in una situazione del genere, sebbene non lo sembri quasi mai.
Heine quasi teme una rottura, perché la verità è che quando ti lanci in qualcosa di più grande di te –i sentimenti, che fan più paura di un esercito schierato in battaglia- l’insicurezza ti si stringe addosso come un nodo a scorsoio, non importa quanto tu possa essere addestrato alla vita.
Heine teme una rottura: teme di spezzarsi lui, di non aver il coraggio di andare avanti o tornare indietro da quel gesto–perché non ci sono altre possibilità, infondo.
Dopo un’eternità –no, dopo un attimo eterno- sente le labbra di Bado rispondere alle sue, poi staccarsi. Sfugge, il rosso, sfugge perché la morte di Dave gli ha insegnato a non osare mai troppo. E perché in realtà non è poi così lucido.
Poi Heine parla; sebbene non sia un tipo troppo loquace, il silenzio, in quel momento, gli pesa più del cicaleccio generato dalle parole che tanto odia.
-Tu sei troppo legato al passato, Bado.-
-E tu sei un ipocrita che predica bene ma razzola male, Cerbero.-
Il sorriso di Bado è un enigma: sorge dopo l’appellativo quasi senza significato che gli ha ceduto, e brilla negli occhi di una luce feroce e maliziosa, fuggevole.
Heine si ritrae, perché si sente scoperto e denudato di una verità che gli è sempre pesata troppo, di un passato si cui non sa liberarsi. La verità è che lui e il suo compagno sono ancorati al pianto di un passato di cui non sanno più cosa farsene.
Bado è un bastardo.
-So di esserlo, non c’è bisogno che mi guardi in quel modo.-
Aggiunge il rosso, come ad avergli letto nel pensiero. In realtà ha solo fissato due occhi che conosce bene, e che sono l’unica crepa in quella maschera di apparente indifferenza e fredda razionalità sul viso di Rammsteiner.
È il gesto del rosso a stupirlo, d’un tratto: egli si getta –letteralmente- su di lui e gli rovina addosso. Ha il suo ginocchio puntato sulla coscia e gli fa male, la gamba sinistra fra le sue; con le braccia lo chiude contro pavimento. Il viso a pochi centimetri dal suo; gli occhi verdi sono ancora arrossati ma adesso brillano di quella luce strana.
Con i capelli gli solletica la fronte, e il naso; essi si mischiano ai suoi e creano un contrasto, un abbraccio strano, ma delicato. Ricorda di una volta in cui aveva sentito raccontare a una bambina della storia di un principe che desiderava una donna rossa come il sangue e bianca come il latte.*
Heine ha la testa svuotata ma il cuore meno sterile, per la prima volta in vita sua.
Perché Bado con le sue turbe mentali e fissazioni gli fa quell’effetto: è un contraccolpo più forte del rinculo di una pistola ed ha i capelli di un colore più vivido e bello del sangue. E occhi verdi come un mondo che non c’è più.
Ha denti appuntiti che gli mordono le labbra e gli fanno sentire il sapore del suo stesso sangue in bocca, si confonde a Bado stesso, al sapore acre e vivace della sua bocca.
Heine chiude gli occhi e non vede più nulla, si aggrappa alla realtà di quegli altri sensi più sordi e solleticati. Sfiora un fianco a Bado e lo sente sussultare.
Vorrebbe ridere, perché Nails soffre il solletico lì, salta sempre via come una pulce appena qualcuno sembra avvicinarsi troppo.
-Sono tre anni che ti sopporto, oggi.
-Tre?
Bado sa di sigarette e Heine di caffè: sapori amari con cui guardi la notte passare quando l’insonnia e il dolore sono troppo forti. Sapori acri che sanno di passato e di vecchiaia futura, mentre loro due pregano in altri cento anni insieme.

*è una fiaba che amavo quando ero piccola, c’erano di mezzo tre melograni, credo, anche se non mi ricordo il titolo preciso. I tre melograni, forse? Boh.


***
-Hai paura della morte, Bado?-
-Ho paura di resisterle.-
Resisterò io con te.

---

Mesi passati a consumarsi in una cartella. E, direte voi, poteva anche rimanerci.
Sì, effettivamente è quello che penso anche io.
Mi sono dovuta misurare con la mia totale incapacità davanti al dover descrivere persino un misero bacetto, è per questo che la pubblico qui. Vorrei anche dei consigli, se possibile, visto che sono davvero fortemente limitata.
La One Shot più lunga della mia vita: due anni fa non andavo mai oltre le seicento parole, poi il periodo di crisi mistica ed ora qui.
Mi interessava mettere in luce quelli che secondo me sono i due punti cardine della vita di Bado: Dave e Heine.
E il cambiamento in seguito alla morte del primo e il secondo mutamento dopo l’arrivo del cagnaccio.
È una cosa che non sono solita fare, ma vi vorrei chiedere di recensire, per il semplice motivo che tengo comunque molto a questa storia, che è stata per me un nuovo inizio, anche sotto un punto di vista più grande del semplice hobby della scrittura. E perché credo che ci siano diverse falle su cui vorrei dei consigli, delle critiche e così via. Se ne avete voglia, è tutto qui.

   
 
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