Resistance
-Il
mio nome è Bado Nails.-
-Ah.-
-Già...-
-…-
-Il tuo?-
-…
Heine Rammsteiner.-
-Ah.-
-Piacere, comunque.-
***
Bado
al fianco di Dave ha imparato ben
presto che rischiare la pelle è cosa lecita, a patto di essere ben
remunerati.
-Non è solo questione di soldi – disse un giorno di mille anni fa il
maggiore,
con una sigaretta fra le dita e il fumo davanti agli occhi -è un
accrescimento
personale.
Essenzialmente, ed è meno scontato di quanto tu possa immaginare, si
parla di
sapere quello che ti succede sotto i piedi in questa città impazzita.-
Dave indicò un punto verso il basso.
Bado lo osservò, rigirandosi una catenella fra le dita. La sigaretta
lasciava
cadere pagliuzze che annerivano le piastrelle; a lui sarebbe toccato
pulire.
-Ma se muori a cosa ti serve sapere che cosa ti succede intorno?-
-Non saperlo, non tentare neanche di apprenderlo, significa essere
sepolti vivi
già in partenza.-
-Morire è peggio.-
Borbottò il minore. Non credeva in alcun modo che la conoscenza di
qualcosa –cosa,
poi?- potesse giustificare la propria morte.
Morire
significa lasciare solo qualcuno.
Morire per conoscere è egoista.
-Morire
o restare vivi nella maniera in
cui vuoi tu è la stessa cosa.-
-...-
-Non essere un codardo, Bado.
Sii solo più furbo degli eroi.-
Aveva i lineamenti di uno sciacallo, suo fratello, e lo stesso sguardo
aggressivo e sfrontato. Era un giocatore d’azzardo.
-Eroi?-
-Gli eroi sono fessi: possono solo farsi uccidere, i furbi hanno la
possibilità
di decidere da soli della propria morte.-
Bado da solo ha ben presto capito che Dave poteva essere solo o uno
stupido o
un eroe. E che codardia e furbizia sono complementari nel modo volgare
in cui
lo sono le cose reali.
La
sera della morte di Dave, dopo aver
riesumato la propria anima da quel feretro che era la città, Bado Nails
aprì il
pacchetto che suo fratello gli aveva messo in tasca. Per la prima
volta,
comprese cosa c’era di buono in una sigaretta: l’amarezza condivisa.
Sopravvivere è l’unica costante.
-Non farsi infinocchiare, mai. Questo significa vivere, Dave.-
Si arriva a un punto della propria vita in cui gli errori degli adulti
vengono
svelati, ma si è già rimasti soli.
***
L'andatura
di Heine, il solo trascinarsi
dei suoi passi, è già una sentenza di morte. È il tacco della scarpa
che sembra
incidere la pietra, il suono regolare e pulito della cadenza; a volte è
lo
stesso portatore a tremare della propria eco.
Bado è seduto su una panca, ha la testa fra le mani e i capelli
bagnati. Sembra
un affogato, illuminato così dalle candele.
-Preghi?-
Heine schiocca le labbra ed è un tono da vituperio, una derisione. La
verità è
che vederlo così lo fa stare male.
Quando Bado gira la testa nella sua direzione, lasciando la fronte
ancora
appoggiata alle dita, ha gli occhi arrossati e una sigaretta spenta fra
le
labbra, un po’ storta e spiumata per la posizione in cui era
stato fino
a prima. Anche quella è umida in più parti, vicino al punto in cui il
rosso ha
le labbra e sulla estremità: potrebbe essere la pioggia battente
dell’esterno.
È una lacrima.
Bado ha il viso rigato da stringhe nere e leggere che scheggiano le
guance e
definiscono ancora di più il profilo scavato. Non prenderà mai un
chilo, se non
smette di fumare.
Ha i polmoni pregni di catrame e di esistenza: un connubio che può
essere
immaginato facilmente, persino banale nel suo dolore.
-Pensavo che il fatto di dover dipendere da se stessi fosse già
abbastanza
deprimente. Affidarsi a un dio rende il tutto più drammatico.-
La voce è un rantolo sordo, gratta la gola. Heine sente il bisogno di
tossire,
tanto è fastidiosa quella raucedine.
-Dipendere da se stessi?-
-Non poter morire.-
-Se vuoi morire posso darti una mano io.-
Sorride, Heine, con il riso beffardo di una gioventù già invecchiata,
di
un'infanzia mai conosciuta.
