Buon primo Maggio a
tutti!
Ok, questa è una
piccola storiella che avevo in testa da un sacco di tempo, che avevo cominciato
a scrivere da Gennaio e che solo ieri ho deciso di riprendere in mano e di
terminare. Adesso che ci penso, però, non è poi così piccola XD sono qualcosa
come 16 pagine e 8600 parole…
Non è niente di
che, giusto qualcosa con cui passare il tempo; spero che vi piaccia, e che non
sia poi così schifosa come temo che sia u.u’.
Ok, vi lascio alla
lettura, ma prima voglio avvisare chi segue l’altra mia storia ‘The Camp Of
Love’: questa settimana non ci sarà l’aggiornamento, e mi dispiace moltissimo
per questo, ma dalla prossima settimana riprenderò senza alcun problema :D
Un bacione a tutti,
KrisC
P.S: mi scuso per
gli eventuali errori che usciranno fuori ^_^’
Le lancette della
sveglia segnavano le sette e trenta del mattino. Era presto, ma come da mia
abitudine a quell’ora ero già in piedi, vestita e pronta per iniziare una nuova
giornata di lavoro.
Avevo appena
terminato di rifare il letto e di riordinare un poco la stanza, una piccola
mania che avevo sempre avuto, e mi apprestavo a scendere al piano di sotto per
prepararmi una tazza di caffè prima di uscire di casa.
Scesi in fretta le
scale ed entrai nella piccola cucina, convinta di trovare Charlie impegnato a
leggere il giornale e a fare colazione, ma quella mattina doveva essere uscito
prima del previsto.
La sua tazza ed il
piatto che aveva usato per mangiare erano già stati lavati e messi ad asciugare
sul lavello, ulteriore dimostrazione che quella mattina doveva essere andato a
lavorare prima di me.
Con un piccolo
sospiro, raggiunsi il frigorifero per prendere il cartone del latte e notai
sulla sua superficie bianca e lucida un piccolo post-it giallo, che la sera
prima non era presente.
Lo presi tra le
dita, sorridendo non appena lessi le poche parole che vi erano scritte sopra
nella disordinata grafia di Charlie.
Bells, stamattina sono uscito prima. Stai attenta e
passa una buona giornata, piccola.
Ti voglio bene,
papà.
Papà non si smentiva
mai, anche quando non era in casa cercava sempre il modo di farmi le solite raccomandazioni.
Stai attenta, non parlare agli estranei,non fare
incidenti… avevo
raggiunto i ventitré anni e andavo per i ventiquattro, ma per lui sembrava che
ne avessi ancora dieci. Per lui, come per qualsiasi altro padre in effetti, ero
ancora la sua piccola bambina.
Mi faceva tenerezza
il suo lato apprensivo ed a volte iperprotettivo, che aveva sempre dimostrato
nei miei confronti, senza contare il comportamento da poliziotto che ogni tanto
usciva fuori, e che era cresciuto ancora di più dopo quello che era accaduto
alla mamma.
Era il suo modo per
accertarsi che stessi bene, e non c’era giorno in cui non me lo ripeteva, ma gli
volevo bene anche per questo.
Appesi di nuovo il
post-it sul frigorifero ed aprii lo sportello per prendere il latte. Ne versai
una piccola quantità in una tazza e poi a esso ci aggiunsi il caffè, che
zuccherai un poco prima di cominciare a berlo.
Sgranocchiai un
paio di biscotti al cioccolato, che avevo preparato la sera prima, mentre bevevo
il caffè, soffermandomi con lo sguardo sulla finestra della cucina e sul
piccolo spiazzo di giardino che riuscivo a vedere.
Il sole era già
alto ed illuminava tutto. Per quel giorno sembrava che tutti noi, lì a Forks, ci
saremmo goduti una bella giornata di primavera.
Sorseggiai l’ultima
parte di caffè prima di sciacquare la tazza e di riporla sul lavello vicina a
quella di Charlie. Rassettai un po’ anche quella stanza e poi mi fiondai al
bagno per lavare i denti.
Quando ebbi finito
scesi di nuovo di sotto ed infilai in fretta la giacca di jeans, recuperai la
borsa dalla poltrona del salotto dove l’avevo lasciata la sera prima e uscii di
casa.
Scesi i pochi
gradini del portico e percorsi il vialetto di casa, salutando con un sorriso e
con la mano l’anziana signora Simon, la nostra vicina di casa, che sistemava i
vasi davanti la porta di casa sua.
Cominciai ad
incamminarmi per raggiungere il piccolo negozio che gestivo da qualche anno
senza pensare all’ipotesi di prendere il pick-up per quel giorno. La strada da
percorrere non era molta, ed in più la mattinata particolarmente soleggiata mi
aveva fatto venire voglia di fare una passeggiata.
