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Autore: aki_penn    29/04/2012    9 recensioni
Avete presente i ristoranti eleganti, puliti e con personale qualificato? Ecco, no.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dato che ho lavorato per un po’ in un ristorante, sono stata colpita da una voglia incredibile di scrivere qualche cosa a riguardo. Al momento ho cambiato lavoro, ma dato che la prima paginetta della storia era stata già scritta mi sono detta “Perché no?”. Probabilmente è la cosa più idiota che abbia mai scritto, ho davvero paura che  a forza di scrivere solo AU l’idea che ho dei personaggi di SE si stia storcendo…se li trovate OOC ditemelo, metterò l’aggiornamento. La storia è a capitoli, ma al massimo saranno tre e – non linciatemi -  non so quando arriverà il prossimo capitolo. Comunque sia, spero che possa interessarvi. Grazie mille per aver anche solo dato una possibilità a questa storia! ^-^

 

Enjoy your meal – Il giorno dell’ispettore sanitario

 

 

Non si era mai visto che svegliarsi alle tre del pomeriggio rendesse riposati e pieni di energie, infatti Soul, dopo essersi svegliato alle tre del pomeriggio, se ne stava in piedi su un vagone qualunque della metropolitana affollata e sbadigliava copiosamente, agognando un caffè.

Era incredibile come quella linea fosse sempre strapiena di gente, tutti i giorni a tutte le ore, senza soluzione!

C’era una ragazza che, in mezzo al passaggio, non aveva trovato dove appendersi. Lui, attaccato al palo, quasi si divertiva a vederla intenta a mantenere l’equilibrio a ogni scossone, cercando di tenere le gambe divaricate il più possibile in mezzo a quella ressa di gente sudata.

Osservò la ragazza ciondolare a destra e a sinistra, mentre la voce registrata del treno annunciava a tutti il nome della fermata.  La vide stringere i pugni, molleggiarsi sulla ginocchia come aveva fatto per tutte le stazioni precedenti e fermarsi in equilibrio precario, anche quella volta, anche senza uno stabile appiglio, era riuscita a rimanere in piedi.

A sorpresa, però, a perdere l’equilibrio fu l’uomo dietro di lei e a domino entrambi finirono addosso a Soul, che sbatté la schiena bestemmiando, mentre la ragazza gli dava una testata. Il ragazzo fece una smorfia, si era alzato da meno di un’ora e già si era fatto male. E, sì, aveva bisogno di un caffè.

“Stai attenta” disse con la sua solita aria un po’ strafottente. Gli veniva naturale a volte, non voleva farla davvero sentire in colpa, non era stata una sua responsabilità.

“Scusa” fece la ragazza coi codini, guardando da un’altra parte, alla ricerca di un appiglio. Soul spostò la mano, in modo che anche lei potesse appoggiarsi al palo del quale lui usufruiva.

“Grazie” fece lei.

“Prego” grugnì lui di malavoglia, mentre il treno ricominciava ad andare e a sballottarli. Scesero entrambi alla stessa stazione, insieme a un mare di altra gente sudata, con borsette, borsoni, zaini o scimmie. Sì, c’era anche un tipo con una maschera da orso che se ne andava in giro con una scimmia, Soul si chiese se per caso non fosse un artista di strada, d’estate spuntavano come i funghi.

Avanzò a passo strascicato facendosi portare dalle scale mobili, sperando che il viaggio non finisse mai, non aveva proprio voglia di andare a lavorare, quel giorno.

Svoltò a destra nella strada affollata del metà pomeriggio, svicolando tra passeggini e nonnine col bastone. Fu solo quando svoltò a sinistra in una viuzza laterale meno affollata che si accorse che la ragazzina coi codini stava facendo la sua stessa strada. Girò di nuovo a destra e poi a sinistra, velocizzando il passo, aveva intenzione di prendersi un caffè prima di arrivare in quel dannato ristorante. Si voltò di nuovo, camminando veloce, con le mani in tasca, per poi vedere di nuovo la ragazza che aveva visto sulla metro, seguirlo a testa bassa. Aggrottò le sopracciglia e con uno scatto fu alla porta di un bar. Entrò e con un’ultima occhiata vide la ragazza tirare dritto, sempre a testa bassa. Sbuffò e si avvicinò con la sua solita aria un po’ strafottente, al bancone del bar, per ordinare un caffè da asporto.

Se la prese con calma, il ristorante non distava molto dal bar dove si era fermato. Rimase fermo a qualche metro di distanza dalla saracinesca chiusa, stringendo il caffè nella tazza di carta. Appoggiata alla serranda stava la ragazza del metrò, al sole, probabilmente sentiva un gran caldo anche lei.

Fece una smorfia e riprese a camminare, questa volta diretto verso di lei “Allora non mi stavi pedinando. Sei quella che viene per la prova?” domandò facendosi sempre più vicino.

Maka annuì smuovendo i codini color del grano. Soul fece un’altra smorfia e si piegò ad aprire il lucchetto della saracinesca, chinato con un ginocchio a terra e il caffè da asporto appoggiato sull’asfalto.

