Pasi domani andiamo al mare,
sei dei nostri?
Stavolta no Rita, voglio
stare con Emile, è una
giornata importante.
Dal
momento in cui Emile mi aveva dato la notizia dell’arrivo di
Luca nella band,
avevamo trascorso almeno un’ora seduti sul cofano
dell’auto a parlare di quella
meravigliosa novità, che avrebbe spazzato via una volta per
tutte le ombre
dalla vita professionale del mio Pel di Carota e solo quando terminammo
tutte
le parole e ci rendemmo conto che era giunta l’ora di
metterci in auto, accesi
il cellulare e vi trovai
il messaggio di
Rita.
Quando
ero immersa nel lavoro in cucina, spegnevo il cellulare, in modo da non
avere
distrazioni con telefonate o sms che potevano interrompere e
intralciare la mia
resa in cucina, per quel motivo quindi, lessi solo a
quell’ora del suo invito
per andare al mare, il giorno dopo.
Mi
sarei dovuta alzare presto per essere con loro e considerata
l’ora che avevo
fatto, avrei dormito ben poco… Ma non era quello ad
impedirmi di andare con i
miei amici, potevo rinunciare tranquillamente a qualche ora di sonno,
l’avrei
recuperata di sicuro nei giorni a venire.
Ciò
che m’impediva totalmente di essere con loro, nonostante le
giornate al mare
fossero per me una tentazione continua, era il
sapere che l’indomani sarebbe stata una
giornata memorabile a cui non volevo rinunciare:
quel giorno ci sarebbe stato il cambio della
guardia, Luca avrebbe portato in saletta la sua batteria e tutti gli
oggetti di
Claudio sarebbero stati finalmente messi da parte, in attesa di
restituirglieli. Quel tipo odioso non aveva avuto più il
coraggio di
avvicinarsi a casa Castoldi e nonostante l’aria trionfante
che assumeva nella
casa discografica, sapeva benissimo che se si fosse presentato in
quell’abitazione per reclamare il suo strumento, non avrebbe
ricevuto una calda
accoglienza… Per cui la batteria era rimasta ad uso e
consumo dei GAUS per le
audizioni, finché finalmente era giunto il giorno in cui
avrebbero potuto
disfarsi di qualcosa che ricordava costantemente ai ragazzi,
l’odiosa presenza
di quel vigliacco di Claudio.
Sarebbe
stata una giornata davvero importante per Emile e il suo gruppo e non
volevo
perderla, in più ero curiosa di conoscere il salvatore dei
GAUS, questo Luca
che già adoravo, per il solo fatto di aver riportato la
serenità nello sguardo
di Emile.
Avrei
rinunciato a tutte le vacanze di questa terra, per poter essere con lui
in quel
giorno così importante! C’era solo un piccolo
particolare che al momento,
m’impediva la realizzazione di quel desiderio: dovevo ancora
dire al mio ragazzo,
che avrei voluto assistere a quel giorno memorabile…
Mi
stava conducendo a casa e non sapevo se si sarebbe fermato a dormire o
meno,
per cui sarebbe stato meglio sfruttare il tempo del tragitto in auto,
per
rivelargli il mio desiderio… Eppure avevo delle remore nel
chiederglielo…
Ero
consapevole del fatto che il mio Pel di Carota mi parlasse molto
più facilmente
della sua vita professionale, tuttavia avevo sempre paura di essere
troppo
invadente, di essere oppressiva… Senza contare il fatto che
la mia ultima
intromissione era costata il batterista alla band, in un momento del
tutto
delicato.
«Emile…»
«Mh?»
aveva gli occhi piantati sulla strada e non perse tempo a rivolgermi il
suo
sguardo.
«Ecco…
avrei una cosa da chiederti…»
«Allora
chiedila.»
«Temo
la tua risposta.»
Frenò
all’improvviso e appena trovò un punto libero,
accostò, evidentemente
preoccupato da ciò che volevo dirgli. Una volta spento il
motore, mi rivolse il
suo sguardo ansioso:
«Quando
fai così, inizio a preoccuparmi… che hai
combinato?»
«Nulla!»
risposi offesa; perché doveva pensare che ci
fosse qualche casino dietro? Beh, in effetti conoscendomi, non aveva
tutti i
torti….
«E
allora cos’è successo di così terribile
da non riuscire a dirmelo? Mi fai
sentire un orco!»
«Forse
lo sei…» Mi rivolse uno sguardo ostile, stringendo
gli occhi, fingendo risentimento.
«Pasi…
vuoi dirmi che hai?»
«Ecco…
hai detto che domani Luca verrà a sostituire la batteria di
Claudio con la sua…
vero?»
«Sì…»
«Ecco…
vorrei-tanto-essere-li-con-voi!» dissi quella frase tutta
d’un fiato, per poi
nascondere la testa tra le braccia, timorosa di vedere la sua
reazione… In
tutta risposta sentii un rumore sordo insieme ad un suo sospiro.
«Proprio
non ce la fai, eh?» Alzai lo sguardo e lo vidi con la testa
appoggiata al
volante, totalmente vinto.
«A
fare cosa?» osai
rispondere a bassa
voce, con il viso sempre più basso e ancora nascosto dalle
braccia.
«Ad
essere messa in disparte… e a non avere paura di
parlare… Non riesco a capire
perché una persona come te, che non teme nemmeno le ire
degli dei, possa aver
paura di me!»
«Le
ire degli dei? Emile ma come parli?!»
«Non
tergiversare, tu! È la prima cosa che mi è venuta
in mente, del resto hai un
nome greco, perché non potresti temere le ire degli
dei?»
«Non
me lo ricordare per favore… lo sai che odio quel nome!
Allora mi rispondi?»
«Sei
tu che mi distrai! Hai perso la paura a quanto vedo… era
solo un modo per farmi
cedere?»
«Ma
no! Non sono una gatta morta come Serena, io!» dissi
risentita «Ho davvero
paura di farti arrabbiare…»
Emile
sospirò nuovamente: «D’accordo strega,
vieni pure… ci vedremo nel dopo pranzo,
prima che torni a lavoro.»
«Non
potevi prendere la mattinata libera? Tanto Gustavo non
c’è…»
«Non
c’è, ma si fida di me! E non voglio venir meno
alla sua fiducia, perciò domani
lavorerò come sempre…»
«Posso
venire con te?»
«EH?»
«Posso
venire a trovarti a lavoro? Così potremo tornare insieme a
casa tua, pranzare e
attendere i ragazzi!»
«Pasi,
io non vado a divertirmi…»
«Lo
so, ma avevo voglia di vederti a lavoro… Tu sai quello che
faccio e conosci
anche i miei colleghi… Io invece non so nulla di te, non
conosco l’ambiente in
cui lavori e mi sembra di perdere qualcosa d’importante che
ti riguarda!»
«Sei
più capricciosa del solito, stasera.»
Già…
ai suoi occhi dovevo sembrare davvero capricciosa… ma il
pensiero che presto
sarebbe andato via non mi dava tregua e sentivo costantemente il
bisogno di
sentirlo vicino a me… Dovevo farglielo capire in qualche
modo.
«Emile…
c’è una cosa che devo dirti…»
«Un’altra?»Un
«Sì…
e forse capirai un po’ di più le mie ragioni
dopo…»
«Ok…
dimmi tutto.»
«Qualche
giorno fa, sono stata con Iulia alla casa discografica… la
vostra.» Emile non
rispose, ma mi guardò sorpreso. «E vi ho visto
mentre parlavate con il vostro produttore…»
L’espressione
del suo viso si fece perplessa, evidentemente non riusciva a capire
dove volevo
andare a finire con quel discorso e rimase in silenzio in attesa che
continuassi.
«Io
non sapevo che eravamo dirette lì, Iulia mi ci ha portato
senza dirmelo, non volevo
invadere la tua privacy…» mi fece il gesto di
continuare, «Insomma, alla fine
ne sono stata felice, perché ho capito qualcosa in
più di te e del tuo mondo e mi
sono resa conto che ci sono aspetti di te che io non conosco
affatto… quindi ho
pensato che vederti nell’ambiente in cui lavori, mi avrebbe
fatto conoscere un altro
lato della tua
vita, che finora mi è
oscuro… Io vorrei sapere tutto di te, Emile! Vorrei
conoscerti davvero, in tutti
i tuoi aspetti e più tu ti ritrai, più io sento
il bisogno di sapere… Ho sempre
paura che tu non voglia aprirti completamente a me, invece io vorrei
che non ci
fossero segreti tra noi…»
Cercai
di essere più convincente possibile e per questo la mia
arringa fu un fiume di
parole in piena… Fiume che si spezzò quando Emile
mi strinse a sé.
«Pasi,
lo so che è difficile starmi accanto, lo so che ti do poco
spazio e che sono
sempre sfuggente… ma non devi dubitare in questo modo di me.
Non mi costa farti
essere presente domani mentre cambiamo gli strumenti e se vuoi venire a
visitare la bottega va bene, però non voglio in alcun modo
sentirmi costretto a
doverti includere in ogni cosa che faccio, solo perché tu ti
senti esclusa. Io
sono fatto così, ho bisogno dei miei spazi, non posso
inserirti in tutto ciò
che m’impegna e voglio che tu lo capisca, perché
dobbiamo imparare a rispettare
le nostre differenze prima di tutto. E sopra ogni cosa, non voglio
più sentirti
dire che hai paura di dirmi qualcosa. Sai tenermi testa senza problemi
e non
vedo il motivo per cui tu debba sentirti intimidita da me.»
Aveva
ragione, le sue parole non erano aspre, ma sentivo in pieno la sua
ferrea
volontà di non lasciare che m’intromettessi in
ogni aspetto della sua vita… Del
resto non poteva essere altrimenti: da quando aveva dichiarato
d’amarmi, il
nostro legame aveva trovato più stabilità ed
equilibrio, ma non dovevo
dimenticare la sua paura che io diventassi troppo importante, persino
più della
musica… Dovevo essere più forte e invece stavo
diventando solo più capricciosa!
«Scusami…
lo so che a volte esagero… ma ho sempre bisogno di sapere
che ci sei… Mi hai fatto
così felice prima, parlandomi di Luca, che forse non avevo
nemmeno il diritto
di chiederti altro… Invece non riesco a frenarmi, sono
sempre qui a chiederti
di più…»
«Streghetta,
io ci sono, mettitelo bene in testa, non vado da nessuna parte. Anche
se mi
allontano, l’incantesimo che hai lanciato su di me
è forte e non mi permette di
tenerti a distanza nemmeno se lo volessi ed io non lo
voglio…» Rincuorata da
quelle parole, mi strinsi maggiormente a lui.
