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Autore: cOstanza    30/04/2012    4 recensioni
Lea è una ragazza di diciassette anni, timida, impacciata, ma sa come divertirsi, anche se a volte preferirebbe stare in camera sua a leggere.
Cristian è il tipico ragazzo sicuro di sé, senza peli sulla lingua, che crede alla sua immortalità, pensa che il mondo sia suo. E potrebbe anche essere così.
Sarà complice uno sguardo, o c'era il Destino che complottava contro di loro?
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Il rating sarà giallo perché potrebbe essere trattato un tema spinoso, che si scoprirà solo leggendo.
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I personaggi sono inventati. Qualsiasi riferimento a fatti o persone già esistenti è puramente casuale.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can I open my eyes?'
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{La nostra costellazione}

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Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle.

Paulo Coelho












Capitolo 1



Credevo che il mondo mi appartenesse, che potessi decidere della mia vita come e quando volevo. Un ragazzo di diciotto anni, fresco di maturità, che prendeva in mano le redini della sua vita e voleva semplicemente vivere.
Lo credevo davvero. Credevo di essere in grado di cambiare le sorti dell'Universo con il semplice tocco della mia mano, ma non era esattamente così. 
La mia vita, quella vera, l'ho cominciata a vivere poco tempo prima che essa finisse.




