Questa storia partecipa al contest “Benvenuti al Ministero della Magia” indetto da Shnusschen nel forum del sito.
Autore:
Athanasia
Titolo: “Closer”
Contenuto del
Pacchetto: Quartier generale Auror – vacanza.
Genere:
generale, sentimentale, malinconico.
Rating:
verde.
Avvertimenti: het, OOC, one-shot.
Introduzione:
«Insisto,
ragazzi. Una vacanza vi farà bene, siete molto tesi
ultimamente» decretò Harry. Quando vide che Hermione
stava per ribattere, la fermò «Questa è la mia
ultima parola.»
NdA: premetto che la
storia è OOC quasi alla follia – d'altronde sarebbe
impossibile scrivere una Draco/Hermione senza un po' di esso –,
ma visto che l'avvertimento non era vietato ho pensato di poterlo
inserire senza problemi. Spero ti piaccia la mia idea. Mi sono
divertita scrivendo questa fanfiction e questo, in fin dei conti, è
quel che conta.
Closer
Harry
Potter posò gli occhiali sulla scrivania, si passò le
mani sugli occhi verdi – gli occhi di Lily,
come era solito raccontargli chiunque avesse più di
quarant'anni – e sospirò.
Quei due mi
faranno diventare pazzo –
pensò. Il Salvatore del mondo magico, infatti, si trovava in
mezzo ad una situazione piuttosto scomoda, edificata da pregiudizi,
vecchi rancori e vecchie paure.
Difatti, sebbene non volesse
ammetterlo, aveva capito che Hermione urlava contro il suo partner
ogni qualvolta ne avesse l'occasione per il semplice fatto che il
ragazzo le ricordasse le torture subite durante la guerra. D'altro
canto Draco non aveva mai fatto mistero della sua antipatia per la
ragazza, indice di quanto del suo passato preferiva rilegare in un
angolo recondito della sua mente.
Fu quando li sentì gridarsi i peggiori degli epiteti dispregiativi che decise che il Quartier generale degli Auror aveva bisogno di un periodo di ferie – ovvero, un arco di tempo abbastanza ampio da far riprendere una parvenza di normalità all'ufficio, già caotico di suo. I suoi dipendenti ne avevano bisogno e anche lui. Ogni maledettissima sera tornava a casa con un enorme cerchio alla testa – dovuto alle urla – e alcune volte anche pieno di lividi – reduce da battaglie di oggetti lanciati con rabbia dai due duellanti. Decise dunque di optare per una soluzione estrema.
«Harry,
volevi parlarmi?»
domandò Hermione avvicinandosi alla sua scrivania.
«Sì,
accomodati pure»
rispose il capo degli Auror con un sorriso affabile, indicandole con
la mano destra la sedia in mogano.
«Potter» esordì Draco avvicinandosi a sua volta.
«Che ci fa lui qui?» chiese stizzita la donna.
«Devo parlarvi» asserì Harry.
«Che succede?» lo sollecitò Hermione.
«Stavo pensando, visto il vostro lavoro esemplare – si sforzò Potter – ho pensato che fosse opportuno concedervi una vacanza. Siete gli unici a non averne mai fatto richiesta in tutti questi anni.»
«Non c'è bisogno Potter, davvero» proferì Malfoy.
«Per una volta concordo con te, Malfoy» spiegò Hermione.
«Insisto, ragazzi. Una vacanza vi farà bene, siete molto tesi ultimamente» decretò Harry.
Quando vide che Hermione stava per ribattere, la fermò «Questa è la mia ultima parola.»
§
«È palese che voglia farci stare lontani dall'ufficio per un po'» sospirò Hermione mentre lei e il suo partner – erano ben cinque anni che condividevano ogni missione – uscivano dal Ministero.
Draco
si limitò a sbuffare, perso nei suoi pensieri.
Cosa
avrebbe combinato in quei venti, durissimi, giorni –
così aveva stabilito Potter – lontano
dal lavoro? La
verità era che non aveva mai richiesto un periodo di ferie
perché non gli sarebbe servito; i suoi genitori erano ad
Azkaban, la sua fidanzata, Astoria, l'aveva lasciato anni prima –
vedendo di quanto il suo patrimonio si fosse ridotto – e non
aveva neppure un gatto, come la Mezzosangue, con il quale passare il
suo tempo libero. Si
sentiva terribilmente solo.
