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Autore: Aine Walsh    30/04/2012    0 recensioni
In quella calda giornata di metà Giugno l’aeroporto straboccava di gente da tutte le parti, come se le vacanze estive fossero state anticipate per tutti. C’era chi saliva e chi scendeva dalle scale mobili, chi entrava e usciva dai gate, chi salutava amici e parenti con un «Torno presto» e chi esclamava trionfante «Sono tornato!», chi perdeva tempo passeggiando tra i negozi o sorseggiando qualcosa allo Starbucks e chi si affrettava per paura di non riuscire a prendere il volo, e così via.
Ma posso assicurare che tutti, proprio tutti, erano in compagnia.
Eccetto me, naturalmente.
[...]
Amanda Blair Morris, ventidue anni. Nata da padre americano di Baltimora e madre italiana, da otto anni risiedeva a Roma, Città Eterna, ma era stata invitata dal sottoscritto a trascorrere l’estate negli USA.
Ed era la mia migliore amica.
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quattro - Amanda
 
Erano trascorse due settimane da quando eravamo arrivati e tutto andava bene, anzi, a meraviglia. Non era cambiato nulla, sostanzialmente: io e Alex continuavamo ad alternare insulti ad abbracci, Zack continuava ad allenarsi per essere ancora più in forma di quanto non fosse già, Rian continuava a starsene tranquillo e indisturbato come sempre e Jack continuava ad essere il solito deficiente di sempre.
Per quanto riguardava il mio rapporto con il Barakat, non c’era niente affatto di entusiasmante: ci parlavamo normalmente, come avevamo sempre fatto. Riuscivo a fingere abbastanza bene che non mi piacesse, anche perché nemmeno io capivo bene cosa dover fare in quel momento.
Che Jack, sotto sotto, mi fosse sempre piaciuto era vero, ma ero stata troppo impegnata, fidanzata o preoccupata ad occuparmi di altro per rendermene conto una volta per tutte. Adesso che io ero single, che era estate e che vivevamo tutti sotto lo stesso grande tetto, le cose erano diverse. Però, se da un lato pensavo che forse avrei avuto qualche speranza se mi fossi messa a provarci, dall’altro mi ricordavo che: uno, dopo le vacanze sarebbero passati mesi prima di rivederlo; due, lui era pieno fino al collo di ragazze che gli sbavavano ai piedi e che sicuramente non gli fossero indifferenti; tre, che in fondo fosse sempre quel Jack Barakat che magari mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia senza avere nessuna pietà nei miei confronti. E questo bastava a farmi rinunciare ancor prima di aver cominciato.
Le delusioni amorose portano anche a quella che mia madre definiva "stitichezza sentimentale", oltre che ad una forma di paranoia, certo.
 
