Dato
che ho lavorato per un po’ in un ristorante, sono stata colpita da una
voglia incredibile di scrivere qualche cosa a riguardo. Al momento ho cambiato lavoro, ma dato che la prima paginetta della storia era
stata già scritta mi sono detta “Perché no?”.
Probabilmente è la cosa più idiota che abbia mai scritto, ho
davvero paura che
a forza di scrivere solo AU l’idea che ho dei personaggi di
SE si stia storcendo…se li trovate OOC ditemelo, metterò
l’aggiornamento. La storia è a capitoli, ma al massimo saranno tre
e – non linciatemi - non so quando arriverà il
prossimo capitolo. Comunque sia, spero che possa interessarvi. Grazie mille per
aver anche solo dato una possibilità a questa storia! ^-^
Enjoy your meal – Il giorno dell’ispettore sanitario
Non
si era mai visto che svegliarsi alle tre del pomeriggio rendesse riposati e
pieni di energie, infatti Soul, dopo essersi svegliato
alle tre del pomeriggio, se ne stava in piedi su un vagone qualunque della
metropolitana affollata e sbadigliava copiosamente, agognando un caffè.
Era
incredibile come quella linea fosse sempre strapiena di gente, tutti i giorni a
tutte le ore, senza soluzione!
C’era
una ragazza che, in mezzo al passaggio, non aveva trovato dove appendersi. Lui,
attaccato al palo, quasi si divertiva a vederla intenta a mantenere
l’equilibrio a ogni scossone, cercando di tenere le gambe divaricate il
più possibile in mezzo a quella ressa di gente sudata.
Osservò
la ragazza ciondolare a destra e a sinistra, mentre la voce registrata del
treno annunciava a tutti il nome della fermata. La vide stringere i pugni, molleggiarsi sulla ginocchia come aveva fatto per tutte le stazioni
precedenti e fermarsi in equilibrio precario, anche quella volta, anche senza
uno stabile appiglio, era riuscita a rimanere in piedi.
A
sorpresa, però, a perdere l’equilibrio fu l’uomo dietro di
lei e a domino entrambi finirono addosso a Soul, che
sbatté la schiena bestemmiando, mentre la ragazza gli dava una testata.
Il ragazzo fece una smorfia, si era alzato da meno di un’ora e già
si era fatto male. E, sì, aveva bisogno di un caffè.
“Stai
attenta” disse con la sua solita aria un po’ strafottente. Gli
veniva naturale a volte, non voleva farla davvero sentire in colpa, non era
stata una sua responsabilità.
“Scusa”
fece la ragazza coi codini, guardando da
un’altra parte, alla ricerca di un appiglio. Soul spostò la mano,
in modo che anche lei potesse appoggiarsi al palo del quale lui usufruiva.
“Grazie”
fece lei.
“Prego”
grugnì lui di malavoglia, mentre il treno ricominciava ad andare e a
sballottarli. Scesero entrambi alla stessa stazione, insieme a un mare di altra
gente sudata, con borsette, borsoni, zaini o scimmie. Sì, c’era
anche un tipo con una maschera da orso che se ne andava in giro con una
scimmia, Soul si chiese se per caso non fosse un artista di strada,
d’estate spuntavano come i funghi.
Avanzò
a passo strascicato facendosi portare dalle scale mobili, sperando che il
viaggio non finisse mai, non aveva proprio voglia di andare a lavorare, quel
giorno.
Svoltò
a destra nella strada affollata del metà
pomeriggio, svicolando tra passeggini e nonnine col bastone. Fu solo quando
svoltò a sinistra in una viuzza laterale meno affollata che si accorse
che la ragazzina coi codini stava facendo la sua
stessa strada. Girò di nuovo a destra e poi a sinistra, velocizzando il
passo, aveva intenzione di prendersi un caffè prima di arrivare in quel
dannato ristorante. Si voltò di nuovo, camminando veloce, con le mani in
tasca, per poi vedere di nuovo la ragazza che aveva visto sulla metro, seguirlo
a testa bassa. Aggrottò le sopracciglia e con uno scatto fu alla porta
di un bar. Entrò e con un’ultima occhiata vide la ragazza tirare
dritto, sempre a testa bassa. Sbuffò e si avvicinò con la sua
solita aria un po’ strafottente, al bancone del bar, per ordinare un
caffè da asporto.