«Rimani
a dormire da me?»
«Ok…
ma non fare storie se dovrò alzarmi presto!»
«Promesso!»
*****
La
bottega di restauro dove lavorava Emile fu facile da raggiungere, anzi,
avrei
potuto percorrere quel tragitto ad occhi chiusi. Il mio Pel di Carota
si era
alzato prima di me per andare a lavoro e mi aveva lasciato un biglietto
con
l’indirizzo della bottega: quando lessi il nome di quella
strada mi suonò del
tutto familiare, anche se non riuscii a comprenderne subito il motivo.
Ma prima
d’incamminarmi, di
colpo me ne resi
conto: su quella stessa strada c’era la scuola superiore che
avevo frequentato
per cinque anni!
Sono
davvero strane le coincidenze della vita: fino ad un anno prima, quel
luogo era
la mia casa, percorrevo quella strada due volte al giorno tutta la
settimana e
non mi ero mai accorta di quel negozio all’angolo, quel locale in cui Emile
lavorava da anni.
Le
nostre vite si sono sfiorate per tanto tempo senza essersi mai toccate
e nel
momento in cui non c’è stata più
occasione d’incontrarci, ci siamo imbattuti
l’uno nella vita dell’altra e viceversa…
La vita ha proprio uno strano modo di
andare avanti!
Passare
davanti alla mia ex scuola mi fece uno strano effetto: nonostante quegli anni
avessero costituito per
me una vera guerra, ora la guardavo con nostalgia, pensando ad un
periodo della
mia vita che si era concluso per sempre. Cinque anni in cui il mio
unico immenso
problema era costituito da quelle ore, scandite
dal tentativo di sopravvivere alle interrogazioni, ai professori e ai
miei
genitori insoddisfatti, evitando delle ramanzine e delle punizioni da
parte di
questi ultimi per il mio andamento scolastico, non proprio eccellente.
Un
periodo in cui io e Stè eravamo indivisibili: costantemente
compagni di banco,
nonostante costituissimo la coppia più rumorosa della
classe.
A
volte qualche insegnante aveva provato a dividerci, ma appena se ne
andava,
tornavamo ad occupare lo stesso banco, sapendo che gli altri professori
non
erano così severi. Ogni volta che litigavo con qualche
compagno di classe (e
capitava spesso, soprattutto contro gli odiosi secchioni egoisti che
non ci
aiutavano nemmeno se li imploravamo!) Stè se la rideva
divertito, ma era sempre
pronto a difendermi nel caso la situazione diventasse seria. Una volta
si era
beccato persino una sospensione, per avermi aiutato contro un nostro
compagno
di classe, che minacciava di dire all’insegnate che stavo
copiando… E alla fine
fummo sospesi entrambi e dovemmo rifare il compito da soli con il prof
davanti,
per non parlare delle punizioni piovute a raffica in casa!
Con
i bidelli invece era tutto un altro paio di maniche: le
nostre passeggiate per i corridoi del liceo
ci avevano fatto diventare i loro beniamini e avevamo sviluppato una
grande
amicizia con ognuno di loro, al punto da essere sempre informati
persino sulle
dicerie e i movimenti degli insegnanti.
Se
c’era da sapere qualcosa sulla presenza o meno di un
determinato professore ad
una determinata ora, le due Teste di Fuoco avevano i contatti giusti,
che in un
battibaleno avrebbero dato l’informazione, aiutando la nostra
intera classe a
sopravvivere. L’assenza di un professore particolarmente
severo era al pari di
una festa nazionale, tutti noi diventavamo all’improvviso
felici e rilassati
come se fossimo in vacanza!
Rimasi
ferma davanti ai cancelli della scuola per un po’ di tempo,
osservando
quell’edificio con gli occhi della memoria, immergendomi in
cinque anni di
ricordi, pensando a tutti i momenti vissuti su quei gradini
dell’ingresso, alle
riunioni con la classe prima di entrare, ai discorsi fatti in quel
cortile, a
tutti i litigi con i professori o tra i compagni di classe…
E dopo quel piccolo
tuffo indietro nel tempo, riassaporando una parte della mia vita che
(scoprii
al momento), iniziava a mancarmi, salutai ancora una volta quella
scuola che
sarebbe stata sempre una parte di me, mettendo alle spalle il mio
passato per
andare incontro al mio presente, che distava pochi metri da
lì.
La
bottega di restauro era ufficialmente chiusa per le vacanze, ma Emile
aveva
chiesto a Gustavo il permesso di lavorare nel laboratorio, posto nel
retro, per
poter terminare i suoi incarichi prima di lasciare del tutto quel
mestiere,
così non mi meravigliai trovando la serranda abbassata
sull’entrata principale
e mi diressi all’interno
della traversa
su cui faceva angolo l’edificio. Il laboratorio aveva
un’entrata ampia, che
avrebbe permesso l’ingresso anche ad un camion ed immaginai
che fosse proprio
quello l’uso a cui era destinato, in modo da poter scaricare
direttamente in
loco i mobili ingombranti come gli armadi. La serranda era aperta del
tutto,
ma la porta a vetri
satinati a due ante
era chiusa, un chiaro invito a “non
disturbare”… Del resto quando si lavora non
è il caso di distrarsi, anche se quella porta chiusa era un
gesto così tipico
di Emile che sorrisi all’idea: in fondo anche se non
l’avevo mai visto
all’opera in quel luogo, avrei potuto immaginarlo chiaramente!
Abbassai
la maniglia e spinsi la porta… ma non si
aprì… Evidentemente quella di chiudere
le porte a chiave era proprio una mania… malfidato di un Pel
di Carota!
«Emile!
Sei lì dentro? La porta è chiusa… se
non vieni ad aprire resto fuori!» Logica
inoppugnabile Pasi, complimenti!
Attesi
di sentire una risposta, ma non arrivò, allora iniziai a
picchiare sul vetro
cercando di non esagerare e continuai a chiamarlo.
«EMILE!
Sei lì dentro oppure no?»
Ad
un tratto sentii dei passi e intravidi la sua figura attraverso i vetri
e
quando aprì la porta capii perché non mi aveva
sentito: aveva ancora un
auricolare che gli pendeva dall’orecchio e l’altro
emetteva una musica talmente
alta da sentirsi a distanza… Ma quello era un dettaglio di
cui mi resi conto in
seguito, perché rimasi
per qualche
secondo ad osservare la sua tenuta lavorativa. Emile indossava un
camice bianco,
imbrattato da qualche strana sostanza che gli lasciava macchie
giallastre
addosso e una mascherina gli pendeva sul collo: il suo aspetto era
così
insolito, che mi lasciò senza parole, sembrava quasi
un’altra persona!
«Streghetta,
ti sei ammutolita?» Tornai alla realtà distratta
dalle sue parole e dissi la
prima cosa che mi passò per la mente.
«Sembri
un dottore!»
Il
mio Pel di Carota, mi osservò perplesso prima di comprendere
la mia esclamazione
e sorridere malizioso.
«Allora
si accomodi signorina, cosa può fare per lei questo
dottore?»
«Uhm…
mi faccia vedere di cosa è capace!»
Gli
risposi di rimando
sfidandolo e in tutta
risposta avvicinò
il volto al mio
orecchio e mi sussurrò: «Non tentarmi, altrimenti
chiudo prima.»
«Cosa
stai aspettando?» risposi
con un fil di
voce, già pronta a saltargli addosso.
«In
effetti potrei farci un pensierino…»
continuò con lo stesso tono sussurrante e
terribilmente eccitante… e
come sempre, dopo avermi fatto andare a fuoco con due sole parole, si
staccò da
me «…ma devo prima finire qui.» mi diede
un bacio e chiuse nuovamente la porta
a chiave, prima di dirigersi all’interno del laboratorio.
«Uff,
sei un mostro sadico!»
L’ambiente
era ampio e vasto: le pareti erano alte e la stanza era anche profonda,
poteva
entrarci davvero un intero camion all’interno!
Sembrava
essere una specie di garage riadattato per le esigenze di Gustavo.
Sulle
pareti c’erano bacheche su cui erano affissi vari strumenti,
ma la maggior
parte dei muri era occupata da pezzi di legno e da mobili antichi in
condizioni
più o meno disastrate. In corrispondenza delle bacheche, c’erano una
serie di tavoli larghi e molte
attrezzature di cui ignoravo lo scopo e nell’aria si sentiva
l’odore del legno
e di qualche sostanza chimica, che doveva essere usata per il
trattamento dei
mobili.
Seguii
Emile fino al punto in cui tornò a lavorare e vidi che si
stava dedicando ad
una consolle con specchio incorporato: il ripiano era sporgente nella
parte
anteriore a formare un semicerchio, ma questo terminava prima di
arrivare
all’estremità, formando due virgole in
corrispondenza degli spigoli. Le gambe
della consolle avevano la tipica bombatura dei mobili di un tempo e
anche la
cornice dello specchio, presentava riccioli e curvature che non erano
certo
appartenenti alla nostra epoca. Sul ripiano erano presenti degli
intarsi ed era
proprio su di essi che stava lavorando Emile, che nel frattempo aveva
rimesso
la mascherina sul viso.
Restai
a distanza immaginando che la sostanza che stava usando dovesse essere
tossica
ed evitai di farmi riprendere: trovai una sedia che doveva essere a
disposizione di chi lavorava, essendo decisamente moderna e mi ci
accoccolai su,
osservando il mio Pel di Carota al lavoro.
Emile
era intento a distribuire con il pennello quella specie di lucido e con
un
panno ne toglieva l’eccesso:
i suoi
movimenti erano rapidi e sicuri, gesti tipici di chi li ha ripetuti
talmente
tanto, da farli quasi meccanicamente. Restai ferma ad osservarlo
estasiata: era
talmente concentrato da non rendersi nemmeno conto che fossi
lì con lui,
nonostante non avesse rimesso gli auricolari nelle orecchie. In quel
momento mi
ricordò terribilmente suo padre alle prese con il quadro di
Claudine, talmente
immerso nella sua arte da dimenticare totalmente il mondo
all’esterno.