E poi, una
preoccupazione in meno per papà; poteva benissimo spuntare il ‘non fare
incidenti’ dalla sua lista delle raccomandazioni.
Non ci misi molto a
raggiungere il negozio, dopo una decina di minuti infatti ero già arrivata a
destinazione. Recuperai con qualche difficoltà le chiavi dalla borsa e mi
preparai ad aprire la porta quando notai che era già stata aperta.
Sbirciando dalla piccola
porta a vetri capii chi era stato ad anticiparmi quella mattina, ed un sorriso
mi scappò involontario sulle labbra; riuscivo a vedere soltanto l’accenno di
una chioma bionda da dove mi trovavo, ma mi fu sufficiente per riconoscere la
proprietaria di quei capelli.
Era decisamente la
prima volta che Rosalie arrivava in negozio prima della sottoscritta.
Entrai senza
indugi, spalancando la porta a vetri e facendo tintinnare lo scacciapensieri
che avevo appeso lì vicino. La testa bionda di Rosalie sbucò subito da dietro
il bancone, dove sembrava essersi accucciata in cerca di qualcosa.
- Come mai così
mattiniera? Non vorrai mica far piovere proprio oggi che c’è il sole! -
scherzai, raggiungendola e poggiando la borsa sul bancone.
Rose sbuffò,
rimettendosi in piedi e spolverandosi la gonna nera che le arrivava quasi alle
ginocchia. - Mia cognata mi ha buttato giù dal letto alle cinque, stamattina. Le
voglie le arrivano alle ore più assurde, adesso che è quasi alla fine della
gravidanza!
Ridacchiai. Alice,
la cognata di Rose, era incinta e come aveva detto la mia amica aveva quasi
raggiunto il termine della gravidanza. Per lei e per suo marito Jasper, il
gemello di Rose, era la prima gravidanza e non vedevano l’ora di conoscere dopo
tanto tempo la loro bimba.
- Jasper non era
con lei? - chiesi, scrutando bene il viso della mia amica.
Aveva delle leggere
ombre scure sotto agli occhi, nulla che non potesse essere corretto con un po’
di trucco ma Rosalie evitava di usarne molto. Il suo massimo erano un delicato
ombretto chiaro ed un po’ di mascara per incurvare le sue ciglia lunghe.
Chiuse per un
istante i suoi occhi azzurri e sbadigliò prima di rispondermi. – No, era ancora in
trasferta per lavoro. Torna stamattina, adesso che ci penso… tra qualche ora,
più o meno.
Jasper era un
avvocato, laureato da poco più di un anno, e lavorava in uno studio legale a
Port Angeles. Da quello che mi aveva raccontato Rosalie qualche giorno prima, e
che io avevo completamente dimenticato fino a quella mattina, era partito alla
volta di New York per un meeting e sarebbe tornato solo dopo qualche giorno.
- Capisco.
Osservai Rosalie
grattarsi con noncuranza la testa, poco sopra la tempia destra, vicino a dove
si trovava in bella vista una foglia verde che sicuramente si trovava sul
pavimento poco tempo prima.
Risi ancora,
allungando una mano per afferrarla e mostrandogliela poco dopo; lei inarcò un
sopracciglio, facendomi una domanda muta.
- Avevi questa tra
i capelli. - scrollai le spalle.
- Devo averla presa
da terra. Questo succede perché tu ti dimentichi sempre di spazzare il
pavimento prima di andare via, alla chiusura del negozio! - esclamò,
rimproverandomi.
Alzai gli occhi al
cielo. - Ooook… stasera, prima di chiudere, pulirò e toglierò tutte le foglie
che cadranno durante la giornata. Va bene così?
Rosalie mi mostrò i
pollici, sorridendo. - Affermativo!
Scossi la testa,
evitando di fare commenti per l’uscita scema della mia amica, e dopo aver
ripreso la borsa andai nel laboratorio per riporre la giacca; mi stupii di
trovarlo pieno di fiori freschi.
Doveva essere già
passato il camion dei rifornimenti.
- Rosalie, è già
passato Jacob? - chiesi, mentre mi sfilavo il giubbino e restavo con una maglia
a maniche lunghe blu chiaro.
- Sì, cinque minuti
prima che arrivassi tu… anche lui è rimasto sorpreso quando mi ha visto.
Rosalie mi
raggiunse nel laboratorio, legandosi il grembiulino verde con il nome del
negozio, ‘Il regno di Flora’,
stampato sopra. - Scommetto che sarebbe stato più felice di vedere te al posto
mio!
