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Autore: LuLu96    29/04/2012    2 recensioni
E' tanto che ho questa storia salvata in una cartellina del mio computer, senza che io avessi mai avuto il coraggio di pubblicarla. Si tratta di un grandissimo Cross-Over che vede partecipare tutti i personaggi creati da film, libri o anche esistiti nella storia che mi piacciono o mi hanno fatto riflettere. Alice dovrà affrontare un'avventura senza eguali, viaggiando tra scenari famosi di film o libri e essendo presente in magici momenti della storia. Dovrà stare attenta a non modificarne il corso, però, e soprattutto a proteggere il Ciondolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Percorsi in fretta e furia la strada. Dovevo muovermi, avevo poco tempo. Evitai con facilità il manubrio del motorino che ostruiva parte dello stretto passaggio, filavo veloce senza badare alle svariate buche sul cemento. Grazie alle tante volte che avevo percorso quella strada, ormai, ne conoscevo ogni centimetro.
*Al, non abbiamo tempo: dobbiamo aprire e chiudere la porta prima che arrivino.*
*Accidenti Gal! Sei tremendo! So che devo muovermi, ma non posso andare più veloce di così.*.
Galian, il mio migliore amico.  Era davvero stressante alle volte. Storsi la bocca e alzai un sopracciglio mentre formulavo quel pensiero.
Avevo ormai percorso tutta la via principale e svoltai a destra, correndo su per le scale. Fortunatamente a quell'ora non c'era nessuno, erano tutti a casa al caldo, con le loro famiglie, intenti a mangiare un ottimo pasto, caldo anch'esso, e soprattutto con la certezza che la sera sarebbero stati al riparo nei loro letti. Il ciondolo che portavo al collo si fece d'un tratto pesante. Mi fermai all'improvviso. Lo presi in mano stringendolo e cercando di alleviare quel fardello.
Gal mi prese la mano.
“Stanno arrivando” sussurrai. Non riuscii a tenere per me quel pensiero. Ripresi a camminare più veloce di prima. Grazie al cielo quella strada era sempre deserta, nessuno si sarebbe accorto di quanto strana fosse quella scena.
Arrivai finalmente alla piscina. Dovevo parlare con una persona, prima di andare. Appoggiai la schiena al muro del cancello e aspettai. Solo Sam arrivava sempre venti minuti prima degli altri.
Era l'una e trentanove e cinquanta secondi. Contai quei dieci secondi che mancavano.
*Dieci*
Appena pensato quell'ultimo numero, sentii il rombo di un motorino e lo vidi subito spuntare da dietro la curva.
Parcheggiò, mise il casco nella sella e scrollò la testa. Una cascata di riccioli biondi mossi al vento mandò il suo profumo fino a me. Il mio cuore già iniziò a battere. Perché quel ragazzo doveva avere quell'effetto su di me?
Sam si girò e mi guardò negli occhi. Mi sorrise. Mi mancò quasi il fiato. Galian mi strinse ancora la mano:
*Coraggio.*
Feci per voltarmi verso di lui, ma subito mi fermai. Con Sam che mi guardava, non era il caso di voltarmi a guardare una persona che solo io potevo vedere.
Sam venne verso di me, mi mise una mano sul fianco e mi diede un bacio sulla guancia.
*Ok, ora sono davvero K.O.*
“ Ciao! “ mi disse “ Che ci fai qua? E come ti sei vestita? Non che tu stia male, ovvio…”
Abbassai lo sguardo sui miei vestiti. Indossavo una maglia nera a maniche corte, che a dire la verità mi stava un po’ corta e mi scopriva qualche centimetro di pelle sulla pancia se alzavo le braccia, una felpa verde miliare, dello stesso colore dei pantaloni, le estremità dei quali erano infilate in stivaletti di cuoio marrone-arancione. Non proprio l’abbigliamento adatto ad una ragazzina di sedici anni.
Presi un gran respiro. Era il momento della verità.