Quando
li conobbi, pensai che l’unica cosa ad accomunare quei due
fossero i ricci, ma
più li conoscevo e più mi rendevo conto di quanto
Alberto ed Emile fossero
davvero simili… e chissà che il mio Pel di Carota
non avesse ereditato anche il
talento artistico del padre, oltre che quello della madre…
L’immaginai
alle prese con tele e pennelli e pensai a quanto la sua immagine di
cantante/pittore potesse risultare affascinante… A quel
punto però, sentii una
fitta terribile di gelosia pensando allo stuolo di ragazze che avrebbe
attirato
e mi dissi che tutto sommato, era meglio che rimanesse solo uno
splendido
frontman, dato che sicuramente mi avrebbe dato dei grandi grattacapi
anche
così, senza metterci anche l’aria da artista a
tutto tondo!
«Streghetta…
sei ancora tra noi?» mi girai in direzione della sua voce e
vidi Emile con la
mascherina in mano che mi osservava incuriosito.
«Sì,
scusami… ero sovrappensiero… hai
finito?»
«Sì,
ho passato il lucido protettivo, ora deve seccarsi e quando
tornerò nel
pomeriggio potrò mettere da parte la consolle e dedicarmi al
prossimo mobile.»
«Posso
dare un’occhiata in giro?»
Mi
sorrise conciliante… «Certo, fai pure.»
… e iniziò a togliersi il camice,
mentre facevo un giro per il laboratorio.
«WOW!
E questi li hai fatti tutti tu?»
Ovunque
guardassi c’era un mobile antico: che si trattasse di un
armadio a tre ante o
di uno specchietto da tavolo, ero immersa nel passato, ogni oggetto
presente in
quel luogo, recava in sé la memoria di un tempo ormai
perduto, che poteva solo
essere rievocato flebilmente attraverso quella mobilia muta, ma
terribilmente
affascinante.
«Non
tutti, i mobili più antichi li lavora Gustavo…
non sono così bravo!»
«A
me sembri bravissimo!»
Lo
sentii avvicinarsi alle mie spalle e cingermi
la vita con le braccia: «Perché tu mi guardi con
gli occhi dell’amore.»
Mi
appoggiai a lui e misi le mie mani sulle sue: «Sbagliato,
sono convinta che tu
abbia talento, potresti diventare un bravissimo
restauratore!»
«Bene…
lo terrò presente per la prossima vita, allora.»
«Stupido!»
lo sentii sorridere: l’atmosfera era del tutto rilassata ed
io mi sentivo
totalmente a mio agio circondata dalle sue braccia e appoggiata a lui.
Nel
silenzio che seguì mi guardai intorno, respirando
l’aria dell’ambiente in cui
il mio Pel di Carota trascorreva le sue giornate, cercando di
assimilare
visivamente ogni cosa e cercando di percepire ogni odore presente in
quel
luogo, per imprimerlo nella mia mente una volta per tutte.
«Hai
mai trovato qualche oggetto personale antico, nei cassetti di questi
mobili?»
«Ovvero,
qualche vecchio diario, che rivelasse segreti romantici inconfessabili
,delle
donne di alta classe?»
«Sì…
una cosa del genere.»
«No,
niente di quel tipo… ma ho trovato una vecchia edizione del
Kamasutra dipinta a
mano.»
«EH?»
mi girai a guardarlo sorpresa e incuriosita…
e lo vidi sorridere con gli occhi oltre che con le labbra.
«Scherzavo,
piccola strega lussuriosa… Ho trovato solo un messale degli
inizi del novecento,
niente di eccezionale.» A quel punto tirai un pugno sullo
sterno ad Emile e mi
liberai dal suo abbraccio, infastidita e imbarazzata, mente lui si
faceva una
sana risata ai miei danni.
«Antipatico,
ti diverti a prendermi in giro!»
Mi
prese per una mano e mi attirò a sé:
«Sì, perché adoro il tuo volto
imbarazzato.» e mi diede un bacio che di casto non aveva
nemmeno le sembianze… «Ora
che ne dici se questo dottore ti
sottopone ad un bel check-up completo?»
*****
Dopo
un antipasto ad alto carico energetico, il pranzo fu preparato alla
velocità
della luce: la fame ci divorava e cresceva sempre più
l’ansia per l’arrivo dei
ragazzi, così non ci sperticammo nel creare piatti
elaborati. Ma mentre
eravamo intenti in quelle faccende
domestiche, Emile d’un
tratto si rese conto di un’assenza in casa sua:
«Chissà
se Lucien viene a pranzo…»
Sapevo
benissimo che non sarebbe stato dei nostri, dato che era al mare con il
resto
del gruppo, ma non volevo rivelare al mio Pel di Carota di aver
rinunciato ad
una giornata con i miei amici per stare con lui, temevo che potesse
arrabbiarsi
con me, dopo il discorso della notte precedente… Così spostai
l’argomento su un terreno che
m’interessava sondare:
«Ora
si che sembri un fratellino premuroso.»
Ero
felice di vederlo pensare a suo cugino, di vederlo preoccuparsi della
sua
presenza a tavola e sorrisi incoraggiante, ma dal canto suo Emile mi
guardò con
la coda dell’occhio in un’espressione di sfida,
senza aprir bocca.
«Su
Testone, ammettilo che ti sei affezionato a lui!»
Fece
un sorrisetto ironico e continuò a dedicarsi al pranzo,
prima di rispondere: «È
solo praticità, è ovvio che sapendo che ci sia
anche lui, mi chieda se verrà a
pranzare o meno… abbonderò con le porzioni, in
caso torni.»
Testardo
fino all’inverosimile! Sapevamo entrambi che il suo gesto
d’includere Lucien
nella lotta a suon di salse, di qualche giorno prima, era stato una
silenziosa
accettazione che suo cugino facesse parte della famiglia e
ciononostante, non
voleva ammettere ad alta voce che Lucien era riuscito a fargli
abbassare le
barriere e farlo ricredere sui suoi parenti francesi.
Rimasi
ad osservarlo silenziosa, ma con uno sguardo di sfida che rifletteva
perfettamente il suo: sentendosi osservato, si girò di colpo.
«Che
c’è? Qualcosa non va?»
«Resterò
qui ad osservarti, finché non ammetterai che Lucien ti
è simpatico!» Emile mi
guardò perplesso, smise di trafficare vicino alla cucina,
incrociò le braccia e
mi guardò con espressione di sfida.
«E
perché mai dovrei ammettere una cosa simile?» Era
sulla difensiva, eppure c’era
una luce di divertimento negli occhi… Forse gli piaceva il
mio modo di incaponirmi
sulla sua testardaggine…
Che
bella coppia di teste dure eravamo, ma questo era stato chiaro sin dal
principio… Avevo sempre saputo che tra me e il mio Pel di
Carota ci sarebbero
stati più battibecchi che momenti di pace!
Incrociai
anch’io le braccia imitandolo e accolsi la sfida divertita.
«Perché
so che non lo farai mai se non ti costringo e so che Lucien merita
questo
riconoscimento.» continuò imperterrito ad
osservarmi sulle difensive, ma un
sorriso sghembo si disegnò sul suo volto e con una luce
maliziosa negli occhi
si chinò verso di me.
«È
meglio di ciò che credevo… talmente meglio che
credo di essermene innamorato.»
Se
all’inizio di quella frase stavo già gongolando
trionfante, quando la terminò
mi sentii presa nuovamente per i fondelli e offesa gli tirai un pugno
sul
braccio: «Antipatico di un Pel di Carota, testardo e
sadico!»
Emile
dal canto suo incassò il mio colpo con noncuranza, iniziando
a ridere divertito:
«Oddio
Pasi, vedessi la faccia che hai fatto!»
«Ti
odio!»
Incrociai
le braccia risentita, mentre Emile si piegava in due dalle risate:
«Ahahahhahahaahh!»
Ero
davvero offesa per quel suo modo di prendersi gioco di me, eppure il
suono
delle sue risate, un suono che non avevo mai sentito così
forte e così sincero,
m’infuse una grande serenità nell’animo:
chissà da quanto tempo Emile non
rideva di gusto come in quel momento e anche se non mi era piaciuto il
modo,
ero davvero felice di avergli donato l’occasione per
risollevarsi lo spirito,
con una sana risata.
Amavo
sentire la sua voce quando mi parlava, amavo sentirla ridotta ad un
sussurro
vicino al mio orecchio e l’adoravo quando si trasformava
intensificandosi nel
canto… Ma il suono di quella risata, d’improvviso
mi sembrò la melodia più
bella del mondo.
*****
Preparare
il pranzo insieme al mio Pel di Carota si rivelò nuovamente
un’esperienza
piacevole e ancora una volta, mi resi conto di come un gesto quotidiano
potesse
assumere un valore così alto, se condiviso con la persona
che ami… Probabilmente,
persino andare all’ufficio postale per pagare una bolletta,
sarebbe stata
un’esperienza dolcissima se l’avessi condivisa con
lui!
Una
volta pronto, il nostro pranzo fu letteralmente divorato:
più si avvicinava il
momento, maggiormente ci sentivamo su di giri per l’imminente
arrivo del giro
di boa; non vedevo l’ora di conoscere Luca e fremevo
all’idea di vedere la
gioia sul volto di Emile, che dal canto suo iniziava ad essere sempre
più
sorridente.
A
volte durante il pranzo lo coglievo perso in qualche pensiero tutto
suo, con un
sorriso soddisfatto e una luce letale negli occhi e capivo
immediatamente che
stava pensando al futuro dei GAUS senza Claudio. Io riuscivo solo a
focalizzarmi sul senso di sollievo che provavo, ma per lui doveva
aprirsi un
mondo nuovo di possibilità: finalmente era libero di
procedere secondo i suoi
piani, di gestire l’andamento del gruppo secondo la sua
volontà, senza intralci
da parte di quel tipo odioso…
Il
fuoco che emanava dallo sguardo quando si concentrava sul suo futuro da
musicista, m’immobilizzava: Emile ardeva di determinazione, i
suoi occhi
rilucevano della luminosità
dell’acciaio… Niente l’avrebbe mai
distolto dalla
musica, ecco perché non aveva minimamente contemplato
l’idea di lavorare come
restauratore, in quella vita.
Il
suo futuro era la musica, per lei avrebbe vissuto e in lei avrebbe
sempre
creduto.
Al
di là del desiderio di riscattare Claudine, in Emile la
musica scorreva nelle
vene insieme al sangue e anche se sua madre fosse stata diversa, anche
se fosse
stata una casalinga felice, sicuramente il mio Pel di Carota avrebbe
scelto la
musica. Non c’era altra via, non c’era
un’altra scelta: senza musica, non
poteva esserci nemmeno Emile.
