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Autore: elrohir    21/11/2006    6 recensioni
La rissa in palestra, cercando di immaginare cosa deve aver pensato Tetsuo, con davanti la bellezza gelida e sfacciata di Kaede, e l'esaltata rabbia di Hana. con al fianco, la cupezza di Mitsui, sul punto di volare via. forse ooc, tetsuo, anche se così lo immagino io. shonen ai, c'è un cenno al rapporto tra tetsuo e mitsui, e un abbozzo dei possibili sentimenti tra kae e hana. poi, i pensieri appunto di tetsuo davanti a kaede, e sapete che io non riesco a immaginarmi qualcuno insensibile a quel ragazzo. quindi... boh. spero vi piaccia. da parte mia, sono quasi soddisfatta. ma c'è anche da dire che di questi tempi l'ispirazione è quel che è, e si sa, al buio un raggio di luce pare molto più luminoso...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rumore dei palloni risuona attraverso i muri

Quando ho visto per la prima volta Tetsuo, mi è venuta voglia di scriverci sopra. Poi ho visto che faceva, e l’ho odiato. Per tornarci di nuovo, che mi piace immaginare delle storie, dietro la stronzaggine delle persone. Quel tipo di stronzaggine auto-distruttiva, almeno. E mi è uscita sta cosa, partendo dall’impressione che può aver avuto Tetsuo di Rukawa, nella rissa in palestra. Ho amato Kaede, in quelle scene. E sono sicura che anche Tetsuo indifferente non può essergli rimasto. Perché per me nessuno rimane indifferente a Kaede, mai.

Poi, non puoi parlare di Tetsuo senza tirare in ballo Mitsui. E non puoi parlare di Kaede senza far cenno, anche se breve, ad Hana.

Ed ecco sta fic. La mia personale rivisitazione della sopracitata rissa. Spero vi piaccia. Lo spero davvero…. Kisses

PS- la canzone dei Green Day c’entra poco e niente, solo stavo come al solito in paranoia per cercare un titolo, e ho pensato a qualcosa tipo Turning point, che Giro di boa in italiano mi faceva schifo. Poi, da Turning point, arrivare a A fork stuck in the road il passo è breve, per chi ha in mente la canzone. E in effetti, un po’ può starci. No?

 

*** GOOD RIDDANCE***

 

Another turning point, a fork stuck in the road.
Time grabs you by the wrist, directs you where to go.
So make the best of this test, and don't ask why.
It's not a question, but a lesson learned in time.
Green Day

Il rumore dei palloni risuona attraverso i muri. È un battere continuo, a tratti costante, ad altri disordinato. Si sentono voci, risate, e rimproveri urlati.

Tetsuo lancia uno sguardo a Mitsui. I capelli del compagno velano il viso, ma l’espressione si può indovinare. Chiusa, rabbiosa, ostinata.

Tetsuo non dice niente. Si limita a fissare la porta.

Aspettando che Mitsui dia segno di entrare.

Sa che quella di Miyagi è una scusa. In realtà, il suo compagno ha solo bisogno di far male. A tutto, a tutti. Se stesso per primo.

Forse, se tutto questo stesse succedendo tre, quattro anni prima, Tetsuo poserebbe una mano sulla spalla di Mitsui, lo costringerebbe a voltarsi.

A guardarlo negli occhi. E ammettere la verità.

Forse, se tutto questo stesse succedendo quattro anni prima, Tetsuo volterebbe le spalle alla palestra, e si incamminerebbe verso un pub, per scolarsi una birra e sedere sul muretto. E Mitsui lo seguirebbe, certo, e loro rimarrebbero insieme.

Ma le cose sono cambiate, da allora.

Loro sono cambiati. Cresciuti.

E i ragazzini che sapevano ridere bevendo sotto il cielo non esistono più.

Sono morti. E sepolti.

E adesso, adesso l’unica cosa che conta è mordere la vita, graffiarla, ferirla, calpestarla. L’unica cosa che conta è tornare a casa la notte, e guardarsi allo specchio, e vedere un livido scuro allargarsi sullo zigomo. Guardare i segni delle botte rovinare la bellezza prepotente del proprio viso.

Nient’altro importa. Non a Tetsuo.