“ Devo dirti una cosa, Sam, una cosa molto importante.” Sperai che avesse voglia di ascoltarmi.
“ Certo, dimmi tutto.”
“ Seguimi.” Intimai.
Senza nemmeno aspettare la risposta m’incamminai verso una strada che scendeva dietro la piscina, dove non c'era mai nessuno.
Mi voltai e aspettai che mi raggiungesse.
“Gal, intanto tu apri.”
Dissi senza badare se Sam mi avesse sentito o no.
*Ok, vado a chiamare gli altri.*
Annuii. “ Bene.”
“ Ma con chi parli?” mi chiese Sam con aria confusa, “ Non c'è nessuno a parte te e me.”
*Si comincia.*
“E' di questo che volevo parlarti.” Un respiro profondo, non volevo spaventarlo troppo.
“ Ascolta, io non sono una ragazza come le altre.”
“Lo so: tu sei diversa, sei speciale.”
*Oh mamma!*
Arrossii violentemente. Non doveva dirlo ora! Non potevo permettermi di lasciare che qualcuno mi facesse cambiare idea.
“Grazie... ma non intendevo in quel senso.” Ancora una pausa e poi ripresi. “ Sto per partire, Sam. Me ne vado.”
Sul suo volto si dipinse un'espressione che non riuscivo a interpretare. Mi sembrava triste, sconcertata, confusa. Ma questo era quello che vedevo attraverso un filtro, quello dell'amore che provavo per lui.
Cacciai quei pensieri, aprii la bocca per continuare a parlare, ma Sam mi precedette:
“Come te ne vai? Dove? Quando?”
“Ora.” risposi “E non posso dirti dove.”
Dentro di me si stava aprendo una voragine e quando lui parlò di nuovo mi parve di iniziare a cadere, senza capire dove fosse il fondo. Forse non c'era.
“ E quando torni?” Mi chiese.
La mia risposta fu secca, ma la dissi con voce tremolante allo stesso tempo:
“ Non torno”
Lasciai il tempo a lui e anche a me di assimilare la notizia, che nel momento esatto in cui uscì dalle mie labbra diventò concreta.
“ Non torni.” Sussurrò sconvolto, stavolta ne ero certa.
“No.” Lo guardai negli occhi “ Ascoltami, devi promettere che non lo dirai a nessuno. Sei l'unico che lo sa e che deve saperlo. Neppure i miei devono saperlo.”
Quell'ultima frase mi uscì dalle labbra senza che riuscissi a controllarla. Non dovevo dirgli che la mia famiglia non sapeva che stavo partendo. Forse glielo avevo detto perché, in fondo, volevo dirgli tutto, e togliermi questo peso. Forse l'avrei messo in pericolo, ma probabilmente avrebbe solo pensato che io fossi pazza, e se ne sarebbe andato e non lo avrei rivisto mai più. Così lo avrei messo al sicuro però.
“I tuoi non lo sanno.... Al, dove vai? Dimmelo. “
“Ok. Vedi questo?” dissi tirando fuori da sotto la maglietta il mio ciondolo con la mano e l'occhio verde. “Questo è un Alkasir Herak, un Ciondolo dei Mondi. Mi permette di viaggiare nei vari mondi creati da libri e film e anche nel tempo, e mi permette di aprire porte. Le persone che abitano questi mondi, gli Warelik Alkasir, possono viaggiare, ma possono arrivare sulla terra solo se uno di noi, i Nuovi, gli Asarat, lo permette loro. Esistono, però, gli Asarat Faseren, che sono.. come dire… presenze, persone che sono assegnate, diciamo così, agli Asarat fin dalla loro nascita, e li seguono e li proteggono e possono viaggiare indipendentemente da loro. Ma in entrambi i casi, solo quelli come me possono vederli e sentirli. Solo coloro che portano un Alkasir Herak. Ora ne è rimasto uno ed è questo qui. Gli altri sono stati perduti o distrutti e i servi del Gwenkashkir, il signore delle forze del male, per farla semplice, sono riusciti ad arrivare sulla terra, non si sa come, e stanno venendo a prendermi.” Spiegai.
