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Autore: yuki013    30/04/2012    7 recensioni
“In questa storia non esiste il “c’era una volta”, non ci sono fiabe né eroi che sguainano la spada combattendo despoti per salvare il popolo. In realtà a dirla tutta ci sono, ma non è di questo che voglio parlarvi stanotte. […] Questo racconto non ha una morale, né un finale che posso recitare decorandolo di parole auliche sicché risulti per voi difficile da dimenticare. Ma ricordate, cari spettatori, che sono le storie senza fine a durare nel tempo.
Perché esse possono sempre cambiare.”

Lui, che una casa non l’aveva mai avuta, finalmente era tornato.
Murtagh... Era Castigo.
Lo so. Siamo a casa.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eragon, Murtagh
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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"Lo slash non fa per me": è con questa prerogativa che ho vissuto finora la mia vita da fanwriter squattrinata, con alti e bassi provocati a saltare da Skins e Queer as Folk (e anche dagli SHINee, diciamolo). Sfortunatamente, il nefasto giorno in cui lo slash si è addentrato nella mia esistenza è giunto, e si è diffuso come un cancro in quel che rimaneva della mia povera mente malata. Slashare lo slashabile? Lo sto facendo bene.
Sono Yu per chi volesse lanciarmi i pomodori, lo yaoi è il mio mantra e lo slash è il mio Buddha panciuto ♥
E dopo questa terribile, indegna presentazione, a chi ha il coraggio di scorrere più in basso...beh, buona lettura =)


♦ "Figli del Fato" - Prima classificata e premio Miglior Storia all' "ASAP Contest" indetto da adamantina sul forum di EFP

 




Figli del Fato

 
 

Orsù, ignari cittadini che affidate le vostre trepide vite alla protezione degli illustri che governano Alagaësia!
Avvicinatevi, non abbiate paura: sono soltanto un cantastorie. Non ho che qualche soldo, un tozzo di pane secco datomi dall’oste e delle storie da raccontarvi.
Oh, un sorso d’acqua per me, bambino? Ti ringrazio, e che gli dèi ti benedicano.
Venite, sedetevi attorno al fuoco e ascoltate le mie novelle, e andate diffondendole per ogni dove come le parole di un santo. Ascoltate ed imparate, poiché questa è la storia di un folle che conobbe il bene e il male, abbracciando l’uno e l’altro come si farebbe con un’amorevole madre.
Vi prego, riducete le vostre voci ad un sussurro: il racconto sta per iniziare.

 

In questa storia non esiste il “c’era una volta”, non ci sono fiabe né eroi che sguainano la spada combattendo despoti per salvare il popolo. In realtà a dirla tutta ci sono, ma non è di questo che voglio parlarvi stanotte.
Al pubblico piacciono sempre le storie d’amore, che esse siano felici o drammatiche. Incantano gli ascoltatori come un serpente nell’attimo che precede il morso letale, e lo lasciano insoddisfatto eppur trepidante di sperimentare sulla propria pelle quel sentimento decantato da giovani e giullari, dame di corte e nobili aristocratici in cerca di passione.
Non scandalizzatevi signori, il mio non sarà un racconto volgare. Vi narrerò di come un uomo rubò il cuore di un ragazzino. Sì, avete capito bene: un uomo.
Non mostratemi quelle espressioni stranite, il loro fu un amore semplice, puro. Chiamatelo ossessione, malizia o con il nome che più vi conviene, ma non giudicatelo.
È nostro compito raccontare, è piacere vostro ascoltare.

 

 

C’era andato vicino. Troppo vicino.
Murtagh sapeva che la relativa tranquillità che provava nel viaggiare con Eragon, seppur nell’ansia costante di essere attaccati dagli Urgali, sarebbe durata poco. Il vaso era traboccato, spaccandosi in cocci taglienti, nell’istante in cui aveva ammesso la sua colpa – se così poteva chiamarsi.

