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Autore: Serith    29/04/2012    2 recensioni
Raphael, gli intrighi dell'alta società francese, la fuga in Romania, un unico obiettivo: la Soul Edge. La sua vita è come una parabola: è ascendente... ma anche discendente.
5. Congiure: Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. Spade

 

-Avanti, vai. Che aspetti? – disse la donna al bambino. Aveva di nuovo indossato la sua espressione austera; la sua voce tuttavia era priva di qualsiasi sfumatura, positiva o negativa che fosse.

Raphael rimase ad osservarla per un po’, incerto. Voleva andare, ma sua madre gli aveva mostrato un lato di sé diverso, forse più piacevole della solita Hèloise. Era stata un’illusione breve, a cui non aveva creduto poi molto - per essere così piccolo, era piuttosto diffidente -, eppure gli era piaciuta. Si… sua madre gli era piaciuta. E gli era anche piaciuta quella strana danza chiamata “Flamenco”, un nome esotico ma bello, come tutti quei passi che si potevano eseguire uno dopo l’altro a piacimento.

Non pensando più alla strana sensazione nel suo petto annuì con un cenno della testa, per poi inchinarsi brevemente. Era piuttosto scortese da parte sua, così gli avevano insegnato; ma in quel momento stranamente, non gli sembrava necessario dire “si, madre”, o qualunque altra cosa. Sentiva nell’aria un’atmosfera tesa, come un sogno infranto prima della sua parte migliore.

Con calma si dirisse verso la porta, dove la serva che li aveva disturbati lo stava aspettando, in attesa di accompagnarlo da suo padre. Si sfregava di continuo le mani, probabilmente intimidita da Hèloise, che sfoggiava un’aria più acida del solito.

Le si avvicinò con lentezza, per poi fermarsi. Hèloise vide che aveva voltato la testa nella sua direzione, come se avesse voluto dirle qualcosa. I suoi occhi azzurri non mostravano emozioni, se non una certa pensierosità. Con un certa alterigia gli fece cenno con il mento di andare. Raphael non se lo fece ripetere due volte, ed uscì dalla stanza definitivamente.

Hèloise rimase a guardare quella porta chiusa per lunghi secondi, in silenzio.

 

*

 

Raphael camminava sicuro lungo il corridoio, la serva poco più che un’ombra alle sue spalle. Non faceva caso alla sua presenza, se non per i passi leggeri che sentiva dietro di sè. Sin dalla nascita gli avevano insegnato che ci sono due categorie di persone nel mondo: i nobili e tutti gli altri, inferiori ai nobili. Le uniche eccezioni erano la Chiesa, con i suoi vescovi e cardinali, ed il Re, il cui potere era secondo solo a Dio. Assieme a lui, i nobili vantavano il privilegio di essere nella loro felice condizione per due motivi: per natura, e per volere del Signore.

Il salone principale era pochi metri più avanti. Raphael stava per raggiungerne il portone, quando all’improvviso da un corridoio adiacente non gli venne incontro qualcuno. Era un bambino poco più piccolo di lui, con i capelli e gli occhi scuri come quelli di Hèloise, e gli zigomi alti di Albèric.

Era così veloce che per poco non gli venne addosso, scaraventando così entrambi a terra.

-Raphael, Raphael! Che fai? – disse saltellando da un piede all’altro. Lo guardava con occhi neri assurdamente spalancati, come se avesse appena visto una meraviglia vivente.

Raphael sbuffò. –Si Ghislain, anch’io sono felice di vederti. Ora però levati, che ho la mia prima lezione di scherma.

-Anch’io voglio fare la scherma…!

Il biondino si fermò. –No.- disse. Si mise un momento a riflettere, prima di dire con un sorrisino soddisfatto: -Sei troppo piccolo.

Ghislain lo guardò con un broncio offeso. –Non sei molto più grande di me.

All’improvviso, la serva pigolò:- Signorino, vostro padre…

Raphael la guardò malissimo. –Si, si, lo so.