Avevo parlato velocissima, senza nemmeno sapere il perché gli avevo raccontato tutto.
Sam era pietrificato, ipnotizzato dalle mie parole, il suo volto una maschera indecifrabile. Finalmente dopo un minuto buono di attesa parlò:
“No, non è vero. Mi stai raccontando un infinità di bugie. Quelle parole... nemmeno riesco a pensarle! “
“Sam. Sam, calmati.” dissi posandogli una mano sulla spalla. “ Questo ciondolo serve anche a catalizzare i miei poteri di Asarat. Ecco guarda!” gli presi la mano con cautela e subito il cuore mi prese a battere più veloce. Lo ignorai. “Che ne dici di andare a Londra? Fine 1800, magari.”
Chiusi gli occhi e diedi la solita spinta in avanti con le spalle, ormai non dovevo nemmeno pensare a dove volevo andare, veniva automatico. Quando aprii gli occhi eravamo a Londra,  a Baker Street. Galian era al mio fianco.
*Dobbiamo chiamare Holmes, non era con gli altri.*
*Lo sapevo, è sempre il solito.*
Poi mi rivolsi a Sam, che si guardava intorno con occhi stupiti e smarriti, con abiti d'epoca diversissimi dalla felpa rossa e dai jeans neri che portava prima di viaggiare. Quegli abiti gli facevano un corpo stupendo, più di quanto non glielo facessero i soliti vestiti. Mi sforzai di non guardarlo. Lo presi per mano e lo portai al portone numero 221 B di Baker Street. Bussai alla porta.
“ Sam calmati! Cerca di sembrare a tuo agio.”
Proprio mentre stavo finendo di parlare, la porta si aprì.
“Buongiorno Holmes. Mi spiega come mai non è con gli altri?”
“Alice! Buongiorno. Ho avuto un contrattempo, avevo scordato il revolver.”
“Credevo il gas acceso...” lo apostrofai. Quell'uomo dimenticava sempre qualcosa, era peggio di me.
“Anche quello.” Fece con il capo un cenno verso Sam “Questi deve essere il famoso Sam, del quale ho tanto sentito parlare. “
Guardai Holmes con occhi di fuoco, sperando che capisse. Per fortuna incrociò il mio sguardo e si frenò la lingua.
“Sherlock Holmes? No, non è possibile. Alice, questo è Sherlock Holmes! Sono diventato pazzo.”
Si girò e si trovò a faccia a faccia con Galian. Il suo viso era una maschera di stupore e confusione. Lo stava guardando negli occhi. Stava guardando Galian. Lo vedeva. Con occhi sgranati mi voltai verso Holmes. Incrociai il suo sguardo. Com’era possibile? L’unico Alkasir Herak esistente era il mio, Sam aveva solo una copia che gli avevo fatto io con una pietra rossa. Chissà perché quando glielo avevo fatto, pensando a lui, mi era venuto in mente il rosso. Il fuoco, la passione. Il deserto! La Retpasir, la Pietra Smarrita! Se avevo capito bene anche Holmes era arrivato alle stesse conclusioni.
“Ma com’è possibile?” mimai con le labbra in sua direzione.
“Non lo so!” Fantastico. L’investigatore della mia squadra, forse uno degli uomini più acuti che erano con me, non sapeva la risposta. Ok, niente panico.
“Ciao, sono Galian.” si presentò il mio amico.
“E da dove diavolo sei spuntato?”
“Sempre stato qui, solo che tu prima non mi vedevi.”
Mi battei una mano sulla fronte, il tatto non era mai stato il forte di Gal.
Sam si voltò verso di me con aria interrogativa. Ricambiai il suo sguardo con uno che voleva significare *Te l’ho detto, non sono pazza.*
Guardai Galian.