«Hai il diritto di sapere. Io… io sono il figlio di Morzan, primo e ultimo dei Rinnegati.»
Quante volte erano stati gli altri ad urlargli colpe che non aveva, solo perché era figlio di un padre che non desiderava? La ferita che portava sulla schiena non bastava come prova delle sue sofferenze?
La ferita più profonda, quella nel suo animo… perché nessuno riusciva a vederla?
Ma Eragon e Saphira, nonostante il dubbio si fosse già insinuato in loro, non lo avevano cacciato. Lo avevano accettato e difeso persino dai Varden, per quanto avevano potuto.
E quando alla luce tenue di una candela Eragon era andato a trovarlo, Murtagh aveva sentito la presa gelida che covava sopita da anni farsi meno pesante. Nessuno dopo sua madre e Tornac gli avevano rivolto parole e gesti che non celavano secondi fini.
Avevano parlato di Arya, dell’incontro tra lui e Nasuada, di spade e duelli, delle rispettive avventure che avevano vissuto prima di conoscersi, nei rari momenti di tranquillità che la vita concedeva loro.
Murtagh allora era soltanto un ragazzino troppo cresciuto, o almeno tale si riteneva. Perciò non aveva capito come, ricevendo una gomitata dal Cavaliere che li fece cadere entrambi sul pavimento, avere le labbra di Eragon posate sulle sue non gli potesse dare fastidio. Era anzi piacevole se paragonato al freddo della sua stanza.
Quando poi Eragon si era staccato lentamente da lui, con l’espressione innocente di un bambino che ha appena rotto il suo giocattolo preferito, sussurrandogli un leggero “Scusa” ad un passo dal viso, Murtagh aveva afferrato quel piccolo barlume di felicità che da sempre gli era stata negata come se fosse l’unico appiglio rimastogli.
Ci era andato abbastanza vicino da scottarsi.

 

 

Signori, calmate i vostri brusii. Non vi narrerò che l’essenziale delle loro vicende.
Donne, riportate i bambini nei loro letti se lo desiderate. Ma voi rimanete ancora un po’ ad ascoltare e a farmi compagnia.
Vi va di ascoltare ancora un menestrello senza cuore che parla d’amore?

 

 
Eragon aveva gli occhi quasi dorati. Nocciola, ma con filamenti d’oro che dalla pupilla si diramavano per tutta l’iride, come le vene sottili sulle ali traslucide di Saphira. Murtagh non se ne era mai reso conto prima – Murtagh non era mai stato così vicino ad Eragon da notare certi dettagli.
Ed Eragon che, per ragioni che non capiva, appena pochi istanti prima aveva storto il naso all’idea che tra lui e la figlia di Ajihad potesse esserci un interesse che andasse oltre la semplice conoscenza, si era ritrovato spogliato dei vestiti che i Varden gli avevano donato, seduto su quel letto saturo dell’odore di Murtagh mentre questo gli torturava le labbra delicatamente, senza fretta.
Pensò a Saphira, ringraziando il cielo che fosse profondamente addormentata sopra Isidar Mithrim, ma per sicurezza confinò i propri pensieri nella sua mente. Non era lei che doveva temere, all’interno del Farthen Dûr.

 


Credete che la mia storia sia frutto della fantasia? Non posso darvi torto. Magari colui che me l’ha narrata ha alterato i luoghi ed i personaggi, così come la loro posizione sociale. Quanto di questo racconto corrisponda a verità, purtroppo non ci è dato saperlo.
Ma lasciatemi comunque proseguire e terminare, signori miei.

 

 

 