Riprese a camminare, lasciandosi Ghislain alle spalle. Poco prima però che la serva aprisse le porte del salone, si voltò e disse:- Puoi sempre restare a guardare, se vuoi.

Il fratello più piccolo non disse nulla. Restò semplicemente a guardare la porta che gli veniva chiusa in faccia, senza apparenti emozioni.

 

*

 

il problema, pensò Albèric, era che anno dopo anno i suoi fondi invece di aumentare diminuivano, ed aveva ancora due figli piccoli da mantenere ed addestrare. Era stata una conseguenza delle precedenti guerre tra Francia e Spagna, dopotutto. Il costo di quei conflitti aveva gonfiato considerevolmente i prezzi, ed i primi a subirne le conseguenze erano stati quelli come lui – la piccola e media nobiltà, che ricava il proprio profitto direttamente dal lavoro dei braccianti. La pace di Cateau-Cambrèsis del 1559 –coincidenza del destino, anno di nascita di suo figlio- poi, era stato il colpo di grazia; non solo per lui, ma per tutta la Francia.

Ciò di certo non aveva contribuito ad incrementare la simpatia per lo stato rivale. Era piuttosto ironico dal suo punto di vista, considerando che trovandosi quasi al confine, nel corso dei secoli Rouen aveva subito non poco le influenze spagnole. Gli usi ed i costumi ne erano l’esempio più evidente, sì; ma anche l’architettura, l’arte e persino la scherma, disciplina adottata e perfezionata dai francesi. Lui stesso in passato aveva avuto delle amicizie in Spagna, e nelle sue vene scorreva il sangue dei suoi antenati catalani.

In ogni caso, il caro prezzo delle guerre e la perdita di molti territori italiani aveva causato anche un altro tipo di problema. Il ristagno economico era stato solo l’inizio, e la causa, di un conflitto interno ben più grave: quello tra cattolici ed ugonotti.

In effetti per lui e molti altri, la crescente affermazione del Calvinismo era stata un’autentica rivelazione. Non che fosse particolarmente credente – per fortuna -, ma sembrava che il culto sarebbe diventato in futuro la micia d’accensione di una rivoluzione innovatrice, che avrebbe finalmente sanato l’economia.

Chiaramente, da cosa nasce cosa. Da com’era era sempre accaduto sin dalla nascita del Cristianesimo, la religione divenne solo un pretesto politico. La piccola e media nobiltà era appoggiata e protetta dall’alta nobiltà, più vicina al re. Costoro erano sia cattolici che ugonotti, ed erano in continua guerra tra loro. In palio, vi era l’eredità della corona, che a seconda di chi la inforcava passava da un credo all’altro. L’Editto di Saint-Germain-en-Laye del ’62 di Caterina dè Medici aveva attenuato leggermente la tensione, ma il conflitto era tornato presto ad essere più acceso che mai, fino al punto di diventare una vera e propria guerra.

Albèric ripensava a quel periodo con intensa irritazione e pessimismo. Fu in effetti in quell’anno che spese gran parte del suo patrimonio, trasmutandolo nello stipendio e l’equipaggiamento del suo piccolo esercito. Lui e molti altri avevano dovuto difendere Rouen dall’assalto dei cattolici, decisi a riconquistarla dopo che i protestanti ne avevano preso possesso.

Episodi analoghi erano accaduti in molte altre città, gettando la Francia nel caos. E ora, sembrava che la situazione si potesse ripetere: l’Editto di Amboise infatti sembrava non soddisfare più la comunità protestante, e la tensione stava nuovamente crescendo.