*Cos’è successo?* gli chiesi
*L’ha preso in mano, il tuo finto Herak. Forse non è così finto, forse hai la Gersedan.*
*Io? Avere la Gersedan? Non credo proprio.* Feci una pausa, guardandomi i piedi. Poteva anche essere. In fondo non c’erano altre spiegazioni.
*Ma allora dov’è il suo Asarat Faseren?* chiesi cercando di scacciare quella che sembrava l’unica soluzione possibile.
*Non lo so*
Sospirai.
*Vai dagli altri e portati dietro Holmes, e anche il Fugoran, non si sa mai…*
Galian annuì e sparì con Holmes
“Torniamo alla piscina” dissi a Sam, ancora sconcertato. Gli presi la mano e tornai in dietro.
Appena si rese conto di essere di nuovo nella sua epoca, Sam si sfogò:
“Non è possibile. Ma come…?” Mi diede le spalle prendendosi la testa tra le mani. Doveva sentirla come se stesse scoppiando.
“Sam…” gli appoggiai la mano sulla spalla “Ora mi credi?”
Si girò verso di me e mi abbracciò.
Cosa?
Era la cosa che meno mi aspettavo che facesse. Un abbraccio? Restai con le mani alzate a mezz’aria e gli occhi spalancati.
“Ti credo” mi disse staccandosi da me, ma tenendomi comunque le mani sulle spalle. “Dimmi tutto”
Sospirai e mi andai a sedere su una panchina lì vicino facendogli segno di sedersi accanto a me.
Quando si sedette iniziai:
“Non c’è molto da dire oltre a quello che già ti ho detto. Devo partire per non farmi trovare, non devo permettere che prendano il Ciondolo. Ho una squadra. Dobbiamo viaggiare nei vari Mondi, io devo studiare e allenarmi. Non sono ancora abbastanza brava.” Dissi abbassando lo sguardo. Speravo che non capisse in cosa dovevo allenarmi. Naturalmente, se me lo avesse chiesto glielo avrei detto. Sam aveva sempre avuto il potere di farmi dire quello che voleva.
“Allenarti? In cosa?”
Ecco. Appunto.
“Beh.. ecco… io… ehm” bofonchiai. Un colpo di tosse.
Mi mise una mano sulla spalla e mi fisso dritta negli occhi:
“Al, in cosa devi allenarti?”
Sospirai.
“Con la spada.” Dissi piano, sperai che non mi avesse sentito.
“Cosa?” sbottò.
Sì. Mi aveva sentito.
“Con la spada? Ma siamo impazziti? Non te lo lascio fare, per nulla al mondo!”
Cosa? Ora lui non mi lasciava usare una spada? Da quando una ragazza non poteva usare una spada?
Mi alzai in piedi arrabbiata.
“Come scusa? Io non ti devo spiegazioni: se non ti sta bene che io usi la spada e mi difenda, pazienza, me ne farò una ragione.”
“No, tu non hai capito” disse con una risatina ironica alzandosi a sua volta. “Tu non ci vai.”
“Ah sì? E chi me lo impedisce? Tu?”
Stavo perdendo la pazienza. Ma come si permetteva?
“Sì, esattamente, io.”
“E perché mai dovresti? E soprattutto come?”
“Ti dimentichi che sono pallanuotista e sono più alto e più forte di te.”
Lo squadrai dalla testa ai piedi. Avevo battuto avversari più forti di lui.
Sorrisi maliziosa, sicura di me.
“Ah sì? Vediamolo? Se mi batti non vado.”
“Ne sei sicura?” disse anche lui sorridendo.
“Avanti” intimai.
Sorrise. Ecco forse quello era l’unico modo che aveva di sconfiggermi. Cercai di non farmi distrarre.
Mi venne contro veloce provando a prendermi una spalla per tenermi ferma. Mi bastò spostarmi di poco per evitarlo.
