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Autore: Cassie chan    22/11/2006    8 recensioni
Tra la nostra anima e il nostro corpo ci sono tante piccole finestre ed è da lì che passano le emozioni. Se sono aperte, passano completamente, se sono socchiuse filtrano appena; solo l’amore può spalancarle tutte assieme e di colpo, come una raffica di vento. (Susanna Tamaro)… le finestre del cuore di Draco Lucius Malfoy sono spalancate da anni, ma lui nemmeno se ne accorge. Peccato che il vento sia estremamente molesto e maleducato; non chiede mai a nessuno il permesso di entrare… e, in questo senso, Hermione Granger è sempre stata tale… non ha mai chiesto il suo permesso per entrare…
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(In attesa del secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa prima parte, dato che ho capito che non era molto comp

(In attesa del secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa prima parte, dato che ho capito che non era molto comprensibile! Ho evidenziato le parti in rosso, che sono i ricordi di Draco, e aggiunto qualche piccola cosetta! Buona lettura! Cassie)

 

Parte prima

 

And so it is

Just like you say it would be

Il sole sta sorgendo, una leggera diffusione di luce colpisce le nuvole scure.

Non è vero.

Il sole non sorge davvero da dieci anni. Dalla vittoria del Signore Oscuro, il sole non sorge. Dalla morte di Harry Potter, il sole non sorge. Da allora, il sole non sorge.

La nebbia dei Dissennatori ha tolto ogni possibilità che l’astro della Terra fosse visibile.

La mattina si riconosce solo dagli orologi.

Per chi, ovviamente, ce l’ha un orologio. O, forse, se hai occhio, puoi vedere una lieve luminosità delle nuvole, che avvolgono perennemente il cielo grigio, come una lanugine sparsa.

Tocco il vetro della finestra nella mia camera a Malfoy Manor, è caldo. Una giornata di gennaio sta iniziando. O forse sta finendo? Me lo chiedo sinceramente. Non lo so davvero. Potrebbero dirmi che sta finendo e ci crederei benissimo. E in ultima analisi, non c’è nemmeno uno stupido sole a smentirmi. Superbia. Le mie mani si torcono su sé stesse, eccitate. Potrei dire che è notte e qualcuno potrebbe darmi ragione. Chi lo sa, potrebbe anche darmi ragione qualcuno che non vi sia costretto. Abbiamo il potere. È nostro.

Sfera di luce meravigliosa e bellissima, che solo noi possiamo toccare.

Nemmeno il sole può avere ragione del Signore Oscuro e di uno dei suoi Mangiamorte.

È sorprendente. E io faccio parte di tutto questo, in minima parte sono anche io il signore del mondo.

Sospiro tra me e me, attento che quella minima emissione d’aria si perda nelle pareti di pietra bianca e dura, vacillare proibito. So benissimo che anche solo pensare di essere il signore di qualcosa, oggi, in questo istante, in questo mondo ed in questa vita, è simile ad un tradimento alla mia causa. Tutto è di Voldemort. La mia vita, la mia anima, il mio tempo, le mie donne, la mia casa, la mia famiglia, la mia storia, la mia mente. Non posso pensare di dividere qualcosa con lui, anche quelle cose che sarebbero solo mie di diritto. Quale, poi? Quale diritto? Nessuno. Va bene. Benissimo. Non ci potrebbe essere niente di meglio al mondo.

L’egoismo è per quelli pieni di ricchezze, di fulgidi e brillanti tesori davanti ai loro occhi.

Non credo di avere una cosa così unica da non accettare di dividerla con lui, con Voldemort. Lui che mi ha dato tutto.

Nuovi occhi per vedere.

Nuovi pensieri da forgiare.

Nuove azioni da intentare.

Nuova vita da trascinare.

Senza di lui, non avrei occhi. Pensieri. Azioni.

E soprattutto non sarei già più vivo, da tempo.

Non c’è un motivo più nobile al mondo: evitare la morte e cercare la vita, sia essa di qualsiasi forma e tipo.

Io sto cercando solo questo. Sto guardando solo questo. Sto pensando solo a questo. Sto facendo solo questo.

Trascino eternamente me stesso alla ricerca solo di questo.

Life goes easy on me

Most of the time

Mi volto alle mie spalle, guardandomi indietro. La stanza più ricca del castello, Voldemort mi ha concesso di tenerla. Lui mi ha fatto l’onore di prendere la camera da letto dei miei genitori; mi osservo intorno, le mani che si piegano a pugno. Legni pregiati, perlopiù ebano. Il suo colore nero e rosso mi ha sempre intrigato alquanto, l’ho scelto con mia madre a Diagon Alley, un giorno di giugno. Faceva un caldo, quel dannato sole mi faceva impazzire. Meno male che ora non c’è più; mi attirò immediatamente questa serie di mobili, nella vetrina di un negozio di arredamento magico. Rilucevano nella luce del mattino, fui colpito da quei riflessi stupefacenti di colore. Dopo quei riflessi particolari non li ho trovati più, ma comunque mi piacciono abbastanza questi mobili. Il letto a baldacchino, coperto da un telo rosso sangue, decisamente in pieno stile con me. Tutto in questa stanza è in pieno stile con me. Sulla spalliera del letto, un’imitazione fedele di un quadro babbano, la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci. Questo piaceva a mio padre, non moltissimo a me sinceramente, ma quando me lo chiese, dissi che l’adoravo invece. In effetti, l’adoravo perché mio padre me lo aveva portato appositamente dall’Italia, ma non mi piaceva il soggetto.

“Stai scherzando Weasley? Vorresti dire che qualcuno ha invitato quella roba al ballo? Non la Mezzababbana zannuta?”.

“Buonasera, signor Moody!”.

Un balzo indietro terrorizzato.

“Sei un furetto nervosetto, eh, Malfoy?”.

In realtà, c’è solo una cosa che non è nel mio stile in questa maledetta stanza. Per fortuna ci ho già provveduto. Abbondantemente provveduto.

Cammino lentamente, il mio passo che è silenzioso come quello di un serpente. Ci sono voluti anni, ma finalmente so come camminare come si conviene ad un vero Mangiamorte. Ho ancora delle cicatrici sui piedi, quando mio padre mi faceva notare che non camminavo bene e, per spronarmi, mi faceva camminare in mezzo a chiodi arrugginiti. Credo di aver avuto un principio di tetano per questo, ma per fortuna lo bloccai in tempo. Per il resto, una volta capito il trucco, è stato facile. Arrivo vicino al letto e mi siedo sulla sponda, lo sguardo rivolto ostinatamente alla finestra. Non voglio guardare dietro di me. Non ho paura, sia chiaro. Blaise mi farà delle paranoie assurde, ma figuriamoci se ho paura anche di lui. E il Signore Oscuro, bè… l’ho detto, no? È tutto suo. Il mondo è suo. E' come se comprendesse all'interno di sé stesso tutte le cose infinitesimali che esistono. Se perde qualcosa, soprattutto se è infinitesimale, non fa differenza. Finalmente, spinto da orgoglio latente, mi volto e sorrido. Non è vero. Non sorrido. Non sto sorridendo.

“Guarda come frigna!”.

Risate sguaiate su chi non sente.

“Avete mai visto una cosa così patetica? E dovrebbe essere il nostro insegnante!”.

La guancia che doleva, il vento che lo percuoteva, il primo vero dolore.

“Non osare mai più dire che Hagrid è patetico, tu, mostro… tu, razza di brutto…!”.

“Hermione!”.

“Vai via, Ron!”.

Guardo la donna nel letto. Bionda, nuda, passabile, appena coperta da lenzuola di seta rossa. Ha la testa appoggiata sul cuscino, gli occhi chiusi e le labbra rosse. Mi sono divertito con lei. Abbastanza. I suoi capelli sono sparsi disordinatamente, e si erano stranamente intrecciati con i miei al risveglio, biondi i primi e biondi i secondi, oro il mio e scadente bronzo laccato il suo. Un conato di vomito al ricordo. Mi sono staccato bruscamente, disgustato, e mi sono alzato.

Hannah Abbott.

L’abbiamo catturata due mesi fa, mentre andava in chiesa per sposarsi. Lo sposo era qualcuno di Hogwarts, ma non mi ricordo come si chiamava. Sicuramente uno dei Tassorosso. L'ho ucciso e me ne sono andato. Aveva il viso tumefatto ed era irriconoscibile, e prima non ci avevo fatto caso. Quindi non so chi fosse, Blaise sicuramente lo saprà. Ha organizzato tutto Theodore Nott, e chiaramente ha avuto il primo turno. La voleva da quando eravamo ad Hogwarts, sbavava quando la vedeva passare nella Sala Grande. Si grattava in mezzo alle gambe, ghignando con noi, lei che lo ignorava, circondata dalle sue amiche, il suo passo allegro che faceva saltellare le sue trecce bionde, l'andatura leggermente più veloce mentre lei passava accanto a noi. Non volevo ripassarmela dopo Nott, almeno con gli altri come me, con quelli al mio livello, preferisco avere qualcosa di solo mio. Ma non c’era di meglio, e allora mi sono accontentato. E poi a Nott ormai non fregava più niente, l'aveva sbattuta nelle cucine. Un vero spreco, in fondo è abbastanza graziosa. È un mese che la porto nella mia camera. Ogni sera, piange un po’, fa un po’ di strepiti, ma dice che con me non è poi tanto male. Non è poi tanto male. Non che mi interessi la sua opinione, assolutamente. Nott le faceva male. Io no. Non mi interessa farle male. Che me ne frega? Non è importante lei, tantomeno è importante farle male. Quando la sbatto sul letto, non mi interessa farle male, ma forse glielo farei alla mattina. Male, intendo.

Piange alla mattina.

Si sporge oltre il letto e guarda l’orologio sul comodino. Constata stupita che sono le sette e mezzo, guarda il cielo alla ricerca di una luce che non esiste più. Si volta verso di me e io fingo di dormire. Allora si rannicchia su sé stessa, patetica bambolina di stracci, e piange. Fremo nel sonno per la rabbia, è davvero stupida. Non ha mai capito niente, nemmeno a scuola. Piange perché ricorda il tempo delle sue stupide trecce? Piange perché i capelli le vengono tirati e deve lasciarli sciolti? Vorresti rifarti le trecce, Hannah? Nel nostro mondo, una sola legge impera sovrana. Se non sei capace di smettere di piangere, muori. È meglio. Decisamente. Ovviamente vale per voi. Non per me o per chi comanda. Pallidi fantasmi che avete seguito Potty, se non sapete smettere di piangere, morite. Risparmierete fatica e dolore a voi stessi, ed ulcera nervosa a noi. E noi, dite? Piangiamo noi?