Era un bambino a cui hanno messo un collare e una pistola in mano; ha
imparato
a colpire un bersaglio senza mai poter immaginare l’irrazionalità
salvifica del
gioco.
Ha le labbra spaccate per il freddo e tirarle così fa persino male; o
forse è
il gesto nella sua semplicità.
-Ci hanno già provato la settimana scorsa, grazie. È per quello che non
posso
farlo.-
Morire
fa male.
A chi muore e a chi rimane, non lo pensi anche tu, Dave?
No, tu non lo hai mai pensato.
-Perché?-
E allora Bado ripete il suo pensiero. Lo fa come un monaco amanuense,
lo fa
perché fa male tenerselo per sé dopo anni.
-Morire fa male.-
Heine tace perché lo sa: morire fa male, malissimo, ed è una sensazione
fredda
come il ferro e l’oblio. Ma risorgere è peggio.
Allora è una croce a destare la sua attenzione, nella semi oscurità di
una
cattedrale perennemente vuota. Chi è che sarebbe stato salvato da
quella croce
e da quella resurrezione?
Bado torna nella posizione in cui era prima dell’arrivo del compagno di
guerra,
perché è questo che è Heine. Nulla di meno, forse qualcosa di più.
Heine è un idiota, come suo fratello. Li chiamano eroi per offenderli
di meno.
Lo chiamano cane per mortificarlo di più e premergli sulle orecchie
l’atrocità
di un progresso guerrafondaio e ambizioso.
-…
E tu dovresti saperlo.-
-Lo so.
Solo, non so che cosa ti sia preso.-
Rammsteiner vorrebbe ostentare un’arroganza che non sa possedere in
quel
momento, inietta parole di un veleno che fuori dalle sue labbra sembra
solo il
succo appena asprigno di un frutto non ancora maturo.
Bado deglutisce e si cuce addosso il buio e il silenzio.
-Eri lento oggi a sparare.-
-La tua sopravvivenza non sarebbe di certo dipesa dalla mia velocità di
impallinare i nemici.-
-La tua sì.-
-E allora?-
-Morire fa male, ricordi?-
Silenzio.
Non
voglio che anche tu muoia, Bado.
Bishop
gli giunge alle spalle dall’ombra.
È il primo Cerbero ed è un cane cieco che ha fatto di quella
mutilazione il suo
più grande potenziale: egli non vede le cose, le coglie e le spoglia
con il
buio dei suoi occhi e la chirurgia degli altri sensi. Heine lo ha udito
a
malapena, e solo quando il suo fiato gli era talmente vicino da
accentuare la
morsa gelida dell’aria.
Se solo il tintinnare del collare sul pavimento non lo avesse tradito
all’ultimo.
-E veder morire*, Bado?-
Bado tace e sembra vibrare. È solo la luce flebile di una candela,
oppure sta
tremando.
*Frase
sentita in chissà quale telefilm
diversi anni fa, che recitava, più o meno: -è più facile morire che
veder
morire-, era, credo, Dr. House o qualcosa su dei medici. Se lo
conoscete,
battete un colpo.
***
Heine
non vorrebbe, ma è più cane di
quello che ci si potrebbe aspettare. E del cane ha la fedeltà e il
senso del
branco.
Che questo lo laceri da dentro e infanghi il suo orgoglio poco importa.
Ha camminato con Bado fino a casa, avanti di
un’incollatura–effettivamente no,
non ci ha camminato: lo ha scortato.
È una cosa che i cani si sentono, è il bisogno di trovarsi nella
condizione di
proteggere l’uomo, di non farlo intaccare mai da nulla, a costo di
restare feriti.
È questo che rende i cani creature meravigliose e meravigliosamente
stupide.
Si prostituiscono per una carezza e si sacrificano per la salvezza di
altri.
Del proprio padrone.
Ed è così odiosa questa parola, pensandoci. Perché padrone è un
carceriere che
non concede la vita –ma nemmeno la morte.
Lo sa Heine, che ha per croce un collare e per flagellatore il risvolto
di un
ego duplice e troppo profondo.
Davanti alla porta del palazzo si è fermato e ha guardato le spalle del
rosso,
leggermente ricurve, piegate per inserire la chiave nella serratura.
Quando
apre il portone, arriva alle narici l’odore caldo e un po’ puzzolente
di
umidità delle scale.
Resta immobile, Heine. Bado si gira e lo guarda: ha quella giacchetta
di pelle
senza maniche e la pancia è scoperta. Bado rabbrividisce, ma come
diamine
fa?