26 marzo 2012




La luce entrò dalla mia finestra con prepotenza, inondando il mio letto. Guardai la sveglia, e mi stupì di come fosse sorto presto oggi il sole. Poi sorrisi. Era sorto alle 6.15 solo per me, perchè era un giorno fondamentale. 
Diciotto anni.
Finalmente.
Respirai quella nuova aria, ma non la sentì per niente diversa da quella del giorno prima. Lievemente deluso, mi alzai e mi diressi, con poche forze, verso il bagno e, da lì, osservai il mio riflesso. I miei occhi celesti erano circondati da lievi occhiaie, dovute al poco sonno. I miei capelli corti castani erano in disordine, anche più del solito. 
Sembravo uno zombie.
Bel inizio per i tuoi diciotto, Cristian, mi dissi, cominciando a sciacquarmi il viso. Passando un asciugamano sul viso, mi resi conto di aver ripreso un po' di colorito. Uscendo dal bagno della mia camera, che rappresentò una vera battaglia l'ottenerlo, mi diressi davanti all'armadio, cercando qualcosa da mettermi. Quando sentii, dietro la porta, dei bisbigli.
-Ferma, stupida-.
-Stupida dillo a qualcun'altro.-
-Ragazze, smettetela.-
Le riconobbe tutte e tre. Le mie due sorelline e mia madre. 
Quando spalancarono la porta, feci finta di essere sorpreso. Loro mi guardarono un attimo, e mi accorsi del perché. In effetti, se ero davanti all'armadio per vestirmi, significava che indossavo ancora solo i boxer. 
Scuotendo la testa, mia madre si avvicinò a me, portandomi su un piccolo piatto un piccolo pasticcino al cioccolato, con sopra una candelina. Nello stesso momento, le mie due sorelline mi saltarono al collo, con chissà quale forza.
-Auguri fratellone!- urlò Marika.
-Lo dovevo dire io!- ribatté l'altra, sempre agganciata al mio collo, Alessandra.
Le tenni strette a me con un braccio e le guardai. Le adoravo, davvero. Alessandra aveva gli occhi marroni come mio padre, mentre Marika aveva gli occhi celesti, come me e mia madre. Le chiamavo Terra e Cielo, perché entrambe erano una forza della natura. 
-Grazie, piccole.- Mi avvicinai a mia madre e soffia sopra la candelina. -Grazie mamma.-
Gli occhi di mia madre si illuminarono e mi diede un piccolo buffetto sulla guancia. Non si sarebbe mai abituata ad avere un adulto in casa, nonostante ci fosse passata con altre due figlie. Le mie sorelle maggiori, Rachele e Isabella, erano già andate via di casa. La primogenita, Rachele, era andata a vivere in Palestina, contro il volere dei miei. Il suo corso di studi all'università, lingue orientali, le aveva donato una borsa di studio proprio per vivere lì, almeno quattro anni. Per cui, lei non vi poteva rinunciare.
La secondogenita, invece, Isabella, aveva deciso di andare a convivere con il suo fidanzato storico, Fabio. Avevano deciso che di lì a poco avrebbero messo su famiglia, cosa che allarmò molto mamma e papà. Si preoccupavano della giovane età di mia sorella, che aveva circa ventiquattro anni, nonostante mamma era rimasta incinta di Rachele a ventidue.
-Io e tuo padre eravamo già sposati da due anni- ribatteva ogni volta che Isabella glielo faceva notare.
-Io e Fabio stiamo insieme da ormai quasi sei anni. Penso di essere pronta, no?-.
La mamma alzava gli occhi al cielo e chiedeva l'aiuto al marito, papà, di molte meno parole.
-Beh, cara, si amano da un sacco- rispondeva prontamente mio padre, sapendo di incappare nell'ira della moglie. Infatti, gli occhi di mamma si assottigliavano e si girava verso il marito, con l'indice puntato. 
-Tua figlia ha ventiquattro anni.-
-Tu ne avevi ventidue.-
-Non è questo il punto, Stefano.-
-Anna, smettila.-
Mamma abbassava l'indice e sospirava.
Finiva sempre così. Mamma si rilassava e finiva tra le braccia di papà. 
Insomma una famiglia all'apparenza tranquilla. 
Posando a terra le gemelle, stampai sui loro capi due sonori baci.
-Ora, uscite donne, che mi devo vestire- intimai, con il dito puntato verso la porta e con finta voce bassa. 
Le gemelle alzarono contemporaneamente gli occhi al cielo. La madre le seguì dalla porta e, quando la chiuse, disse qualcosa simile a:
-Primadonna-.
Sorrisi. 
Essere l'unico figlio maschio in quella enorme famiglia è sempre stato un problema, anche se sono sempre stato viziato dai miei genitori. Un maschio e quattro sorelle. 
Si può ben capire fino a che punto a volte poteva arrivare la mia esasperazione. 
Guardandomi allo specchio, decisi per una semplice maglietta nera e un paio di jeans. Presi le chiavi del mio motorino e cominciai a scendere le scale. 
-Cristian.- 
La voce di mio padre mi bloccò. Era in cima alle scale, con gli occhiali quadrati che mi fissava. Con un cenno della mano, mi invitò a salire. Lo seguii fino al suo studio. 
Eravamo una di quelle famiglie ricche sfondate, davvero. Potevo permettermi ogni genere di cose, per questo ho detto che mi hanno viziato. E tutto questo perché mio padre era il Direttore Generale della più grande società di avvocati in tutta Italia(*).
Non sapevo neanche il nome. Conoscevo ciò che facevano, ma poco mi interessavano, non intendevo prendere una carriera di avvocato. Non avrei mai seguito mio padre.
Mi persi come sempre a guardare le dimensioni di quello studio, pieno zeppo di libri su ogni genere di argomento. Una piccola biblioteca privata, insomma. Lo vidi sedersi sull'enorme poltrona nera dietro la sua scrivania e farmi cenno di sedermi.
-Ormai che hai diciotto anni, sarà meglio che pensi a quello che farai all'università.-
Oh, no, pensai, già pronto a ribattere.
-So per certo che la carriera di avvocato sarebbe perfetta per te. Hai una mente perfetta per questo tipo di carriera, e hai un gran senso dell'onore e del giusto.- Unì le dita e appoggiò le labbra ai polpastrelli delle mani. -Che ne dici?-.
Arrivato il mio momento di parlare, non sapevo realmente cosa rispondere. Avevo un sacco di cose da dire, ma la bocca non pronunciava alcun suono.
L'unica cosa che uscì dalla mia bocca fu:
-Ci penserò.-
Un sorriso tirato mosse le labbra di mio padre e capii di essere stato congedato. 
Uscendo dalla porta, mi resi conto che non mi aveva neanche augurato buon compleanno. Sbattei con forza la porta e mi diressi fuori di casa, con passo deciso.