Era una bella mattina non eccessivamente calda e tanto soleggiata e ognuno era massimamente concentrato a rispettare l’unica regola che ci eravamo imposti per quel periodo: rilassarsi non facendo niente.
Ma se gli altri riuscivano nell’impresa, per me non era così. Stesa in riva al mare, sotto il sole che mi arrossava la pelle con i suoi raggi, ero ancora una volta in balia dei pensieri che mi affollavano confusamente il cervello, quand’ecco che all’improvviso un’ombra mi calò sugli occhi.
«Alex?» chiesi.
«No, - rispose sdraiandosi al mio fianco - Jack».
Aprii di scatto gli occhi, provando però ad apparire indifferente, mentre domandavo: «Qual buon vento?».
Capelli scompigliati, occhiali ben calcati sopra gli zigomi e un costume azzurro da surfista che gli metteva in risalto la stessa abbronzatura che io stavo disperatamente cercando di ottenere da quasi quindici giorni.
«Vento, nessuno considerata questa calda giornata; piuttosto voglia di prendere un po’ di sole in compagnia della migliore amica del mio migliore amico» rispose sistemandosi a pancia in su.
«Per fortuna il telo è grande abbastanza». Che cazzata!
«Sai che in teoria tu saresti anche la mia migliore amica?» disse, non sembrando fare molto caso all’idiozia uscita pochi secondi prima dalla mia bocca.
«E chi lo ha stabilito?».
«La proprietà transitiva, una delle poche cose che ricordo dalla scuola» spiegò.
Uno pari. Per quanto riguarda le battute squallide, eravamo sullo stesso livello. Tuttavia, non potei  fare a meno di ridere divertita.
Dopo quello restammo zitti ad ascoltare il suono delle onde che si infrangevano contro la spiaggia, finché: «L’altro giorno hai detto che studi Lingue Orientali, giusto?».
«Nam. Sì».
«Sul serio studi Arabo?» sembrava sorpreso.
«Nam, e anche Giapponese e Mandarino».
«Perciò tu parli cinque lingue?».
«Sei e mezzo: conosco anche Spagnolo e le basi di Francese».
«Tambien yo» asserì. Non mi diede nemmeno il tempo di meravigliarmi che continuò: «No, non è vero. Conosco solo ‘tambien yo’, ‘te quiero’ e ‘burrito’».
Altra risatina; pensai di poter sembrare un’irritante oca comportandomi in quel modo, una di quelle ragazzette stupide che svolazzano intorno ai ragazzi, specie se famosi.
«In compenso so parlare un po’ l’Arabo» aggiunse.
«No, ma davvero, Bassam?» mi finsi stupita portandomi una mano davanti alla bocca. Era bello poter stare al gioco in quella maniera; io ed Alex lo facevamo sempre.
Si sollevò su un gomito. «Non si direbbe, vero? In realtà sono un secchione, io. Altrimenti come spiegheresti quel discorso da maschilista che ho costruito l’altro giorno?».
«Sarai pure una secchia, ma quel discorso non faceva una piega: ne faceva cento» ribattei.
«Che gentile».
«Gentile è il mio terzo nome» gli feci l’occhiolino in modo complice, senza fini maliziosi. Mi tirai su a sedere di fronte a lui e gli sfilai gli occhiali da sole dicendogli: «Il mio quarto nome invece è Intelligente. Non vorrai mica abbronzarti come un panda, vero?» aggiunsi.
«Direi proprio di no» rispose.
Lasciò che gli togliessi gli occhiali per poggiarli sul telo e, dopo che ebbi fatto e lui si fosse un po’ abituato alla luce solare battendo più volte gli occhi, restò silenzioso a fissarmi, puntando i suoi occhi nei miei.
E a quel punto accadde qualcosa di strano, qualcosa che mi accadeva raramente: arrossii, lievemente, ma arrossi. Sentivo le guance scaldarsi un poco e sapevo che non era per via dell’abbronzatura.
La cinica Amanda arrossiva per via di un ragazzo che la guardava. Che mi stava succedendo? Io avevo smesso di essere quel tipo di ragazza ormai da tempo, ero cambiata, non ero più ingenua e cieca in campo sentimentale.
Oppure no?
Del resto, se avessi davvero trasformato quella parte della mia personalità non avrei certamente reagito in quel modo non molti giorni prima, vedendolo.
Improvvisamente sentii l’urgente bisogno di dover parlare con Alex appena mi fosse stato possibile.
Intanto Bassam continuava a scrutarmi ed io mi stupii nel riuscire a sostenere il suo sguardo normalmente; forse ero cambiata veramente, almeno quel tanto che bastava.
«Cos’è? Non dirmi che mi sono abbronzata a chiazze!» domandai per spezzare quello strano momento.
«No, no… Diciamo che sei ancora nella “fase beige”».
E poi accadde l’imprevedibile, una frase che non mi aveva mai detto nessuno fino a quel momento e che non mi sarei mai aspettata di sentirmi dire, specie da Jack.
«Credo che mi piaccia guardarti, è un problema?».
Un’affermazione semplice e diretta, ma che bastò a lasciarmi spiazzata e a farmi riflettere abbastanza nei giorni a venire.
«Cioè, non sei Rian o Zack e non sei pure il mio Alex bello» continuò ridendosela.