-Vuoi salire?-
Heine tace e lo guarda con occhi di porpora, non sembrano iridi ma
fiori rari.
L’albino borbotta qualcosa e lo segue. Solo perché fa freddo,
biascica,
poi avanza con il passo circospetto che hanno in comune gli assassini e
i
gatti.
Le scale del condominio sono tiepide rispetto all’esterno e, malgrado
l’odore
di muffa, quasi piacevoli da fare. L’appartamento di Bado, invece, è un
monolocale stretto e ordinato in maniera quasi maniacale.
A dispetto di quello che ci aspetterebbe, l’odore di fumo è solo lieve,
più
leggero di quello che gli puoi sentire sulla pelle, quando ti avvicini
un poco
di più. Non c’è nulla fuori posto, nulla.
-Sai cucire e sei anche una buona signora di casa.-
Lo prende in giro, Heine. Bado è fatto di dettagli e piccolezze
imperscrutabili, di piccole fissazioni e tic che a malapena cogli. Che
poi
dimentichi subito perché, quando hai Bado davanti, tutto ciò che vedi
sono i
capelli rossi, una benda sull’occhio destro, una cortina di fumo sul
sinistro.
E il trambusto di un’anima che pace non sa darsene, e si trincera
dietro a un
aspetto di volpe.
-Cazzo vuoi? Tanto questa è casa mia.-
Nails si toglie le scarpe e posa un pacchetto di sigarette accanto alle
chiavi
in corridoio, poi si dirige in cucina.
Di sigarette ne avrà almeno due in tasca e una decina di pacchetti
sparsi in
tutta la casa. In ordine anche quelli, si suppone, arrivati a questo
punto.
-Vuoi da bere?-
-Che cosa c’è?-
-Thé o caffè.-
-Alcolici?-
-No. E se ci fossero non li darei a te.-
Heine passa sopra alla risposta, ogni tanto se lo permette. Bado ha
risposto e
nel muovere le labbra ha rivelato un volto ancora più stanco e pallido
di
quello di cui si ricordava. Uguale solo a quello che gli aveva visto il
primo
giorno.
-Allora caffè.-
È imbarazzo quello, Heine lo deve notare mentre Bado riempie la
caffettiera.
Fra loro disagio non c’è mai stato, soprattutto non senza un motivo.
Il rosso è diventato fragile dopo l’entrata in quel teatro, dopo quelle
nuove
ferite. Rivelazioni nuove o semplici riesumazioni del passato.
Perché, malgrado tutto, gli eroi pazzi che strappano il cuore sono
quelli che
si piangono più a lungo e con più forza. Sono spettri che non se ne
vanno mai.
Forse è semplicemente il modo in cui prende a girare il mondo quando
cade
l’anniversario di qualcosa. In quel giorno dell’anno, poi, ne cadono
sempre
due. Uno per disprezzare il mondo e l’altro per buttarlo gambe all’aria.
La morte di Dave e l’incontro con Heine.
Sette anni di un distacco senza parole o rabbia, che di rabbia ne ha
generata,
però; tre anni di una salvezza sporca di sangue e in cerca di riposo
dalla vita
intera.
Quando l’albino sfiora il caffè con la lingua ne avverte il sapore
intenso,
amarissimo. Ha un sapore familiare e allo stesso tempo diversissimo,
quasi
mutevole via via che ti resta in bocca. Lo prende senza zucchero,
perché quella
dolcezza gli ha sempre fatto bruciare la gola.
Bado esce dalla cucina, attraversa il corridoio e si getta nella
propria
stanza. Heine lo segue e lo fissa steso sul letto, il rosso gli dà le
spalle ed
è in posizione fetale, con le ginocchia tirate all’altezza delle anche
e le
ginocchia posate l’una sopra l’altra.
Si appoggia allo stipite della porta, ha una gamba portata avanti, sul
parquet
della stanza. Bado sembra ancora più esile visto in quel modo, pensa.
È un corpo sottile e pallido, fatto di quella debolezza falsa, solo
apparente.
Perché se non fosse un codardo, no, solo furbo, come dice lui,
avrebbe i
vestiti più sporchi di sangue altrui di quelli del cane.
-La tua ospitalità fa venire i brividi.-
Heine ha il tono asciutto di chi vuole solo rompere il silenzio; Bado
storce il
capo verso di lui, restando girato di schiena, a osservarlo è l’iride
verde. La
benda per l’occhio destro è posata sul comodino, sembra seta nera, sa
di lutto.