La voce l’aveva persa da un pezzo, così come il pudore che lo frenava dal cedere alle dita sottili di Murtagh che gli sfilavano i calzoni con malcelata pazienza, e che sfioravano poi il suo fisico abbozzato da uomo che sarebbe diventato. Non riusciva ad aprir bocca, conscio della presenza di Orik oltre la porta – e di nuovo, aveva ringraziato un’entità sconosciuta perché il nano non li aveva ancora interrotti, magari insospettito dal tempo trascorso senza udire nulla di rilevante.
Se stesse bene o male, non riusciva a capirlo. Provava quel dolore tipico delle cose che iniziano con difficoltà e proseguono su un sentiero spianato, costeggiato da azalee profumate e grandi alberi da frutto dai quali potersi nutrire.
E oltre il dolore, oltre la scura pelle di Murtagh ricoperta di gocce trasparenti che sembravano brillare alla luce della fiammella, oltre i suoi occhi che lo trapassavano senza mai sondargli il pensiero e il suo corpo che sembrava essere dappertutto intorno a lui, c’era un calore che era nuovo per Eragon.
Niente di simile alla coscienza di Saphira, o alla gioia di aver ucciso quel cinghiale che avrebbe sfamato lui, suo cugino e Garrow per almeno due settimane, né al sorriso di Arya quando quella stessa mattina lo aveva sfidato; era talmente diverso che Eragon ne ebbe paura, paura che potesse sconvolgerlo a tal punto da fargli dimenticare sé stesso – il suo essere Cavaliere, stregone, speranza per tutte le popolazioni soggiogate da Galbatorix.
Murtagh però lo strinse, e spinse di nuovo il bacino contro il suo. Con una dolcezza che non gli apparteneva, ma che ad un occhio più attento sarebbe apparsa quasi disperata. C’era il desiderio di provare qualcosa sulla propria pelle, qualcosa che non fossero le lame delle spade o gli artigli dei Ra’zac, qualcosa che andasse oltre e li aiutasse ad alzarsi il mattino seguente, e quello dopo ancora, finché il Fato glielo avesse permesso. Una ferita che non bruciasse.
C’erano Eragon e Murtagh. Sedici e diciannove anni, entrambi orfani, entrambi bistrattati dal destino che beffardo li aveva gettati dritti nelle fauci dell’Inferno.
E nonostante tutto andava bene così. Va bene così, gli aveva soffiato all’orecchio Murtagh.
Continuando a prendersi il corpo ed il respiro di Eragon, senza smettere mai di posare le labbra sulle sue, fin quando sentì l’altro pronunciare con un gemito soffocato il suo nome.
Solo allora si sentì, dopo un tempo che gli era parso infinitamente lungo, felice.

 

Perdonatemi milady, temo di non potervi spiegare il perché del mio sorriso. Sappiate soltanto che il Wyrda non fu caritatevole con i due amanti. Essi vennero separati e divennero nemici, seppur covando in cuor loro la speme di potersi rivedere e parlare, senza rancore né sovrani a comandarli.
Sì, capisco: si è già fatto molto tardi ed il raccolto non attenderà di certo che voi, domattina.
Permettetemi dunque di concludere con poche parole la mia storia, così da lasciarvi quel piacevole senso di amara consapevolezza in bocca.

 
 

Se ne stava andando, di nuovo. Senza fargli sapere dove sarebbe scomparso questa volta. Non restavano più Re dai quali farsi incatenare, né parole che potevano far del male a lui o a Castigo.
«Sii prudente.» Rimani, avrebbe voluto dirgli.
«Anche tu… Fratello.»
Eragon capiva, adesso. Capiva quanto avevano sbagliato, e nonostante lo comprendesse non riusciva a rammaricarsene. Aveva sperato di poter partire con lui, di mostrargli le uova di cui gli aveva parlato e fondare il nuovo Ordine dei Cavalieri con Murtagh.
Aveva sperato ma, si disse con una certa tristezza, non era bastato.
«Fratello.» Non era riuscito a dire altro.
Lo aveva guardato volare via insieme a Saphira, le squame brillanti di Castigo che rilucevano contro le prime luci dell’alba e Zar’roc stretta in vita. La dragonessa non aveva detto nulla: aveva lasciato fluire in lui la sua coscienza, frenando le lacrime e lenendo il dolore per la partenza di Murtagh.
Compagno, alleato, nemico, fratello.
Amante di una notte, rimpianto di una vita.

 


Questo racconto non ha una morale, né un finale che posso recitare decorandolo di parole auliche sicché risulti per voi difficile da dimenticare. Ma ricordate, cari spettatori, che sono le storie senza fine a durare nel tempo.
Perché esse possono sempre cambiare.

 
Tornate alle vostre case, date un bacio ai bambini e ringraziate il dio in cui credete per l’abbondanza sulle vostre tavole e nelle vostre tasche. Siate buoni con il prossimo, ma mai ingenui: troverete sempre qualcuno pronto ad approfittarsi di voi. Siate leali e sinceri, e benedite le terre che ci sono state restituite.
Rendete onore alla nostra Regina e siate aperti verso le altre razze che popolano Alagaësia: senza di esse, non saremmo che un punto solitario nella vastità della terra.
Come dite, messere? Mi domandate se anche domani vi racconterò una storia?
Sono davvero spiacente, ma mi attende un viaggio che non prevede ritorno. Noi cantastorie siamo sempre in cerca di battaglie, scandali, storielle divertenti da raccontare dalla Grande Dorsale ai confini remoti delle terre degli elfi. Dovrete attendere che un altro dopo di me giunga a decantare le proprie novelle in questo villaggio. E chi lo sa che, un domani, voi stessi non diventiate fautori del vostro destino.