Presto sarebbe scoppiata una nuova guerra, ed i suoi figli dovevano essere pronti ad affrontarla. Per quanto non gli piacesse ammetterlo stava cominciando ad essere vecchio, e gli serviva il tempo e la pace necessari per trasmettergli tutto quello di cui avevano bisogno. Erano entrambi intelligenti, ma avevano personalità diverse. Raphael in particolare gli somigliava molto, e non poteva non esserne fiero. Dopotutto, quale scultore non è fiero della sua opera d’arte migliore? Nel suo caso però, era ancora un abbozzo, i tratti accennati di una figura seppellita in parte nel marmo. Che avesse acume ovviamente, non poteva che derivare da lui. Qualunque erede degno del suo sangue lo sarebbe stato. Per giunta era fiero e astuto, proprio come suo padre.

Ghislain era diverso da suo fratello. Oh sì, anche lui era intelligente e fiero, su questo non c’erano dubbi; ero però emotivo, molto più di Raphael, che in talune occasione sembrava sfiorare addirittura l’anaffettività. Era evidente inoltre che aveva un debole per lui, che lo spingeva ad emularlo.

Albèric sorrise. Il suo figlio maggiore voleva essere come lui, ed il minore voleva essere come il fratello. Davvero ironico.

Le porte del salone si aprirono, lasciando entrare una serva che afferrandosi le vesti s’inchinò rispettosamente: -Monsieur, vi ho portato vostro figlio, come mi avete chiesto.

-Fallo entrare.

La donna si fece da parte, lasciandolo passare.

Suo padre ed un altro uomo che non conosceva erano in piedi davanti al grande camino di pietra, sormontato da una testa di cervo appesa alla parete. Le poltrone su cui si sedevano gli ospiti erano state accostate agli angoli della stanza, in modo che non dessero fastidio.

-Ah, Raphael – disse Albèric, accennando un sorriso. Teneva le mani intrecciate dietro la schiena, come suo solito. Accennando all’uomo al suo fianco, ben vestito ma non riccamente quanto loro, disse:- Questo è Monsieur Giscard, insegnante all’Accademia dei Maestri d’Arme. Da oggi in poi sarai suo allievo. Monsieur Giscard – disse rivolgendosi all’altro uomo – questo è mio figlio Raphael. Per qualsiasi cosa, chiamatemi. Vi lascio soli.

Detto questo uscì dal salone, lasciandosi dietro il silenzio.

-Bene, signor Raphael.- disse Giscard dopo alcuni secondi –credo che possiamo cominciare. Prendete questo.

L’uomo gli porse uno stocco con la lama più corta degli altri, adatto al suo braccio. La punta inoltre era arrotondata a tal punto che non vi avrebbe potuto infilzare nulla.

-Noto che siete mancino. Bene, ciò rappresenta un vantaggio discreto contro un avversario destrimano, perché coordinerete i vostri attacchi in modo diverso da come lui ha imparato. Ora, mettetevi in posizione, così.

Raphael lo imitò. Alla blanda curiosità che aveva provato per tutto il giorno si stava sostituendo un crescente interesse, unito alla concentrazione.

-Cominciamo dall’etimologia di alcune parole. Questo è un fendente…

 

*

Raphael era un po’ stanco, ma profondamente soddisfatto. Mentre combatteva con il maestro Giscard aveva scoperto che la scherma gli piaceva tantissimo, un po’ come il Flamenco. Due nuove passioni in un giorno solo!

-Allora, che cosa ne pensi di questa disciplina?- chiese Albèric, sorseggiando un po’ di vino da una coppa.

-E’ molto interessante, padre.- rispose Raphael, gli ultimi segni della stanchezza nel suo cuore e nel suo respiro ancora un po’ affannato. I suoi occhi s’illuminarono, mentre disse con determinatezza:- Voglio continuare!

Albèric finì di sorseggiare con calma il suo vino. Posando la coppa in cima al camino sguainò il suo stocco dalla cintura, mettendosi in posizione di combattimento. Senza farsi aspettare Raphael lo imitò, usando l’arma che gli aveva lasciato Giscard.