Noi non dobbiamo piangere. È un atto di ingratitudine verso il Signore Oscuro.

Bussano alla porta. Mi alzo da letto e faccio in tempo a indossare una vestaglia di seta nera che avevo distrattamente lasciato su una poltrona.

“Avanti” mormoro, lo sguardo rivolto alla porta, mentre me l’allaccio.

Con un leggero cigolio, la porta si apre. Blaise mi guarda sorridendo. È talmente frivolo quel ragazzo che, a volte, mi sorprendo del fatto che sia ancora vivo. Ha sempre la stessa espressione di quando eravamo ad Hogwarts, il che è tutto dire. Nonostante poi il Signore Oscuro gliela abbia fatto gentilmente notare un mare di volte che il nostro colore caratteristico è il nero, lui continua a foderarsi l’anima e il corpo di colori sgargianti. Renderebbe confuso persino un cieco. Oggi, per esempio, è vestito di una lunga tunica di colore blu pervinca. Blu pervinca. Mi stropiccio gli occhi, irritato, non so perché ma mi dà fastidio quel colore.

“Ciao Harry! Ciao Calì!”.

Sorriso radioso su un volto diverso.

I colori consueti sul suo viso si incastrano perfettamente con il blu pervinca che indossa.

“Quella odiosa mezzosangue è venuta con Krum, e dire che pensavo fosse più intelligente! Krum, ovviamente!”.

Fuori… occhi sorpresi, occhi meravigliati, occhi eccitati, occhi socchiusi in fessure, occhi rassegnati, occhi coperti da polveri colorate, occhi sbarrati dall’invidia, prima ben aperti per scatenare l’invidia altrui, che invece non era arrivata. Occhi tutti su di lei. Occhi tutti per lei.

Dentro… bocca chiusa, parole perse, lingua impastata, pensieri confusi. Occhi che sfuggono. Da lei.

Come un soffio di vento, volteggia a un metro di altezza da tutti loro.

Come sempre, volteggia lontana da tutti loro.

Angelo irraggiungibile, donna insopportabile, demonio insaziabile.

Lei. Fuoco dell’insopportabilità di non averla.

Angelo reietto, uomo eletto, demonio designato.

Lui. Rassegnazione dell’inevitabilità di esservi escluso.

“Buongiorno Draco!” mi fa allegro, mentre ancora mi stropiccio gli occhi “Mi sembri esausto! Hai dormito bene? ”.

“Benissimo … l’Abbott ha fatto bene il suo lavoro!”.

Ride. “Mi eri sembrato stanco, invece… ma forse effettivamente lo sei…”.

Rido. “Già… è sfiancante quella donna! Comunque, ho la mente stanca, non il corpo!”.

“Come mai? Troppi pensieri?! Rimpianti?! Ricordi?! ” sorride in maniera irritante. All’improvviso mi dà fastidio. Soprattutto con quella veste assurda addosso.

“No, sono fin pochi…” rispondo sbrigativo, sedendomi di nuovo sul letto “E’ tutto meravigliosamente facile …”.

“Facile?” chiede Blaise, spalancando i suoi occhi azzurri “In che senso, facile?”.

Non rispondo, voglio dire che, grazie a Voldemort, ognuno di noi ha esattamente che cosa vorrebbe. Non siamo costretti a sgomitare per vivere, abbiamo tutto su un grande e intarsiato piatto d'argento. Il dolore e la fatica ci vengono evitati, il piacere inebria come primo attore la nostra anima. Ma lui non capirebbe. In effetti, non ho ancora capito come faccia ad essere un Mangiamorte. L’ultima volta che gli ho parlato, rimpiangeva Silente. Sì, esattamente il vecchiaccio che è morto prima di Potty. Blaise dice che faceva ridere. Che era divertente. Te la ricordi quella del DIRE-QUALCHE-PAROLA? Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre. Era un grande! Mi faceva morire! Peccato che sia morto. Lo avevo guardato, inarcando un sopracciglio. Ringrazia che qui non ci sia uno come Codaliscia, altrimenti il Signore Oscuro avrebbe già saputo della tua…  nostalgia… e t’avrebbe fatto venire la nostalgia della vita! Lui per niente turbato aveva sorriso con l’aria di chi la sapeva lunga. È per questo che l’ho detto a te, no? Perché andavo sul sicuro, in fondo stava simpatico anche a te… Sorrisi, che razza di tipo strano.

Si siede sul letto vicino a me, rinunciando ad avere la risposta alla sua domanda. È sempre così: lui chiede, io me ne sto in silenzio. Credevo che si annoiasse a morte a parlare con me, invece ho capito che sono il suo esperimento psicologico meglio riuscito. Se le cose fossero andate in maniera… diversa… , sarebbe diventato primario nel reparto di Psichiatria al San Mungo.

Lentamente si guarda attorno, apparentemente con curiosità, anche se conosce la mia stanza a memoria, fin da quando eravamo bambini . Poi sospira languidamente e mi dice: “La puoi spostare per piacere? Mi fa ribrezzo…”.

“Cosa?” chiedo distratto, di rado lo ascolto attentamente.

“L’Abbott… mi danno fastidio i morti…” risponde con la voce scocciata ed annoiata, una smorfia sul volto abbronzato “Chissà da quante ore è lì…”. Mi volto a guardare la ragazza nel letto, effettivamente è da parecchio. Stamattina non ha fatto in tempo né a guardare l’orologio, né tantomeno a piangere, meno male. Rabbrividisco leggermente, notando la piccola scia di sangue che bagna anche le mie lenzuola, le dovrò far lavare daccapo. La Brown e la Weasley non sanno lavare nemmeno un straccio, me le portano sempre troppo aggrinzite. Il resto del sangue, provocato dalla ferita sul collo, si è fortunatamente aggrumato. La lama aveva trapassato la sua carne più debole e delicata con una facilità impressionante. Anche questa è fatta. È morta nel sonno, meglio di così non poteva andare. Non s’è né accorta, né ha fatto in tempo a piangere. Pace al mio sistema nervoso.

La voce di Blaise interrompe il flusso dei miei pensieri. Una voce flautata e leggera, ma che ha sempre l’effetto di sconquassarmi il cervello.

“Sei troppo… generoso…” mi dice, guardandomi con un sorriso rassegnato “Davvero troppo, Draco… dovresti smetterla…”.

“Eh?” chiedo senza eccessivo interesse, i suoi discorsi sono veramente troppo scombinati per me.

“Quella donna… Hannah… voleva disperatamente morire…” risponde con pazienza, come se stesse parlando ad un bambino piccolo “Tutti se ne sono altamente fregati. Tu l’hai accontentata…”,  si raccoglie nelle spalle e soggiunge con una punta di divertimento nella voce: “Te l’ho detto, sei troppo generoso…”.

“Modera il linguaggio, Weasley. Non è meglio che vi muoviate adesso? Non vorrete che riconoscano anche lei, vero?”.

“Che cosa vorresti dire?”.

“Granger, stanno cercando i Babbani, vuoi far vedere le mutande a tutti? Perché se è questo quello che vuoi, aspetta solo un attimo… vengono di qua e almeno ci faremo una bella risata…”.

Altre parole. Le solite. Insulti di orgoglio, risposte di orgoglio. Orgogli diversi.

“Oh, insomma, andiamo a cercare gli altri”.

Soddisfazione dell’essere ascoltato.

“Tieni giù quel tuo testone, Granger”.

“Andiamo!”. 

Fruscio di vesti nella notte, vesti che si allontanano. Una luna sanguigna che illumina il viso. Un sorriso, ma la luce tetra del Marchio nero non permette di distinguerlo.

Allontanarsi, la sicurezza matematica che in quelle situazioni non sarà mai in pericolo.

Fermarsi, un fruscio, un altro alle sue spalle. Chiedersi scioccamente se poteva essere anche lui in pericolo.

“Sei troppo generoso, Draco…”. Una voce flautata e leggera, ma che ha sempre l’effetto di sconquassare il cervello.

“Che cavolo vuoi, Blaise?!”. Irritazione pura, quella della distrazione e del essere scoperti.

“Sai bene che avrebbero preso anche la Granger, era ad un passo… li stavano andando incontro… rinunci alla tua personale vendetta, affidata ad altri da perfetto Serpeverde quale sei, solo per difendere il suo orgoglio da Grifondoro…”.

“Fantasie, Blaise…”. Tacere di fronte all’evidenza.

Illuminazione di una giustificazione.

“Voglio avere io l’onore di vendicarmi… non lascerei a nessuno questo piacere…”. Ghigno soddisfatto.

“Ridi, ridi, ma per me sei e rimani generoso da fare schifo…”.

“Non dire fesserie…” dico, alzandomi in piedi e dandogli le spalle “Mi aveva scocciato, ecco tutto, figuriamoci che mi frega di quello che diceva o pensava… piangeva troppo, ecco tutto. Mi dava fastidio ecco…”.

Lui sorride, sempre troppo accondiscendente, e fa: “Dici sempre troppi ecco, quando sei nervoso… te lo diceva sempre la McGranitt, quando ti interrogava… te lo ricordi? Ah, quanto era simpatica quella donna! Come una carie ai denti, in effetti…però peccato che sia morta!”.

Lo interrompo, infastidito: “Smettila, Blaise! Mi rompi in questi giorni! Che c’è, vuoi che faccia rapporto al Signore Oscuro? Vuoi che gli dica delle tue nostalgie?! Vuoi che ti metta a morte per alto tradimento?! Si può sapere che cavolo vuoi? Che cerchi?”.

“Semplice…” sorride lui, alzandosi in piedi “Vivere, Draco… voglio solo vivere…”.

“E allora smettila con queste storie… stai rischiando troppo... sembra invece che tu voglia morire...” gli dico ancora, guardandolo dall’alto in basso, poi aggiungo: “Lasciami in pace…”.

Il mio tono non ammette repliche. Ma lui replica lo stesso, il suo sorriso è scomparso del tutto: “Non c’è pace, Draco. Da nessuna parte. E io la rivorrei indietro, questa è la mia sola nostalgia. Vivere in pace, e soprattutto libero… ma non ho la presunzione di fartelo capire… in fondo, nessun’altro ci è riuscito, perché dovrei riuscirci proprio io?”.

Non gli rispondo. Come sempre. Non merita una mia risposta.

Non è vero.