Sbuffai, prendendo
il mio grembiule ed imitandola. - Ricominci di nuovo con questa storia?
- Perché, non è
forse vero che piaci a Jacob? Bella, si vede lontano un miglio che gli
interessi! Non ci vuole mica uno scienziato per capirlo, si vede da come ti
guarda…
- Ah sì? E come mi
guarda, scusa?
Sorrise
maliziosamente, poggiando le mani sui fianchi. - Ti guarda come se volesse
mangiarti… o farti altro, non so se capisci cosa intendo.
Le mie guance
cominciarono a scaldarsi a quelle ipotesi. Diavolo, mi imbarazzavo sempre per
così poco!
- Ti capisco
benissimo, Rose, non andare oltre! - sperai che mi prendesse alla parola e che non
andasse oltre con le sue descrizioni, altrimenti presto mi sarei trasformata in
una specie di pomodoro maturo adatto per condirci la pasta.
Rosalie alzò le
mani in alto, in segno di resa, senza smettere di sorridere. - Va bene, la
pianto, però io penso che tu dovresti provarci. Stareste benissimo insieme!
- Rose! - esclamai,
ancora.
Lei cominciò a ridere
e mi diede una spintarella, mandandomi verso la parte del negozio adibita al
ricevimento dei clienti. - Vai di là, sciocchina! Io faccio la composizione per
la signora Newton e ti raggiungo.
Feci come mi aveva
detto senza fare storie e mi sedetti sul piccolo sgabello che c’era dietro il
bancone, vicino al registratore di cassa. Presi tra le mani un paio di forbici
che erano state abbandonate sul ripiano, coperto da un telo di plastica
trasparente, e mi persi per un po’ ad osservare quello che da quattro anni a
quella parte era diventato il mio piccolo angolo di paradiso.
‘Il regno di Flora’, l’unico negozio di
piante e fiori della cittadina di Forks, fino a qualche anno fa apparteneva a
mia madre e sempre fino a qualche anno fa portava il suo nome. Si chiamava,
infatti, ‘Il regno di Reneè’.
Forse si sarebbe
chiamato ancora così, se soltanto un brutto incidente stradale che coinvolse
anche il veicolo sul quale viaggiava mia madre non me l’avesse portata via per
sempre.
Ricordavo ancora
con una stretta al cuore il giorno in cui avvenne l’incidente…
Ero a Seattle per
frequentare l’università, più precisamente i corsi di botanica e florovivaismo,
una piccola passione che la mamma mi aveva trasmesso sin da quando ero piccola
e che avevo sempre voluto approfondire. Papà mi telefonò quando avevo appena
terminato di seguire una lezione e mi raccontò tutto quello che era successo;
inutile dire che da quel giorno tutta la mia vita cambiò.
Feci subito i
bagagli e tornai a casa; mio padre aveva bisogno di me in quel momento, ed io
avevo bisogno di lui. Avevamo perso una delle persone più importanti della
nostra vita, e l’unica cosa che potevamo fare per sopportare e superare il
dolore che quella terribile perdita aveva comportato era restare insieme.
I primi tempi dopo la
morte della mamma furono difficili da sopportare; passavo la maggior parte
delle giornate dentro casa e quello non faceva altro che amplificare il dolore
e la nostalgia che provavo.
Ogni cosa, anche la
più piccola ed insignificante, mi ricordava lei… persino le riviste che si
trovavano sul tavolino basso del salotto mi facevano ricordare la sua piccola
mania di sistemarle sempre in modo che non risultassero fuori posto.
Mano a mano che
passava il tempo, ed anche grazie alla presenza quasi costante di Alice e
Rosalie, le mie amiche più care, riuscii a superare quei momenti duri e a
risollevarmi un poco.
Un altro scoglio
difficile da superare fu quando arrivò il momento di decidere cosa fare del
negozio della mamma. Io non volevo assolutamente venderlo, sapendo quanto lei
tenesse a quel suo piccolo ‘posto magico’, come amava definirlo, e papà lo
stesso.
L’unica soluzione
sembrava essere quella di assumere qualcuno che potesse lavorarci, e fu allora
che ebbi un’idea.
Decisi di assumermi
io l’impegno del negozio, sia per quanto riguardava la gestione sia per il
lavorarci. Avevo sempre amato trascorrere il tempo in quel posto, e qualche
volta avevo anche aiutato la mamma quando c’era del lavoro in più da svolgere.
Sapevo tutto quello
che c’era da sapere sull’attività, ed ero più che sicura di riuscire a
cavarmela.