Delusa? No. E nemmeno arrabbiata.
Ecco perché non capivo cosa volessi davvero.
Quello era il ragazzo che conoscevo, lo stupido dalle frecciatine stupide.
«Dovevo aspettarmelo!» esclamai mentre mi alzavo per andare verso il terrazzo con finto fare offeso.
«Sono un bastardo, lo so! E tu sei una brava attrice, meriti l’Oscar!», rideva ancora.
Mi voltai e feci in un inchino dalla sua parte, provando ad atteggiarmi come una diva.
«I wish you could see your face right now, ‘cause you’re grinning like a fool…». Il Gaskarth spuntò da dietro e mi passò un braccio sulle spalle. «Che cosa gli hai fatto? Se non smette di ridere entro dieci secondi potrebbe avere un infarto» sorrise compiaciuto.
«Io? Guarda, ha iniziato tutto lui…» feci spallucce.
Al mi sorrise, mi sfilò gli occhiali dalla testa, li indossò e si rivolse nuovamente al suo chitarrista. «Jackie, lo sai che sei estremamente affascinante quando ridi in quel modo?» disse seriamente convinto delle sue parole e ostentando una prepotente infatuazione.
A quel punto pensai che Jack avrebbe preso a ridere ancora più forte, tanto che gli sarebbe caduta la mascella a terra, e invece no: il ragazzo assunse velocemente la stessa espressione idiota e lo stesso tono sensuale e lascivo del nostro migliore amico per poi rispondergli: «Oh Allie, anche tu sei così bello e attraente con quei due occhi magnetici che ti ritrovi... E la tua voce, Cristo, la tua voce!».
Come avessero provato quella scena migliaia di volte, i due si vennero incontro lentamente e con delle movenze e dei visi che avrebbero benissimo potuto essere scambiati per due fidanzati omosessuali; infine, quando si raggiunsero, si abbracciarono teneramente e con un fare talmente romantico che sentii il diabete salirmi fino al cervello. Evidentemente non ero la sola a meritare  l’Oscar in quel pazzo gruppo.
In preda alle risate, mi asciugai un occhio con una mano mentre con l’altra mi tenevo forte la pancia intanto che dicevo: «Voi due dovreste sposarvi, sareste una coppia perfetta! Propongo di andare a Las Vegas stasera stessa!».
Se avessi saputo prima cosa mi avrebbero fatto quei due mostri me ne sarei stata zitta e immobile.
In un primo momento mi guardarono con aria di sufficienza passandomi accanto stretti, con il braccio dell’uno che cingeva il fianco dell’altro, ma un secondo dopo mi sollevarono dalla sabbia -Barakat mi teneva per le caviglie e Gaskarth per le spalle - e mi trascinavano verso l’acqua, fregandosene altamente dei miei insulti e delle mie minacce di morte, riuscendo perfettamente a tener testa al mio corpo che si dimenava impazzito.
«Tu parla un’altra volta di matrimonio e vedrai come ti finirà» affermò Alex.
«Quindi per adesso mi lasciate andare?» osai chiedere notando di essere già arrivati al bagnasciuga.
«Mmm... No! - decise Bassam - Coraggio, tutti insieme! Tre...».
Vidi in lontananza Rian osservarci trafelato e Zack fare capolino dietro di lui: probabilmente avevano sentito le mie urla. Rincuorata da una speranza di salvezza, gridai più forte che potessi:«Rian! Zack! Aiutatemi, ragazzi!».
«Due...».
«No no no no no no!».
«Uno...».
«Non lo farete, lo so!».
Sul serio lo dissi? Davvero pensavo che quei due mi avrebbero lasciata andare? Beh, fu un pensiero molto più che stupido: era ovvio che non l’avrebbero mai e poi mai fatto.
E così caddi in acqua, o meglio, fui lanciata, accompagnata da un sonoro splash. L’acqua era gelida e nell’urto con la sabbia mi feci male alla schiena: questo bastò a farmi riemergere incazzata nera. Senza nemmeno degnarli di uno sguardo e ignorando completamente le loro risate e i loro «Ti sei arrabbiata veramente? Ma dai, vieni qui!», presi le mie cose e filai dritta - e dolorante - verso camera mia. Alex aveva sicuramente capito che ero furibonda, lo sapeva perché non avevo detto nulla, come avevo sempre fatto.
Lasciai che la porta della stanza sbattesse violentemente, buttai a caso tutto sopra il letto e mi osservai allo specchio; il centro della colonna vertebrale era già arrossato e faceva un male cane.
Avevano intenzione di crescere o no?


Look at the stars, look at they shine for you...

Tempo record! Ok, non proprio record visto che non mi faccio sentire da un po'...
Ma considerate che ho iniziato a scrivere il capitolo ieri sera e che l'ho appena finito.
Sì, il risultato è scadente, lo so... Vedrò di fare meglio la prossima volta. Questo è tutto quello che il mio cervello stanco ha da poco finito di partorire.
In ogni caso, vi ringrazio per essere passate e vi chiedo scusa per questo scempio D:
A presto, spero!

A.



 
  
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