Non riesco a rispondergli. Chiudo i pugni a riccio, dovrei invece. Invece, come sempre, è lui a rompere quel silenzio.

Sorride ancora: “Vuoi che faccia qualcosa per te?”.

Che tu diventi muto, così che la tua voce non sconquassi più il mio cervello.

“Voglio una delle Patil, stasera…” rispondo, sollevando il mento con aria altezzosa.

“La maggiore o la piccola?”.

“E’ uguale…” ribatto indifferente “Anzi no, la grande… ma, se la piccola non se l’è fatta nessuno, preferisco quella…”.

“Eccolo qua che ritorna il castigavergini… mi avevi preoccupato, amico, pensavo che l'Abbott ti avesse rammollito...” ride lui, poi si fa ancora serio. È un brutto segno che Blaise sia stato serio due volte nello stesso giorno.

“Che c’è?” chiedo ancora.

“C’è una riunione tra poco… credo un’esecuzione…”.

“E allora?” ribatto con tono annoiato. Ce ne sono decine al giorno.

“Il Signore Oscuro vorrebbe che ci fossi…”.

“Ci sarò” ribatto pronto e vigile “Quando è?”.

“Tra due ore…”.

“D’accordo… tienimi il posto…”.

Un tono di voce secco: “No, Draco… è meglio che arrivi in orario, è davvero molto meglio per te…”.

Un tono che non ammette repliche.

E non ne ha, rimango in silenzio, mentre esce dalla mia camera.

Lui non si chiama Draco Malfoy, le repliche riesce ad evitarle. Sono le risposte, che invece non ha. Nessuno ha mai quello che vuole.

 

And so it is

The shorter story

Con un colpo di bacchetta, faccio sparire il corpo della Abbott, che si smaterializza, andando a finire nella fossa comune assieme agli altri. Per un attimo, resto immobile, ricordandomi che lì ci sono anche i miei genitori. I miei genitori… li ricordo a malapena. Narcissa Black in Malfoy… Lucius Malfoy… non hanno una tomba con questi nomi scolpiti, con fiori freschi del loro unico figlio e quelle due date vicine nella pietra, lontanissime nella memoria. La madre di Blaise, Dorilys Zabini, ce l’ha una tomba. Pulita, colma di camelie bianche, scintillante contro la collina. E lei era la puttana dei Mangiamorte, quella che si sono fatti tutti. C’ero vicino anche io, ma mi fece ribrezzo. Magari è stato proprio per questo, per questo suo lavoro, che ha avuto una tomba. I miei genitori invece no. Avranno fatto male il loro lavoro.

In realtà, non lo so il perché.

Mio padre morì qualche anno dopo la vittoria di Voldemort, era evaso da Azkaban ed era stato riammesso nelle schiere dei Mangiamorte. Una mattina, mi vennero a dire che era morto, solo questo. Erano giorni che lui appariva preoccupato. Il rimpianto del lutto me ne ha fatto ricordare, allora non me ne accorsi. Non ci ho trovato una spiegazione, mai, e nemmeno l’ho cercata più di tanto. Sarebbe stato un suicidio, lo so, c’erano di centinaia che morivano ogni giorno senza un perché. Chiedere avrebbe significato morire. Come mia madre. Lei aveva chiesto troppo. Priva della protezione di mio padre e con la mia ancora troppo immatura, l’avevano uccisa in una notte di pioggia, nel suo letto. Non è vero. Era nel letto di Boris Tiger, ma fa lo stesso. Non ci parlavamo da anni ormai. Le dissi solo di smetterla con le sue indagini, il tono non dissimile a quello che uso con Blaise. Come Blaise, non mi ascoltò. Dovrei decisamente cambiare tono di voce. Comunque, mi disse solo una frase, prima del silenzio del rancore e di quello della morte. Il sangue non si dimentica, Draco, mai. Farai anche tu i conti con il tuo sangue. Non c’è signore oscuro che tenga, quando si parla del sangue.

Stringo i pugni, del sangue non me ne è fregato niente. L’ho ignorato. Continuare a vivere per il sangue, per il mio sangue, sarebbe stato uguale alla fine. Il sangue mi aveva portato fino a lì, mi aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento, solo per la sua inconfutabile purezza. Era stato la mia salvezza. Ma adesso il sangue reclamava la vendetta dell’omicidio di mio padre. Reclamava la mia morte per quell’ancestrale senso dell’onore. Non potevo permettermelo, io volevo vivere. Mio padre sarebbe stato d’accordo con me. Nonostante questo, continuo a fare i conti con gli occhi di mia madre di quel giorno. Azzurri come mai sono stati i miei, privi dei toni grigi di mio padre. Colore lucente contro l’assenza di ogni colore. Rilucenti della determinazione dell’amore che io non conoscerò mai.

Mi continuano a perseguitare quegli occhi.

Correre, riusciva a pensare solamente a quello. Il respiro corto, il fianco che doleva terribilmente, le gambe che credeva avrebbero ceduto. Tutta l’aria che inspirava, era impiegata nella corsa; non arrivava più alcun ossigeno al cervello. Forse per questo esso si perdeva nei pensieri che la sua mente cosciente non avrebbe mai riconosciuto. Le parole del vecchiaccio, poco prima di tirare le cuoia. Gli aveva detto di provare pietà per lui, di non odiarlo e tantomeno di temerlo. Parole insensate, se ne fregava. Ma una frase continuava a percuotergli il cervello con la stessa intensità del suo passo. Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come pensano gli innocenti. Lui era innocente? Certo che lo era, pensò con una punta di disprezzo per sé stesso, mentre Piton lo spingeva giù per le scale. Era stato Piton ad uccidere Silente, non lui. Lui era innocente. Nel canone del mondo comune, era innocente. Ancora. Non perché se fosse diventato un Mangiamorte avrebbe ucciso, macchiando per sempre la sua innocenza, ma perché di fronte al Signore Oscuro, quei concetti subivano una brusca inversione di tendenza. Innocente sarebbe stato Piton, che aveva compiuto l’omicidio, e colpevole lui, che non aveva avuto il coraggio di commetterlo. Le regole cambiavano nel mondo di Voldemort. Sudore freddo della paura impregnò i suoi capelli biondi, assieme a quello caldo dello sforzo. Piton urlava, avevano Potter alle calcagna. Aveva paura di Potter, adesso? Finalmente le scale finirono. La sala Grande… rumore di combattimenti, maledizioni che si infrangevano sulle pareti, acciottolio dei rubini della clessidra di Grifondoro. I rubini odiati nella loro abbondanza, il giorno dell’assegnazione della Coppa delle Case. Quasi si gloriò che adesso rovinassero, innumerabili, contro gli smeraldi intatti della clessidra di Serpeverde. Come se i Mangiamorte ci mettessero una studiata attenzione nelle loro maledizioni per non colpire la clessidra della Casa di cui sicuramente avevano fatto parte. Se mai ci avevno pensato, se mai se ne fossero ricordati… di sfuggita, vide le quattro lunghe tavolate fatte a pezzi. Nostalgia. Non ci si sarebbe seduto mai più. Alcuni come lui combattevano. Con terrore, si accorse che aveva appellato come persone come lui i ragazzi che stavano combattendo. La piattola Weasley, quell’imbecille di Paciock, Lunatica Lovegood. La Mezzosangue... la mezzosangue, si fermò nella sua mente a guardarla più a lungo. In fondo, diceva addio anche alla sua nemica naturale. Quando si sarebbero rivisti, non ci sarebbe stato spazio per trasformazioni in furetti e denti da castoro. Solo tre nomi: Imperius, Crucio, Avada Kedavra. E la fine di ogni gioco.

Evitava ogni maledizione, reclamando forze assurde ogni minimo secondo, la Granger.

Vuoi vivere, Mezzosangue?

Io anche. Non c’è nessuna differenza tra me e te.

A questo pensava, mentre in una frazione di secondo la vide e i suoi capelli agitati dal vento del suo attacco lasciavano una scia ramata nei suoi pensieri.

Lo stesso pensiero si spezzò a pezzi, quando lei si voltò e distrattamente lo guardò.

Distrattamente, null’altro era concesso. A lui, da lei.

Pietà nei suoi infiniti occhi dorati.

Pietà nel colore caldo dei suoi occhi.

Pietà nell’assenza di colore dei suoi.

La stessa pietà degli occhi azzurri di Silente.

La pietà dei buoni. La pietà degli innocenti che guardano un colpevole.

Sono sicuri di avere un paradiso sopra di loro, e guardano con pietà i dannati.

Avrebbe voluto spaccarle la faccia, ma non poteva. Stava correndo no?

E poi… non poteva… non poteva e basta.

Questo sentiva… dentro… oltre la paura ed oltre il suo folle volo.

Perché non poteva?

Era un Mangiamorte, ormai, ci avrebbe vissuto con queste cose.

Perché allora non poteva?

Stava ancora giocando? Ancora avrebbe voluto vedere denti di castoro e trasformazioni in furetto?

Ancora non era pronto?

Domande senza risposta e, prima che da Potter, fuggì da lei e dal suo insopportabile sguardo.

Con rabbia, infrango il mio pugno chiuso contro la finestra, spaccando il vetro. Il sangue cola lungo le mie nocche rimaste furiosamente serrate, mentre dallo squarcio nel vetro mi raggiunge il vento freddo,  gelandomi il viso. Rabbrividisce il sangue caldo sulla mia mano gelata, mentre la mia stanza si riempie dell’odore nauseabondo dei cadaveri ammonticchiati poco vicino. Un odore dolciastro, il sottofondo di metà della mia vita. Mi fa venire la nausea, mi porto la mano sanguinante sulla bocca ed afferro la bacchetta, nascosta sotto il cuscino.

Reparo” mormoro, anche se parte di quel tanfo orribile resta impregnato nelle pareti. Resta confinato nella mia mente.

Mi siedo di nuovo sul letto e guardo senza alcuna ombra di interesse la ferita sulla mia mano aprirsi sempre di più. Mi strappò dalla carne viva un frammento di vetro, e poi la tampono leggermente con un fazzoletto di stoffa bianca, che immediatamente si impregna di rubino.

Per un attimo sorrido. Ora capisco Blaise, quando parla della nostalgia. Una persona, una volta, mi disse che la parola nostalgia deriva da nostos, ritorno in greco… Ulisse, un eroe babbano voleva tornare a casa dopo vent’anni di guerra. Ogni volta, era una nuova impresa, una nuova avventura, ma nulla sembrava avvicinarlo a casa sua. Al massimo, sembrava solo allontanarsene. Nel viaggio, sul mare, attraverso la terra, lui struggeva per essa. La nostalgia… null’altro che il desiderio del ritorno. Io non provo nostalgia, mai.