-Tu che mi parli di ospitalità? Ti ricordo che quando avevo perso le
chiavi di
casa, non solo tu mi hai tenuto nell’androne delle scale per un’ora e
mezzo per
dio solo sa quale motivo, ma mi hai fatto anche dormire sul tappeto!
-Ma non ti ho chiesto mica io di salire quella volta.-
-L’ho fatto perché vai sempre in giro mezzo nudo e mi veniva freddo a
guardarti.-
-Non è colpa mia se sei uno stupido.-
-Mpf.-
Heine si siede sul pavimento appoggiando le spalle contro il letto, con
lo
sguardo fisso davanti a sé, oltre la porta, sulla parete del corridoio.
Batte sulla schiena del rosso un dito, quello risponde con un mugugno.
-Allora, perché sei depresso?-
Usa il tono di una conversazione poco impegnata, ma seziona ogni gesto
un
chirurgo. Non ha mai avuto il dono dell’empatia, Heine, la sua mattanza
lo ha
condannato all’egoismo di chi conosce le regole del salvarsi, ma
possiede
l’occhio del cacciatore e del medico.
-Non sono depresso… -
Bado struscia quelle parole contro il cuscino. La voce è bassa ma
armonica, il
profumo del caffè forte alle narici. Un tipo di oro nero che li ha
sempre messi
d’accordo, loro due. Anche se Bado avrebbe sempre preferito il thè
perché ama i
sapori più delicati, quelli che solleticano il palato, meno avventati
della bevanda
scura. Quelli che ti fanno immaginare un momento di tranquillità, che
vanno
sorseggiati in silenzio.
-Non sei depresso ma lo sei.-
-Non sono depresso.-
-Comunque, perché?-
Il silenzio di Bado riempie la stanza, rotto solo da Heine intento a
grattare con
l’indice un’incrostatura di caffè sul tappeto. L’unica macchia
dell’intera
casa, deve dirlo.
Il rosso decide di voltarsi verso di lui con tutto il corpo. Appoggiato
al
letto, Heine ha testa tra le ginocchia appuntite e il petto magro del
padrone
di casa. Le orecchie percepiscono il respiro e il battito cardiaco
regolari; le
narici confondono l’odore della bevanda nella tazza al profumo che si
spruzza
Bado tutte le mattine, acqua di colonia. E fumo, quello sempre.
Trema appena, il cane, perché ha i sensi mille volte più affinati
dell’uomo e
una percezione del mondo fatta di suoni e odori, più che di immagini.
Una
sicurezza in battaglia e una piaga nella vita, perché i primi sono
capaci di
soverchiare l’istinto e la ragionevolezza.
Trema appena, perché questo lo sa. E lo sa anche Bado, che in fondo ama
prenderlo in contropiede e che rivolge nei suoi confronti la flebile
eco di
quel coraggio sfacciato e suicida che raramente impiega nelle
sparatorie. Che
sollecita solo l’astinenza da nicotina.
-Heine, tu sai qual è il prezzo di un legame di sangue?-
Heine tace un momento, poi è il viso di Lily a urlare nella sua testa.
-Il sangue non te lo togli mai di dosso –sibila Bado, senza attendere
risposta;
il fiato gli solletica l’orecchio, gli sposta delle ciocche sulla
tempia – non
importa quanto tempo sia passato. Il sangue ce lo hai dentro e ti
avvelena
l’anima.
La morte di un fratello ti distrugge più di ogni altra cosa, perché
continuerà
sempre a scorrerti nelle vene.-
-È la nostalgia di Dave, allora?
Heine si volta verso Bado e lo fissa negli occhi, i loro visi sono
vicini, ma
quello che respirano è solo il veleno fatto di rabbia dell’altro.
-No, è il fatto che di quel legame non sia rimasto più nulla, che mi
sconvolge.-
La mandibola del rosso trema appena. Senza benda il viso sembra
assumere una
forma tutta nuova, più squadrata, maschile, un profilo più severo e
meno
fanciullo.
È anche quello, Bado: la croce di un’imprevedibilità pericolosa e a
doppio
taglio.
Va spogliato da quel filo di fumo che ha sempre addosso, va sondato
lentamente.
Va amato, e Heine lo sa, perché riesci a sopportarlo solo se scendi a
compromessi.
Il compromesso è l’amore, l’obolo da versare è la catena che da esso
deriva.