Hermione, d'altra parte, aveva pensieri uguali ed opposti. Aveva degli amici – se poteva ancora definirli tali, dopo la solitudine cui si era isolata – da andare a trovare, ma non aveva una reale voglia di vederli. Era finito il tempo dell'adolescenza, quando un semplice sorriso metteva apposto ogni cosa. La verità era che il suo partner era l'unica persona che, nonostante non lo desse a vedere, riusciva a sopportare per lassi di tempo superiori ai venti minuti. Si trovava bene con lui, le sembrava di essere ancora a scuola con la sua divisa, la sua spilla da Prefetto e la mano pronta ad essere sollevata ad ogni domanda di questo o quel professore. Certo, la sua presenza la irritava terribilmente – come aveva fatto in passato e sicuramente avrebbe fatto in futuro – ma la faceva comunque sentire... viva. Era forse così strano?
«Beh, ci si vede» salutò Hermione.
«Ciao» rispose lui, smaterializzandosi l'istante successivo.
Quella
notte, nel freddo del suo letto vuoto, pensò a lui.
Era
assurdo come sentisse la sua mancanza,
al pensiero di venti giorni di isolamento.
Presa da un impeto di “follia” – perché solo così poteva definirla – decise di scrivergli un breve biglietto.
Non
prendiamoci per il culo, Malfoy.
Harry ci ha gentilmente
regalato
questa vacanza
perché non ne può più dei
nostri litigi.
Dobbiamo risolvere questa cosa,
se non vogliamo
essere licenziati – un giorno o l'altro.
Domani
mattina andiamo a correre insieme.
Ti aspetto all'entrata del
parco alle 8.00!
Non farmi aspettare,
sai che ti schianterei
senza alcun scrupolo di coscienza.
Chiamò
il suo gufo – da quando non aveva più avuto a
disposizione quelli di Hogwarts era stata obbligata ad acquistarne
uno – e gli legò la missiva alla zampa. «Portala a
Draco Malfoy» sussurò.
Un attimo dopo il volatile era
una figura indistinta nell'oscurità del cielo notturno.
Si
rimise a letto, sperando di riuscire finalmente a prendere sonno.
Istintivamente, sorrise.
§
Draco
stava leggendo un libro alla luce di una candela nel suo appartamento
in Piccadilly Circus – la
villa di famiglia era davvero troppo
grande per una persona sola
–, quando uno splendido esemplare di civetta fece capolino alla
sua finestra, picchiettandola con il becco.
«Entra
bestiaccia!» berciò contro la povera bestiola aprendo la
finestra. Quella, per tutta risposta, gli morse un dito e riprese il
volo. Che
animaletto simpatico,
pensò infastidito.
Stizzito, si accinse a leggere la
missiva. Con sessanta parole esatte, Hermione Granger – non
aveva certo bisogno di firmarsi, lei
– era riuscito a farlo sorridere. Sarebbe comunque andato a
correre – avrebbe fatto davvero una magra figura se rincorrendo
un furfante gli fosse venuto il fiatone dopo cinque metri o peggio,
non fosse riuscito ad acchiapparlo – e farlo in compagnia gli
fece pensare la mattina successiva come meno pesante.
§
Central Park1 – ridicola imitazione dell'omonimo situato a New York – era deserto quella mattina di fine settembre. Stretta nel suo completino color pesca, composto di pantaloncini e canotta, aspettava il suo amico per iniziare l'allenamento. Il ragazzo non si fece attendere e, quando stava per rimproverarlo per la sua attesa, la precedette.
«Il tuo insopportabile vizio di arrivare in anticipo non ti consente di rimproverare gli altri, Mezzosangue. Quindi, non iniziare.»
Era così prevedibile ai suoi occhi?
Senza
degnarlo di risposta alcuna, se non uno sguardo che sfiorava
l'omicida
andante,
iniziò a correre venendo presto affiancata da Draco. Dopo
circa un'ora e mezza e diciotto kilometri, si fermarono ansimanti.
Stanchi, sudati e decisamente maleodoranti si sedettero su una
panchina.
Se non si fossero odiati – dunque in un Universo
parallelo – sarebbero quasi sembrati una dolce coppietta che
non si separava mai, neppure per l'esercizio fisico non compreso
nelle attività da camera.
«Posso avere delucidazioni sul tuo invito?» domandò Draco.
«Dobbiamo
trovare un modo di andare, almeno apparentemente, d'accordo. Sono
sola, completamente sola. Il mio lavoro è l'unica cosa che ho,
non posso perderlo» rispose Hermione velocemente. «E se
racconti questa cosa a qualcuno sei morto» aggiunse.
