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Autore: kenjina    29/04/2012    2 recensioni
Lei se n'era andata, promettendogli di tornare.
Aveva temuto che non l'avrebbe più rivista.
Nonostante si fosse ripromesso di non farlo aveva contato le ore, i minuti, i secondi che lo separavano dal loro prossimo incontro, con la paura costante di rimanere ad attendere in eterno.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un'ombra sul suo viso

 

 

C'era un'ombra sul suo viso storpio e martoriato dalle piaghe.

Osservò la porta diroccata richiudersi con delicatezza, l'immagine di lei che lo salutava rivolta alla finestra, pur non vedendolo più, e che si allontanava velocemente verso i suoi alloggi.

Aveva ancora la piacevole sensazione della sua risata nelle orecchie.

Non ricordava di aver trascorso così tanto tempo in compagnia di qualcuno, senza che questo qualcuno non fosse un ostaggio o un ospite poco gradito nella sua dimora.

Lei se n'era andata, promettendogli di tornare.

Aveva temuto che non l'avrebbe più rivista.

Nonostante si fosse ripromesso di non farlo aveva contato le ore, i minuti, i secondi che lo separavano dal loro prossimo incontro, con la paura costante di rimanere ad attendere in eterno.

Eppure ogni sera, al calare del sole, quando finiva con i suoi doveri alle stalle, riappariva sulla soglia della sua modesta abitazione in legno, poco lontano dal maniero della famiglia per cui lavorava, accompagnata dal profumo di una zuppa tiepida o di frutta fresca.

Quasi gli parve che quel piccolo miracolo fosse frutto della sua immaginazione.

Chi, infatti, avrebbe potuto provare simpatia e amicizia per uno storpio assassino?

Lei, così affabile e sfrontata, non sapeva certo chi fosse l'uomo che aveva trovato a vagabondare per le campagne limitrofe, smunto e distrutto nell'anima. Ma era sveglia e aveva udito la storia dell'incendio dell'Opéra Populaire, e del fantasma che l'infestava. Non aveva fatto domande, né lui aveva premuto affinché sapesse. Non c'era motivo per farlo, se non quello di allontanare dalla sua vita l'ennesima persona.

 

 

Ma eccolo lì, il suono delle nocche sul legno, quel "È permesso?" sussurrato, che conosceva già la risposta. E con il pane e la cena, ecco apparire anche la sua espressione gioviale, capace di rasserenare persino la giornata più cupa - ossia tutte quelle che scandivano la sua vita.

Si era più volte chiesto, in quelle settimane, cosa ci trovasse di bello e spensierato nello spendere il suo prezioso tempo con lui. Era giovane e graziosa, con quegli occhioni scuri e grandi e i capelli neri e perennemente intrecciati; aveva la lingua tagliente di una ragazza che aveva dovuto farsi strada tra gli uomini per farsi valere, ed era permalosa come lui; eppure aveva spirito e vedeva il buono anche dove non ve ne fosse - come in lui.

Non erano forse quelli motivi sufficienti per stare in compagnia dei suoi coetanei, divertirsi e vivere alla luce di quel sole che lui aveva sempre rinnegato?

Quando glielo faceva notare, lei sgranava gli occhi e scuoteva il capo, ripetendo che fosse troppo vanitoso, giacché conosceva la sua risposta.

Perché mi piace stare con voi.

Era surreale solo da pensare.

 

 

Ogni sera dividevano la cena, in silenzio, discutendo solo con brevi occhiate - divertite da una parte, sconcertate dall'altra.

Poi lei prendeva un libro, ogni settimana diverso, e leggeva per lui - o viceversa. Non poteva resistere, infatti, al suono di quella voce bassa e potente, degna di un tenore.

Leggevano di epici racconti ambientati tanti secoli prima, nella loro Francia o nella vicina Inghilterra, perché lei sognava spesso di ritrovarsi tra dame e cavalieri, in quegli splendidi castelli medievali che promettevano misteri ed intrighi. E non provava vergogna quando saltava sul tavolo in legno e, brandendo una baguette, imitava le gesta di qualche prode guerriero, ridendo poi della sua ingenuità.

C'erano volte, invece, in cui lo prendeva per mano e lo conduceva alle stalle, dove i cavalli riposavano o masticavano un po' di fieno. Prendevano il suo cavallo, un esemplare sano e in forze, di un bel color nocciola, e facevano lunghe passeggiate per i campi e il bosco vicino, fermandosi di tanto in tanto a mirare il tappeto di stelle sopra le loro teste, sdraiati sull'erba.

Altre erano le volte in cui lui cantava e non esistevano parole in nessuna lingua conosciuta per raccontare quello che provava in quei momenti.

 

 

Un giorno le aveva domandato se potesse procurargli carta e carboncino.