 


Capii subito che i miei capelli quel giorno non mi avrebbero dato retta. Capii anche che ero in perfetto ritardo per la scuola e che la professoressa mi avrebbe praticamente fatto fuori. 
Quindi decisi di legarli e di correre fuori da quel bagno che mi aveva trattenuta per troppo tempo. Presi il mio zaino e scesi giù, con le chiavi del motorino in mano.
-Lea!- urlò la voce di mia madre dalla cucina.
Cazzo, pensai, bloccandomi.
-Si, mamma?- domandai urlando.
-Sei ancora a casa? Dovevi essere a scuola da dieci minuti.-
-Si, lo so, certo che se mi blocchi per farmi constatare che sono in ritardo non arriverò mai.-
Non mi rispose.
Bene, pensai. Lea 1, mamma 0
Presi il mio casco vicino all'attaccapanni e vidi mio fratello spuntare da dietro. 
-Sali in macchina, pulce. Ti accompagno io.-
Gli sorrisi, ringraziandolo di risparmiarmi circa venti minuti per far accendere quel dannato catorcio. Poi da lì, era una passeggiata arrivare a scuola. Scendemmo in garage ed io entrai nella sua macchina. Mi misi la cintura e sospirai.
-Tutto male, eh?- domandò la voce calda di mio fratello.
Lo guardai e notai che mi stava fissando. 
Gabriele era molto bello. Alto, magro, con i muscoli che si notavano dalle sue magliette strette, gambe lunghe fasciate da jeans. Un ragazzo che non potevi fare a meno di guardare. Molte mie amiche, per così dire, mi chiedevano di indagare su di lui, di seguirlo. Ma io semplicemente rifiutavo. Seguire il proprio fratello non era per niente dignitoso, e poi io e lui ci divertivamo a pensare a quanto fosse popolare per il mondo femminile.
Era tutto il contrario di me. I miei capelli mossi in morbide onde erano disordinati, i miei occhi scuri sempre circondati da piccole occhiaie. Il mio corpo non era un gran ché, avevo troppe forme. Un seno fin troppo prosperoso e un sedere che sporgeva da ogni jeans. Non avevo di certo preso da mia madre, piatta come una tavola da surf. Senza né seno, né sedere. 
Fantastico, pensai.
-Si. Lo sai come sono fatta, odio fare le cose di fretta, eppure sono sempre così ritardataria.-
Gabriele mise in moto ridendo.
-Non mi riferisco a quello, Lea.-
Eh, mio fratello mi capiva al volo.
-D'accordo. Ieri, abbiamo di nuovo litigato.-
Mi riferivo al mio ragazzo, Giacomo. Era di otto anni più grande di me, e stavamo insieme da più di tre mesi. Tre mesi d'inferno se posso aggiungere. Mia madre non ne sapeva niente, ma Gabriele era al corrente di tutto. Era come il mio migliore amico, anzi, lo era proprio. Proprio come Matilde. 
Sin dal primo momento che ci siamo messi insieme, io e Giacomo non abbiamo fatto che litigare, litigare, fare pace, per poi litigare di nuovo e continuare così, su questa linea, fino a che uno dei due non andava via sbattendo la porta. Quella, molto spesso, ero io, perché passavo gran parte dei miei pomeriggi a casa sua. Di certo, dentro la mia casa, con la possibilità di ritrovarmi mia madre nella stessa stanza non sarebbe mai entrato. Quindi andavo a casa sua. 
-Di nuovo, eh?-. Vidi che la sua mascella s'irrigidiva, mentre cambiava marcia e si immetteva nella strada. 
-Lele, per favore, non fare niente di avventato.-
-Lea, per favore, non chiedermelo.-
La sua voce era fredda.
-Lo sai che gli voglio bene.-
-Lui non te ne vuole abbastanza, però- ribatté Lele, guardando la strada e stringendo il cambio automatico.
Sbuffai, appoggiando il mio gomito al finestrino. Poi sentii la sua mano poggiarsi delicatamente sulla mia e stringerla.
-Non voglio che ti faccia stare male.-
La sua voce era cambiata. Era diventata più dolce, attenta, in ansia per me.
Io di rimando, gli strinsi la mano e gli sorrisi.
-Sono una roccia- risposi ammiccando.
Lo vidi sorridere e poi lasciare la mia mano. In pochi minuti, eravamo davanti a scuola, in perfetto orario. O meglio in perfetto anticipo per il mio solito ritardo. 
-A scuola, pulce. Ti passo a prendere e andiamo a mangiare un gelato.-
Mi morsi un labbro, salutando il programma di passare la giornata con Giacomo. Ma poi gli sorrisi e lo salutai agitando la mano.