Quando
finalmente giunse l’ora e suonarono al citofono,
andò alla porta correndo
felice come una Pasqua: era così diverso dal ragazzo
impassibile e sarcastico
che conoscevo, che rimasi a riflettere su quanto gli avvenimenti
funesti della
sua vita lo avessero cambiato. Forse se Claudine fosse stata una madre
normale,
quel sorriso che gli vedevo ora sul viso non sarebbe stato un miracolo,
ma
avrebbe fatto parte del suo quotidiano… Emile sarebbe stato
sicuramente un
bambino più sereno e molto meno diffidente…
Purtroppo,
con i se e i ma non si costruisce alcunché e smisi di
perdermi in quelle
riflessioni, per godermi quel presente in cui il mio Pel di Carota
rideva e
scherzava con i suoi compagni di band.
Davanti
al cancello di casa, vidi parcheggiato un furgoncino nero con alcune
immagini
aerografate: dalla portiera del passeggero vidi scendere Francesco,
mentre le
porte posteriori venivano aperte da un tipo che non riconobbi e che
doveva essere
Luca. Dal furgoncino emerse Filippo, mentre gli altri due entrarono
nell’abitacolo.
Emile andò loro incontro, aprendo il cancello e dando una
mano a prendere i
pezzi della batteria e come tante formichine operaie, uno alla volta
arrivarono
verso di me, che li osservavo sulla porta.
In
un’altra occasione mi sarei fiondata a dare una mano, ma in
quell’occasione mi sentii di troppo e
rimasi ad osservare: quello era un momento speciale per loro, era un
nuovo
inizio, c’era dentro una collezione di speranze che non
potevo comprendere e
una mia intromissione anche solo per trasportare gli strumenti, mi
sembrò
inopportuna e indesiderata.
Il
primo ad entrare in casa fu Filippo.
«Ehilà
Pasi, da quanto tempo non ci vediamo!»
aveva le mani occupate da tre borse rotonde e poco spesse
che di sicuro
contenevano i piatti della batteria.
«Ciao
Filippo! È trascorso davvero tanto tempo
dall’ultima volta che ci siamo visti!»
«Sì…
da quando abbiamo cenato insieme qui… c’erano
anche i tuoi amici, vero? A
proposito, come sta Stefano?»
«Benone,
oggi è al mare a divertirsi.»
«Ah…
il mare… quanto mi manca! Non so più da quanto
tempo non vado a farmi una bella
nuotata.» Eravamo ancora sulla soglia e gli altri stavano
arrivando, per cui
onde evitare di bloccare il traffico, mi spostai con il bassista in
direzione
della saletta e a quel punto, vedendolo armeggiare con il suo bagaglio,
mi
sembrò poco gentile non offrire il mio aiuto.
«Vuoi
una mano a trasportare quelle borse?»
«Ah,
sì grazie, predi questa… attenta però,
Luca è geloso dei suoi bambini!» mi
porse una delle borse che aveva in mano e dal suono prodotto, compresi
che i
bambini di Luca erano effettivamente i piatti. Con tutta
l’accortezza di questo
mondo, li portai nel sottoscala, appoggiando la borsa sul tavolo, una
volta
giunta a destinazione.
In
breve fummo raggiunti anche dagli altri e Francesco non
mancò di salutarmi
calorosamente: «Pasi, ci sei anche tu? Che piacevole
sorpresa! Come hai fatto a
convincere Emile a farti stare qui? Sei davvero la donna dei
miracoli!»
Quel
ragazzo era sempre schietto e sincero… mi domandavo come
riuscisse a ironizzare
su quel lato del carattere di Emile, senza prendersi continue
ramanzine… In
fondo non faceva che sottolineare quello che anche Claudio aveva detto
al mio
Pel di Carota… però era anche vero che i toni
usati erano del tutto differenti…
Non ne sapevo il motivo, ma di sicuro Emile
rispettava Francesco molto più di quanto non facesse con il
loro ex batterista.
Anche
Francesco era sommerso di borse, molto più ingombranti
rispetto a quelle di
Filippo, che nel frattempo era scomparso, probabilmente diretto a
prendere il
resto dei bagagli.
«Ma
quanto è grande questa batteria?» esclamai
sorpresa.
«È
bella ingombrante Pasi… forse non te ne sei resa conto
perché è sempre in fondo
al palco, ma è lo strumento più scomodo da
trasportare, in assoluto! Infatti
credo che una volta messa qui, Luca la sposterà solo per
qualche serata
importante!»
«Sbagli
del tutto, questa non si sposta proprio! Per le serate ne ho
un’altra a casa!»
d’improvviso mi girai in direzione della voce proveniente
dalle scale: Emile e
un altro ragazzo stavano trasportando il pezzo più grosso
della batteria, oltre
ad avere a tracolla altre sacche lunghe e strette: ecco che finalmente
potevo
conoscere il salvatore dei GAUS.
«Ah
ecco! Mi sembrava strano che facessi tutta la fatica di smontarla e
riportarla
qui, ogni volta!»
Francesco
fece un sorriso ironico in direzione dell’amico, che una
volta sceso le scale,
fu finalmente alla portata della mia vista.
«Luca,
lei è Pasi, la mia ragazza… Pasi, lui
è Luca, il nostro nuovo batterista.» Emile mi guardò
divertito, sapeva che la mia
curiosità in quel momento era ai massimi livelli e aspettava
di vedere la mia
reazione a quell’incontro.
«Quindi
tu sei la famosa donna dei miracoli… piacere mio!» Luca mi porse la mano con
un’espressione che
non riuscii a decifrare: sembrava serio, ma qualcosa nel suo viso mi
diceva che
non era affatto così… Aveva usato la stessa
espressione di Francesco, per cui
immaginai che si riferisse a qualche battuta che doveva aver scambiato
con
l’amico.
Osservando
bene quel viso, mi sembrò di averlo già visto:
aveva i capelli corti e castani,
spettinanti sulla testa con il gel, una fila di piercing
all’orecchio destro,
proprio come Emile e un paio di occhiali da vista sul naso, dietro cui
si
vedevano due occhi scuri che avevano l’aria di guardare a
fondo le persone… Dove
avevo già visto quel tipo?
«Mi
stai facendo la radiografia o non ci vedi bene?» quanto tempo
ero rimasta ad
osservarlo? Complimenti Pasi,
nemmeno il tempo di conoscerlo che già hai
fatto la prima figuraccia!
«Ehm,
no, ecco mi stavo chiedendo dove ti avessi già
visto… hai l’aria familiare…»
«Se
frequenti i pub, allora l’avrai visto di sicuro mentre beveva
come una spugna!» intervenne
Francesco, sorridendo in direzione
dell’amico.
A
quel punto Emile si avvicinò per chiarirmi le idee:
«Forse l’hai visto durante
qualche nostro Live… prima di partire ci seguiva
sempre.»
«Sì,
gufava contro Claudio, sperando che gli capitasse qualche
accidenti!» Francesco
continuò imperterrito a prendersi gioco
dell’amico, che dal canto suo rispose
senza fare una piega.
«Ovvio,
quel tipo non mi è mai piaciuto…»
«Solo
perché non usava il China *!
Non credi di essere un
po’ troppo classista?»
«No,
io capisco subito di che pasta è fatta una persona e quel
tipo oltre a non
usare il China, è un perfetto imbecille!»
Di
certo Luca non era uno che la mandava a dire… Almeno di
sicuro non avrebbe
tramato qualcosa alle spalle come Claudio, era centomila volte meglio
avere
accanto qualcuno, che anche rudemente ti spara le verità in
faccia, piuttosto
che un finto amico che ti accoltella alle spalle…
Soprattutto alla luce degli
ultimi eventi, se voleva raggiungere il suo obiettivo, Emile avrebbe
dovuto
circondarsi di persone fidate.
Durante
quel battibecco tornò Filippo, portando con sé il
resto del carico: «Qualcuno
vada a chiudere la porta, non avevo le mani libere per
farlo.»
Emile
corse via diretto all’ingresso, mentre noialtri aiutammo il
bassista a
districarsi con le ultime sacche.
«Luca,
guai a te se deciderai di spostare questa batteria!» disse
con un accenno di
stanchezza nella voce, dopo aver depositato tutto il suo bagaglio.
«Non
preoccuparti Fil, la vecchia Betsy resta qui, nessuno la
smuoverà!»
«Betsy?»
chiesi curiosa e Francesco sorridendo mi aiutò a comprendere.
«Hai
presente Robin Hood della Disney? Luca adora quel cartone al punto da
aver
chiamato la batteria come la balestra del corvaccio, che faceva la
guardia al
castello.**»
«A
dir la verità era un avvoltoio, Frà.» lo
corresse Filippo.
«E
vabbè, sempre uccellacci sono!»
«Eh
no, non confondere, i corvi sono splendide creature, nonché
simbolo della dea
Morrigan***…
uhm… ci starebbe bene un
tatuaggio!» Luca prese un taccuino dalla
tasca posteriore del jeans e iniziò a scribacchiare
qualcosa, mentre io rimasi
senza parole… Non sapevo se sorridere per il continuo
scambio di battute a cui
avevo assistito, o per il modo in cui il batterista si era totalmente
alienato
dal mondo circostante per concentrarsi sul suo disegno…
Fu
solo in quel momento che mi resi conto di un’assenza: «Ma Maurizio non
è con voi?»
«Aveva
un impegno oggi e quindi non ha potuto partecipare al
“rito”.» mi rispose
Filippo e dopo una piccola pausa, suo fratello prese la parola.
«Ragazzi…
non vorrei mettere zizzania ma… siamo sicuri di
Maurizio?»
«Non
vorresti, ma lo stai facendo, fratello!»
«Lo
so Fil, ma sappiamo tutti quanto lui e Claudio siano legati…
e sappiamo anche
molto bene quanto poco si sia espresso su tutta la
faccenda…»
«Sì,
ma fino a prova contraria è ancora uno di noi e non possiamo
incolparlo di
qualcosa che non ha fatto.»
«E
chi l’incolpa, Fil?! Sto solo dicendo che sarebbe meglio
tenerlo sotto
controllo.»
«A
me quel tipo non piace, se ne sta sempre troppo zitto.» disse Luca esordendo
sull’argomento.
«Tu
non fai testo, le persone che ti vanno a genio si contano sulle dita di
una
sola mano!» rispose
Filippo.
«A
meno che non abbiano un bel paio di tette!»
rincarò la dose Francesco e quando
suo fratello gli rivolse un’occhiata rimproveratrice, si
rivolse a me: «Senza
offese, Pasi!»
«Ah
figurati, fate pure come se non ci fossi!» ero abituata a
quel genere di
battute, ed ero felice di essere con loro in quel momento, anche se
ciò che
stavano dicendo nei riguardi di Maurizio mi metteva addosso una strana
ansia.