Voleva farle un ritratto. Voleva avere uno e più ricordi di quel miraggio che gli teneva compagnia come se fossero amici di vecchia data.

Lei era curiosa, infinitamente curiosa, e molto spesso la rimproverava di stare ferma al suo posto, nascondendo il disegno dalla portata dei suoi occhi vispi.

Il primo era così bello che quasi si commosse e gli chiese di tenerlo.

Il secondo era altrettanto bello e gli chiese di tenere anche quello.

Il terzo non glielo concesse, poiché voleva averla sempre accanto, anche quando lei lavorava e non poteva scaldare il suo cuore con la sola presenza.

Lei, però, non riuscì a ricambiare tutti quei bei ritratti. Ci tentò una sola volta e fu disastrosa. Non era brava a disegnare come lui, che invece sembrava saper fare qualsiasi cosa.

Quando gli aveva chiesto perché non andasse a fare l'artista, musicista o pittore che fosse, lui aveva replicato che non avrebbe venduto la sua arte al miglior offerente - e che soprattutto nessuno avrebbe voluto comprarla da lui.

Ma lei lo aveva incastrato, furba e sveglia com'era, e aveva fatto trovare un suo spartito completo al nuovo direttore artistico dell'Opéra, ormai sulla via della ristrutturazione.

Lui si era sentito tradito, ancora una volta, ma l'espressione entusiasta nel volto di lei, la gioia e la complicità nei suoi occhi l'avevano fatto capitolare.

Aveva accettato ad una sola ed importante condizione. Non avrebbe avuto né nome né volto per il teatro e lei sola avrebbe dovuto far fronte alla curiosità dei suoi datori di lavoro e, soprattutto, del pubblico.

Chissà perché, ma aveva la netta impressione che non si sarebbe fatta spaventare dall'arduo compito che l'attendeva.

 

 

Alla prima serata della sua nuova creazione si erano appostati all'uscita del teatro, per origliare le prime impressioni del pubblico.

L'idea di sentire dissenso e disgusto per la sua opera, lui che era sempre stato così sicuro delle sue capacità, ora lo opprimeva e lo rendeva più nervoso di quanto non desiderasse. Solo la presenza di lei, accanto, che gli stringeva la mano e lo rassicurava, poteva tranquillizzarlo un poco.

Avevano deciso di non entrare a teatro, mimetizzandosi tra la folla, per ascoltare il risultato delle sue fatiche, perché quel luogo emanava così tanti e dolorosi ricordi che il solo stare sui suoi gradini era una tortura infinita.

E la sola possibilità di poter riconoscere, tra quei volti imbellettati, quello del suo Angelo volato via dal nido gli faceva mancare il fiato. Non aveva ricevuto più notizie dalla ormai Viscontessa de Chagny e non era del tutto sicuro di volerne ricevere.

Saperla felice era l'unico pensiero che lo consolava.

Nell'udire i primi positivi commenti e i successivi entusiasmi che si sollevarono i giorni seguenti, tutto il suo famoso orgoglio tornò a farsi strada nella sua mente e riprese a scrivere musica come un tempo.

Lei gli aveva indicato una chiesa diroccata, a pochi chilometri dalla sua abitazione, dov'era conservato un vecchio organo impolverato, e spese tutte le ore del giorno e della notte a comporre disperatamente, con rinnovata passione. Spesso neanche si accorgeva della sua presenza, nascosta dietro una colonna, intenta ad ascoltarlo estasiata.

 

 

Quella sera, come le altre, cenarono in silenzio.

La loro quotidianità trascorse tra le pagine di un libro e di un paio di spartiti.

Camminarono, parlarono, risero.

Una routine a cui si erano abituati e che difficilmente avrebbero lasciato, come il peggiore degli alcolisti non abbandonava la sua bottiglia di liquore.

Finché non giunse l'ora dei saluti, puntuale come il sole che sorgeva ogni mattina.

Se n'era andata anche quella volta, salutandolo però con un leggero bacio sulla guancia deformata e la solita promessa che si sarebbero rivisti, il giorno dopo.

E quello dopo ancora.

 

 

C'era un'ombra sul suo viso storpio e martoriato dalle piaghe.

L'ombra di un sorriso.

 

 

 

 

*

Note: non so come mi sia venuta in mente questa breve one shot, ma avevo voglia di scribacchiare su Erik ed è nata questa cosa. È volutamente ambigua, perché non so chi potrebbe essere questa lei - non ha un nome, ma c'è solo un lieve sfondo sulla sua vita; né so come potrebbero evolversi le cose tra lei e il nostro Erik. Ma mi piaceva l'idea che potesse trovare almeno una figura amica, dopo la grande delusione della sua esistenza. A voi l'immaginazione. :)

Grazie di cuore per essere passati di qui.

A presto!

Marta

   
 
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