Il
ragazzo annuì, era la stessa cosa per lui.
«Posso farti una domanda?» chiese lei.
«Dipende» replicò Draco.
«Perché sei diventato Auror?» lo interpellò.
«Mh... Partiamo dal presupposto che quella del pentito che vuole redimersi è una cazzata, – la vide assottigliare gli occhi e si affrettò a continuare – non che non mi dispiaccia quanto ho fatto ai tempi della guerra, ma in quel momento ero davvero sicuro di cosa facevo. E ora, posso solo cercare di essere diverso. È inutile piangere sul latte versato. Tornando alla tua domanda, sono diventato Auror perché volevo riuscire in qualcosa per merito mio. Non grazie al mio nome, non grazie a mio padre, non grazie ai miei soldi. Solo con il mio impegno. E ho scelto questo settore perché sarebbe stato il più ostile nei miei confronti. La sfida più ardua, insomma. Chi avrebbe preso il Mangiamorte a difendere il Paese al primo colpo? Nessuno.»
Hermione restò in silenzio, soppesando a lungo le sue parole.
«Probabilmente penserai che sono pazza, Malfoy, ma in questo momento ho iniziato a provare per te del rispetto. Voglio dire, continuo a pensare che tu sia un bastardo senza speranze, ma almeno sei sincero. Sicuramente meglio di molti tuoi vecchi compagni di Casa che si sono gettati ai piedi di Harry osannandolo, alla fine della guerra. Almeno tu non hai paura di essere te stesso.»
«Ti ringrazio per la schiettezza, Mezzosangue» rispose Draco con un sorriso.
Hermione si prese un secondo per osservarlo. Non era mai stato particolarmente bello, dai lineamenti troppo spigolosi e severi, ma in quel momento – illuminato dalla luce del sole – dovette ammettere, almeno con se stessa, che aveva qualcosa di affascinante: il portamento, la voce, lo sguardo. Quasi scottata dai suoi stessi pensieri, si alzò di colpo.
«Sarà meglio che vada a farmi una doccia, puzzo come un Troll» decretò.
«Penso che farò lo stesso»
Non si salutarono, ognuno prese la sua strada e tornò a casa propria.
§
Sotto
il getto bollente della doccia Draco iniziò a
riflettere.
Forse
avrebbe fatto meglio ad uscire, quella sera.
Era
rimasto come ustionato
dalla
mattinata e doveva trovare una distrazione.
Sentiva il suo odio
mutare lentamente in qualcosa di diverso – stima,
forse? –
e la cosa non gli andava parecchio a genio. Certo, Hermione Granger
restava comunque una Mezzosangue e ciò gli impediva di averla
a cuore o cose simili – era
ancora troppo attaccato ai suoi pregiudizi –
ma parlare con lei era quasi... piacevole.
Con un gesto secco chiuse l'acqua e si fece accarezzare dal tessuto
morbido dell'accappatoio. Poi si diresse verso la camera adiacente,
quella da letto, e si vestì. Un paio di jeans, unica delle
poche cose babbane che apprezzava realmente, un maglione, delle
scarpe né troppo eleganti né troppo sportive e il suo
adorato cappotto nero.
Uscì
di casa e si diresse al pub di fronte.
Si sedette al bancone –
sfortunatamente non aveva una dama con la quale accomodarsi ai
deliziosi tavolini del locale – e ordinò un bicchiere di
Whisky. Ne seguirono altri ma, fortunatamente, reggeva abbastanza
bene l'alcool ed era solo sull'allegro andante. Era un po' brillo,
insomma.
Lo
stesso non si poteva dire della ragazza appena entrata che, con
estrema
grazia,
si era accomodata accanto a lui e aveva biascicato qualcosa come “Un
mojito, grazie”.
Guardando bene le sue spalle –
giacché gli dava la schiena – poté notare un
dettaglio che gli fece comprendere che conosceva quella persona. Una
piccolissima rosa era tatuata fra le scapole e il collo, al centro
esatto della metà superiore della schiena. E
lui, quella rosa l'aveva già vista.
«Astoria?» domandò sorpreso.
La bionda si girò in un lampo, buttandogli le braccia al collo.
«Oh, Draco! Quanto tempo!» trillò felice.
Draco pensò immediatamente che il suo alito era tutto fuorché gradevole, saturo di alcool, fumo e chissà cos'altro, quando fece per baciarlo. La spostò con gran eleganza, portando le sue braccia – che erano allacciate saldamente sul collo di lui – sul bancone, cosicché potesse reggersi da sola.