In quel momento sopraggiunse Emile, con delle buste che sarebbero state
riempite dagli oggetti di Claudio. Vedendolo arrivare, Francesco gli
andò
incontro.
«Tu
che ne pensi Duce, dobbiamo fidarci di Maurizio?»
«Duce?»
risposi sorpresa, guardando Filippo che, dal canto suo, sorrideva
divertito.
«Mio
fratello ha battezzato Emile col termine Duce perché
è il nostro esimio dittatore.»
Il sorriso di Filippo
si ampliò soddisfatto ed io rimasi inizialmente senza
parole, ma dopo poco mi
ritrovai a sorridere a mia volta,
trovando il soprannome decisamente indicativo del modo di
fare di Emile,
all’interno del gruppo.
Il
Duce in questione invece, stava rispondendo alla domanda di Francesco:
«Di
Maurizio mi fido poco, forse anche meno di Claudio, ma non posso
gettarlo fuori
dal gruppo solo perché non mi è
simpatico… Teniamolo d’occhio e facciamo
attenzione ai suoi movimenti, al primo errore è
fuori.»
Emile
aveva un tono deciso e sicuro, probabilmente rifletteva su
quell’argomento da
tempo, perché non aveva avuto la minima esitazione, nel
dichiarare che sarebbe
bastato un solo pretesto per mettere alla porta Maurizio. Del resto, i
chitarristi non mancavano in giro e comunque la
sua presenza non era di vitale importanza, come
lo era stata quella di Claudio in qualità di batterista:
Emile avrebbe potuto
sostituirlo senza problemi. Ciò che mi inquietava
però, era l’idea che potesse
tramare qualcosa alle spalle degli altri: se era davvero
così legato a Claudio,
come facevano ad essere così sicuri che non avrebbe creato
problemi?
I
ragazzi non si persero in ulteriori chiacchiere e in men che non si
dica,
smontarono la batteria di Claudio, rimasta in saletta per le audizioni
e la
impacchettarono bene e meglio per riportargliela, mentre Luca ripuliva
meticolosamente la postazione, sostituiva il tappeto con il suo e
montava con
estrema cura e precisione tutti i pezzi della sua Betsy .
«Allora,
quando si suona?» esordì, dopo aver provato il
suono di ogni singolo pezzo.
«Al
più presto, credimi! Purtroppo ora devo tornare a lavoro, ma
se ci siete, nel
fine settimana possiamo farci una bella suonata insieme.»
Emile era appoggiato
al tavolino: Luca non aveva voluto aiuti nel montare la batteria e i
ragazzi
erano rimasti a chiacchierare all’esterno della saletta, ma
il mio Pel di
Carota si era distratto varie volte per osservare il batterista al
lavoro e
ogni volta notavo nei suoi occhi, la stessa luce che gli avevo visto
mentre
pranzavamo. Sentivo la sua ansia di suonare come se la stessi provando
direttamente: nel momento in cui la nuova formazione dei GAUS si
sarebbe
riunita, Emile sarebbe rinato, per cui potevo immaginare quanto
dovessero
sembrargli lunghi quei giorni, che lo mantenevano a distanza dalla
musica.
«Duce,
perché non organizziamo anche qualche live? Così
ci sgranchiremo le ossa prima
di partire e presenteremo anche quell’orso di batterista che
ci ritroviamo
ora!»
La
luminosità dell’acciaio tornò a
riflettersi negli occhi di Emile, che con un
sorriso astuto rispose: «Ci stavo già
pensando… lo faremo di sicuro!»
*****
«Quindi
si sono riappacificati! Oh che bella notizia!»
Abbracciai
Rita in preda alla gioia e a un sollievo senza pari: due giorni dopo la
loro
gita al mare, la mia amica mi aveva chiamato perché voleva
stare un po’
con me, ma
soprattutto perché voleva
parlarmi, così era venuta a trovarmi una mattina, mentre ero
al centro.
Da
quando mi aveva aperto gli occhi sull’interesse di Sofi nei
confronti di
Lucien, non avevamo più avuto occasione di discutere
dell’argomento, né di
confrontare le relative opinioni alla luce dei fatti. Dopo il loro
litigio a
teatro, le cui ragioni restavano oscure ancora ad entrambe, quei due si
erano
riappacificati andando al mare insieme e a quella notizia il mio senso
di colpa
si dileguò all’istante, ma in compenso la
risolutezza di non impicciarmi più
nella vita privata di Sofia, rimase saldamente ancorata alla mia anima.
Non
avrei più scherzato col fuoco, per cui se Rita avesse avuto
altre idee, le
avrei detto chiaramente che me ne sarei tirata fuori.
Ma
a quanto sembrava, anche lei era del mio stesso parere: «Sofi
è un osso duro,
se c’intromettiamo troppo, rischiamo solo di peggiorare la
situazione… Non ho
mai fatto insinuazioni ma ogni volta che le ho chiesto cosa fosse
accaduto tra
lei e Lucien, si è chiusa a riccio su se stessa e so che
quando fa così, c’è
ben poco da fare. A questo punto mi limiterò ad osservarla
da lontano,
assicurandomi che sia più socievole possibile. Ultimamente
sta dando proprio il
peggio di sé e temo che crescendo s’inacidisca
sempre più, invece di trovare un
po’ di gioia nell’animo.»
«Io
stento a capirla, però se tu hai visto giusto ed io ne sono
stata molto
convinta, credo che in qualche modo quei due si
avvicineranno… se non
dov’essere così, vorrà dire che non era
Destino…. Ho rischiato di perderla e
non voglio più intromettermi, la vita privata delle persone
deve restare tale
finché loro non ti danno il consenso
d’immischiarti. Con Sofia non si può
giocare d’azzardo, o almeno io non posso, non abbiamo
abbastanza confidenza
perché lei mi perdoni, come fa con te.»
«Ma
dai Pasi, Sofi ti vuole bene.»
«Sì
lo so… ma sai anche che non è brava a dimostrarlo
e che è molto diffidente… Già
con te che la conosci da sempre a malapena riesce ad aprirsi,
figuriamoci con
me!»
«Sì,
è vero… infatti io e lei abbiamo fatto un patto
proprio a questo riguardo... e qui
entri in gioco anche tu!»
«No
Rita, non voglio più immisch...»
«Aspetta,
fammi finire… che ne dici di una bella settimana in montagna
da me? Ci saremo
tutti, sarà un’occasione per staccare dalla
routine e per trascorrere una
specie di vacanza lontano dal mondo. Saremo in totale contatto con la
natura e
ti assicuro che si sta davvero bene. Sofi mi ha promesso che
cercherà di
socializzare il più possibile con tutti questa settimana,
proprio perché è
sempre così restia a lasciarsi andare… magari ne
puoi approfittare per rafforzare
il tuo legame con lei… Ah, ovviamente è invitato
anche Emile…»
Rita
aveva uno sguardo carico di speranza
negli occhi e il Signore solo, sapeva quanto mi attirava
quell’idea e quanto
sarei stata felice di trascorrere una settimana attorniata dai miei
amici e in
compagnia persino del ragazzo che amavo… ma conoscevo Emile
e sapevo che non
avrebbe mai accettato di essere parte della comitiva.
Non
si sentiva ancora a suo agio con i miei amici e una settimana in mezzo
a loro,
sarebbe stata infernale per lui… senza contare la presenza
di Stefano… Inoltre
con gl’impegni alla bottega e alla casa discografica, per non
citare il
desiderio di suonare con la nuova formazione, anche volendo non avrebbe
avuto
un minuto libero. Era impensabile che accettasse di essere con
noi… e
automaticamente era impensabile che io lo lasciassi da solo in
città
andandomene in montagna, sapendo di sprecare un’intera
settimana a disposizione
per vederlo!
Guardai
Rita e il dispiacere per la risposta che stavo per darle mi contrasse
lo
stomaco, ma sapevo che nonostante Emile non avrebbe fatto alcun gesto
per
impedirmelo, se fossi andata con loro mi sarei dannata tutto il tempo,
per aver
sprecato giorni preziosi da dedicare a lui.
«Rita
non sai quanto mi piacerebbe…»
«Ma
non puoi.»
«Già…
vedi ho poco tempo per stare ancora con Emile prima che parta
e…» Eravamo
sedute sul piccolo sofà messo in un angolo nella mia stanza
e Rita poggiò una
mano sulla mia, stretta a pugno sul grembo, confortandomi.
«Lo
so Pasi, l’avevo già immaginato e sinceramente
già sapevo la tua risposta. Tuttavia
mi sembrava scorretto non tentare la sorte, chiedendoti personalmente
di essere
con noi.»
«Non
sai quanto mi dispiace! Io vorrei essere davvero con voi, non sto
prendendo
questa decisione alla leggera, sai bene quanto ci
tenga…» ero
un fiume in piena, speravo con tutto il
cuore che la mia amica non mostrasse risentimento verso di me e
soprattutto
verso Emile, come mi era sembrato che avesse fatto tempo addietro a
mare. «…è
una decisione mia, Emile non c’entra, anzi sicuramente si
arrabbierebbe con me
sapendo che rinuncio, ma…»
«Pasi,
calmati, ehi, stai tranquilla! Non ti sto incolpando, né lo
sto facendo con
Emile! Lo so che vuoi stare con lui perché a breve
partirà e dovrai convivere
con la sua assenza, lo capisco benissimo e non ti sto
giudicando.»
«Non
sei arrabbiata nemmeno con Emile?»
«Ma
no… perché dovrei esserlo?»
«Perché
quella volta al mare, hai appoggiato Sofia…»
chinai la testa triste.
«Ma
Pasi, quello è un altro discorso! Sì è
vero, ho appoggiato Sofi, ma perché
nemmeno io tollero quei comportamenti imbarazzanti in
pubblico… Non ho nessun
motivo per essere arrabbiata con Emile, non mi è piaciuto il
modo in cui si è
comportato, perché ha messo in imbarazzo te e Stefano che
siete miei amici, ma
non posso per questo criticarlo a priori. Il tuo ragazzo ha un
carattere difficile
e per certi versi somiglia molto a Sofi, per cui non posso che cercare
di
comprenderlo. Del resto non ha un passato facile alle spalle, da un
certo punto
di vista è naturale che abbia un modo enfatizzato di
esternare ciò che sente.
In generale si reagisce ai traumi sempre eccedendo, che si tratti di
totale
chiusura o di libero sfogo delle proprie emozioni.»