Di solito, oso aggiungere onestamente.

I miei mai sono sempre simili ai di solito degli altri, deve essere tipico dell’indole egocentrica ed intransigente dei Malfoy. Rendiamo obsoleta l’abitudine delle cose, trasformandole in eventualità straordinarie e inconfessabili. Io non voglio ritornare da nessuna parte, quindi non provo nostalgia. Però… questo accade di solito. Di solito, per esempio, non mi sfracello la mano contro un vetro per il puro gusto di farlo. Quindi è anche ammesso che io provi nostalgia. Un po’, non fraintendiamo… non mi chiamo Blaise Zabini che ha nostalgia di tutto, dalla pioggia d’estate a Silente, passando per le Millegusti+1 e le cravatte verde-argento di Serpeverde.

Io non rimpiango mai nulla.

Guardo la mia mano.

Onestà, prego.

D’accordo, questo accade con la cadenza dei vostri di solito.

Oggi, come ogni uomo, mi sento anch’io di rimpiangere qualcosa. Cose estremamente semplici, nebbie impalpabili. Danzano attorno a me, apparentemente della consistenza del fumo, ma alla fine è pur sempre fumo che finisce negli occhi. Quindi, brucia da morire.

Io spesso lo ignoro questo miasma attorno alla mia persona. Di solito ignoro i miei rimpianti. Ignoro che volevo vendicare mio padre e salvare mia madre. Posso farlo, posso ignorarli, perché è facile farlo. Molto facile. Come ogni altra cosa nella mia vita.

Li sogno spesso la notte. Siamo in salotto ed è dicembre; fuori nevica. Nelle mie orecchie, sento solo il fischio sordo dell’aria che entra dagli spifferi. Ho cinque anni e mezzo, e sono seduto davanti al camino. Guardo le fiamme scoppiettare e sorrido, mi piace il fuoco. Me ne è rimasta la passione anche adesso, infatti la prima cosa che faccio, quando andiamo in missione, è incendiare le case degli Auror e stare lì ore ed ore a guardare le lingue di fuoco dorate sollevarsi verso il cielo. Blaise mi guarda, sogghignando, ma non mi interessa niente, resto lì e tutto sembra essere al di fuori di una piccola porta nella mia mente. Anche nel mio sogno c’è una piccola porta, chiusa. Quella dalla camera dei miei. Io sento delle urla attutite ma non me ne preoccupo. Non mi interessa. Dopo un po’, le urla cessano e sento i passi di mio padre per le scale; mi stringo nelle mie spalle, coperte da un vestitino di velluto verde.

Guarda il fuoco anche lui. Non parla per ore ed ore e io sono… felice. Contento che lui condivida quello che sto vedendo io; immagino i suoi occhi grigi come i miei illuminarsi del contrasto di colori più caldi, riempirsi di scintille luminose, restringersi per la paura dello scoppiettare di un tizzone ardente. I nostri pensieri bruciano dello stesso fuoco. Mi illudo che dalle ceneri del passato nasca qualcosa che ci renda uniti. Perché essere padre e figlio non è avere lo stesso cognome, non è che tuo padre ti dà gli occhi grigi e i capelli biondi e finisce tutto lì. C’è… qualcos’altro. Non so cosa è. Io non posso provare nostalgia. Non c’è desiderio del ritorno per una cosa che non c’è mai stata. Nel mio sogno, però, questo non l’ho ancora capito, in fondo ho solo cinque anni, no? Mi limito a non guardare mio padre, convinto che io ora sia una parte di lui, quella parte di lui che gli permetterà di vivere in eterno. Volgarmente, le persone comuni dicono suo figlio. All’ improvviso, però, sento un odore fortissimo, lo conosco bene. L’odore di mia madre. È anche lei vicino a noi. Mia madre sa di ciliegia. Si mette sempre quel profumo per coprire quello della Pozione Guaritrice che ha un tanfo orribile. È una pasta arancione che odora in maniera strana, quando ero piccolo quell’odore mi faceva arricciare il naso e stare male. E allora lei lo copriva con quel profumo prezioso e raro. Non sapeva che era inutile, a farmi chiudere lo stomaco non era quell’odore inqualificabile di un medicinale, ma quello ferrigno del sangue che sentivo sempre in sottofondo, nonostante il profumo. In sottofondo, come quelle urla, nonostante una porta chiusa.

“Draco… devi andare a letto…” mi dice, la voce acuta e tremolante.

Mi volto e annuisco, alzandomi. Ero un bambino viziato, si sa… ma non facevo i capricci… mai...

Sorridendo, guardo mio padre. Rimango immobile, perché lui ha lo sguardo fisso non sul fuoco, non su di me, ma sulla maschera d’argento da Mangiamorte che tiene appesa sul camino, dopo quattro anni che ha smesso di usarla. Brillano gli occhi a mio padre. Non ha mai avuto quell’espressione, quegli occhi, quel viso, colmo contemporaneamente di rabbia, di dolore e di trionfo, sembrava… rifulgere… più del fuoco, più di ogni cosa minimamente luccicante al mondo. Io non splendo di quella luce davanti ai suoi occhi.

È una constatazione veloce, ma ha l’effetto di un terremoto nella mia testa.

E non splenderò mai di quella luce davanti ai suoi occhi.

Mia madre mi prende in braccio, mi porta in camera mia e mi mette a letto. Nella penombra della stanza, i lividi che ha sul viso, seminascosti dai suoi boccoli biondi, sembrano molto più scuri, la sua faccia liscia e rosea sembra addirittura sparire, come inghiottita da enormi buchi neri. Lei mi accarezza il viso, poi guarda la finestra. Forse pensa che sto dormendo o forse me lo dice apposta. Guarda scendere la neve gelida e mormora, una piccola lacrima lucente splende sulla sua pelle liscia: “Lucius sta diventando esattamente come Bella… se non indosseremo una di quelle maledette maschere, non ci guarderà nemmeno in faccia…”.

È qui che mi sveglio.

Non è un sogno.

Si è capito.

È semplicemente il giorno in cui si è decisa la mia vita. Lo so che avevo cinque anni e mezzo, ma erano abbastanza per capire che quell’uomo… il Signore Oscuro… aveva tutto. E io niente. Aveva mio padre, tanto per dirne una. La più importante delle cose al mondo per me, certo. Per questo sono diventato un Mangiamorte. Per mio padre.

Ma le cose sono rimaste le stesse. Io non ho niente, e Voldemort tutto. Lui ha avuto l’ammirazione sfolgorante di padri a cui aveva promesso di oltrepassare i confini di ogni morte e di ogni potere. Lui ha avuto mio padre… io non l’ho avuto mai. E questo, stavolta, è un vero mai, un mai degli altri. Comunque, alla fine ha avuto anche me. I miei motivi per essere un Mangiamorte adesso sono altri, ma alla base c’è una storia semplice. Semplicissima e brevissima.

Volevo compiacere mio padre e volevo che lui mi guardasse.

Per questo, non provo rimpianto dei miei genitori. Per questa maschera, per indossarla, per nascondermi nel suo incavo luccicante, per splendere della sua luce riflessa, ho dovuto accettare tanto, sopportare molto, sacrificare tutto. Me stesso, tanto per dirne una. Quando la indosso, io sono come un’onda del mare, scura e nera che si infrange sulla terra. Non conta riconoscermi, basta che io ci sia e dia il mio contributo. E, quando la indosso, io vivo secondo essa. Morirò secondo essa. La regola base della maschera è essere fedele al Signore Oscuro. Prima lui, e poi il resto. Prima lui, e poi gli altri. La famiglia… loro, quella sera, mi hanno fatto capire chiaramente che cosa dovevo essere, mi hanno fatto capire che questo era scritto nel codice genetico della nostra stirpe. Quindi… quando qualcosa gli si è rivoltato contro ed avevano già fatto di me quello che volevano, non potevano chiedermi di tornare indietro. Verso cosa? L’ho detto, a parte il Signore Oscuro, non avevamo nulla per cui desiderare di tornare. Non potevo vivere, accettando una parte di regole. Non potevo vivere, essendo solo un Mangiamorte a metà. O tutto, o niente. Io ho accettato tutto. Come mio padre, che non ha certamente lasciato spazio a mia madre e a me. Allora perché avrei dovuto farlo io?

Io sono prima di tutto un Mangiamorte.

E solo dopo, molto dopo, io sono Draco Lucius Malfoy.

E con molto dopo, si intende solo qualora il Mangiamorte lo abbia permesso.

 

No love no glory

Inizio lentamente e faticosamente a svestirmi, oggi mi sento davvero stanco. Blaise aveva perfettamente ragione. Come cavolo fa, non lo so, ma ha sempre ragione lui, mi fa una rabbia eccezionale.

Raggiungo la mia sontuosa camera da bagno in marmo bianco e nero, e riempio la vasca fino all’orlo. Acqua di tutti i colori dell’arcobaleno sgorga dai rubinetti d’oro massiccio, mentre nuvole colorate di bolle si sollevano nell’aria. Mi ci adagio comodamente dentro. Poggio la testa sul bordo della vasca, distendendomi, e chiudo gli occhi. Quando li riapro stancamente, osservo pigramente la superficie dell’acqua, che agito con le mani, descrivendo piccoli cerchi concentrici. Il mio corpo è pieno di ferite e l’acqua è diventata rosata. Nel punto accanto alla mia mano, diventa addirittura rossa. Eccola lì, di nuovo la maledetta nostalgia. Adattata ad uso ed esigenza di Draco Lucius Malfoy. L’ho detto, io non provo nostalgia degli altri, ma solo di me stesso. È l’unica cosa verso cui potrei avere desiderio di ritornare.

Ieri, abbiamo assaltato l’ultima roccaforte degli Auror e mi sono dovuto battere con quel demente di Dean Thomas. L’ho fatto fuori, ovviamente, ma non mi aspettavo che fosse così forte. Blaise me l’ha menata, dicendo che dovevo medicarmi, ma io davvero non avevo dolore o fastidio. Mi sono ritirato in camera mia, ho dormito qualche ora e poi mi sono fatto l’Abbott.