Per Mitsui, forse, è diverso. Non si può dimenticare che per un attimo, un fuggevole, luminoso attimo, lui è quasi riuscito a sfuggire da quella catena di pestaggi e squallore. Da quelle stanze spoglie, da quei letti sfatti dove sonnecchiare. Da quelle scopate rabbiose, consumate contro un muro, in un vicolo. Con chi, non importa.

C’era quasi riuscito, Mitsui. Prima che il ginocchio cedesse, e il suo volo si spezzasse. Prima che ricadesse a terra, i capelli scompigliati e appiccicati al volto.

E adesso, è tornato al suo cielo, arrancando, arrampicandosi a fatica, con le unghie. È così diversa, la strada, quando non hai le ali. Così tanto più faticoso, che volare.

Tetsuo rimane fermo a guardarlo, Mitsui. A guardare il profilo nascosto dietro le ciocche scure, lucide e belle. A respirare la sua sigaretta, senza fretta.

La getta a terra, distratto. Mitsui si volta, lo guarda.

Gli altri non contano. Gli altri seguiranno e basta, senza pensare.

Tetsuo lo sa. Lo sa, che sono tutti qui perché lui l’ha detto. Che sono qui per menare le mani, per spaccare la faccia a Miyagi. Perché Mitsui vuole così. E quel che vuole Mitsui, lo vuole anche Tetsuo. E quel che vuole Tetsuo, lo vogliono anche loro.

Ma Tetsuo sa anche, nel profondo, di accompagnare Mitsui a un bivio. Di essere sul punto di salutarlo.

Sa che l’Hisashi che uscirà dalla palestra, non sarà lo stesso. Sa che non camminerà più con lui di notte, sa che non fumeranno più insieme, in silenzio.

Mitsui fa un cenno con la testa, e Tetsuo si limita a fissarlo. Mitsui sorride, un sorriso storto.

E apre la porta della palestra. Con un calcio.

Tetsuo entra, qualche passo dietro Mitsui. Vuole mettere in chiaro che è lì come spettatore. Come spalla. Che è Mitsui, l’interessato.

Ammira le mani dell’amico, danzano intorno a un pallone. Nonostante la strafottenza del passo, dell’ancheggiare spavaldo, le dita accarezzano appena la sfera. E Tetsuo si chiede, con una stretta dolorosa del ventre, quanto tempo sia passato dall’ultima volta che Mitsui ha compiuto quel gesto.

Non abbastanza, evidentemente. Eppure, troppo.

-Possiamo giocare anche noi, Miyagi?

La voce risuona nel silenzio improvviso della palestra. Se voleva un’entrata ad effetto, Mitsui l’ha ottenuta.

Sono tanti, tanti ragazzini. Che spalancano gli occhi e cominciano a vociare, guardando storti gli invasori, stringendo i pugni ai lati dei fianchi.

Ragazzini. Tetsuo ci scommette, che nessuno di loro ha la più pallida idea di cosa significhi vivere in strada, cosa significhi crescere con in mano un coltello, cosa significhi farlo per la prima volta a dodici anni, in una stanza che è meglio scordare. Con chi…

Con chi il buio ha ormai, pietosamente, inghiottito.

Tetsuo ci scommette, che nessuno di loro ha mai tenuto la mano di un amico, mentre il sangue gli segnava il ventre e scendeva giù, sulle gambe ripiegate, nessuno di loro ha mai raccolto i suoi sussulti, né giurato vendetta, né giurato perdizione.

Tetsuo ci scommette, che nessuno di loro… che nessuno di loro capirebbe. Mai.

Non badano a lui, quei bambini poco più giovani, così tanto più ingenui. Non badano a lui. Bisbigliano di Mitsui, invece, l’hanno riconosciuto. E Tetsuo butta fuori il fumo, scrolla elegantemente la sigaretta, facendo cadere la cenere sul pavimento di legno.

Mitsui gli lancia un sorriso maligno, da sopra la spalla, a cui si può rispondere solo con un altro sogghigno.

Senza badare al tizio con i capelli rossi che sbraita contro di loro, contro di lui, insultandoli, insultandolo.

Tetsuo lo osserva con attenzione. Sakuragi. Quel che ha sentito dire è vero, a quanto pare. Testa calda sul serio.

Gli piace. Molto.