Non cambiai nulla,
lì, lasciai tutto esattamente come aveva deciso mia madre; mi limitai solo a
cambiare il nome e l’insegna, mettendo il nome ‘Flora’ al posto di quello di
mamma.
Anche i primi tempi
in cui lavorai al negozio furono difficili perché quello era il posto dove
mamma trascorreva gran parte delle sue giornate, spesso e volentieri ci si recava
anche la domenica mattina, ma superato anche quel periodo cominciai a prendere
più confidenza con quel mestiere ed imparai in fretta a fare composizioni
floreali degne di essere chiamate in quel modo.
Con l’arrivo di
Rosalie nel negozio, che si offrì di aiutarmi con il lavoro e con la gestione
dell’attività anche senza chiedere nulla in cambio, le cose andarono molto
meglio: il lavoro diventò più facile ed anche più divertente, specialmente
durante i primi periodi in cui Rosalie stava imparando il mestiere di fioraia e
ne combinava di tutti i colori.
Venni distratta da
tutti quei pensieri quando sentii lo scacciapensieri suonare, annunciandomi
l’arrivo del primo cliente della giornata, e voltando lo sguardo incrociai
quello gentile e simpatico di una signora che riconobbi essere la nonna di
Angela, una mia vecchia compagna di liceo.
Le sorrisi,
preparandomi a servirla.
-
- Dai Bella, come
puoi dire che Jacob è brutto? Io lo trovo davvero un bel ragazzo…
Sbuffai, sentendo
l’ennesimo commento di Rosalie a favore di Jacob.
La mattinata era
trascorsa in un battibaleno, tra commissioni e consegne a domicilio,
lasciandomi sorpresa quando mi accorsi che era già arrivata l’ora della pausa
pranzo per me e per la mia amica.
Come nostra
abitudine, ci eravamo recate nella piccola tavola calda che si trovava poco
distante dal negozio e di proprietà dei genitori di Tyler, un ex compagno di
liceo di Rose, e mentre mi gustavo il mio pranzo ero anche costretta a sentire
Rosalie che ciarlava e cercava di convincermi a dare una chance a Jacob.
Arrivare in
anticipo a lavoro sembrava averle davvero fatto male.
- Rose, Jacob non
mi interessa, quante volte te lo devo ripetere? - dissi per l’ennesima volta.
Lei sembrò non
ascoltarmi nemmeno, mentre si portata alle labbra una nuova forchettata di
insalata mista. La masticò per bene e la inghiottì, il tutto mentre io la
osservavo seccata e con la forchetta a mezz’aria.
- Bella, sono
secoli che non esci con qualcuno! Dagli una possibilità, cosa ti costa?
- Nulla, non mi
costa nulla, ma non voglio uscirci, ecco.
Rose inarcò un
sopracciglio, arricciando le labbra subito dopo. - Sembri la cuginetta di
Emmett quando parli così. Se la smetti di fare i capricci forse ti compro una
Barbie, che ne pensi?
- Penso che dovresti
smetterla di dire cavolate, non sono una bambina! Il tuo ragazzo ti ha
rovinato, lo sai?
Scoppiò a ridere. –
No, è il contrario… sono io che ho rovinato lui!
Emmett era il
fidanzato storico di Rosalie; si conoscevano sin da quando erano dei mocciosi
dell’asilo ed il loro amore era sbocciato, come capitava spesso, tra i banchi
del liceo. La loro storia andava avanti da quasi undici anni e sembrava destinata
a durare per tutta la vita.
Ero più che sicura
che presto avrebbero convolato a nozze.
-Vi siete rovinati
a vicenda allora.
Rosalie stava per
fare, ne ero sicura, uno dei suoi soliti commenti cretini ma venne preceduta dallo
squillo del suo telefono. La voce di Bruno Mars invase tutta la piccola sala
dove ci trovavamo noi, prima che Rosalie accettasse la chiamata.
- Dimmi Jazz… COSA?! Oddio! Arrivo subito,
aspettatemi! - riattaccò in fretta, respirando ancora più in fretta e saltando
in piedi come se fosse stata appena punta da qualcosa.
Era agitata per
qualcosa, impossibile non notarlo.
- Cosa sta
succedendo? - chiesi, riprendendo finalmente a mangiare il mio pranzo ormai
diventato freddo.
- Alice sta per
partorire! - esclamò, saltellando sul posto come una pazza isterica.
Quasi mi strozzai
con il boccone che avevo preso, e fui costretta a bere un sorso d’acqua per
mandare giù il tutto.
- Dici sul serio?