 

***************

 

I primi raggi del sole si stagnavano sulle acque del fiume Edda, mentre la foce a estuario che si allungava per migliaia di iarde fino a raggiungere la scogliera diveniva man mano sempre più visibile alla vista acuta del grande drago rosso. Planò aumentando la velocità e scendendo di quota, finché trovò uno spiazzo erboso tra le rocce a picco sul mare.
Con due ampi balzi, Castigo si fermò sul terriccio umido di salsedine e si accovacciò, permettendo a Murtagh di scendere dal suo dorso e osservare l’isola che si stagliava davanti ai loro occhi, nascosta da un leggero velo di nebbia che il vento stava già diradando.
Oltre il rombo dell’oceano che si abbatteva in violente sferzate di bianca schiuma contro la roccia, Murtagh avvertì chiaramente i ruggiti dei draghi che volavano a decine tra i picchi delle montagne e le torri che dovevano essere di costruzione recente. Poté sentire Castigo alle sue spalle fremere, ormai prossimo allo spalancare le fauci e segnalare la loro presenza.

Aspetta, Castigo, gli disse con la mente. Dobbiamo prima annunciarci.
Il drago sbuffò una nuvola di fumo dalle narici, capendo le intenzioni del Cavaliere. E sia.
Murtagh lasciò che le difese della sua mente si dissipassero, allargando la coscienza fino a percepire quelle degli altri Cavalieri, i quali immediatamente si ritrassero comprendendo il dislivello di potere tra essi e lo sconosciuto ospite. Superò la moltitudine di incantesimi e protezioni che solo uno come lui avrebbe potuto aggirare fino a raggiungere il suo obiettivo, facendosi sentire appena con un leggero sussurro alla sua mente.
Pochi secondi dopo, esplose il boato.
Le urla di acclamazione di umani, nani, elfi ed Urgali si unirono ai ruggiti dei draghi che con la mente davano il benvenuto ad un nuovo Ebrithil. Castigo rispose squarciando il cielo con una vampata di fuoco, e senza attendere un segnale di Murtagh spiccò il volo, diretto verso l’isola che accoglieva il nuovo Ordine dei Cavalieri dei Draghi.
Osservò la macchia blu che sfrecciava sul pelo dell’acqua come un missile, fermandosi nel momento in cui Castigo la raggiunse. A quel punto seppe che avrebbe dovuto offrire ai due draghi qualche barilotto di idromele, alla prima buona occasione.
Attese pazientemente sulla scogliera, mentre le nuvole si spostavano lasciando che il sole illuminasse il suo viso ancora perfetto, nonostante lui fosse invecchiato di cinque o sei anni. Poco importava quanto tempo fosse passato.
Quando di fronte a lui apparve suo fratello, che correndo lo abbracciò talmente forte da fargli capire che non avrebbe più potuto andarsene, quel tempo trascorso non contò più nulla.
Lui, che una casa non l’aveva mai avuta, finalmente era tornato.

Murtagh... Era Castigo.
Lo so. Siamo a casa.

 

 