C’era un tempo però in cui al minimo taglio urlavo, in cui la vista del sangue che rovinava la mia pelle diafana mi accecava di dolore, in cui ogni minima escoriazione mi faceva gemere. Una volta, ad Hogwarts, quella specie di mezzogigante pulcioso ci fece vedere un ippogrifo. Mi fece male, mai come mi posso essere fatto male adesso. Mio padre lo fece anche condannare a morte quella specie di animale, chiaramente perché io mi presentai a lui, come se avessi avuto la più grande delle disgrazie mai subite e fossi un qualche sopravvissuto ad una mattanza di un pazzo omicida. Ma non era davvero niente in confronto a quello che ebbi dopo.

Da Mangiamorte.

Ululare di animali notturni. La luna splende tonda nel cielo, come il viso scarno di un assassino. Guarda il cielo attraverso la finestra rotta, uno spiffero di vento gelido che gli raggiunge il viso. Mai come l’altra folata di vento che attraversa la stanza nella sua assenza.

Lei… fresca tramontana. Guarda le sue bende sul suo corpo. Ferite sparse che ancora bruciano e percuotono i suoi sensi provati. Piccole lacrime di dolore splendono nei suoi occhi grigi, ostaggi di una vergogna inammissibile. È solo. Si dice che sarà l’ultima volta che piange. Giustificazione per una colpa capitale. La piccola goccia salata cade lungo il suo viso, i suoi zigomi severi e il suo collo sottile e bianco, tocca le sue vesti lacere, muore nell’incavo del gomito. Spaventata la sua piccola lacrima, risalta come un diamante sulla fronte di una donna nera, mentre arriva nel centro di una macchia scura sul suo braccio. Il tatuaggio dei Mangiamorte.

Credeva che gli Auror fossero i bravi ragazzi. Non era vero, sapevano ferire, torturare, uccidere, peggio dei Mangiamorte.

Credeva che Piton non l’avrebbe abbandonato. Non era vero, si erano separati giorni prima. Lo aveva lasciato alla Stamberga Strillante.

Credeva che la vita di un Mangiamorte fosse lusso ed onore. Non era vero, ma questo lo sapeva da tanto.

E poi credeva un’altra cosa… ma a questa non sa ancora dare una qualificazione.

Non conosce la nostalgia. Il desiderio del ritorno.

Non sa dove potrebbe tornare. Non c’è niente dietro di sé, per cui desideri tornare.

Un rumore conosciuto. Conosciuto come il vento.

Lei, ovviamente.

“Oggi avevo più compiti del solito…”.

Parole senza importanza.

“La McGranitt ci sta parlando della trasfigurazione animale…”.

Parole assolutamente inutili.

“Ed ovviamente dovevo esercitarmi, tra poco ci sono i M.A.G.O.!”.

Parole che gli davano fastidio.

“Come se non bastasse, poi, quella dannata Mrs Purr mi ha seguito per ore!”.

Parole tenui ed instancabili, mentre imbeve le nuove bende nel disinfettante verde scuro.

“E dovevo anche aiutare Dean con Storia della Magia!”.

E parole… non sa definirle, non le conosce… sono in effetti parole ben strane… fantasmagorie di pensieri di foggia particolare.

C’era ancora la McGranitt che caricava di compiti. C’era ancora la trasfigurazione animale da studiare. C’erano ancora i M.A.G.O di cui preoccuparsi. C’era ancora Mrs Purr che rompeva. C’era ancora Dean Thomas, lo scemo integrale. E tutti gli altri, e il resto del mondo.

C’era tutto, e questo, nonostante tutto…

“Nelle cucine ho trovato un po’ di pasticcio di funghi… spero che ti piaccia…”.

Non sa cosa siano, ma sono parole vitali, necessarie. Per lui. Per credere che esiste ancora un universo lì fuori. Non solo fuori da quella casa, ma fuori di lui, del solo mondo che conosce, della sola vita che sta vivendo. E lei lo sa, chissà come lo sa.

Finisce il suo lavoro e guarda il cielo, mentre lui mangia.

“Non cambierà niente, lo sai, Granger?”.

Lei annuisce, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non deve aver mai pensato il contrario.

“Il fatto che tu mi stia aiutando, non cambierà nulla… sono sempre me stesso, e tu la schifosa Mezzosangue di prima…”.

Solleva le sopracciglia, in espressione annoiata. Certo che lo sa, sa sempre tutto come sempre.

“Quando starò bene, tornerò dal Signore Oscuro e tu da Potty, no?”.

Le sta chiedendo conferma. E lei gliela dà, annuendo stancamente.

“E allora perché?”.

È davvero confuso, adesso. Lei saprà sicuramente perché. Come sempre.

Se sa tutto, perché?

“Ho quasi ucciso Silente…”.

Una nuova conferma ad una domanda non fatta.

Resta in silenzio ancora, poi sorride dolcemente.

Come fa con tutti, si dona a tutti. Anche a lui, sebbene non abbia mai chiesto niente. A nessuno, tantomeno a lei.

“E’ il quasi che ti frega.”.

Raccoglie le sue cose, pronta a tornarsene nella sua Torre d’Avorio da Grifondoro.

“E soprattutto la mia coscienza… dopo che ti ho trovato qui per caso, so che è qui che dovrei essere. È quella che non mi fa andare via. È la mia coscienza che mi fa tornare.”.

Tace lui, vorrebbe chiederle perché lui invece la fa restare.

Si ferma lei di spalle, davanti alla porta, mangiata dai tarli. Appoggia la mano sullo stipite e rimane ferma.

Chiaramente non lo delude. Dona la risposta che lui cerca, la risposta che lei ovviamente conosce.

“Non ti preoccupare, Malfoy. Mi fai restare solo perché è nella tua natura. La natura di sfruttare la gente per il proprio vantaggio. Non  farti domande e non essere inutilmente confuso; è solo il tuo egoismo a farti restare… qui, con me…”.

Annaspo e torno a galla, emergendo con la testa fuori dall’acqua. Mi sono addormentato e stavo quasi per affogare. La vasca è profonda sì, ma io stavo morendo da perfetto imbecille. Tossicchio ancora un po’, la gola che raschia. Mi sollevo faticosamente a sedere e mi stropiccio gli occhi, guardando fisso davanti a me il riflesso nello specchio dalla cornice dorata. Lo guardo attentamente, lo scruto, come se non fosse il mio; mentre lo faccio, mi sento annaspare, come se davvero stessi affogando ed avessi i polmoni pieni d’acqua. E quel che è peggio è che vorrei quasi che fosse vero. Invece è solo una maledetta sensazione. È solo questo. Una sensazione. E mi sta uccidendo.

Rido senza senso, una risata folle, troppe volte udita in questi luoghi. Non da parte nostra, chiaramente. Tra loro, gli altri, quelli che non contano. Nel  mio caso, al massimo, potrebbero prendermi per pazzo, ma questo non ha mai costituito un problema, anzi… guardare l’esempio della vecchia compianta zia Bellatrix, per credere.

Perché rido?

Niente mi uccide davvero. Le ferite, il rimpianto, la morte incombente, quella altrui. Così, mi dico, farò sì che niente davvero mi uccida, ferendomi, straziandomi, dolendo la mia anima.

È buffo, ma nonostante tutto, ho ancora paura di morire. Dopo il potere, la gloria, la ricchezza, la fama, il piacere.

Ho davvero paura di morire. Ed allora, come tutti, mi racconto questo.

Quando sarà il mio turno, non me ne dispiacerà. La morte troverà un’anima facile da portare via. Calerà senza sforzo e senza lacrime inutili la sua falce scintillante su di me.

Certo, spero più tardi che mai, come tutti. Ma intanto probabilmente sarò talmente, non dico morto, ma poco vivo che non mi farà male.

Poi arriva quella sensazione. Non la chiamo, mai, e lei lo stesso entra, come una folata di vento freddo che fa aprire e sbattere le finestre. Non so come definirla, so che arriva. E che mi spacca dentro. Ci sono giorni in cui arriva ad ogni minima parola, pensiero o idea. La trova sempre una strada per trovarmi. Mi fiuta, come se lasciassi dietro di me una scia luminosa, per lei impossibile da ignorare. È esattamente allora che vorrei morire pur di non sentirla più.

Io che mi aggrappo alla vita con folle disperazione, voglio allo stesso modo disperatamente morire in quei momenti.

Morire davvero, perché dentro mi sento fin troppo vivo.

E non so perché.

Ogni Mangiamorte è morto. Lo dice il nostro nome stesso, ci cibiamo della morte.

Per la gloria.

Moriamo per essa.

Non si può essere vivi, punto e basta. Chi è vivo, non può essere morto, ovvio, come chi può essere noi, non può essere loro. Chi è vivo, non può cibarsi della morte altrui per amore della gloria.

Semplicemente, non è Mangiamorte.

Questi momenti, questa…  cosa…mi ricorda che sono ancora vivo, mio malgrado. Troppo vivo.

Ho una vita perfetta, ho una stanza perfetta, sono un Mangiamorte perfetto che conosce giorni di perfetta gloria.

Eppure, sono ancora vivo.

L’unica cosa imperfetta sono io con la fottuta sensazione strana.

Imperfetta, come colei che me la provoca, suprema parabola dell’imperfezione umana.

Ed è imperfetta, perché mi convince del contrario, del contrario di tutto, come sempre. Sorrido a me stesso, guardo il mio riflesso nello specchio ed appare diverso. Sono Draco Lucius Malfoy per un attimo e me lo godo fino all’ultimo, nonostante sia il più grande tradimento. Riassaporo i miei occhi, il mio sguardo, il mio viso… e i miei pensieri… me li ero scordati, come fossero. Belli. Non sapevo che fossero così chiari, trasparenti, stalattiti di cristallo su una parete di roccia dura.

“Sai che sto studiando Aristotele?” sorriso soddisfatto sulla sua bocca rosea e piena.

“E allora?” sorriso annoiato sulla sua bocca sottile, arricciata in una smorfia di disgusto. Sta molto meglio adesso, riesce anche ad essere ironico. L’ironia è un lusso di chi sta bene. Quando se ne sarà andato da quella maledetta casa, recupererà anche il suo cervello. Che dovrebbe aver già cacciato la Mezzosangue, ora che si sta rimettendo. Cosa che non ha fatto, ce l’ha ancora di fronte. Ma il cervello è un lusso di chi non possiede niente di meravigliosamente inspiegabile.

“Come -E allora?!-??!! Non mi chiedi perché?”. Smorfia di delusione, da bambina capricciosa. Sporge leggermente il labbro inferiore. Gli viene da ridere, ma non lo fa.

Morirebbe, pur di non farlo.