E forse è anche per provocarlo, se accetta volentieri il pallone che Mitsui gli porge, senza guardarlo. Inutili gli sguardi, tra loro, in questi casi. Si capiscono lo stesso.

E Tetsuo asseconda l’amico, lo asseconda con piacere, godendosi la reazione dei giocatori. I loro occhi increduli fissi sulla sua mano, sulla sua sigaretta schiacciata, spenta contro la gomma arancione.

Il colpo lo coglie impreparato, però. Non se l’aspettava.

Osserva stupito, stranito, il pallone rimbalzare a terra, dopo essersi schiantato contro la faccia di Nori.

Mirava a Mitsui, quel colpo violento, veloce, quasi invisibile. Solo i pronti riflessi del suo amico, l’hanno salvato.

Tetsuo torna a guardare la squadra. Con curiosità, con intenzione. Vuole capire. Vuole vedere.

Vuole guardare negli occhi chi, tra quei bambini, ha trovato il coraggio di rispondere. Chi, tra quei bambini, se n’è sbattuto delle raccomandazioni di Miyagi di non fare cazzate, e ha agito di testa sua. Tetsuo vuole guardarlo negli occhi, scoprirvici dentro le sue stesse voragini.

-Che peccato. Ho mancato il bersaglio.

Tetsuo ascolta quella voce bassa, sensuale, ascolta quella voce alzarsi dall’ultima fila, mentre tutte le teste si voltano verso un ragazzino alto, snello, dalle lunghe gambe chiare- e Tetsuo le guarda, quelle gambe, le guarda per un attimo prima di risalire a cercargli il viso- un ragazzino che rilassato, disinvolto, si massaggia il polso. Guarda dritto verso di loro, nel frattempo. E gli occhi sono eterni, scuri, mentre incontra quelli di Tetsuo, così come il viso resta impenetrabile e perfetto.

-Rukawa!

Tetsuo gli lascia scorrere lo sguardo addosso. Quanti anni avrà? Ai diciassette non ci arriva. Nonostante l’altezza, dev’essere ancora una matricola. Eppure quell’atteggiamento pare vecchio, pare stanco. Pare quello di un samurai antico, chiuso nel suo mondo di lame.

Sorride, Tetsuo. Il ragazzo gli piace.

Come da molto, molto tempo non capitava. È un sentimento ambiguo, quasi alieno.

Una voglia strana, voglia di camminargli incontro, avvicinarlo, e infilare poi la mano in quei capelli neri, strattonargli indietro la testa. Guardare i suoi occhi scuri dilatarsi dalla sorpresa, sentire un gemito di dolore sfuggire a quelle labbra sfacciate. E poi baciarlo. Con violenza, infilandogli in bocca la lingua senza chiedere il permesso, mordendolo, assaggiandolo, divorando quella sua bellezza insostenibile, bevendo la sua arroganza. E poi sbatterlo contro la parete, e far scendere la bocca, scoprendogli il corpo. Scoprendogli l’anima.

Spezzandola, infine, così come è stata spezzata la sua, una vita fa.

Gli viene voglia di dirglielo, al moccioso, di raccontargli questa fantasia, di vedere le guance candide tingersi di rosso. Di imbarazzo. Di offesa.

O magari, quegli occhi farsi più scuri, di sfida. Scoprire un nuovo demone, dietro quel visetto da angelo.

E al tempo stesso, riconosce l’impulso quieto di raccogliere il pallone, e metterglielo in mano. Stringergli le dita sulla spalla, e farle scivolare appena sotto la canottiera, per ascoltar la pelle che ci sta sotto, per accarezzarlo piano, senza intenzione. Voglia di dargli un buffetto sulla guancia e ridergli di fronte, ridergli di fronte gentile, voglia di scostargli la frangia e posare un bacio su quella fronte candida, guardarlo poi ancora e benedirlo, benedirlo per la vita. Che sarà dura, sarà dolorosa, sarà pesante. Perché è sempre dura, è sempre dolorosa e pesante, per chi ha quel colore negli occhi. Regalargli un sorriso, uno dei suoi sorrisi morti bambini, e poi dargli la schiena. Prendere Mitsui per un polso, aprirgli la mano. Infilarci dentro il pallone e battergli la spalla, salutarlo. Uscire dalla palestra, senza voltarsi, tirandosi dietro i suoi uomini bruciati, i suoi uomini perduti. Uscirsene, prima di contaminare quei bambini puliti. Prima di liberare l’incubo che brucia nello sguardo di quella matricola coraggiosa.