-La scherma è una disciplina importantissima. Soprattutto in periodi come questo, in cui il nostro paese è devastato dalla guerra. –commentò suo padre mentre lo attaccava con un blando fendente, che riuscì a parare. La sua attenzione all’improvviso era calamitata tutta sulla spada che impugnava il genitore, uno stocco con una protezione rossa per la mano sull’elsa.

-Oh, questa.- disse Albèric, guardando a sua volta l’arma. –Questa è Flambert. Me la diede mio padre, e suo padre prima di lui. E’ un po’ il simbolo della nostra casata, e forse un giorno, se lo meriti, sarà tua. – fece una pausa, il volto oscurato da pensieri sconosciuti a Raphael. Poi, guardandolo dritto negli occhi, disse seriamente:- Mi aspetto che t’impegni al massimo. Non sei mio erede solo perché condividiamo lo stesso sangue.

Il piccolo arretrò un po’, schiacciato dalla soggezione. Infine, guardandolo coraggiosamente negli occhi disse:- Si, padre.

Passarono alcuni minuti senza che nessuno dicesse nulla, il solo suono udibile quello degli stocchi che si toccavano.

Albèric ripensò a suo fratello Adrien, risiedente a Parigi. A differenza sua, lui era riuscito a trovare l’appoggio di una famiglia nobile influentissima, che l’aveva ricompensato per gli ingenti prestiti che aveva fatto loro durante la guerra. L’aveva fatto a costo d’indebitarsi pesantemente con gli ebrei, e di finire per strada ad elemosinare. Era stato decisamente azzardato da parte sua, forse anche stupido. Eppure ora è lì, nella stessa città di Caterina; non tra le famiglie più potenti, ma comunque con una certa rilevanza.

Il pensiero gli suscitava la mania distruttiva di uccidere qualcuno – forse uno di quei braccianti che di tanto in tanto aveva il coraggio di venire a protestare direttamente a casa sua per le forti tasse che imponeva, e che regolarmente mandava a casa a fare le valige.

La verità era che suo padre aveva dato uno stocco anche ad Adrien, con la protezione blu, chiamato Voltoir. Ma era stato uno sciocco sentimentale in vita, che anteponeva il sentimentalismo all’etichetta, il cibo e le donne all’onore della casata. La persona che aveva comandato davvero in casa loro, con una civetteria che nascondeva doti manipolative maniacali, era sua madre. Era da lei che aveva ereditato gran parte del suo carattere.

Nella stanza il silenzio continuava imperturbato, fatta eccezione per il clangore degli stocchi ed il suono dei passi attenuati dal tappeto.

Mentre tentava un inesperto affondo, Raphael chiese:- Padre, a che religione appartiene Giscard?

L’espressione sul volto di Albèric non cambiò, se non per il fantasma di un sorriso sulle labbra ed una luce d’interesse negli occhi:-Il maestro Giscard è apolitico, figlio mio. Significa che non crede in nulla e non è schierato da nessuna parte. Ricordi quando ti spiegai come credo e politica sono inestricabilmente legate?

-Ricordo, padre.

-In origine la religione doveva essere solo un credo, una fede a cui aggrapparsi quando non hai più denaro, o amicizie. Ma chi deteneva il potere ha frainteso volutamente questo messaggio, vedendone solo l’aspetto lucroso. E’ molto più semplice creare un governo accentratore, se il popolo è più impegnato a pensare ai propri diritti spirituali che a quelli terreni. Pensaci, figlio mio: un mondo senza cristianesimo è un mondo senza guerre. La Francia, profondamente cattolica e profondamente sbagliata, ora è devastata economicamente e politicamente. Solo perché quelli come noi hanno voluto reclamare i loro diritti! Ma i cattolici non cederanno mai volutamente il loro potere. L’unica soluzione, per quanto dannosa, è combattere.

Raphael riflettè un momento, poi come parlasse a se stesso, disse:- Detesto i cattolici.

Albèric stava per rispondergli, quando udì il cigolìo della porta che veniva aperta. Ghislain entrò con passi leggeri, timoroso di essere sgridato.