-Ah, quel bonazzo di tuo fratello ti ha accompagnato.- Riconobbi immediatamente quella voce solare e divertita. Mi girai ed incontrai gli occhi verdi acqua della mia migliore amica, Matilde. -Mamma mia, essere sulla stessa macchina con lui...-.
Lasciò intendere molto. Io la guardai con sguardo severo e lei scoppiò a ridere.
-Oh, andiamo Lea, se non posso nemmeno pensare a tuo fratello in quel senso, mi rubi di tutto il divertimento!-.
Scossi la testa e la presi sottobraccio, entrando verso scuola. Era ancora presto, sempre per me, ma c'era sempre qualcuno che ancora faticava ad accettare di andare a scuola. Tra cui il fratello di Matilde, Lorenzo. 
Lorenzo era in quinto superiore ed aveva diciannove anni. Aveva ripetuto una volta il quarto e quella volta ce le prese da suo padre. La famiglia di Matilde era perfetta. Davvero. Quella famiglia che è unita da un amore molto più profondo di quanto si voglia far vedere. E infatti, lo si riscontrava nell'educazione dei due figli. Sia Lorenzo, che Matilde erano beneducati e maturi, ma come si può ben dire, sapevano come divertirsi. Non mancavano errori e discordie, ma venivano messi in punizione e capivano. 
Tutto il contrario della mia famiglia. 
-Loré, porca miseria- urlò Matilde, in direzione del fratello. Si avvicinò a lui e lo guardò con odio. Io non sapevo se avvicinarmi. Ero stata innamorata di Lorenzo per quanto? Sei anni prima di scoprire Giacomo, e quindi ero ancora un po' traumatizzata. Ma piano, con lo zaino in spalla mi avvicinai e aspettai che Matilde facesse la sua sfuriata al fratello maggiore. -Dovresti già essere in classe? Per caso vuoi ripetere il quinto e ripetere l'esperienza con papà?-.
La faccia di Lorenzo da prima annoiata si trasformò in intimorita. 
-Ecco, bravo!- aveva continuato Matilde -Fai bene ad avere paura di papà. Quello ti sbrana vivo se non superi gli esami.-
Quando Lorenzo riprese la sua faccia da indifferente, le rivolse un grande sorriso.
-Sorellina, stai tranquilla. Sto studiando come un matto, e fidati. Chiedilo a quella di Geografia Astronomica, ho fatto un'interrogazione spettacolare, per i miei standard.-
Matilde scosse la testa e appoggiò la fronte ad un braccio. 
-Okay, problemi tuoi, fratello.- Si girò verso l'entrata. -Andiamo Lea!- aggiunse nella mia direzione. Salutai con lo sguardo ed un sorriso Lorenzo e andai.
-Lori!-.
Sentì una voce forte chiamare il ragazzo. Mi voltai giusto un attimo e vidi Cristian, il grande amico di Lorenzo. 
Era uno dei ragazzi più belli della scuola e non mi aveva mai degnato di uno sguardo, nonostante fossimo quasi cresciuti insieme. 
Fino ad allora. 
Quando incrociai i suoi occhi, notai che erano più chiari del solito. Notai subito la stretta allo stomaco che provavo ogni volta che lo vedevo e, per ultimo, notai il suo sguardo. Sembrava non si aspettasse di incrociare il mio e rimase a bocca aperta. 
Girandomi di scatto, per aver paura che rifiutasse ancora quello scambio di emozioni, inciampai contro qualcuno.
-Guarda dove vai, mostro.-
Riconoscevo quella voce dappertutto. Era Jessica, la più bella della scuola e la più popolare. Sì, la solita ragazza facile, per non essere volgare. Era quel tipo di ragazza con quattro chili di fondotinta sulla faccia coperta di brufoli, con il reggiseno imbottito più di un canotto e il perizoma che gli usciva dai jeans a vita bassa. E si stava dirigendo a grandi passi verso Lorenzo e Cristian. Baciò sulle guance entrambi. Ma poi volsi ancora un ultimo sguardo verso Cristian e lo abbassai subito. 
Non aveva smesso di guardarmi. 





 

*******

 


Spazio autrice:

Salve a tutti

Questa è una storia originale, inventata dalla sottoscritta, con personaggi inventati. 
I due ragazzi sono più complicati di quello che vogliono dimostrare e si scoprirà il perché.

Ditemi se vale la pena continuare, perché sennò la cancello. 
L'ho cominciata a scrivere sotto ispirazione e quindi posso anche farmela passare :)

Un grazie a chi leggerà, recensirà.

Grazie





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