“Perché?!!” voce infinitamente annoiata, si stiracchia stendendosi meglio sul divano cremisi. La luce del sole inonda le stanze polverose. E lei è lì, nonostante siano le Vacanze di Natale. Mai lontanamente immaginato.

“Non così! Sembra quasi che non ti interessi!” . Frustrante, decisamente frustrante parlare con lei.

“Infatti, è proprio così, Granger…”.

Silenzio, crede che lei si stia arrendendo. No. Si sta solo riorganizzando.

Lei non si arrende mai.

“E va bene, visto che ti scoccia tanto e io adoro scocciarti, te lo dico lo stesso!”. Sorriso ancora più soddisfatto. Praticamente inutile discutere con lei.

Profumo di fiori di pesco e vaniglia. Si siede accanto a lui.

“L’ho cominciato a studiare per caso… e ho scoperto una cosa importante! Leggi!”.

Oro rosso nei suoi capelli.

“Se non tieni fermo sto cavolo di libro, non leggerò mai niente!”.

“Scusa”. Si ferma. È sempre troppo agitata, quando è felice. È felice la Mezzosangue. Ed è con lui. Fa schifo pensarlo, no? Pensa, ma la voce della mente è troppo flebile per udirla. Lei è insopportabilmente fastidiosa e soprattutto rumorosa.

Mette a tacere ogni altra voce.

“Dove devo leggere per porre fine a questa lagna?”.

“Qui!” risata impaziente ed eccitata.

“Mi hai fatto male! La gamba,ahia! Ti ci sei seduta sopra!”.

“Non è vero!”. Moto di stizza, un piccolo pugno sulla spalla destra.

“E se anche non era vero, ora mi hai fatto male alla spalla fasciata!”.

“Scusa, accidenti! Vuoi leggere?!”.

“Mi lasci in pace poi? Emigri in un altro continente?”.

“Sì, sì! Ma leggi, dannazione!”.

Sospiro rassegnato.

“La felicità, infatti, come abbiamo detto, richiede virtù perfetta e vita compiuta, giacché nel corso della vita…”.

“Basta!” un’esclamazione affrettata.

“Come basta?! Tutto qui? Consolati, Granger, non ci ho capito niente! E, soprattutto, non me ne frega niente!”.

Sospiro spazientito.

“E’ ovvio che non capisci… non presti attenzione! Rileggi!”.

“Fossi matto! Una basta ed avanza!”.

“Sei decisamente impossibile, Malfoy… possibile che tu non abbia capito?”.

Espressione diversa. Occhi cioccolato nella nebbia dei suoi. Brividi sul suo collo. Lei, mortalmente seria.

“No, Granger… spiegamelo tu, visto che sei tanto brava…”.

Sorride. È felice, quando deve spiegare qualcosa.

“Non sarai mai felice, se non sarai dalla parte giusta. Quella della virtù, che, si dà il caso, sia la mia parte. E quella di Harry. Non sarai mai felice dall’altra parte. Non ci sarà spazio per l’amore, di nessuno, e quella che penserai essere gloria, non sarà nulla di tutto ciò.”.

“L’ho fatta la mia scelta, Granger, lo sai… te l’avevo detto che non sarebbe cambiato niente…”.

Improvvisamente è costrizione stare con lei. Claustrofobia, si sente soffocare. Fa per alzarsi.

“Volevo solo dirtelo… sapere di averlo fatto…” sorriso triste. Fa male.

“Per svuotarti la coscienza?”. Arrogante ed amaro, come sempre. Chiude le porte.

“No… non solo per questo…”. Accogliente e dolce, come sempre. Spalanca le porte.

“E allora per cosa altro?”. Inaspettatamente imbarazzato.

“Per chi altro, vuoi dire?” , una ghirlanda il sole alle sue spalle. Sembra una regina.

Annuisce e deglutisce.

“Per te… ma soprattutto per me…  e non c’entra niente la mia coscienza…”.

“E cosa allora?”.

“Se resti dall’altra parte, non ci sarà mai spazio per l’amore di nessuno…”, inaspettatamente incerta “Tantomeno per il mio…”.

È in quel momento che capisce che definitivamente ha perso il suo cervello. In quel minuscolo momento che passa tra le sue parole e l’esserne felice oltre ogni ragionevole misura. Il momento in cui davvero pensa di passare dall’altra parte. Dove c’è lei. Il suo piccolo e meraviglioso mistero inspiegabile.

Ritorno a guardarmi allo specchio e constato freddamente che la maschera è di nuovo al suo posto. Una maschera più rigida e fredda di quella d’argento dei  Mangiamorte, una maschera che porta incastonati come due opali morti i miei occhi grigi. Ogni tanto Draco solleva la sua piccola testa, accende gli occhi e mi fissa, ma poi muore lì, nell’inferno dentro di me. Draco muore assieme a lei, la Mezzosangue. Li vedo avviluppati dalle fiamme, rido mentre si accartocciano come foglie secche, e calpesto con disgusto la loro cenere. Peccato che, come fenici, risorgano sempre da esse, facciano solo finta di morire, e io non me ne avveda mai. Mai che disperda quelle ceneri nel vento e lasci che si perdano. Lo dimostra questa maledetta sensazione, l’ho detto. La sensazione è lei. Lo capisco chiaramente. L’effetto è lui, dare forza a Draco. Penso che sarebbe già morto, se non ci fosse stata lei.

Io sarei un vero Mangiamorte, se non ci fosse stata lei.

Torno in camera mia, una piccola nube di vapore che mi segue nel mio percorso. Svogliato, apro l’armadio, cercando la mia lunga tunica nera da Mangiamorte. Lascio scivolare a terra l’accappatoio bagnato, nonostante non mi sia ancora asciugato. La mia pelle rabbrividisce al contatto con le piccole gocce che cadono lungo le braccia, il torace e le gambe.

Ho lavato via il sangue, ma le ferite ci sono ancora.

Stringo le labbra, mordendo il labbro inferiore con forza, sento il sapore metallico del sangue in bocca. Scivola nella mia gola, brucia le mie viscere. Il sangue non mi dà tregua, il mio sangue puro non mi dà tregua. Ma resisto, so resistere. Me l’ha insegnato mio padre; ogni volta che provi dolore, procuratene un altro. Se ti fa male il braccio, pizzicati il fianco; se ti fa male la gamba, morditi le labbra. Concentrati sul dolore che tu stesso ti sei procurato e mordi, mordi come se ne andasse della tua vita. Prenditi a morsi avidi ed avari, fin che il dolore sia così lacerante da cancellare l’altro dolore, quello che tu non ti sei cercato. Il dolore che non volevi. Diventerai cieco del dolore precedente, e, quando smetterai di mordere, lo saprai. Lo saprai che quel dolore che ti faceva annaspare, non era niente in confronto ad un altro che potresti provare. E imparerai a sopportare.

Morso. I Malfoy non esistono più.

Nuovo morso. Sono l’ultimo dei Black e dei Malfoy.

Pelle screpolata in mezzo ai denti. Hanno ucciso i miei genitori.

Lingua tocca il sangue. E io non so il perché.

Sangue nella mia gola. Non ho chiesto il perché.

Gengive che fanno male. Non volevo sapere il perché.

Denti fulminati di dolore. Non mi importava il perché.

Pugno contro l’anta dell’armadio. Osso che brucia. Sono sempre stati fedeli

Calcio contro la poltrona. Dito che si flette innaturalmente. Spilli nei muscoli. Non è bastato che fossero fedeli.

Testata contro la parete. Martello contro la mia fronte. Vertigine nei sensi. Rivolo caldo lungo la guancia. Li ho traditi.

Sono morti.

Io sono fedele.

E se non basterà?

Cado in ginocchio, ancora nudo.

Ora il sangue scorre di nuovo. Ed ancora non fa male. Non fa male. Non c’è distrazione, papà. Nessuna distrazione.

Il paradosso è che, se anche potesse sentirmi e volesse degnarmi di ascoltare e rispondere, cosa che non ha mai fatto in vita, credo che mi direbbe soltanto che gli faccio schifo, profondamente schifo.

Esattamente quello che penso anch’io di me stesso.

Perché sono loro due la distrazione. I miei genitori e la loro orribile fine sono la distrazione.

Il dolore, quello vero, è un altro.

Ancora mi guardo allo specchio. Draco mi sorride beffardo dall’altra parte del vetro.

La guarda attraverso lo specchio. I suoi occhi, le sue labbra, il suo viso, le vede solo dallo specchio. Si trucca. Sta a mezzo centimetro dalla superficie di vetro, il naso che accarezza leggermente lo specchio stesso. Respiro condensato in un piccolo alone.

Piccolo sorriso curva le labbra di lui, rosse di una piccola scia di sangue.

Un morso d’amore. Sa anche mordere la Regina dei Grifondoro.

Non sa truccarsi, però. Ride mentre la guarda. È buffa. È bella. Lei che ora sta lì. In una camera da letto con lui, come la cosa più naturale del mondo. A piedi nudi, le gambe scoperte, solo la camicia di cotone addosso, come la cosa più naturale del mondo. L’espressione corrucciata mentre si trucca, come la cosa più naturale del mondo.

“Che cavolo hai da ridere?!”. Esplosione di piccola rabbia. Onde di capelli la seguono.

“Sei malata? Non sto affatto ridendo!”. Negare, sempre negare. Anche l’evidenza.

“Guarda che non sono cretina, Draco! Ti ho sentito!”.

“E allora, oltre che malata, sei anche sorda…!”.

Occhi pieni di scintille. Si sta arrabbiando.

Limitare i danni.

“E va bene! Ma insomma, guardati! Non ti sai per niente truccare!”.

“Ma che accidenti dici?!”.

“Hai un occhio più scuro e uno più chiaro!”. Risata che prude la laringe.

“Ovvio, stavo ancora finendo… devo sfumare…”. Sguardo di superiorità. C’era un tempo in cui lo odiava. Ora è una droga. Non potrebbe mai farne a meno.

“Sarà… ma se ammetti di non saper fare una cosa, mica muori, Granger…”.

Passa un lampo nei suoi occhi. È solo un secondo, lampo bronzo nei suoi occhi d’oro.

Guarda lo specchio, si volta. Inumidisce il dito, lo passa sulla palpebra. Voce che indugia.

“Non mi chiami mai Hermione…”.

Guardarla turbato. Non sapere che voglia dire.

“E allora? Mi viene più naturale chiamarti Granger… ti ho chiamato per anni così…”. Tutte le cose tra loro scorrono naturali. La risata, il letto, lei che si trucca, e lui che la chiama Granger.