Provò dall’altra parte, ma di nuovo mi spostai.
Ancora il sorriso mi illuminava le labbra.
Feci un mezzo giro e gli diedi le spalle. Gli presi le mani. Mi colse alla sprovvista. Era più forte di me e riuscì a piegarmi i gomiti sopra le spalle. Avevo le mani bloccate. I nostri corpi erano vicinissimi, i nostri visi si sfioravano quasi. Sorrisi. Stava per vedere la mia mossa migliore. Mi lasciai cadere piegando la gamba sinistra e allungando la destra in mezzo alle sue gambe e stendendo le braccia. Teneva ancora le mie mani. Con la gamba destra spazzai facendogli perdere l’equilibrio e cadere all’indietro. Mi rialzai mentre cadeva e ripiegai le braccia. Lo tenevo sospeso a mezza’aria con i piedi puntati sui miei.
“Direi che ho vinto” dissi con un sorriso mentre lo ritiravo su.
“Direi di sì. Ma come hai fatto? Non ne sembri in grado…”
“Allenamento.”
Lo guardai un’ultima volta negli occhi ripensando ancora al momento in cui eravamo stati così vicini e chiedendomi cosa avesse pensato. Mi sentii arrossire. *Maledizione!*
“Devo andare” dissi abbassando lo sguardo e allontanandomi.
Mi afferrò per un braccio.
“Vengo con te.”
“Cosa?” chiesi con una risata nervosa. Non poteva fare sul serio.
“Vengo con te. Se ho capito bene è pericoloso, non ti lascio andare da sola.”
“Sam, forse non hai capito. Gal?”
*Dimmi Al*
“Apri a Isla Sorna”
*Già fatto*
Gli sorrisi e poi tornai a Sam
“Non puoi venire con me. Punto. Fine della questione.”
“Io vengo” rispose “Hai bisogno di qualcuno che ti protegga.”
“Ci sono molti tra gli uomini più forti e intelligenti dei Mondi con me, credi che tu faresti la differenza?”
Ero stata dura, ma era l’unico modo per farlo desistere.
“La fa per me.”
Ok, colpo finale.
“Non ti voglio con me.” Era una grande bugia, ma era per il suo bene. Volevo solo proteggerlo.
Strattonai il braccio e mi liberai dalla sua presa. Sentivo le lacrime affacciarsi nei miei occhi, ma le ricacciai indietro. Mi riprese e mi tirò a sé.
“Perché?” mi chiese guardandomi negli occhi.
“Non voglio che ti succeda niente di male, voglio che tu sia al sicuro e con me non lo saresti. Sei importante e non voglio rischiare di perderti.”.
Come al solito gli avevo detto tutto. Ormai le lacrime erano sgorgate e mi rigavano il viso. Con il pollice me le asciugò dolcemente. Appoggiai il viso alla sua mano.
“Lascia che venga con te. Ti prego.”
Non sapevo più come difendermi. Volevo che venisse, ma allo stesso tempo volevo che rimanesse al sicuro.
“Roberta non sarebbe contenta sapendoti al pericolo e per giunta con me.”
Per una ragione sconosciuta, o meglio che secondo me per lei era sconosciuta, Roberta, la ragazza di Sam, mi odiava.
“Sei la mia migliore amica, non ti lascio.”
“La tua migliore amica”
Appoggiai di più il viso al suo palmo. Non lo avrei lasciato per sempre senza fargli sapere quello che provavo per lui. Avvicinai il viso al suo e posai una bacio sulle sue labbra. Dolce e lieve, lo toccavo appena. Premetti un po’ di più sulle sue labbra. Lacrime salate bagnarono ancora il mio volto.
“Scusa. Addio.” Dissi dandogli le spalle e entrando nella porta aperta sul muro dietro di noi.
Oltrepassandola sentii l’orologio della chiesa battere le quattordici e la voce di Sam chiamare il mio nome.
   
 
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