Entrai.
Quell’odiosa bambola era sempre lì, quasi ad osservare
ogni mio singolo movimento in quelle quattro mura che racchiudevano la mia
stanza. Mi dava il voltastomaco. Non so bene se era per quel suo aspetto
ripugnante o per il semplice fatto che fosse appartenuta ad
una disinteressata zia ormai defunta. Era piccola, vecchia, brutta, totalmente
inutile. Solo io la vedevo orribile nella sua piccolezza. Infatti
era lì, nel suo angolo abbandonato, carente di attenzioni, cure e bellezza.
Dietro a quella stoffa ormai rovinata vedevo una bambina viziata e malevola. Vedevo
lei. Il viso della bambola incorniciato da capelli bruni era il ritratto della
sconsideratezza. Mi disgustava. Una volta, di certo, era una bambola ben
curata, degna di essere esposta nei migliori scaffali di un’umile stanza da
letto. Ora era solo un oggetto da buttare via come tanti altri. Quel flaccido
corpo stretto in un assurdo vestito di seta stracciata mostrava una
disperazione troppo viva. Soffermai lo sguardo sul viso, ancora. Il solo occhio
rimastole era di certo maledetto. Uno stupido bottone nero che mi osservava in
continuazione, appeso alla bambola da un unico, debole filo. Ogni volta un
brivido percorreva il mio intero corpo in una manciata di
secondi. Era puntato verso il pavimento, quell’occhio, rischiando di cadere su
una delle due treccine, ma in qualche modo continuava ad
osservare me. Non ero del tutto certa che fosse solo impressione. Strinsi la
bambola in mano. Una nuvola di polvere mi circondò. La gettai dalla finestra
insieme alle mie ansie e ai ricordi di una zia che bramava solo ai nostri
soldi.