E Bado non lo sa, o forse ostenta un’ingenuità che gli appartiene e che
ha ben
limato con gli anni; perché è un informatore e, per quanto possa essere
squinternato, conosce gli argomenti su cui tacere e il momento per
farlo.
I detentori del sapere sono più infidi degli assassini perché sanno che
di loro
non puoi fare a meno. Il sapere non può essere ucciso perché
sopprimendolo, il
rischio di lasciare buchi neri in una città già troppo piena è un
delitto vero
e proprio; il sapere è fatto di sfumature e una sfumatura è una
scommessa e un
rischio.
Se uccidi un informatore potresti veder sfiorire la tinta che avrebbe
dato un
senso al tutto; gli assassini competono sul filo dell’abilità, se ne
abbatti
uno basterà trovarne un altro più abile.
Gli informatori colgono le parole e i dati, e quello non può essere
riprodotto
fedelmente. Gli assassini uccidono solamente, e non ci sono vie di
mezzo a
questo.
Forse è in questo che Bado ha più valore di Heine.
Forse è per questo che il cane non può ucciderlo, o vederlo morto. È
solo
per quello.
Heine trema per un momento, quando sente la pelle di Bado a contatto
con la
sua: ha appoggiato una mano alla sua spalla e la stringe con le dita
ossute e
una forza che non potrebbe immaginare.
-E sai perché ho dimenticato mio fratello?-
Rammsteiner freme a qual contatto, ha la pelle d’oca e prega che Bado
non se ne
sia ancora accorto. Freme perché vorrebbe scappare–ancora non accetta
il
contatto fisico con nessuno, il cane, perché sente violato il suo
spazio
vitale, ma freme anche perché vorrebbe accorciare la distanza. Fanno
uno strano
effetto, quella presa e quel profumo così vicini, spirano possesso e
riluttanza.
Heine apre la bocca una volta, poi una seconda, per tentare di
rispondere e
prendere fiato, ora che Bado sta recidendo la distanza e lui nota la
prima
volta le efelidi spruzzate sul naso e la forma mostruosa della
cicatrice che
recide l’occhio destro del collega.
-Perché, Heine?
Ti ricordi com’ero ridotto in quel bar quel giorno: depresso marcio ed
esaurito? Ed erano passati quattro anni, quattro.-
Bado si sbilancia in avanti dal letto, facendo perno con entrambe le
braccia
sulle spalle di Heine, pesando su di esse. Ha l’alito caldo e pregno di
fumo.
-E adesso a malapena ricordo il viso di mio fratello, che è stato anche
un
padre per me.
E tutto per te, perché sei arrivato il giorno sbagliato al momento
giusto,
bastardo.-
Bastardo.
Allora, Heine allunga il collo verso il viso di Bado e lo osserva come
poche
volte ha fatto nella sua vita con qualcosa. L’informatore è un codardo
maledetto e bellissimo; è un lupo magro con scarso senso del branco:
più
imprevedibile e selvatico, in fondo, del cane che è lui.
-Sopravvivere
è una scommessa fatta di
attimi, dovresti saperlo, malpelo.-
Ha labbra chiare e sottili, un po’ rovinate dall’arsura. Non sa cosa
sta
facendo, Heine non lo sa mai veramente, ma si avvicina e lo sfiora,
mordicchiandogli il labbro inferiore. Sa di fumo, Bado, ed è un sapore
amaro
più del caffè.
Il rosso non si muove, non trema, forse nemmeno respira; durante quel
contatto
ha tenuto gli occhi aperti; curioso il modo in cui riesca a rimanere
razionale
in una situazione del genere, sebbene non lo sembri quasi mai.
Heine quasi teme una rottura, perché la verità è che quando ti lanci in
qualcosa di più grande di te –i sentimenti, che fan più paura di un
esercito
schierato in battaglia- l’insicurezza ti si stringe addosso come un
nodo a
scorsoio, non importa quanto tu possa essere addestrato alla vita.
Heine teme una rottura: teme di spezzarsi lui, di non aver il coraggio
di
andare avanti o tornare indietro da quel gesto–perché non ci sono altre
possibilità, infondo.
Dopo un’eternità –no, dopo un attimo eterno- sente le labbra di Bado
rispondere
alle sue, poi staccarsi. Sfugge, il rosso, sfugge perché la morte di
Dave gli
ha insegnato a non osare mai troppo. E perché in realtà non è poi così
lucido.
Poi Heine parla; sebbene non sia un tipo troppo loquace, il silenzio,
in quel
momento, gli pesa più del cicaleccio generato dalle parole che tanto
odia.