Ma non fa niente di tutto questo. Non se la sente, forse, non ce la fa.

Avvicina Mitsui, invece, gli porge uno spazzolone. Lo istruisce, come sempre, gli insegna a colpire, gli insegna a combattere, a far male. E mentre Mitsui si prepara ad abbassare il legno sulla testa di Miyagi, che simile a un martire attende immobile il colpo, Tetsuo pensa che tutto è inutile, tutto è sciocco e vuoto. E vorrebbe che qualcuno, in qualche modo, fermasse quella cascata di eventi, quella cascata di botte e insulti e rabbia, vorrebbe che qualcuno fermasse lui, e Mitsui, e insegnasse loro un’altra strada.

Osserva il contrasto di colori, pelle dorata stretta su legno castano, a bloccarne lo schianto. Gli occhi di Sakuragi sono incendiati, e duri, mentre fissa Mitsui severo.

-Sei un verme- dice, con la sua voce adulta, continuando a tenere fermo lo spazzolone.

E Tetsuo sente un respirare diverso, al suo fianco, si volta, e lo vede.

Da vicino, quel ragazzino sfacciato è ancora più bello. Tetsuo scopre nei suoi occhi correnti turchine, quando lui li aveva creduti nero inchiostro, scopre l’oceano profondo, fondali abissali, di un blu scuro e gelido, immobile, eppure vivo. Tempesta e sale.

Le dita candide stringono il polso di Shiro, finchè questi non lascia la presa sui capelli di Miyagi.

Rukawa. Tetsuo si fa scivolare il nome sulla lingua, mentre ascolta il rantolo preoccupato di Ryota.

Sakuragi spezza lo spazzolone, rabbioso –Sei solo un imbroglione da quattro soldi!

E la voce bassa di Rukawa, una stilettata –Un corrotto.

Le teste dei due ragazzi scattano all’unisono, per scoccarsi un’occhiata.

Tetsuo non è sicuro di averla compresa bene, quell’occhiata.

Ci ha letto rivalità, dentro, e stupore. Orgoglio, per la forza dimostrata dall’altro, e anche un po’ di preoccupazione, forse, per quel che potrebbe succedere. Ci ha letto attrazione, e paura. Ci ha letto rancore, e rabbia repressa, e passione zittita, e silenzio. Silenzi lunghi una vita.

Non sa se ha letto bene. Ma l’elettricità che è corsa tra loro, quella non l’ha fraintesa.

È durata un attimo, prima che Sakuragi buttasse a terra lo spazzolone, e qualcuno da dietro cercasse di richiamarli entrambi all’ordine.

Ma nessuno lo ascolta.

-Sei solo un impostore! Prima di parlare dovresti toglierti quelle scarpacce sudice!

Tetsuo scuote la testa, quasi rassegnato. Con tutto quel casino, quelli ancora si preoccupano del pavimento pulito.

Poi, la voce di Rukawa si fa risentire. È fredda, gelida.

Tetsuo rabbrividisce senza volerlo.

Poi lo guarda.

Ha il pallone da basket in mano. E lo tende verso Mitsui.

-Puliscila.- sibila.

E Mitsui sputa.

Negli occhi di Rukawa, sembra accendersi una fiamma. Improvvisamente si fanno chiari, trasparenti, come se ardendo le nubi si fossero sciolte. Si fanno chiari, argentei quasi, e donano al suo viso un’aria soprannaturale.

Un ragazzo si fa avanti. Umilmente, testa china, prega di andarsene.

E Mitsui con un pugno lo manda a cadere tra le braccia di Miyagi e Sakuragi.

Dopo una frazione di secondo, un pallone da basket lo centra sul viso.

Rukawa si fa avanti. Lo fissa negli occhi. Quegli occhi che ancora brillano chiari.

-Non ti perdonerò mai.

Non è chiaro se stia parlando del colpo al compagno, dello sputo sul pallone o di tutto quel casino. Quel che è certo, le parole cadono come una minaccia ghiacciata nella stanza.