-Ghislain, mio secondogenito. Vieni, avvicinati.

Il bambino obbedì. Raphael lo guardò curioso per un momento, prima di ostentare orgoglioso il suo stocco. Era come se dicesse “Io posso e tu no”. Se non ci fosse stato suo padre, Ghislain gli avrebbe risposto con una linguaccia.

Albèric lo scrutò, un leggero sorriso che non arrivava agli occhi. –Volevi combattere?

Ghislain annuì, gli occhi bassi per la soggezione.

-Allora temo che sia ancora presto per trovarti un’insegnante.- concluse. Il bambino lo guardò negli occhi, un po’ deluso. Raphael era trionfante.

-Però puoi sempre esercitarti ora con tuo fratello.- aggiunse dopo una pausa. Scostandosi un lembo delle giacca afferrò uno stocco di legno, che aveva preso prima di congedare Giscard. Sapeva che Ghislain avrebbe voluto combattere, quindi si era preparato. Quali fosse i suoi intenti dopo questa conclusione, dal suo volto non era possibile intuirli.

Il piccolo prese tra le mani l’oggetto come se fosse una cosa preziosa, felice ed eccitato.

Albèric guardò il suo primogenito negli occhi, ordinandogli silenziosamente di mettersi in posizione. Egli obbedì senza esitazione.

-Raphael, spiega a tuo fratello quello che hai imparato oggi. Muovetemi lentamente; m’irriterei non poco se dovessi ordinare ai servi di ripulire il pavimento dai vostri bulbi oculari.

Lì fissò finchè entrambi non annuirono, cominciando quella che era più una dimostrazione che un duello. Albèric si versò dell’altro vino, senza perderli di vista.

Il problema, pensò mentre Raphael diceva –questo è un affondo!-, era che economicamente erano quasi al lastrico. Riusciva a racimolare ancora qualcosa dai contadini, ma se avesse alzato ulteriormente le tasse loro ne avrebbero avuto abbastanza, e pur restando senza lavoro se ne sarebbero andati in blocco.

Tra l’altro presto ci sarebbe stata una nuova guerra, se lo sentiva. Cos’avrebbe fatto lui, se avessero attaccato di nuovo Rouen?

No, si disse. Non avrebbe mai chiesto aiuto ad Adrien. Almeno finchè non ne avesse avuto un bisogno urgente, ed anche allora l’avrebbe fatto con riluttanza.

L’unica soluzione era affidarsi ai suoi figli. Lui non era un sentimentale come suo padre, sapeva quello che andava fatto. A meno che la casata non fosse diventata abbastanza potente da potersi scindere in due parti, solo uno dei due ne avrebbe ereditato la ricchezza, il nome e Flambert.

-Uffa, anch’io voglio imparare la scherma!- piagnucolò Ghislain, caduto a terra.

Doveva metterli l’uno contro l’altro, non c’era altra soluzione. Sarebbe stato un progetto interessante.

 

 

Capitolo arduo da scrivere, ma sono ancora viva. Una precisazione: no, non è vero che Rouen è ai confini, ma in qualche modo dovevo spiegare perché Raphael ha la fascia da torero e balla il Flamenco xD In effetti il capitolo precedente lascia un po’ a desiderare, ma mi sono rifatta con questo :D Comunque la parte forse più tediosa è fatta, dal prossimo capitolo ci sarà probabilmente un nuovo balzo temporale in avanti, e magari un po’ d’azione. Lo scopo finora era quello di presentare i genitori di Raphael, ed il rapporto che hanno con lui. Adesso però parlerò un po’ più di lui, di cosa ha fatto durante le guerre di religione. In ogni caso non mi dilungherò ancora molto sulla parentesi “famiglia”, voglio passare subito alla parte di storia che conosce chi ha giocato a SC! Vabè, non mi dilungo oltre :D alla prossima!

   
 
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