«Come te la passi?» s'informò educatamente.
«Oh, insomma. Blaise – e lì Draco ebbe un fremito di disappunto, considerando che era stato mollato per il sopracitato rampollo di casa Zabini – mi ha lasciato» si lamentò lei.
«Capisco» asserì lui. «Beh, ora devo andare. È stato un piacere rivederti, Astoria» la salutò.
«Ciao Draco» miagolò lei prima di buttarsi sul suo drink, appena portatole dal barista.
Turbato
dall'incontro appena fatto s'incamminò verso casa sua a piedi
con aria cupa.
Rivederla
gli faceva ancora male,
dopotutto. L'aveva amata davvero, in modi che neppure lui avrebbe mai
potuto immaginare, e venire scaricato era stato un duro colpo per il
suo ego e per il suo cuore.
Sebbene lo negasse perfino a se stesso, in qualche parte recondita di
sé il fantasma di Astoria continuava ad impedirgli di essere
felice. Erano passati tre anni ma forse, il duro colpo che lei gli
aveva inflitto – in un momento così duro, per di più,
quando i suoi erano appena stati incarcerati – gli precludeva
la dolce via del dimenticare.
Pensare a lei come a qualcosa di sì bello, ma appartenente
al suo passato.
§
Grattastinchi
fece uno sbadiglio annoiato, si sgranchì le zampe e saltò
in braccio alla sua padrona, la quale fu ben felice di alleviare le
sue pene – certe
o presunte che fossero –
ascoltando la rilassante risonanza delle fusa del suo gatto.
Hermione, dal canto suo, decise di chiudere il libro –
conoscendo l'irritante abitudine del felino di sdraiarcisi sopra e
farcisi le unghie – e dedicarsi completamente a lui. Dopo una
lunga sessione fatta di grattini, moine e carezze il gatto si decretò
soddisfatto.
Balzò giù ed andò a sdraiarsi
nella sua accogliente cuccetta.
Hermione
sbuffò quasi con le lacrime agli occhi.
Erano passati già
due anni da quando lei e Ron avevano rotto – erano
diventati così monotoni! –
e ricordare era sempre e comunque doloroso. Sapeva che si era rifatto
una vita ed era felice per lui – d'altronde
che senso avrebbe avuto avercela con lui per sempre?
Si erano lasciati di comune accordo, andando ognuno per la propria
strada – ma il suo orgoglio le impediva di non essere
arrabbiata. Con se stessa, perché non si era trovata uno
straccio di ragazzo dal quale farsi consolare al termine di una
pesante giornata lavorativa. Le mancava, sebbene non l'avrebbe mai
ammesso, avere qualcuno che le girava per casa. Qualcuno sempre
disponibile per lei, sempre pronto ad aiutarla e disposto ad esaudire
ogni suo più piccolo desiderio. Si
sentiva così sola.
Un rumore improvviso la fece sobbalzare. Con la bacchetta nascosta dietro la schiena – abitudine dura a morire – aprì la porta del suo appartamento e uscì nell'atrio del terzo piano del palazzo.
«Chi è?» domandò al nulla. Il buio, infatti, le impediva di vedere alcunché.
Una risata la fece sobbalzare una seconda volta. Conosceva quella risata.
«Malfoy?» chiese più a se stessa che al diretto interessato.
«Che ci fai qui, Mezzosangue?» rispose Draco, comodamente sdraiato sull'ultima rampa di scale.
Si avvicinò a lui e, presa da un impeto di compassione, lo aiutò ad alzarsi.
«Per
l'amor del Cielo! Sei ubriaco!» esclamò.
Lo portò
in casa sua, lo fece accomodare sul divano – lasciando che
Grattastinchi, improvvisamente sveglio, lo guardasse male – e
gli preparò una tazza di tè. Quando tornò, lo
vide con la testa a penzoloni sul bracciolo e le gambe stravaccate
sul tavolino di legno.
«Non ti hanno insegnato l'educazione?» inveì.
«Sono brillo Mezzosangue, comunque» biascicò lui, riferendosi alle parole di poco prima.
«È la stessa cosa, stai comunque sporcando il mio tavolo» ribatté lei.
«Che importa, è così pacchiano» sussurrò lui.
«Ma come ti permetti!» lo riprese lei come una madre alle prese con un figlio disobbediente.