Quando finalmente il banchetto organizzato per festeggiare il loro arrivo fu concluso, e tutti i draghi sazi di cibo ed alcol furono tornati a dormire nelle grotte scavate all’interno delle montagne ed i loro Cavalieri ritirati nei propri alloggi, Eragon non resistette al desiderio di rimanere da solo con Murtagh.
Avevano tantissime cose da dirsi, progetti da fare, situazioni da chiarire. Voleva sapere che sarebbe rimasto: ne voleva la certezza, voleva che rimanesse lì ad aiutarlo con i novellini – che non smettevano mai di ricordargli sé stesso a sedici anni. Rimanere da solo, anche se con Saphira, era difficile.
«Murtagh…», lo aveva bloccato prima di congedarlo di fronte alla sua stanza.
«Eragon, so già cosa vuoi chiedermi.»
«Perché sei tornato? Per fare una visita o per restare?»
Murtagh abbassò la maniglia di ferro, scrutandolo con gli occhi grigi. «Non rendermi le cose più difficili di quanto già non siano.»
«Una volta mi hai detto che i veri amici sono i solitari insieme. Dunque, chi è più solo di noi due?», aveva proseguito Eragon con un sorriso che non nascondeva la solitudine che aveva provato.
Poi non aveva più aperto bocca. Murtagh lo aveva tirato all’interno, chiudendo la porta e spingendocelo contro, sempre con quella delicatezza che credeva di aver dimenticato, scordata chissà dove tra il sangue e i corpi smembrati dei suoi nemici.
Lo aveva baciato, ma stavolta Eragon aveva partecipato senza remore, trascinandolo fino al letto che aveva fatto preparare per lui. Si erano spogliati a vicenda con parecchie difficoltà e qualche risata, in particolare quando, in preda agli effetti del faelnirv, le loro teste avevano cozzato con un rumore sordo.
Avevano corpi diversi da quando si erano visti nudi per la prima volta: le cicatrici si erano moltiplicate, i muscoli si erano irrobustiti diventando fasci di nervi abbastanza potenti da uccidere.  
Eragon, seduto sopra Murtagh che aveva la schiena posata contro la testata in legno del letto, aveva sfiorato la cicatrice sulla schiena lentamente con la punta delle dita fredde. Lasciandosi andare ai suoi baci e ai morsi che si moltiplicavano dal collo alle spalle al ventre tonico, gli aveva tolto i capelli scuri dalla fronte e l’aveva baciato lì, riservando lo stesso trattamento al Gedwëy ignasia sul palmo della sua mano.
Per la seconda volta nella sua vita, aveva sentito il corpo di un altro uomo farsi strada nel suo, con dolore ma con il pensiero che presto esso sarebbe terminato. Stentò a riconoscersi nell’invocare il nome di Murtagh, tanto era diversa la sua voce – e Murtagh, il quale poteva osservare in ogni minimo dettaglio il corpo madreperla di Eragon tendersi e contrarsi al ritmo delle sue spinte, non riuscì a trattenersi a lungo.
Amava suo fratello, sì. E mai nessuno, né con la volontà né con la magia, avrebbe più potuto fargli credere il contrario.

 

 

Sentì una coscienza familiare invaderlo. Pensò subito a Castigo, ma per poco non cadde dal letto a due piazze quando sentì una voce chiaramente femminile riscuoterlo dal suo sonno.
Essere teste di pietra è un dono di famiglia!
Ma che… Saphira?
Murtagh, Cavalieri e draghi sono già svegli e attendono di iniziare con l’addestramento, continuò Castigo. Per quanto avete intenzione di oziare voi due?
«Murtagh…» Voltò il capo verso Eragon, che si era appena svegliato.

Eragon! Posso capire Murtagh, ma tu come hai potuto ignorarmi?!
Le urla mentali della dragonessa confusero Murtagh, il quale guardò l’altro ragazzo con espressione curiosa.
«Io non dormo come gli umani, quindi… sì, l’ho ignorata.»

Datevi una mossa, tutti e due!
Murtagh la sentì dire qualcosa agli allievi, prima che si richiudesse in sé stessa e nel suo mutismo. Represse una risata, posando lo sguardo sul Cavaliere accanto a lui.
«Dobbiamo andare», lo rimproverò Eragon immaginando le sue intenzioni.
«Solo un momento.»
Si alzò e prese dalle bisacce che solitamente erano appese alla sella di Castigo un paio di pergamene, frugando tra esse. Quando trovò quella che cercava afferrò anche una piuma e l’inchiostro, intingendovela appena e scrivendo qualcosa in fondo al foglio.
«Che cos’era?», gli domandò Eragon.
«Nulla di importante, un giorno la leggerai.»

 

Perché un Cavaliere divenne un cantastorie, per poi tornare a solcare i cieli?
Perché ogni storia ha un inizio ed una fine,
e dove finisce una ne inizia un’altra.

 
Fine.

   
 
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