Se
la prese con calma, il ristorante non distava molto dal bar
dove si era fermato. Rimase fermo a qualche metro di distanza dalla
saracinesca chiusa, stringendo il caffè nella tazza di carta. Appoggiata
alla serranda stava la ragazza del metrò, al
sole, probabilmente sentiva un gran caldo anche lei.
Fece una smorfia e riprese a camminare, questa
volta diretto verso di lei “Allora non mi stavi pedinando. Sei quella che viene per la
prova?” domandò facendosi sempre più vicino.
Maka
annuì smuovendo i codini color del grano. Soul fece un’altra
smorfia e si piegò ad aprire il lucchetto della saracinesca, chinato con
un ginocchio a terra e il caffè da asporto appoggiato
sull’asfalto.
“Sono Maka”
“Soul”
rispose lui distratto rialzandosi e tirando su con sé anche la serranda.
Fu a quel punto che un oggetto non meglio definito, ma
dall’aspetto piuttosto putrido, si avventò sul ragazzo
schiacciandolo a terra con foga inaudita.
“Maledetto!!” urlò quello che, alla luce del sole
pomeridiano, si rivelò essere un uomo dai capelli rossi.
“Mi
avete chiuso lì dentro per tutto il fine settimana!”
strillò Spirit Albarn
strattonando Soul per la maglietta. “Almeno hai pulito?”
domandò il suo interlocutore, non particolarmente toccato dalla scena,
tentando poi di liberarsi dalla presa di quel polipo scarlatto.
“Mi avete chiuso a chiave i contatori! Come avrei potuto pulire?!”
strillò il signor Albarn con voce acuta,
sventolando una scopa spuntata da chissà dove.
“Papà…allora
non eri andato al topless bar!” esclamò Maka,
palesando la sua presenza, piuttosto sorpresa di ritrovarsi faccia
a faccia col proprio genitore, tra l’altro.
“Figurati, tesoro mio! A me non piacciono quei
posti!” esclamò l’uomo rendendosi conto solo in quel momento
della presenza di sua figlia.
“Ma se sei sempre là!” esclamò Soul,
acido, e proprio in quel momento apparve la signorina Blair, la padrona del
topless bar lì accanto, che si lanciò calorosamente ad
abbracciare l’uomo delle pulizie, disintegrando ogni possibile dubbio
sulla sua famigliarità col locale a luci rosse.
Maka
sbuffò battendo il piedino per terra mentre i codini svolazzavano
vivaci. “Cosa ci fai qui, amore del papà?” domandò Spirit, che era tutto una moina, appena Blair si fu
allontanata, intenzionata ad aprire il suo fantomatico locale. La figlia fece
una smorfia “Sono qui per fare una prova come
cameriera…te lo avevo detto…non ti ricordi mai
niente”sbottò lei amareggiata, il suo era sempre stato un padre
piuttosto distratto e assente.
“Intanto entriamo. Tu, piuttosto, credi di poter lavorare
così? Te la devi togliere quella roba!”
esclamò Soul indicando, con un cenno del capo, la gonna e la camicia
bianca della ragazza.
“Mia
figlia non si toglie proprio niente!” sbraitò Spirit
in un eccesso di sentimentalismi paterni. Soul sbuffò
“Nella stanza del personale. Sono sicuro che Tsubaki
avrà qualche cosa da darle. Anche se forse la camicia le starà un
po’ grande.” Commentò alzando un sopracciglio e spingendo la
porta. Maka gonfiò le guance capendo l’insinuazione,
ma fu proprio in quel momento che apparve, come l’angelo salvatore, la
famosa Tsubaki, di cui Soul aveva parlato.