Lui non diede segno di averla sentita e quasi le strappò la tazza dalle mani.
Bevve tutto d'un fiato il contenuto e, quando tornò a prestarle attenzione, sembrava essere un pochino più in sé. «Grazie» sussurrò. Quasi non lo sentì.
Qualche minuto dopo erano ancora lì, seduti l'uno accanto all'altra, in attesa di non sapevano bene che cosa. «Sarà meglio che vada» esordì Draco, reggendosi in piedi saldamente per miracolo.
«Già» fu l'acuta osservazione di lei. Lo accompagnò sulla porta ma, quando il ragazzo fece per uscire, lo bloccò per un braccio. «Posso sapere che ci fai nel mio palazzo?» sibilò come colpita da illuminazione divina. «Abito un piano più su» rispose lui. «Oh.»
Quando
la porta stava per chiudersi lui la riaprì, gettandolesi
addosso.
La
baciò con grandi intensità, livore e passione.
Dopo
un lieve attimo di sconcerto, Hermione rispose al
bacio.
Probabilmente stava sbagliando – insomma, lui era
ubriaco
e
quindi non in pieno possesso delle sue facoltà mentali –
ma in quel bacio, che durò troppo poco, a detta posteriore di
entrambi, riscoprì per un'istante le gioie dell'essere donna.
Quando tutto finì, la ragazza si trovò sola a
stringere l'aria.
§
Draco
si svegliò con un fastidiosissimo cerchio alla testa e
un'inaspettata sensazione di tranquillità che gli ruggiva nel
petto. Pian piano, dopo aver preso una pozione miracolosa –
invenzione di un suo compagno ai tempi di Hogwarts – per il
post sbornia, i tasselli della sera precedente andarono a comporre
nella sua mente tutta la serata.
Il Whisky, l'incontro con
Astoria e... il
bacio con Hermione.
Se
non fosse stato ubriaco e lei un'anima fin troppo caritatevole –
e
Grifondoro,
aggiunse con stizza – l'avrebbe sicuramente schiantato, per
cominciare. Poi l'avrebbe torturato e infine, dopo avergliela fatta a
lungo desiderare, gli avrebbe concesso la morte.
In un secondo
momento, tuttavia, si rese conto che lei aveva risposto al suo bacio.
Hermione
Granger aveva baciato Draco Malfoy. Draco Malfoy aveva baciato
Hermione Granger.
Paradossale
ma,
per qualche assurda ragione, anche bello.
Con un sorriso sulle labbra andò in bagno a lavarsi, puzzava di alcool da far schifo.
§
Hermione
evitò di uscire di casa fin quando non fu sicura che fosse
impossibile incontrarlo, quella mattina. Vergognandosi come una ladra
scese di soppiatto gli scalini uno ad uno, con calma e silenzio
estremi, facendo ben attenzione a non creare trambusto indesiderato.
Uscì dal portone principale guardinga, volgendo il capo a
destra e a sinistra un paio di volte, e posò il sacco nero sul
mucchio di spazzatura ammassato davanti ai cassonetti. In un altro
momento si sarebbe arrabbiata maledettamente, visto quanto spendeva
per le spese condominiali, ma preferì sorvolare e tornare
dentro. Quando fece per rientrare, tuttavia, sentì Draco
borbottare un saluto all'indirizzo della vecchia portinaia e si
nascose in fretta e furia dietro una caterva di piante dalle forme
più stravaganti. Sentendo chiudersi la porta tirò un
sospiro di sollievo ed uscì dal suo nascondiglio per risalire
all'appartamento.
Il lotto 5G era famoso per essere il più
fatiscente dell'intero palazzo ma Hermione, quando anni prima ne
aveva colto il potenziale, aveva deciso di prenderlo in affitto e,
con il permesso del padrone di casa, rimetterlo a nuovo. Quel che ne
era uscito, aveva stupito lei stessa in prima persona: un delizioso
appartamento in stile minimalista – giusto
per rispecchiare un po' se stessa –
il quale possedeva ogni comfort possibile. Era stato difficile far
convivere Grattastinchi con la gran quantità di legno
presente, dato che la palla di pelo – così lo chiamava
lei – amava rifarsi le unghiette su ogni superficie liscia,
lucida e marrone che incontrasse, ma infine aveva raggiunto un
piccolo compromesso. In un angolo del salotto troneggiava una strana
torre in miniatura sul quale il gatto poteva sfogare i suoi istinti
felini.