“Se è per questo, anche io ti ho sempre chiamato Malfoy… e ora ti chiamo Draco…”.

Ancora tremore. Ancora di spalle. Calcio nello stomaco.

Alzarsi dal letto. Naturale. Stringerla per la vita, la guancia contro la sua. Baciarla.

Sospiro di lei, scirocco caldissimo.

“Se vuoi, ti chiamo Hermione… se ti dà tanto fastidio…”.

Sorriso bellissimo. Mano sulla sua, appoggiata sul fianco.

Bacio sul collo di lei, pesca e vaniglia. Un altro, un altro, un altro ancora. Deliziosa caramella lei, un vizio a cui non si riesce a smettere. Dieci, cento, mille “Hermione” nelle sue labbra.

“Dai, adesso basta!” Risata. Tenue fuga. Nuvole nello sguardo dissolte dal sole delle sue iridi.

Parole discordanti dalla tensione nella sua pelle. Non ascoltarle. Baciarla ancora.

“Dai, Draco! Sei impossibile! Devo andare alla riunione! Smettila!”.

“Di fare che?”. Continuare, fino alla morte. Fino ad averla consumata tra le sue labbra. Ingenuità assolutamente non ingenua. Strattone, scappa. Ride. La insegue.

Cadere nelle lenzuola, arrancare nella loro zattera del mondo naufrago. Guardare i suoi occhi annebbiarsi di piacere, riempirsi d’amore, sussurrare il suo nome, e sapere che è normale. Amarla alla follia, e sapere che è normale. Prenderla con tutto sé stesso, e sapere che è normale. Sentirla dire che lo ama, e sapere che è normale.

Se una cosa è così normale, naturale, deve essere per forza anche giusta.

Deve essere così. Ad ogni costo, o davvero il mondo non funziona. Davvero niente funziona.

La sua testa sul suo petto. I capelli scompigliati che sanno di shampoo per bambini. Lei, il migliore balsamo per tutto. Lei lo accarezza, come una soffice brezza marina.

Passa le dita sulle sue palpebre chiuse e frementi, non dorme, lo sa già. Le ritrae sporche di polvere colorata. La sua maschera personale… ogni donna si trucca per nascondere sé stessa e mostrare un’altra faccia. Guarda una donna truccarsi e capirai ogni suo minimo segreto. Se mostrerà il suo viso lindo e pulito davanti al tuo, vuol dire che sei una parte di lei, e che crede di poterselo permettere. Di essere lei stessa con te.

Sorride, ovviamente parole di Blaise Zabini. Non sue.

Le toglie ogni traccia di quella maschera, quella che mostra fuori da quella camera. Le è grato, perché glielo lascia fare. Rimane lì, tra le sue braccia, il respiro ancora leggermente affannoso.

“Lo sai che tutto… questo… ci metterà in un mare di casini?”. Voce rassegnata, lo guarda dal basso in alto.

“Certo che lo so…”.

“Lo sai che il meglio che possiamo aspettarci, è che Harry lo scopra e mi mandi al San Mungo?”.

“Lo so…”.

“Lo sai che stiamo rischiando grosso?”.

“Lo so…”.

“E che questa… cosa… potrebbe ucciderci?”.

“Lo so…”.

“E che, soprattutto, non ci porterà a niente?”. Incerta la voce, occhi di nuovo pieni di nuvole.

Non c’è un altro “lo so”. La bacia. Con forza, dolore, le sue labbra sanno solo di necessità e bisogno. Non passione e non amore, allora. Lei risponde nella stessa maniera. Succhiare la forza l’uno dall’altra. Lui, il coraggio da lei. Lei, la spregiudicatezza da lui. Non aver pronunciato l’ultimo “lo so…”. L’arcano segreto che li farà rincontrare, ancora, ancora ed ancora.

Staccarsi alla ricerca d’ossigeno, necessità minore, ma importante.

Sorriso triste sulle labbra di lei. Stringerla forte e soffocarla nel suo petto.

Udirla lo stesso.

“Hai ragione. È ormai perfettamente chiaro che non so più niente…”.

La porta si apre. Guardo con occhi confusi la persona sull’uscio, anche se so benissimo chi è. È la sola che potrebbe semplicemente entrare, senza bisogno di un invito. Mi guarda scioccata, a metà tra la vergogna, il timore e lo stupore.

“Ma che diamine stai facendo?!!” mi urla, richiudendo la porta, per timore che qualcuno la senta.

Mi alzo dal pavimento, ingombro di pezzi di vetri e schegge di legno. Prima che possa rispondere, urla ancora, rossa in viso: “E mettiti qualcosa addosso, dannazione!”.

Sorrido, afferrando la vestaglia e mettendomela addosso: “Sei mia moglie, e ti faccio ancora questo effetto? Lo sai che non è normale?”.

Incrocia le braccia e mi guarda con sguardo di sfida: “Figurati quanto me ne importa… e comunque non avevo la minima intenzione di saltarti addosso… anche perché Blaise avrebbe ucciso prima me e poi te…”, si gratta pensosamente la guancia, squarciata nel centro da una profonda cicatrice scura, poi aggiunge: “Anzi credo che ammazzerebbe prima te, e poi me… e naturalmente gli farei cambiare idea… su di me, chiaramente. Per te, non avrei fatto in tempo…”. Sorrido ancora, mi fa piacere vederla così. Sembra… serena. Ovviamente so che non è vero. Ma l’apparenza è la migliore delle consolazioni. Non viviamo tutti così in fondo, come lune che mostrano sempre la stessa faccia, lasciando l’altra più scura e meno bella nell’ombra sempiterna? Perché dovrei deluderla, se finge di essere serena? E sicuramente le costa moltissimo farlo?

“Che c’è, Pansy?” le chiedo, dandole le spalle, mentre mi vesto.

Non risponde alla mia domanda, ma provvede a farmene una lei. In fondo, è pur sempre mia moglie.

“Si può sapere che cavolo hai combinato? Hai quasi distrutto la tua camera!”

“Un Sectumsempra uscito male… sai che non mi riesce bene…”. Certo che lo sa, è pur sempre mia moglie. Quindi sa perfettamente che il Sectumsempra l’ho usato con Dean Thomas ed è uscito benissimo. C’era lei, vicino a me. E sa anche che sulle cose non ha effetto, ma solo sulle persone.

Mi ricambia il mio favore di prima, lasciando la mia faccia nascosta nell’ombra. 

“Sei veramente imbranato…” dice ironicamente, guardandomi con un tenue sorriso.

“Già… allora che vuoi?” le chiedo, voltandomi. Mi sono rivestito, anche se i miei capelli sono ancora bagnati. Dovrei smetterla con questa abitudine di portarli lunghi come mio padre, figurati a lui che gliene frega, se anche si degnasse di guardarmi, dovunque è. 

Esita un po’ prima di rispondere. Si passa la mano tra i capelli lunghi e neri, brilla come una stella l’anello con diamante che porta all’anulare sinistro. Il mio anello, quello che ha indossato per la prima volta tre anni fa, quando ci siamo sposati. Quello che era di Narcissa Black Malfoy. Se lo meritava Pansy, davvero. E’ l’unica a cui forse l’avrei ceduto. Il gioiello splende irritante per i miei occhi, mentre ancora le sue dita passano nei suoi capelli scuri. I capelli che mai io ho toccato, accarezzato o baciato. Certo, alcune volte dorme con me, ma, se la toccassi, credo davvero che Blaise mi ucciderebbe. E poi non ne ho proprio voglia, non mi piacciono i triangoli amorosi tra migliori amici. Inoltre, credo che allo stadio attuale delle cose, posso tranquillamente definire Pansy come una sorella.

Quando Blaise mi chiese di sposare la donna che lui amava da almeno cinque anni, non capii perché. E nemmeno capii quando me lo ordinò il Signore Oscuro. Ma l’ho fatto. Per la prima condizione, quella di Blaise, poi ho capito. Per la seconda, non c’è ancora spiegazione. La cerimonia fu sfarzosissima. Ci unì in matrimonio il Signore Oscuro stesso con un lungo rito, culminato con la consegna dell’anello di mia madre a mia moglie. Molti si meravigliarono, e so benissimo il perché.

Splendeva un diamante sulle dita di Pansy, non uno smeraldo, come fa ogni Mangiamorte con la compagna della sua vita.

“Ma è bellissimo! Chissà quanto ti è costato!”. Occhi illuminati dalla luna e dalla meraviglia.“Ma perché?”. Fa sempre domande lei, anche nei momenti migliori.

Infila al suo anulare sinistro la piccola gemma verde giada. Sorride alla piccola difficoltà che incontra nell’infilarlo fino alla fine. Porta la sua mano alle labbra, e le bacia quel dito stesso.

“Lo vedi a che dito te l’ho messo, Grang- volevo dire- Hermione?”. Fa sempre errori lui, anche nei momenti migliori.

Corrugare della fronte. Pensare. Distendersi delle piccole pieghe della sua pelle. Capire. Rossore sulle guance. Capire meglio. Mani sulla bocca. Aver definitivamente compreso.

“O mio Dio!” . Urlo felice, lacrime sulle guance.

“Sta zitta! Altrimenti ci sentono, Granger!”. Sussurro prudente, carezza sulle lacrime.

“Vuoi dire che… insomma che tu…”

“Sì Granger, vuol dire esattamente che io…”. Ridere. Non si può far altro con lei. Tensione che evapora nella risata almeno un po’. Tensione che ritorna per la risposta.

Non arriva risposta. Rimane in silenzio. Doloroso silenzio.

Nuove lacrime, e sa già che sono diverse da quelle di prima.

Espressione cambiata in un soffio di vento.

Lancinante freccia ferisce lo stomaco.

“Hermione, che c’è?”. Stringerla per la vita. Cercare i suoi occhi. Non trovarli.

“Guarda che se non vuoi, non importa…”. Non è vero, importa eccome.

Dita che stringono convulsamente il suo mantello. Affonda il viso nel suo petto. Piange, ancora.

La stacca da sé. Come sempre, a malincuore.

Viso arso dal sale delle lacrime. Ma sorride, lei sorride, come sempre. Risata acuta, ago sotto le sue unghie.

“Che cosa scriveremo sull’invito? Fedele Mangiamorte sposa Valente Auror? E metteremo la clausola di non uccidersi durante il ricevimento, ma solo fuori?”. Scherza. E piange.

Ora capisce. Stretta più forte sulle sue braccia.

“Draco, siamo realistici… tu sei un Mangiamorte ed io…” parole soffocate dalle lacrime. Non va avanti, e lei parla sempre, anche nei momenti importanti.