La
psicologa che era in lei era sempre pronta a fare un’analisi
delle persone che
aveva accanto: Rita non era ancora laureata e già era
vittima della
deformazione professionale!
La
sua analisi attenta dell’animo del mio Pel di Carota, ebbe un
effetto calmante
su di me: avevo temuto che i miei amici non lo vedessero di buon occhio
e
invece in quel momento miei dubbi iniziarono a svanire. Come speravo,
avevano
compreso il motivo che spingeva il mio Pel di Carota ad agire in quel
modo
eccesivo…o almeno la maggior parte di loro…
perché dubitavo che Sofi
comprendesse in pieno, nonostante fosse la persona che più
avrebbe dovuto
capire le ragioni di Emile.
Sollevata
da quella constatazione, tornai ad abbracciare la mia amica.
«Non
sai quanto mi faccia piacere, sentirti dire certe cose! Ho temuto che
Emile vi
fosse antipatico e non sapevo come gestire la situazione:
l’idea che ci fosse
dell’astio tra voi e lui mi immobilizzava, mi sentivo
spaccata in due…»
«Oh
Pasi, ma scherzi? Il tuo ragazzo non ha di certo un carattere facile,
ma mai mi
sognerei di metterti davanti ad una scelta! Del resto abbiamo anche noi
un
elemento complicato nel gruppo, saremmo degli ipocriti a non volere
Emile tra
noi, mentre perdoniamo a Sofi tutto ciò che dice.»
«È
vero… lei odia sentirselo dire, ma è molto simile
a lui e più gli sto a
contatto, maggiormente riesco a capire lei…
forse…»
A
Rita sfuggì una risata: «Sofi si comporta da
vecchia acida, ma poi teme di
essere considerata una bisbetica… come ti dicevo,
è un soggetto complicato.»
«Decisamente…»
«Spero
che Lucien riesca ad ammorbidirla.»
«Pensi
che ci riuscirà?»
«Chissà…
io lo spero.»
«Ehi…
c’è nessuno qui?» La voce di
Stè all’ingresso del centro ci distrasse dalla
nostra conversazione.
«Siamo
qui, Testa di Paglia!»
Appena
lo chiamai, quella pertica bionda fece capolino nella stanza e ci
rivolse il
suo solito sorriso solare:
«State
confabulando qualcosa, vero? Avete la tipica aria del complotto, sulla
faccia.»
«Stè,
ma per chi hai preso?! Stiamo solo chiacchierando amabilmente, come due
amiche
che non si vedono da un po’.»
«Appunto,
state confabulando… due donne sole sedute accanto non
possono fare altro.»
disse sorridendo, soddisfatto di sé.
«Ma
no Stefano, le stavo dicendo della settimana in montagna.»
«Ah!
Verrai con noi?» mi guardò son una piccola luce di
speranza.
Avevamo
già affrontato quel discorso, avevo già detto a
Testa di Paglia che quell’anno
non avrei trascorso le vacanze con loro, tuttavia vidi nei suoi occhi
la
speranza di avermi accanto come sempre in quella settimana di
svago… e sapere
di dover deludere anche le sue aspettative, mi fece sentire
incredibilmente in
colpa.
«No,
Stè… mi dispiace ma non ce la
faccio…»
«Ah…
Capito.»
«Ti
ricordi che te ne ho già parlato, vero? Emile a breve
andrà via e non riesco a
pensare di lasciarlo per una settimana, sapendo che in seguito non lo
vedrò per
mesi...»
«Sì,
lo so Testarossa, in fondo già sapevo la tua
risposta… Ma sai com’è, la speranza
è sempre l’ultima a morire.» mi rivolse
un sorriso conciliante, ma sapevo che dentro di sé
c’era rimasto male.
«Stè
davvero, io verrei con tutto il cuore… ma so che poi me ne
pentirei… Se potessi
dividermi lo farei!»
A
quel punto Rita si alzò dal divano…
«Vado a chiamare Fede, così chiacchierate
da soli.» …ed
uscì dalla stanza,
fermandosi a scambiare un’occhiata con Stefano, mentre
quest’ultimo si
avvicinava a me per accomodarsi sul bracciolo del sofà ed io
continuai la mia
arringa difensiva.
«Lo
so che mi sono ripromessa di non perdermi dietro la sua vita, di non
annullarmi, ma non ce la faccio ad allontanarmi da lui, sapendo che a
breve
sarà via da me per mesi…» Abbassai lo
sguardo colpevole e Stè mi circondò le
spalle con un braccio.
«Testarossa,
sembra che ti stia giustificando più con te stessa che con
me… Mi dispiace non
averti tra noi, ci saremmo divertiti molto di più con la tua
presenza… ma lo so
quanto sia importante per te stare accanto ad Emile… Del
resto non possiamo
fare sempre tutto insieme, non siamo più a
scuola…»
«Stè…
mi sto perdendo di nuovo?»
La
mia paura di annullarmi, stava tornando prepotentemente in quel
momento: mi
stavo comportando come mi ero ripromessa di non fare più,
eppure non riuscivo a
fare a meno di agire in quel modo… Ero davvero senza
speranza? E se fossi
caduta di nuovo nella vecchia abitudine di vivere in base agli impegni
del mio
ragazzo, finendo col perdere non solo me stessa, ma anche lui?
Alzai
il viso verso Testa di Paglia, preda della confusione.
«Ricordi
cosa ti ho detto, quando avevi paura di lasciarti andare a
ciò che provi per
Emile? Che ti avrei fatto notare quando avresti esagerato?» gli feci un cenno di
assenso «Allora, diciamo
che sei ancora nel limite e che puoi goderti questi giorni con il tuo
ragazzo,
ma sappi che ti tengo d’occhio!»
Sorrisi
al mio amico sollevata dalla sua risposta e, felice per aver ricevuto
la sua
comprensione, l’abbracciai: «Grazie Stè,
sei la mia salvezza!»
«Ti
aggiornerò se accadrà qualcosa
d’interessante, così saprai tutto come se fossi
con noi.»
«Sì!
Mi raccomando non perderti i particolari, voglio sapere
com’è il tempo, com’è la
casa, com’è l’atmosfera
…»
«…
e se Sofia combina qualcosa con Lucien» mi sorrise divertito:
allora anche lui
sapeva…
«In
che senso?» provai
a fare la vaga, non riuscivo
a credere che persino lui si fosse reso conto di qualcosa!
«Nel
senso che ho capito cosa cercavi di fare; sarò anche poco
attento, ma ti
conosco e ho fatto due più due, notando quanto impegno ci
metti nel lasciare quei
due sempre soli o vicini.»
Oddio…
ero davvero stata scoperta persino da Testa di Paglia, ero proprio una
pessima
Sherlock!
Chinai
la testa abbattuta: «Ci mettevo,
Stè…
Ora non voglio più intromettermi.»
«Addirittura?!
Cosa è riuscito a fermarti in questo modo?»
«Ho
rischiato di perdere l’amicizia di Sofi… e per
quanto possa essere difficile
comunicare con lei, io le voglio bene e non voglio perderla…
Impicciandomi
nella sua vita privata, non ho fatto altro che rischiare che mi
mettesse alla
porta.»
«Ma
non l’ha fatto, vero?»
«No…
ma c’è mancato poco.»
«Capisco…
beh, in effetti Sofia sa come bloccarti
l’iniziativa!» sorrise incoraggiante,
di quel sorriso che adoravo e che riusciva a ridarmi coraggio ed
energia.
L’abbracciai nuovamente, ringraziando il cielo per avermi
donato una persona
così speciale.
«Stè…
ti voglio bene.»
«Anch’io
te ne voglio Pasi… te ne vorrò sempre.»
Stretta
nel suo abbraccio confortante, ripromisi a me stessa che avrei trovato
un modo
per far convivere Emile e i miei amici: quell’anno era andata
così, ma non
volevo più essere costretta a scegliere, non volevo
più sentirmi spaccata in
due.
Fosse
stata una delle ultime cose che avrei fatto, avrei trovato un modo per
trascorrere il tempo libero insieme a tutte le persone più
importanti della mia
vita!
*****
«Ti
rendi conto che hai rinunciato alle vacanze, per stare qui con
me?»
Era
inutile, del tutto inutile cercare di nascondere le cose al mio Pel di
Carota…
Ma del resto quello era un segreto che non poteva rimanere tale a lungo.
Il
giorno stesso della partenza dei miei amici per la montagna, Lucien
aveva
chiamato Alberto (su sua personale imposizione) per avvisarlo di essere
arrivato sano e salvo e di conseguenza, suo padre ne aveva parlato ad
Emile… ed
io avevo perso la mia copertura ignobilmente!
Quando
arrivai a casa sua, la sera, mi accolse con un cipiglio serio che
prometteva
guai e capii all’istante che ci sarebbe stata una discussione
tra noi: non
trascorse nemmeno il tempo di entrare in casa che mi ritrovai in
salotto a
discutere! Ma non mi feci intimidire dal tono del mio Pel di Carota
che,
infuriato con me, non voleva sentire ragioni.
«Sì,
e non m’importa! Voglio stare con te Emile, voglio sfruttare
tutti i momenti
che abbiamo a disposizione prima che tu parta!»
«Ma
non sto mica per arruolarmi nella Legione Straniera!»
«Non
m’interessa Emile, non è importante dove andrai,
ma che non ci sarai… Per
questo voglio stare con te quanto posso!»
Ne
stavo facendo una dopo l’altra… Non facevo che
dimostrarmi una ragazzina
appiccicosa, eppure non riuscivo a smettere di comportarmi
così… e in quel
momento, nemmeno m’importava, perché nonostante mi
fosse dispiaciuto rinunciare
alla mia settimana di vacanza, ero felice di essere lì con
lui, per quanto
brevi potessero essere i nostri momenti insieme.
«E
poi non potevo prendere le ferie all’improvviso, senza
avvertire almeno
quindici giorni prima!»
«Questa
è una scusa, Pasi! Hai lavorato a Ferragosto, di sicuro
potevi chiedere una
settimana di riposo anche con poco preavviso.»
Sì,
forse aveva ragione, ma il
pensiero non
mi aveva nemmeno lontanamente sfiorato, per cui accantonai il discorso.
«Prenderò
le ferie quando ne avrò davvero bisogno, non era di vitale
importanza che
andassi con gli altri in montagna.»
«Non
era di vitale importanza che restassi qui! Pasi,
quest’attaccamento non va
bene… Non voglio che tu perda la tua vita, lo
sai… non devi dipendere da me.»