“Oh,
buongiorno ragazzi” salutò lei. La prima cosa che Maka pensò fu che la sua personalità facesse
a botte con il modo appariscente in cui era vestita. Teneva in mano il
caffè, come aveva fatto Soul poco prima e portava una giacca non
particolarmente raffinata con su scritto in strass
“Love is my drug”, c’era da chiedersi come facesse a non
sciogliersi, dato il caldo.
La
buona notizia era che dentro il ristorante buio era possibile accendere
l’aria condizionata, che diede a tutti la possibilità di respirare
di nuovo, mentre Spirit si appoggiava stanco alla
scopa come un vecchio al bastone.
Fu
in quel momento che Maka intravide, alla luce delle
lampade appena accese, quello che si rivelò essere proprio un topo.
“C’è
un topo…e sta…andando in cucina!” esclamò
scandalizzata. Soul batté le palpebre e alzò le spalle “Non
ce ne è solo uno” dichiarò.
“Guarda
che non sto scherzando!” sbottò lei adirata, incrociando le
braccia.
“Neanche
io” ribatté lui serissimo e probabilmente sarebbe finita in rissa
se non fossero apparsi, come due angeli salvatori, un po’ con la stessa
aura celestiale con la quale si era presentata Tsubaki, il vice manager
e il supervisore.
“Oggi
vengono quelli della disinfestazione” annunciò il signor Sid.
“Oggi
viene l’ispettore sanitario!” esclamò la signorina Nygus alzando la voce e guardando il vice manager che
aveva, bene o male, sempre la stessa espressione.
“Mi sembra proprio una sfortunata
coincidenza. Lo sapevo che era meglio non lasciare l’agenda nelle mani del
Lord Manager” sospirò abbacchiato.
“E
poi i candelabri sono tutti sporchi” fece notare Soul con la sua solita
intonazione strascicata, togliendosi lo zaino.
“Spirit, credevo li avessi puliti!”
“Sono
stato chiuso in questo ristorante infernale per tutto il weekend!”
strillò Spirit sudato ed esausto.
“Appunto,
mi pare che tu abbia avuto abbondantemente tempo!”
“Ero
al buio!” continuò l’uomo, che venne
poi ignorato come di consueto e liquidato con un “Vai a lucidare i
candelabri se non vuoi che il manager ti licenzi con tanto di chop!”
Nel
frattempo Maka si era chiusa in uno stanzino troppo
piccolo che si spacciava per stanza del personale. Tsubaki
le aveva prestato una camicia nera, che a Maka
sarebbe tristemente andata larga, come aveva detto poco prima il cameriere
antipatico.
La
ragazza sospirò, quel posto era minuscolo, c’era giusto lo spazio
per una persona e un paio di armadietti, sul muro c’erano scritte quali Spirit scemo, neanche fosse stata una
palestra delle scuole medie.
Stava
sbottonando l’ultimo bottone della camicia nera di Tsubaki,
per poi metterla, quando la porta dello sgabuzzino si aprì con
malagrazia facendo entrare un Soul non particolarmente toccato dalla visione di lei che strillava e si copriva alla meglio il
reggiseno con la camicia prestata.
“Ma
sono modi?!” strillò come
un’aquila. Era lì da
soli dieci minuti e già era arrabbiata. Molto arrabbiata.
“Esci!”
strillò ancora, vedendo che lui non accennava a uscire, anzi, aveva
richiuso la porta dietro di sé, aveva appoggiato lo zaino per terra e si
stava togliendo la maglietta.
“Che
cacchio fai? Non vedi che sono nuda?” sbottò
stringendosi ancora la camicia al petto. Soul sbuffò, sfilandosi
a sua volta i vestiti. “E che sarà mai, come se ci fosse davvero
qualche cosa da vedere”
Fu
allora che, diversamente da ogni sua aspettativa,
venne colpito da un portentoso cazzotto che lo fece ribaltare
all’indietro.