Prima che Rukawa crolli, abbattuto dallo spazzolone che Ryu ha brandito.

Rukawa barcolla, si tiene lo stomaco con una mano. L’altra, la passa sul viso, ne sente il sangue.

-Sei un duro, eh.

Tetsuo guarda ammirato il pugno partire. Ryu si accartoccia. Rukawa si appresta a lanciarne un altro, ma viene fermato da una ragazzina.

-Rukawa, smettila.

Tetsuo lo osserva abbassare gli occhi sulle dita tenaci che stringono il suo polso. Si guardano, lui e la ragazzina, poi Rukawa sussurra –Sempai,- e abbassa la mano.

E Mitsui la schiaffeggia, e il casino comincia.

Tetsuo osserva il calcio che colpisce al petto uno dei suoi uomini, che aveva cercato di avventarsi su Rukawa.

Ed è allora che decide di intervenire.

Passa una mano intorno al suo collo, attirandolo a sé, sbilanciandolo indietro. Osserva il viso scomporsi, gli occhi dilatarsi. E sorride.

Decisamente, potrebbe divertirsi con quel ragazzino, un giorno.

Ma adesso ha altro da fare. Così, si limita a gettarlo via, facendolo cadere a terra, facendogli battere la testa.

Rukawa resta fermo, immobile, riverso sul pavimento.

E Tetsuo scaccia il malessere che gli provoca quella visione. La scaccia, perché non è pronto ad ascoltarsi di nuovo. Non è pronto a riportare l’attenzione sui battiti del proprio cuore, non è pronto a registrare il brivido che gli ha traversato la schiena, mentre il corpo di Rukawa perdeva forza nella sua stretta. Non è pronto ad accettare il dolore che lieve gli serpeggia negli occhi, mentre osserva Mitsui sprecare la vita prendendo a calci e a pugni la gente… non è pronto a lasciarlo andare, e forse mai lo sarà.

Forse. Forse sì.

Chi può dirlo?

In ogni caso, farsi domande è inutile, come inutile sarebbe tentar di rispondere.

-Avanti un altro.- sente dire, e riconosce la sua voce, in quella sfumatura dura, e la rabbia dura solo un attimo, prima che la nausea ne prenda il posto, e cominci a guidar lei i colpi, a parare lei gli affondi.

Nausea. E la nausea resta, mentre si batte con quel rosso dannato, anche mentre gli occhi di Sakuragi gli trafiggono le ossa, esigendo vendetta per le botte agli amici, per la palestra distrutta, per l’allenamento interrotto. E anche, soprattutto, malgrado ogni finzione, per i lividi che segnano la pelle candida di Rukawa, scomposto a terra come una marionetta senza fili. Una bellissima, gelida bambola di porcellana. Che basterebbe un soffio di vento a spezzare, e invece ha resistito a tempeste e uragani.

E solo quando cade a terra, Tetsuo, accettando con qualcosa di simile alla gioia gli ultimi colpi di Sakuragi, le sue ultime grida, solo allora la nausea si cheta.

E un doloroso, familiare senso di vuoto si fa strada nel suo petto, lasciandolo stanco, e rassegnato.

***

So take the photographs, and still frames in your mind.
Hang it on a shelf in good health and good time.
Tattoos of memories and dead skin on trial.
For what it's worth, it was worth all the while.
Green Day

-Torno a giocare.

Tetsuo non risponde, neanche lo guarda. Segue il percorso del fumo, invece, dalle labbra di Mitsui al cielo. Poi, scrolla le spalle.

-Devi smettere di fumare, allora.

-Lo so.

Mitsui butta a terra la sigaretta, la spegna con il tallone. Tetsuo siede davanti al mare, abbarbicato alla staccionata. Mitsui infila le mani in tasca, getta indietro la testa.

-Mi taglio anche i capelli.

Tetsuo morde il sorriso. Arrischia uno sguardo al compagno. –Peccato. Stai meglio così.

Anche Mitsui sorride. E Tetsuo pensa, non per la prima volta, che gli mancherà la sua presenza silenziosa e arrabbiata al fianco. Gli mancheranno quegli occhi neri.

Gli mancherà lui.

-Hanno fatto storie?

-No. Sono bravi ragazzi. Capiscono.