«Lo
so… e ti assicuro che riprenderò in mano la mia
vita mentre non ci sarai, ma
ora non ce la faccio a mettere distanza tra noi, sapendo che presto non
ci
sarai!»
«Ma
si tratta solo di qualche mese! Non starò via un
anno!»
«È
irrilevante che sia una settimana, un mese o dieci anni! Voglio stare
con te,
ora.» Emile mi guardava con espressione tesa e un
atteggiamento irrigidito che
mostrava palesemente la sua preoccupazione…
«E
quando tornerò? Manterrai la tua vita? Continuerai a
rispettare i tuoi
impegni?»
Mi
avvicinai a lui e gli presi le mani: «Certo che lo
farò, sarei davvero
miserabile se vivessi solo in funzione della tua vita e sarei davvero
arrabbiata con me stessa, se mi permettessi di scendere a quei
livelli.»
Era
vero, mi stavo concedendo quei capricci perché volevo stare
con lui a tutti i
costi, ma sapevo benissimo che una volta che Emile fosse andato via,
avrei
dovuto riprendere in mano la mia vita. Sarebbe stata una sconfitta
terribile
con me stessa se avessi ricominciato a perdermi dietro la vita del mio
ragazzo,
annullando completamente la mia e di sicuro nemmeno Emile avrebbe
tollerato un
comportamento simile… Per non parlare del fatto che non
avrei più tollerato di
separarmi in quel modo dai miei amici!
Osservando
il mio volto deciso, Emile sembrò rassegnarsi e
sospirò preoccupato: «Pasi, ti
prego… promettimelo, promettimi che non ti
perderai… Promettimi che resterai
fedele ai tuoi progetti.»
«Te
lo giuro Emile, sarò forte, resterò me stessa e
sarai fiero di me!»
In
tutta risposta si lasciò andare sul divano, poggiando la
testa su una mano
sconfortato.
«Hai
la capacità di togliermi dieci anni di vita in
preoccupazioni… Solo mia madre
riusciva ad eguagliarti!»
«Emile,
io non sono Claudine. Rilassati, non percorrerò la sua
stessa strada.»
«Non
lo stai dimostrando.»
«Oh,
al diavolo! La stai facendo davvero lunga, smettila di preoccuparti una
buona
volta e sii felice di avermi accanto! O devo iniziare a pensare che io
sia una
presenza inopportuna e scomoda?»
Mi
guardò con la sorpresa sul volto e rialzò la
schiena irrigidendosi: «Non
rigirare la frittata, Pasi! Lo sai benissimo che non è
quello il punto: credi
che non mi faccia piacere vederti? Non pensi che il fatto che dopo
tanti mesi, io
stia ancora insieme a te, significhi qualcosa? Qui non stiamo mettendo
in
discussione ciò che provo per te, ma il tuo attaccamento
morboso.»
«Ah,
io sarei morbosa ora, sarei morbosa!? Al diavolo Emile, non capisci un
accidenti! Lasciarti agire come ti pare e piace è essere
morbosi? Devi ancora
vedere le ragazze morbose, mio caro!»
Ero
davvero infuriata, quella frase non la meritavo affatto e non volevo
passare
per una specie di stalker, non dopo tutti quei mesi in cui avevo
pazientemente
atteso i suoi orari, proprio io che di pazienza ne avevo ben poca!
«Ho
cercato in tutti i modi di venirti incontro senza pressarti, non si
contano
nemmeno le volte in cui ti sei negato ed io non ho mai fatto storie,
perché
sapevo quanto fosse importante la musica per te!» Mi
avvicinai di un passo con
i pugni chiusi dalla rabbia, mentre Emile similarmente a me stringeva
con una
mano il cuscino sul divano. «Se
cerco la
tua compagnia prima di dovermi separare da te per mesi, non
è perché sono
morbosa, sto solo chiedendo di stare accanto al mio ragazzo
più che posso, per
sopportare meglio la distanza, sto solo cercando un po’ di
attenzione, stupido
egoista che non sei altro!»
«Ora
sono anche egoista?! Mi sto preoccupando per te e sarei egoista?! Sto
andando
persino contro i miei stessi interessi, visto che hai preferito me alla
compagnia di Stefano ed io sarei egoista?!»
«Sì,
se io sono morbosa, tu sei egoista! Egoista e vigliacco!»
Si
sa che quando si è infuriati, si dicono cose che non si
vogliono dire ed io ne
dissi una di troppo: appena sentì il termine
“vigliacco”, Emile si alzò di
colpo, mantenendo salda la presa sul cuscino e mi guardò con
una furia negli
occhi che mi fece paura per qualche istante, per cui ripresi a parlare
immediatamente, prima che il discorso degenerasse.
«Sei
vigliacco perché non riesci ad affrontare le tue paure,
Emile! Perché hai
talmente terrore di amare, che non ti rendi nemmeno conto di aver messo
su una tragedia
per un’inezia! Io non sono Claudine, non sto rinunciando ad
una carriera, non
sto perdendo me stessa e le mie aspirazioni, non è per una
settimana persa che
la mia vita andrà a rotoli… Non hai alcuna
fiducia in me.»
Strinse
maggiormente il cuscino nel pugno, per poi scagliarlo a terra dietro di
sé e
allontanarsi: avevo colpito nel segno, sapeva quanto me che avevo
ragione e da
stupido testardo ed orgoglioso qual era, aveva bisogno di rifletterci
su come
sempre, prima di accettare la verità che gli era stata
mostrata senza veli.
Sospirai sfinita da quella discussione e nell’attesa che quel
testone
ragionasse un po’, tornai nell’ingresso per stare
con Claudine.
Alberto
aveva finito il suo dipinto e per completare al meglio il suo tributo
alla
donna che amava, l’aveva appeso all’ingresso, sulla
parete confinante con
quella del salotto, quasi a voler indicare che quella era zona
“consacrata” a
Claudine, dato che la stanza da cui ero appena uscita, era
più di tutte
dedicata alla madre di Emile.
Il
dipinto era stato incassato in una cornice di legno, elegante ma
semplice
proprio come lei e il legno scuro faceva risaltare i colori chiari e
vitali del
dipinto, come se Claudine potesse uscire da un momento
all’altro da quella teca
in cui era stata inserita.
Mi
piaceva osservarla in quel ritratto: non avevo mai visto quella donna
solare e
sorridente e mi mancava più che mai. Mi sarebbe piaciuto
tantissimo poterle
parlare, poter sentire i suoi aneddoti di quando viveva in Francia,
della sua
carriera… ero sicura che avrei adorato il modo in cui mi
avrebbe parlato di
Alberto e di Emile.
Mi
lasciai cadere a terra e incrociai le gambe, per poter essere
più comoda mentre
comunicavo con Claudine e continuai ad osservare quel volto sereno e
felice.
«Perché
il tuo amore gli ha insegnato solo ad aver paura di un sentimento
simile?
Perché non vede quanto ti ha fatto felice?»
Mi
ritrovai a rivolgerle quelle parole senza nemmeno accorgermene: ero
stata la
prima a vedere solo gli aspetti negativi della scelta di Claudine,
eppure in
quel momento mi resi conto che lei era stata felice. Se Alberto
l’aveva dipinta
in quel modo, era perché aveva visto il sorriso negli occhi
e nell’anima di sua
moglie quando erano insieme, il loro amore le aveva dato
gioia…
Ciò
che era capitato successivamente era stata una tragica conseguenza di
molti
fattori, ma non poteva essere imputabile solo all’amore.
Perché Emile non si
rendeva conto che amare dona una felicità al di sopra di
qualsiasi altra?
Perché
non si lasciava andare a ciò che sentiva, senza dover per
questo, aver sempre
paura di perdersi? Aveva fatto grandi passi verso di me, verso di noi,
aveva
dimostrato più volte di amarmi, era stato persino costretto
a scegliere tra me
e la musica e non mi aveva nemmeno lontanamente messo a
distanza…
Sapevo
benissimo che mi amava: nonostante l’avessi accusato di non
volermi accanto a
sé, sapevo che ciò che sentiva per me era
profondo e sincero, però a volte
sapere non basta, a volte si ha un bisogno spasmodico di certezze e in
quel
periodo avevo bisogno di lui, avevo bisogno di sentirlo accanto, avevo
bisogno
che si lasciasse andare a ciò che provava per me.
Cosa
c’era di male nel dimostrare di amare la persona che si ha
accanto?
Perché
questa lezione non l’aveva appresa da sua madre?
Emile
era vissuto circondato dall’amore eppure aveva finito solo
con il temerlo, era
riuscito a vedere solo le conseguenze negative... Perché
doveva farsi dominare
così tanto dalle sue paure?
Una
volta Rita mi disse, che il modo in cui reagiamo agli eventi della vita
e ciò
in cui crediamo, spesso sono il frutto dell’ambiente in cui
siamo cresciuti e
delle convinzioni che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Eppure sono
convinta che ci sia altro, perché altrimenti io sarei dovuta
diventare una
persona fredda e ipocrita come i miei genitori, mentre Emile si sarebbe
aperto
totalmente ai sentimenti che provava, senza farsi remore di alcuna
sorta. Di
sicuro i genitori lasciano un’impronta in noi, che si
rivelerà di basilare
importanza durante l’arco della nostra vita, ma il modo in
cui reagiamo agli
eventi e le nostre convinzioni sono dettate anche dai caratteri
personali: se
la famiglia di Emile fosse stata la mia, sono sicura che sarei rimasta
la
stessa, con la sola differenza che mi sarei sentita molto
più amata; ma di
sicuro il mio carattere non sarebbe cambiato, perché da
quando avevo conosciuto
Alberto, tutto ciò che ero e ciò in cui credevo,
si era solo rafforzato.
Persa
in quelle riflessioni, mi ritrovai a sorridere al pensiero che io e il
mio Pel
di Carota fossimo stati scambiati nella culla! Il Destino ha uno strano
modo di
divertirsi a nostre spese: ci dona genitori che sono il nostro esatto
opposto,
con cui litigheremo per tutto l’arco della nostra vita, ci
regala figli su cui
gettiamo tutte le nostre aspettative di rivalsa verso una vita che non
ci ha
sorriso, solo per scoprire che la nostra progenie non ha alcuna
intenzione di
ricalcare le nostre orme, con conseguente delusione di
entrambi… E a noi tocca
districarci in mezzo a tutto questo caos di aspettative e delusioni!