Sono Maka

“Soul” rispose lui distratto rialzandosi e tirando su con sé anche la serranda. Fu a quel punto che un oggetto non meglio definito, ma dall’aspetto piuttosto putrido, si avventò sul ragazzo schiacciandolo a terra con foga inaudita.

“Maledetto!!” urlò quello che, alla luce del sole pomeridiano, si rivelò essere un uomo dai capelli rossi.

“Mi avete chiuso lì dentro per tutto il fine settimana!” strillò Spirit Albarn strattonando Soul per la maglietta. “Almeno hai pulito?” domandò il suo interlocutore, non particolarmente toccato dalla scena, tentando poi di liberarsi dalla presa di quel polipo scarlatto.

“Mi avete chiuso a chiave i contatori! Come avrei potuto pulire?!” strillò il signor Albarn con voce acuta, sventolando una scopa spuntata da chissà dove.

“Papà…allora non eri andato al topless bar!” esclamò Maka, palesando la sua presenza, piuttosto sorpresa di ritrovarsi faccia a faccia col proprio genitore, tra l’altro.

“Figurati, tesoro mio! A me non piacciono quei posti!” esclamò l’uomo rendendosi conto solo in quel momento della presenza di sua figlia.

Ma se sei sempre là!” esclamò Soul, acido, e proprio in quel momento apparve la signorina Blair, la padrona del topless bar lì accanto, che si lanciò calorosamente ad abbracciare l’uomo delle pulizie, disintegrando ogni possibile dubbio sulla sua famigliarità col locale a luci rosse.

Maka sbuffò battendo il piedino per terra mentre i codini svolazzavano vivaci. “Cosa ci fai qui, amore del papà?” domandò Spirit, che era tutto una moina, appena Blair si fu allontanata, intenzionata ad aprire il suo fantomatico locale. La figlia fece una smorfia “Sono qui per fare una prova come cameriera…te lo avevo detto…non ti ricordi mai niente”sbottò lei amareggiata, il suo era sempre stato un padre piuttosto distratto e assente.

“Intanto entriamo. Tu, piuttosto, credi di poter lavorare così? Te la devi togliere quella roba!” esclamò Soul indicando, con un cenno del capo, la gonna e la camicia bianca della ragazza.

“Mia figlia non si toglie proprio niente!” sbraitò Spirit in un eccesso di sentimentalismi paterni. Soul sbuffò “Nella stanza del personale. Sono sicuro che Tsubaki avrà qualche cosa da darle. Anche se forse la camicia le starà un po’ grande.” Commentò alzando un sopracciglio e spingendo la porta. Maka gonfiò le guance capendo l’insinuazione, ma fu proprio in quel momento che apparve, come l’angelo salvatore, la famosa Tsubaki, di cui Soul aveva parlato.

“Oh, buongiorno ragazzi” salutò lei. La prima cosa che Maka pensò fu che la sua personalità facesse a botte con il modo appariscente in cui era vestita. Teneva in mano il caffè, come aveva fatto Soul poco prima e portava una giacca non particolarmente raffinata con su scritto in strass “Love is my drug”, c’era da chiedersi come facesse a non sciogliersi, dato il caldo.

La buona notizia era che dentro il ristorante buio era possibile accendere l’aria condizionata, che diede a tutti la possibilità di respirare di nuovo, mentre Spirit si appoggiava stanco alla scopa come un vecchio al bastone.

Fu in quel momento che Maka intravide, alla luce delle lampade appena accese, quello che si rivelò essere proprio un topo.

“C’è un topo…e sta…andando in cucina!” esclamò scandalizzata. Soul batté le palpebre e alzò le spalle “Non ce ne è solo uno” dichiarò.

“Guarda che non sto scherzando!” sbottò lei adirata, incrociando le braccia.

“Neanche io” ribatté lui serissimo e probabilmente sarebbe finita in rissa se non fossero apparsi, come due angeli salvatori, un po’ con la stessa aura celestiale con la quale si era presentata Tsubaki,  il vice manager e il supervisore.

“Oggi vengono quelli della disinfestazione” annunciò il signor Sid.

“Oggi viene l’ispettore sanitario!” esclamò la signorina Nygus alzando la voce e guardando il vice manager che aveva, bene o male, sempre la stessa espressione.

“Mi sembra proprio una sfortunata coincidenza. Lo sapevo che era meglio non lasciare l’agenda nelle mani del Lord Manager” sospirò abbacchiato.

“E poi i candelabri sono tutti sporchi” fece notare Soul con la sua solita intonazione strascicata, togliendosi lo zaino.

Spirit, credevo li avessi puliti!”

“Sono stato chiuso in questo ristorante infernale per tutto il weekend!” strillò Spirit sudato ed esausto.

“Appunto, mi pare che tu abbia avuto abbondantemente tempo!”

“Ero al buio!” continuò l’uomo, che venne poi ignorato come di consueto e liquidato con un “Vai a lucidare i candelabri se non vuoi che il manager ti licenzi con tanto di chop!”