Restano zitti ancora qualche istante. Poi, Tetsuo si tira in piedi. –Beh, allora ci si vede, bello. Alla prossima.

Mitsui sta zitto.

Tetsuo siede sulla moto, prende in mano il casco. Ne ha un altro, dietro. Quasi, fa per allungarlo a Mitsui. Dirgli di tenerselo.

Che tanto, cosa lo userebbe a fare, lui? Non ha intenzione di portarsi altri ragazzini dietro, quando corre per le strade.

Ma poi, anche Mitsui, che se ne farebbe adesso? Sta chiudendo quel capitolo della sua vita. E mollargli il casco per ricordo, Tetsuo non lo farà mai.

Mai. Troppo sdolcinato. Mitsui riderebbe, sapesse che il pensiero l’ha anche solo sfiorato.

-Tetsuo.

Si volta. I capelli frustano il viso dell’amico, spettinati dal vento, dal sale.

-Ci vieni poi a vederla una partita? Quando ti va…

Tetsuo sorride, e china la testa, in un cenno d’assenso. Ci andrà senz’altro, a vedere Mitsui giocare. E a vedere come crescono gli occhi di Rukawa, e come si scurisce col sole la pelle di Sakuragi. Vedere se quel silenzio tra loro intravisto diventerà, prima o poi, troppo pesante da sostenere. E se si arrenderanno alle parole, quei due, come lui si arrenderà alla vita. Perché lo sa, Tetsuo, che la resa arriverà, un giorno. E sarà dolce. E sarà salata.

Come tutto, del resto. Come lui.

-Buona fortuna, Mitsui.

Annuisce, Mitsui. Con una mano dietro l’orecchio, a tenere fermi i capelli.

Quasi fragile, in quel momento.

Quasi piccolo.

Tetsuo infila il casco, avvia il motore.

È una fuga, la sua? Forse.

Che baciare Mitsui in quel momento sarebbe stupido.

Meglio correre via, sulla strada. Sull’asfalto scuro, seguendo le curve. Inseguendo il futuro.

Sorridendo, dentro il casco, mentre sulla testa il cielo resta chiaro. E alle spalle la striscia di mare si fa sempre più sottile, e lontana. Però resta. E sarà lì di nuovo, quando vorrà rivederla.

Così come ci sarà Mitsui, ancora tra qualche anno. Anche se lontano.

Anche se cambiato, cresciuto, maturato.

Ci sarà. Su quella spiaggia, con i capelli in faccia e il vento alla schiena. Il mare a pochi metri di distanza, arrabbiato quasi con le onde.

Ci sarà. E Tetsuo non vuole sapere se quell’illusione un giorno si schianterà al suolo- né se un buco in pancia gli risparmierà il dolore di scoprirlo.

Perché in quel momento, a quella curva della sua vita, niente è più dolce, niente è più salato di quell’illusione.

E lui, quel dolce e quel salato, li terrà tatuati in mente. Per sempre.

***

Ok, forse Tetsuo è davvero troppo Ooc. Però a me piace immaginarlo così. È una figura strana, non ho ancora capito che pensarne. Comunque, credo che a Mitsui voglia bene davvero.

In ogni caso, scusate se è stata un po’ sconclusionata, l’ho scritta in tre riprese diverse, a distanza di mesi, e anche se a me sembra filare, beh, non so come pare a chi non vive nella mia testa. Molte cose a me sembrano scontate, poi però il mondo va come vuole…

Ma sono contenta. Che mi è venuta fuori meglio di come pensassi, ed erano mesi che non scrivevo qualcosa di cui fossi soddisfatta. Almeno un poco.

Magari sto blocco sta finalmente cominciando a sgretolarsi…. Lo spero.

E spero di potervi dire a presto. Spero di essere qui tra poco, di nuovo, con qualche capitolo su slam dunk o su un altro manga appena scoperto. Lo spero.

Per ora, vi saluto tutte. Un abbraccio fortissimo, e un grazie di cuore. Per tutto quel che scrivete. Che a volte, alla fine di una giornata, c’è davvero bisogno di dimenticare un po’ di tutto, annegando nel mare di Kanagawa, che ha gli occhi di Kaede, e il suo stesso calore.

Bacioni, alla prossima. Roh

   
 
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