-Tu sei troppo legato al passato, Bado.-
-E tu sei un ipocrita che predica bene ma razzola male, Cerbero.-
Il sorriso di Bado è un enigma: sorge dopo l’appellativo quasi senza
significato che gli ha ceduto, e brilla negli occhi di una luce feroce
e
maliziosa, fuggevole.
Heine si ritrae, perché si sente scoperto e denudato di una verità che
gli è
sempre pesata troppo, di un passato si cui non sa liberarsi. La verità
è che
lui e il suo compagno sono ancorati al pianto di un passato di cui non
sanno
più cosa farsene.
Bado è un bastardo.
-So di esserlo, non c’è bisogno che mi guardi in quel modo.-
Aggiunge il rosso, come ad avergli letto nel pensiero. In realtà ha
solo
fissato due occhi che conosce bene, e che sono l’unica crepa in quella
maschera
di apparente indifferenza e fredda razionalità sul viso di Rammsteiner.
È il gesto del rosso a stupirlo, d’un tratto: egli si getta
–letteralmente- su
di lui e gli rovina addosso. Ha il suo ginocchio puntato sulla coscia e
gli fa
male, la gamba sinistra fra le sue; con le braccia lo chiude contro
pavimento.
Il viso a pochi centimetri dal suo; gli occhi verdi sono ancora
arrossati ma
adesso brillano di quella luce strana.
Con i capelli gli solletica la fronte, e il naso; essi si mischiano ai
suoi e
creano un contrasto, un abbraccio strano, ma delicato. Ricorda di una
volta in
cui aveva sentito raccontare a una bambina della storia di un principe
che
desiderava una donna rossa come il sangue e bianca come il latte.*
Heine ha la testa svuotata ma il cuore meno sterile, per la prima volta
in vita
sua.
Perché Bado con le sue turbe mentali e fissazioni gli fa quell’effetto:
è un
contraccolpo più forte del rinculo di una pistola ed ha i capelli di un
colore
più vivido e bello del sangue. E occhi verdi come un mondo che non c’è
più.
Ha denti appuntiti che gli mordono le labbra e gli fanno sentire il
sapore del
suo stesso sangue in bocca, si confonde a Bado stesso, al sapore acre e
vivace
della sua bocca.
Heine chiude gli occhi e non vede più nulla, si aggrappa alla realtà di
quegli
altri sensi più sordi e solleticati. Sfiora un fianco a Bado e lo sente
sussultare.
Vorrebbe ridere, perché Nails soffre il solletico lì, salta sempre via
come una
pulce appena qualcuno sembra avvicinarsi troppo.
-Sono tre anni che ti sopporto, oggi.
-Tre?
Bado sa di sigarette e Heine di caffè: sapori amari con cui guardi la
notte
passare quando l’insonnia e il dolore sono troppo forti. Sapori acri
che sanno
di passato e di vecchiaia futura, mentre loro due pregano in altri
cento anni
insieme.
*è
una fiaba che amavo quando ero piccola,
c’erano di mezzo tre melograni, credo, anche se non mi ricordo il
titolo
preciso. I tre melograni, forse? Boh.
***
-Hai paura della morte, Bado?-
-Ho paura di resisterle.-
Resisterò io con te.
---
Mesi
passati a consumarsi in una cartella.
E, direte voi, poteva anche rimanerci.
Sì, effettivamente è quello che penso anche io.
Mi sono dovuta misurare con la mia totale incapacità davanti al dover
descrivere persino un misero bacetto, è per questo che la pubblico qui.
Vorrei
anche dei consigli, se possibile, visto che sono davvero fortemente
limitata.
La One Shot più lunga della mia vita: due anni fa non andavo mai oltre
le
seicento parole, poi il periodo di crisi mistica ed ora qui.
Mi interessava mettere in luce quelli che secondo me sono i due punti
cardine
della vita di Bado: Dave e Heine.
E il cambiamento in seguito alla morte del primo e il secondo mutamento
dopo
l’arrivo del cagnaccio.
È una cosa che non sono solita fare, ma vi vorrei chiedere di
recensire, per il
semplice motivo che tengo comunque molto a questa storia, che è stata
per me un
nuovo inizio, anche sotto un punto di vista più grande del semplice
hobby della
scrittura. E perché credo che ci siano diverse falle su cui vorrei dei
consigli, delle critiche e così via. Se ne avete voglia, è tutto qui.