Nel frattempo Maka si era chiusa in uno stanzino troppo piccolo che si spacciava per stanza del personale. Tsubaki le aveva prestato una camicia nera, che a Maka sarebbe tristemente andata larga, come aveva detto poco prima il cameriere antipatico.

La ragazza sospirò, quel posto era minuscolo, c’era giusto lo spazio per una persona e un paio di armadietti, sul muro c’erano scritte quali Spirit scemo, neanche fosse stata una palestra delle scuole medie.

Stava sbottonando l’ultimo bottone della camicia nera di Tsubaki, per poi metterla, quando la porta dello sgabuzzino si aprì con malagrazia facendo entrare un Soul non particolarmente toccato dalla visione di lei che strillava e si copriva alla meglio il reggiseno con la camicia prestata.

“Ma sono modi?!” strillò come un’aquila.  Era lì da soli dieci minuti e già era arrabbiata. Molto arrabbiata.

“Esci!” strillò ancora, vedendo che lui non accennava a uscire, anzi, aveva richiuso la porta dietro di sé, aveva appoggiato lo zaino per terra e si stava togliendo la maglietta.

“Che cacchio fai? Non vedi che sono nuda?” sbottò stringendosi ancora la camicia al petto. Soul sbuffò, sfilandosi a sua volta i vestiti. “E che sarà mai, come se ci fosse davvero qualche cosa da vedere

Fu allora che, diversamente da ogni sua aspettativa, venne colpito da un portentoso cazzotto che lo fece ribaltare all’indietro.

“Superdeficiente!” strillò lei scuotendo i pugni e facendo cadere la camicia di Tsubaki per terra.

Soul si massaggiò la testa, indolenzito “Ma da dove cavolo sei saltata fuori…” e avrebbe voluto aggiungere altro, ma si interruppe vedendo uno strano luccichio sul reggiseno della ragazza.

“Oh, ma hai la sorpresa! Cos’è, un piercing?” chiese ridanciano.

“Fatti gli affari tuoi!” urlò lei raccogliendo la camicia e voltandosi dall’altra parte, dandogli la schiena, rossa in volto.

“Quella è di Tsubaki?” domandò lui, dandole a sua volta la schiena.

“Sì” rispose secca lei. Ci fu un secondo di silenzio poi aggiunse con una nota di dolcezza “Sembra una ragazza molto carina

Soul ridacchiò, voltandosi di nuovo verso di lei, erano vestiti uguali “Aspetta di vedere con chi se la intende!” esclamò divertito aprendo la porta e uscendo, diretto al vero e proprio ristorante.

“Eh?” gli urlò dietro lei, che non aveva capito. Le sembrava proprio che uno screanzato del genere non potesse permettersi di dare giudizi sugli altri, era sicura che il ragazzo con coi stava quella Tsubaki fosse un tipo delizioso.

Lasciando perdere ulteriori ragionamenti sulla vita sentimentale della ragazza, gli corse dietro su per le scale, fino ad arrivare al Ground floor, che già brulicava di rumorosa laboriosità. Tsubaki, vestita con un’altra camicia nera, era intenta ad apparecchiare, tenendo sullo stesso vassoio nove o dieci bicchieri. Maka si disse che non ci sarebbe mai potuta riuscire. Più in là, un uomo con un mantello nero che, nonostante portasse una maschera, sembrava molto gioviale, discuteva allegramente con un uomo in camice che portava con sé un’intera carcassa di non si sa bene quale animale.

“Io capisco che al macello li apriate e vivisezioniate, ma che bisogno c’è di richiuderli? Ci avete cucito dentro qualcuno?” domandava il vice manager studiando la carne che era stata ricucita in più punti.

“A me piace così” aveva semplicemente risposto il dottor Stein che, nonostante il titolo, faceva il macellaio.

“Oh” la chiamò Soul con scarsa eleganza. “Porta questi a Tsubaki e non farli cadere” borbottò come se gli scocciasse parlare, mettendole in braccio un piatto pieno di bicchieri, forchette e coltelli.

Maka per poco non perse l’equilibrio e Soul fu costretto a riacchiappare tutto prima che finisse in mille pezzi sul pavimento, non sarebbe stato un buon inizio e, per di più, Spirit stava strofinando candelabri a poca distanza, se Maka avesse dovuto ferirsi coi cocci lui si sarebbe dovuto sorbire tutti gli strepitii di quell’isterico.

Sospirò “Senti, te lo spiego” iniziò lui con l’aria di chi non ha voglia di spiegare proprio nulla. Maka avrebbe voluto rispondere male, non capiva perché doveva sembrare così scocciato, ma infondo non poteva non accettare delle preziose spiegazioni.

“Te lo faccio vedere una volta, poi non dire che non lo sapevi” continuò. Maka respinse uno sbuffo, non pensando che se i ruoli fossero stati invertiti lei sarebbe stata molto peggio.

Poco più in là una cameriera dai capelli rosa stava facendo la stessa cosa con un ragazzo con la chioma dello stesso colore.

“Allora Crona, quanto mi dai per farti vedere come portare sei bicchieri alla volta?” domandò Kim.

“Non so. Non so come comportarmi con i bicchieri” rispose questo stralunato.

   
 
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