“Superdeficiente!”
strillò lei scuotendo i pugni e facendo cadere la camicia di Tsubaki per terra.
Soul
si massaggiò la testa, indolenzito “Ma da dove cavolo sei saltata fuori…” e avrebbe voluto aggiungere
altro, ma si interruppe vedendo uno strano luccichio sul reggiseno della
ragazza.
“Oh, ma hai la sorpresa! Cos’è, un piercing?” chiese ridanciano.
“Fatti
gli affari tuoi!” urlò lei raccogliendo la camicia e voltandosi
dall’altra parte, dandogli la schiena, rossa in volto.
“Quella
è di Tsubaki?” domandò lui,
dandole a sua volta la schiena.
“Sì”
rispose secca lei. Ci fu un secondo di silenzio poi aggiunse con una nota di
dolcezza “Sembra una ragazza molto carina”
Soul
ridacchiò, voltandosi di nuovo verso di lei, erano vestiti uguali
“Aspetta di vedere con chi se la intende!” esclamò divertito
aprendo la porta e uscendo, diretto al vero e proprio ristorante.
“Eh?”
gli urlò dietro lei, che non aveva capito. Le
sembrava proprio che uno screanzato del genere non potesse permettersi di dare
giudizi sugli altri, era sicura che il ragazzo con coi
stava quella Tsubaki fosse un tipo delizioso.
Lasciando perdere ulteriori ragionamenti sulla vita sentimentale
della ragazza, gli corse dietro su per le scale, fino ad arrivare al Ground floor, che già brulicava di rumorosa
laboriosità. Tsubaki, vestita con
un’altra camicia nera, era intenta ad apparecchiare, tenendo sullo stesso
vassoio nove o dieci bicchieri. Maka si disse che non
ci sarebbe mai potuta riuscire. Più in là, un uomo con un
mantello nero che, nonostante portasse una maschera, sembrava molto gioviale,
discuteva allegramente con un uomo in camice che portava con sé
un’intera carcassa di non si sa bene quale
animale.
“Io capisco che al macello li apriate e
vivisezioniate, ma che bisogno c’è di richiuderli? Ci avete cucito dentro
qualcuno?” domandava il vice manager studiando la carne che era stata
ricucita in più punti.
“A
me piace così” aveva semplicemente risposto il dottor Stein che,
nonostante il titolo, faceva il macellaio.
“Oh”
la chiamò Soul con scarsa eleganza. “Porta questi a Tsubaki e non farli cadere” borbottò come se
gli scocciasse parlare, mettendole in braccio un piatto pieno di bicchieri,
forchette e coltelli.
Maka
per poco non perse l’equilibrio e Soul fu costretto a riacchiappare tutto
prima che finisse in mille pezzi sul pavimento, non sarebbe stato un buon
inizio e, per di più, Spirit stava strofinando
candelabri a poca distanza, se Maka avesse dovuto
ferirsi coi cocci lui si sarebbe dovuto sorbire tutti
gli strepitii di quell’isterico.
Sospirò
“Senti, te lo spiego” iniziò lui con l’aria di chi non
ha voglia di spiegare proprio nulla. Maka avrebbe
voluto rispondere male, non capiva perché doveva sembrare così
scocciato, ma infondo non poteva non accettare delle preziose spiegazioni.
“Te
lo faccio vedere una volta, poi non dire che non lo sapevi”
continuò. Maka respinse uno sbuffo, non
pensando che se i ruoli fossero stati invertiti lei sarebbe stata molto peggio.
Poco
più in là una cameriera dai capelli rosa stava facendo la stessa
cosa con un ragazzo con la chioma dello stesso colore.
“Allora
Crona, quanto mi dai per farti vedere come portare
sei bicchieri alla volta?” domandò Kim.
“Non so. Non so come comportarmi con i bicchieri”
rispose questo stralunato.