Ero
ancora persa nelle mie riflessioni, quando mi accorsi della presenza di
Emile,
che si stava accucciando a terra accanto a me. Restai in attesa, senza
girarmi
in sua direzione e dopo qualche secondo in cui raccolse i pensieri,
prese a parlare
con un tono di voce calmo e diretto.
«Tu
non sai nemmeno quanto sei parte di me… non lo puoi sapere,
ed io non ho
nemmeno la capacità di fartelo comprendere… ma
non pensare mai, nemmeno per un
secondo che non ti voglia accanto.»
«Emile…»
«Aspetta,
fammi finire.»
«Ok.»
«Detto
questo, è chiaro che ci sono momenti nella vita di entrambi
in cui non potremo
essere presenti e questo discorso l’abbiamo già
affrontato, ricordi?»
«Sì.»
«Bene…»
tirò un sospiro prima di aggiungere altro. «Hai
ragione, ho paura… Questo lo
sai perché te l’ho detto sin dall’inizio
e credo che ci vorrà ancora un po’,
prima che questa paura svanisca del tutto… ed è
vero che ti metto sempre in
disparte…»
«Ma?»
sapevo che c’era un ma da
qualche
parte, in attesa di spuntare e mi girai in sua direzione.
«Niente
“ma”, hai ragione… ed io sto cercando di
non farmi prendere dalle mie paure… Ma
non è sempre facile»
«Il
ma, c’era.»
dissi secca e lo vidi
sorridere.
«Scusami…
non voglio farmi dominare dalla paura, ma ho bisogno di un appiglio per
essere
sicuro che le cose
tra noi andranno
bene.»
«Andranno
bene. Perché lo vogliamo, perché faremo in modo
che sia così.»
«Ma…»
E menomale che non c’erano ma!
Prima
che potesse continuare a farsi avviluppare dai dubbi, lo presi per mano
e
continuai decisa, indicandogli il quadro:
«Emile,
guarda tua madre in quel dipinto: vedi com’è
felice? Vedi quanta gioia traspare
nei suoi occhi?» si girò a guardare il ritratto di
Claudine e mi fece un cenno
di assenso. «Pensa a goderti quella felicità,
pensa a provare quella stessa
gioia… e abbi fiducia in me… abbi fiducia in
noi.»
Mi
resi conto che quelle parole erano dirette anche a me,
perché io stessa ero
stata preda della paura qualche giorno prima… Eravamo ancora
al punto di partenza
allora? Eravamo ancora fermi al nostro primo litigio da quando eravamo
diventati una coppia?
No,
il mio cuore sapeva che il nostro rapporto era cresciuto e si era
rafforzato:
quelle paure erano irrazionali, non tenevano conto dei progressi fatti
e
proprio per quel motivo, dovevo mettere un freno ai nostri dubbi, che
ancora
una volta, ci avevano allontanato.
Strinsi
le mie mani su quelle di Emile, fissandolo negli occhi con sicurezza:
tenne
testa al mio sguardo e sfoderò un sorriso dolce e sincero,
prima di darmi un
bacio sulla fronte e prima che potesse dire altro, sentimmo la porta di
casa
aprirsi, per poi vedere comparire Alberto.
Il
padre di Emile com’era suo solito, non si scompose davanti
alla vista di noi
due seduti a terra davanti al quadro.
«Riunione
di famiglia? Perché non sono stato invitato?»
Sorridendo
gli risposi: «Ti stavamo aspettando.»
«In
questo caso allora, non vi farò attendere ancora.»
in poche falcate ci
raggiunse, diede una scrollata ai ricci di Emile e si
accomodò accanto a me,
dandomi un affettuoso bacio sulla guancia.
«Allora,
qual è l’oggetto in esame?»
«Alberto,
com’era la risata di Claudine?»
«La
risata? Intendi il sorriso?»
«No,
no, intendo proprio la risata: che suono aveva? Le illuminava il viso?
La
rendeva diversa? Cose del genere, insomma.»
Il
padre di Emile restò ad osservarmi per qualche istante
raccogliendo i pensieri
e poi tornò a voltarsi verso il quadro, riandando con la
memoria ai tempi in
cui Claudine rideva con lui.
«Era
una risata cristallina e leggera… Tutto era leggero e soave
in lei: persino
quando inciampava, lo faceva con eleganza e
leggiadria…»
Sentii
un verso provenire da Emile e quando mi voltai verso di lui, lo vidi
con il
capo chino e un lieve sorriso sul volto: probabilmente conosceva a
menadito
queste descrizioni… o magari era riuscito a sentire anche
lui quella risata e
la stava ricordando insieme a suo padre.
«…
anche gli occhi s’illuminavano e sembrava persino prendere
colore! Claudine
sorrideva spesso, ma il suo era un sorriso malinconico…
Quando rideva di gusto
invece, era davvero felice e osservarla mentre prendeva vita e si
scrollava di
dosso la sua malinconia mi rasserenava: era lo spettacolo
più bello a cui abbia
mai assistito.»
Gli
occhi di Alberto si fecero lucidi e se non riuscii a comprendere
pienamente la
portata delle sue emozioni, capii con certezza le sue parole: pochi
giorni
prima, sentire ridere Emile mi aveva fatto provare le sue stesse
sensazioni.
Appoggiai
la testa sulla sua spalla, in cerca di un conforto da condividere.
«Mi
sarebbe piaciuto sentirla ridere…»
«Puoi
sempre immaginarla.» alzai la testa in direzione di Emile,
che aveva appena
parlato: anche lui osservava il quadro che ritraeva sua madre.
«Osserva il suo
viso sorridente e immaginala mentre parla, mentre ride, mentre
scherza… con
l’immaginazione puoi vederla in qualsiasi
situazione.»
Era
così che aveva fatto anche lui? Per quel motivo teneva con
sé quella foto di
loro tre felici? Per poter immaginare sua madre in tutte le situazioni
in cui
lui aveva desiderato vederla?
Gli
sorrisi, nonostante non avesse staccato il viso dal quadro…
«Hai ragione, lo
farò di sicuro!» … e mi voltai
anch’io verso Claudine sorridente:
«Era
proprio bella.»
A
quell’esclamazione, fecero eco in coro, i due uomini che
più di ogni altro
avevano amato quella donna:
«Era
bellissima.»
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*Il piatto China è un piatto
fondamentale per i suoi effetti (nelle batteria metal e hard rock non
manca mai), utilizzato in una batteria o in un set di
percussioni.
Questo strumento a percussione è cosi chiamato per la sua
particolare forma somigliante al tipico copricapo a falde larghe dei
contadini cinesi. (Wikipedia)
** Per chi non la
ricorda ecco "La
Vecchia
Betsy"
***Morrigan
(antico irlandese Mórrígan o
Mórrígu, medio irlandese anche
Mórríghan irlandese classico
Móirríoghan), è una
divinità della mitologia celtica.
Dea della guerra, della
sessualità e della violenza, ama seminare l'odio e
combattere in mezzo agli uomini assumendo a volte aspetti terrificanti.
Molto più spesso compare in forma di corvo, essendo questo
l'animale che si nutre dei cadaveri di coloro che sono morti in guerra. (Wikipedia)
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NDA
Non ho nemmeno parole per scusarmi con voi, per il ritardo MOSTRUOSO con cui sto pubblicando questo capitolo: bastava che attendessi un'altra settimana e sarebbero trascorsi DUE MESI dall'ultimo aggiornamento... Sono proprio imperdonabile!!!! *me si fustiga recitando l'Atto di Dolore*
Spero che siate comunque pietose e caritatevoli con questa povera autrice che si trova a vivere un periodo oscuro per quanto riguarda l'ispirazione, che purtroppo è più capricciosa e ballerina che mai. Soprattutto spero di non aver perso colpi con questo capitolo e che vi sia piaciuto come i precedenti, vista la mole di tempo che vi ho fatto attendere per leggerlo.
Come vi è sembrato Luca? In effetti non gli ho dato molto spazio e devo anche ammettere che il suo carattere è ancora in fase embrionale, però credo che le linee guida ci siano tutte, di sicuro non sarà un tipo ordinario...
Questo capitolo mi ha fatto sudare parecchio, perché se la prima parte mi è venuta in un getto d'ispirazione spontanea e mi ha reso soddisfatta, l'ultima parte mi ha lasciato un pò titubante, come da qualche mese a questa parte, per cui ora sono ancora più in ansia di sapere come è sembrato il tutto a voi che leggete; non sapete quanto i vostri commenti mi aiutino a darmi energia per andare avanti in questo periodo oscuro. ç_ç
Angolo dei Ringraziamenti
Vi ringrazio tutte, dalla prima all'ultima per il vostro sostegno continuo e incondizionato:
Fiorella Runco, la mia amata Beta, che ogni volta è pronta a sostenermi e a darmi della "genia" quando sento tutte le mie certezze crollare... Grazie tesoro mio, Pasi ed Emile ti dovranno sempre tantissimo <3
Vale & Niky, due del trio di Marte sempre pronte a recensire fulmineamente: adoro le vostre recensioni, adoro il modo in cui mi sostenete e adoro la follia della recensitrice folle dai molti nomi, che oltre a sostenermi, mi fa morire dal ridere ogni volta. Love Love immenso a voi, mie sorelle Marziane <3
Saretta, uno dei pilastri che mi sostengono sin da sempre, una delle mie sorelle sempre pronta a darmi fiducia ma, soprattutto, talmente innamorata di questa storia al punto da commuovermi. Non potrei chiedere una lettrice migliore di te mon trésor, grazie davvero tantissimo, per tutto quello che fai <3
Concy, la terza Echelon, nonché sorella granchiosa, che nonostante le ore contate e gl'impegni impossibili, riesce sempre a recensire i capitoli e a coinvolgersi nella lettura. È sempre un grande piacere ricevere la sua recensione, perché tra granchi ci si capicsce bene, vero sister? :D Grazie grazie grazie tantissimo :*
Cicci, ovvero mia moglie, che si sente stranamente più legata ad Emile che a Pasi (sarà l'effetto frontman, moglie?) e che come me, sta attraversando un periodo oscuro, sempre perché i granchi si comprendono in pieno e perché noi due andiamo in coppia come i Carabinieri, vero Cicci? :D Arigatou Ciccina mia <3
Ana-chan ed Ely, le mie sister in pausa, che mi sostengono a priori. Grazie tesore mie, siete un amore <3
Kira1983, la mia adorata admin, nonché collega di editing, nonché socia di ricerche impossibili per Giappo-siti (ancora sto danzando felice per quelle Cels!!! *_*), nonché collega di scritture, che non manca mai di sostenermi con il suo affetto per questa storia. Grazie davvero di cuore <3