Così, l'appartamento e il suo compagno avevano
imparato a convivere in muto astio reciproco.
Il
quarto giorno di vacanza dovette ammettere a se stessa che il lavoro
le mancava.
Le mancavano gli ordini pacati di Harry, la confusione
generale, le risate con Stephanie – che era stata sua partner
agli inizi della sua carriera –, le troppe scrivanie per la
stanzetta che le conteneva.
Il Quartier generale degli Auror –
litigare
con Draco –
era la sua vita. Dopo la sua devozione nei confronti del vecchio e
imponente castello che era Hogwarts, era quasi prevedibile
che quel posto sarebbe divenuto il suo rifugio, il suo posto nel
mondo.
Tendeva a chiamare “casa” qualsiasi posto
riuscisse a farle mettere in moto il cervello.
Adorava
pensare, progettare, conoscere, sapere, imparare, capire, agire.
E con il suo lavoro aveva modo di fare tutto ciò.
Dopo
una settimana di vacanza era caduta in balia della noia più
totale.
Aveva spolverato tutti i libri della sua modesta
biblioteca privata almeno quattro volte, fatto il bagnetto a
Grattastinchi altrettante volte, ascoltato i vecchi vinili di suo
padre, spostato i mobili della sua stanza due volte, comprato delle
tende nuove per ogni camera e trapiantato in nuovi vasi ogni fiore
presente al 5G. Non
sapeva più che cosa inventarsi.
La
verità, doveva ammetterlo, era che senza il suo lavoro si
sentiva vuota.
E, in un certo senso – decisamente molto
perverso –, si sentiva così anche per la lontananza da
Malfoy. Ormai non avrebbe più potuto fare a meno delle loro
liti, verbali e non.
Solo che c'era quel bacio in sospeso. Aveva
paura di chiedere spiegazioni ed uscirne ferita.
§
Venti
giorni di ferie erano trascorsi lentamente, come un suplizio per
coloro che ne avevano beneficiato. Draco era uscito il più
possibile, cercando di distrarsi – di
non pensare a quel maledetto
bacio –,
fuggendo perfino i sentimenti che sentiva nascere in lui. Non era
possibile che il semplice bacio di una Mezzosangue riuscisse a
mandarlo così in crisi.
Hermione, nel frattempo, aveva
evitato di pensarci – rimandando ogni spiegazione, perché
andarsela a cercare, la sofferenza? –
aspettando con impazienza la ripresa del suo impiego.
Sapeva solo
che era davvero sconvolta; il suo cuore era in subbuglio.
§
Harry
Potter era sconcertato.
I suoi – migliori,
doveva ammetterlo – Auror appena tornati dalle ferie erano
nella stessa stanza da ben dodici ore e ancora non era successo
niente. Né un urlo, né uno Schiantesimo, né
tanto meno una lotta a corpo libero – come erano soliti fare
recentemente.
Più di una volta li aveva ripresi mentre,
pieni di lividi, si guardavano in cagnesco.
Qualcosa non quadrava. Ma, se il prezzo pattuito per la pace nel suo ufficio era farsi gli affari suoi, era più che disposto a pagarlo.
Fu quando vide Malfoy avvicinarsi a Hermione per chiederle un colloquio privato che strabuzzò gli occhi. Da quando quei due parlavano?
§
«Mezzosangue posso parlarti un attimo?» aveva chiesto Draco.
Lei aveva annuito con il capo, seguendolo fuori dall'ufficio.
Erano entrati in un piccolo sgabuzzino, dove erano immagazzinate le vecchie pratiche, ma quando Hermione si era girata per guardarlo dritto in faccia, il ragazzo le era letteralmente saltato addosso premendo prepotentemente le labbra sulle sue.
Quel
che accadde dopo, fu
storia.
Fine
Note dell'autrice
Se
siete giunti fin qui... grazie.
Scrivere
questa storia è stata davvero un'esperienza piacevole.
Mi
sono cimentata in qualcosa di diverso, superando i miei soliti
“canoni”.
Non pretendo né affermo di aver
scritto una meraviglia, lungi da me, ma per una volta sono rimasta
soddisfatta. E la cosa mi rende più felice di qualsiasi
risultato.
Se decidete di lasciare una recensione, beh, grazie due volte.
A
presto,
Athanasia
Pi
esse: a chi segue la mia long “Poison – Between Feeling
and Fury” voglio comunicare il mio rammarico per aver saltato
l'aggiornamento di domenica scorsa. Pubblicherò domani con
ogni probabilità.