Sentirsene soffocato. Desiderare che lei parli, che dica qualsiasi cosa, anche un “no”, ma il silenzio… morirne per ogni secondo che continua. Pregare perché finisca… a qualsiasi prezzo. 

“Se è solo questo il problema…” sussurro inudibile.

Raggi del sole di nuovo nei suoi occhi, mescolati a quelli della luna. Solleva il capo. Viso luminoso di stelle e luna. E di altro. Sorride, la conosce bene quella luce. Luce gemella alla sua. Capisce che ha trovato la soluzione.

Tra poco… mai più silenzi…

“Hanno ucciso i miei genitori… hanno fatto del male ai miei amici… fin quando c’è stato da giocare, era un conto. Ti ho messo in pericolo per stare con me, ora non ne ho più voglia…”. Stretta più forte sulle sue braccia. Tremore nella voce. Stringerla più forte, pregarla intensamente di dargli quel coraggio che gli manca ancora.

“D’ora in poi, sarà tutto in salita, ma non mi interessa se sarai ancora con me. Ho bisogno che tu mi renda migliore, come già riesci a fare. Se deciderai di sposarmi, io…”. Voce spezzata, sguardo altrove. Non ci riesce.

Quando finirà di parlare, niente sarà più come prima.

Lo braccheranno, cercheranno, tormenteranno. E lei con lui. Già… però… lei con lui… lei sempre con lui…

“Draco…” un piccolo richiamo. Dita nervose sulla sua mano.

Guardarla ancora, il petto che trabocca di luce. Lei… il suo coraggio… lei, la sua forza. Lei, il vento che spinge altrove la sua nave. Può ribellarsi al vento, lui, piccola barchetta? Certo che no.

“Domani verrò con te da Potter… gli dirò tutto…”.

Raggiante lei, piccola stella senza cielo. Splendi, stellina, brucia questo stupido mondo del tuo calore e della tua luce.

Esplodi di colori, e fagliela vedere. Ti guarderò da quaggiù, principessa del cielo.

Questo pensa. E sa come farla bruciare di luce.

“Da domani, qualsiasi cosa tu dica o faccia, io non sarò più un Mangiamorte… sarò solo Draco Malfoy… e , se tu lo vorrai, sarò anche il marito della piccola, insopportabile, Mezzosangue Granger…”.

Vola tra le sue braccia, meteora lucente. Farfalla di luce spicca il volo.

Morde le sue labbra, lacrime dissolte sulle sue guance. Ogni luce muore.

E lui si dice che le regalerà milioni di anelli. Miliardi, se vorrà. E quello smeraldo cadrà per terra, nella polvere. Il simbolo del legame di un Mangiamorte. Quello che lui non sarà mai più.

Mi viene da rimettere e mi porto impercettibilmente la mano alla bocca. Ricordare il matrimonio con Pansy non è una bella esperienza. E poi l’anello… la celeberrima sensazione…

Quando sposai Pansy, pioveva a dirotto. Lo ricordo bene, le finestre ticchettavano d’acqua e non si vedeva niente fuori. Né dentro, solo la tenue luce del camino che illuminava fiocamente il salotto. Misi l’anello a Pansy e il Signore Oscuro, come simbolo del nostro legame eterno, fece uccidere un unicorno e ci riempì una coppa piena del suo sangue. Lo ricordo ancora quel liquido argentato che splendeva beffardo nel bicchiere di cristallo; lo avevo visto solo un’altra volta, nella Foresta Proibita, il primo anno. Imbrattava gli alberi e i cespugli.

“Hagrid, guarda! Scintille rosse! Gli altri sono in difficoltà!”.

“Non pensi che gli sia successo qualcosa, vero?”.

“Se si tratta di Malfoy, non me ne importa proprio niente, ma se capita qualcosa di brutto a Neville… in fin dei conti, se lui è finito qui, la colpa è nostra…”. Eri davvero preoccupata, Granger? Anche per me? O eri d’accordo con Potty?

Rido quasi, è abilissima a trovare sempre una strada. Ovvio che l’abbia fatto anche adesso…

Pansy riuscì ad evitare di bere il sangue con una scusa, io invece dovetti farlo.

Era la cosa più dolce che avessi mai bevuto, meglio del vino o di qualsiasi altra cosa al mondo.

Scivolò nella mia gola con facilità, rendendomi quasi ebbro. Lasciai la stanza che mi sentivo fortissimo ed invulnerabile.

Sgattaiolai in camera mia e corsi in bagno. Mi misi due dita in gola e vomitai tutto, fino all’anima. Me lo ricordavo che diceva il Mezzogigante pulcioso… chi avrebbe voluto una vita dannata, dopo aver ucciso la creatura più innocente fra tutte? Io non la volevo ancora una vita dannata. Ora forse berrei un secchio pieno di sangue di unicorno, se servisse a qualcosa. E non so nemmeno se capirei di viverla una vita dannata. Da che cosa si capisce? Ti spuntano le corna, la coda e il forcone? Ci devo proprio provare, magari cancella anche la maledetta sensazione.

Quando mi ricomposi, decisi di tornare alla festa che si teneva per il mio matrimonio. Incontrai Blaise nel corridoio. Mi disse solo, gli occhi innaturalmente chiari: “Grazie… ora che è Pansy Malfoy, nessuno la toccherà più con un dito…”. Agitai la mano con fare noncurante, e tornai al banchetto, coronato dall’uccisione di Neville Paciock e Luna Lovegood. Mi sentii male verso la fine, quel dannato sangue mi faceva un effetto strano.

Pansy è stata una delle prime Mangiamorte donna. La sua famiglia era ricca abbastanza, fedele abbastanza, docile abbastanza. I genitori e la sorella Mildred morirono la notte di Natale di quindici anni fa. Da allora, se ne sono fregati che fosse una di noi. Ha il corpo pieno di cicatrici, più o meno visibili. Temo di più quelle invisibili in verità: le prime, quelle che si vedono, sono solo antiestetiche, le seconde invece l’hanno quasi fatta suicidare anni fa. L’hanno ferita, picchiata, ridotta quasi alla pazzia, violentata. Intuibile che, come sempre, non sappia il perché.

Sei mesi prima del nostro matrimonio, l’hanno accoltellata all’addome. Non avrà più figli. Soffre ancora di disastrose emorragie. Chiaramente ora non la toccano più, è mia moglie in fondo. Ma sta con Blaise. Lui la ama molto.

Mia madre aveva sempre torto.

Il sangue non conta niente, anche se a sancire un’unione ci pensa il sangue di unicorno.

Anche quello puro, se qualcuno decide che non sei poi così importante.

“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue”.

Ah già, non conta nemmeno quello impuro a conti fatti.

Pansy finalmente mi risponde, mi ero quasi dimenticato che ci fosse.

“L’esecuzione, Draco… sta per iniziare…”.

Sospiro annoiato, che razza di scocciatura. Perché devo esserci anche io? Mi sento così tremendamente stanco.

“Non sai perché il Signore Oscuro vuole che ci sia anche io?” chiedo, finendo di vestirmi. Soppeso un po’ tra le mani la maschera argentata, prima di indossarla.

“No” nega velocemente. Troppo velocemente, aggiungo. Quindi non è vero. Lo sa benissimo, ma non vuole dirmelo.

La guardo, scuotendo il capo, Blaise sa fingere molto meglio. Dovevano mandare lui a chiamarmi, non Pansy. La vedo agitarsi e saltellare quasi sui piedi, freme dalla voglia di dirmelo. Le do le spalle, sorridendo. Dieci secondi e mi spiffera tutto. Continuo a fare le mie cose, poi la sento sbuffare di impazienza.

“Non vale la pena non dirtelo, per quello che conta…” dice, giustificando il suo prossimo tradimento davanti al tribunale della sua coscienza “Tanto per quello che importa, no? Non potrai farci niente lo stesso…”.

“Già, già…” dico, ancora soffocando le risate nella mia gola. Mi fa sempre morire dal ridere, Pansy. Inconsapevolmente, certo… credo che se lo sapesse, se la prenderebbe molto male. Egoista come è, troverebbe il modo di non farmi più sorridere in sua presenza. Tutto per non darmi quella piccola parte di sé stessa in maniera così gratuita. La stessa identica cosa che farei anch’io. È mia moglie, nonostante tutto. E ci deve essere un motivo.

“Ma Blaise non vuole che te lo dica adesso… ha paura che tu rovini tutto…” prosegue, giocherellando con i suoi capelli come una bambina particolarmente capricciosa.

“Figurati che posso rovinare a Blaise… qualsiasi cosa ha in mente, la rovinerà da solo… e poi non hai appena detto che non posso lo stesso farci niente?”. Lei sorride, stavolta sembra quasi sincera. Poi si rabbuia. I capelli scuri le coprono il viso, la cicatrice sembra sparire. Se li scosta con un gesto della mano. Quando solleva lo sguardo e mi guarda, ha gli occhi lucidi.

Mi fermo. Non ho più voglia di ridere.

“Che c’è, Pansy? Dimmelo…” le chiedo, guardandola e muovendo un passo nella sua direzione.

Sorride: “Ti voglio molto bene, e Blaise anche… hai fatto tantissimo per me e per lui. Se tu fossi stato un altro, se non fossi stato così generoso, io… chissà dove sarei… perciò…”, la sua voce si spezza: “Draco, non fare niente di stupido, ti prego. Hai visto cosa è successo ai miei genitori e ai tuoi? E a mia sorella?”, piange: “E a me? Non sapremo mai di che crimini ci siamo macchiati. Non potremmo farci mai niente…”.

Non mi piace questo discorso, decisamente. Come non mi piace essere definito generoso due volte nella stessa giornata, ed assolutamente senza spiegazione logica, né effettivo merito. Decisamente preferivo che mi mandavano Blaise, non voglio sentire che sta per dirmi. Non lo voglio più. Quei due a stare assieme sono completamente partiti. Non avrei mai dovuto permetterlo.

“Pansy, che sta succedendo?”, eppure non mi esimio dal chiederglielo. L’afferro per le spalle controvoglia, l’acqua dei miei capelli bagnati scivola lungo il mio collo assieme a sudore freddo.

Pansy esita ancora, ed io ancora prego perché non parli.

Ma nessuno mi ha mai sentito ed esaudito, quando mi metto a pregare.

“La Granger, Draco…” sussurra “L’hanno presa stanotte… è lei che stanno per giustiziare…”.

 

 

 

   
 
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