- Sìììììì! Ci credi
Bella, ci credi? Sto per diventare zia! Awwwwww! - si portò le mani sulle
guance, restando con la bocca aperta, in una perfetta imitazione dell’ ‘Urlo’
di Munch. - Devo raggiungerli, devo raggiungerli! Non posso perdermi la nascita
della mia prima nipotina! Non posso!
Si comportava da
scellerata cronica, incurante del fatto che ci fossero altre persone in quel
posto che sicuramente stavano pensando male di lei.
- E sei ancora qua
a fare la pazza? Fossi in te sarei già andata via da un pezzo.
Mi alzai in piedi e
presi la sua borsa ed il suo giacchetto, visto che lei restava imbambolata in
quella posizione e non faceva nulla; gliele misi senza tante cerimonie sulle
braccia dopo che gliele feci abbassare e l’abbracciai.
- Corri da loro e
mettimi al corrente di tutto. - sciolsi l’abbraccio ma lei ancora non accennava
a fare un movimento, e allora fui costretta a darle una sberla sul braccio. -
Rose! Muoviti!
- E come faccio con
il lavoro? Non posso lasciarti da sola… - mi guardò perplessa e preoccupata,
mentre si sistemava meglio la roba che le avevo messo tra le braccia.
Gli stava per
nascere una nipotina e lei pensava al lavoro; quanto poteva essere sciocca in
certi momenti la mia cara amica? Ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
- Chi se ne frega
del lavoro, Rose! Vai e fatti sentire solo per darmi buone notizie. - vedendo
però che non accennava a smettere di fissarmi, fui costretta ad aggiungere
qualcos’altro con uno sbuffo. - Va bene. Recupererai queste ore un altro giorno,
ma vai via immediatamente!
- Oddio Bella!
Grazie grazie grazie! - esclamò, abbracciandomi subito dopo.
Rose aveva questo
strano senso del dovere: non le piaceva molto lavorare, e la cosa si notava dal
fatto che spesso e volentieri arrivava in ritardo al negozio, ma si preoccupava
poi immensamente se degli impedimenti o qualcos’altro le causavano
l’impossibilità di lavorare.
Delle volte quando
veniva a lavoro malata ero quasi costretta a prenderla a calci perché non
voleva tornare a casa e riguardarsi.
Continuò a ripetere
‘grazie’ un’infinità di volte, e alla fine non riuscii a sopportarla più.
La scansai un po’
bruscamente e la sospinsi verso la porta. - Rose, non te lo ripeto più: corri
da tuo fratello e da Alice!
- Oh, sì sì, adesso
vado! Ti prometto che ti telefono e ti dirò tutto… Bella, oddio non ci credo
ancora!
Continuò ad urlare
in quella maniera anche quando fu fuori dal locale, sbracciandosi per attirare
la mia attenzione. Era inutile fare tutti quei movimenti frenetici con le braccia,
riuscivo a vederla e a sentirla ancora bene, per mia sfortuna.
La salutai con un
gesto della mano e poi tornai dentro velocemente, raggiungendo il tavolo che
avevamo occupato insieme fino a qualche istante prima. Quando mi sedetti di
nuovo davanti al mio piatto, però, capii che non sarei riuscita più a mangiare
nulla.
L’euforia di Rose e
la bella notizia che era arrivata mi avevano fatto passare tutta la fame. Realizzai
in quel momento che un po’ di euforia e di ansia la stavo provando anch’io.
La piccolina che
stava per venire alla luce non era mia figlia, o mia nipote, o mia cugina… ma
era comunque la figlia di una delle mie migliori amiche, e mi coinvolgeva quasi
con la stessa intensità.
Sapendo che non
sarei più riuscita a mangiare niente, recuperai i miei effetti personali,
gettai nella spazzatura i resti del mio pranzo ed uscii dalla tavola calda; non
dovevo neanche preoccuparmi di pagare il conto. Rosalie aveva deciso di
offrirmi il pranzo e mi ero quasi beccata una borsata da parte sua quando avevo
cercato di ribattere.
Tornai nella calma
e nella solitudine del negozio, ma solo
per quelle poche ore di pausa. Approfittai di quel momento di pausa per
proseguire un po’ la lettura del mio libro settimanale, felice che per una
volta almeno non avrei dovuto aspettare la sera per immergermi in quel piccolo
mondo fatto soltanto di carta.
-
L’attività lavorativa
cominciò presto quel pomeriggio, giusto un’oretta dopo che ebbi fatto ritorno
al negozio. Rispetto a quella mattina, però, risultò essere più povera e
tranquilla.
Quel pomeriggio
sembrava che a nessuno interessasse acquistare ed immergersi nei fiori, ma mi
consolai proseguendo la lettura del libro.
Ero arrivata alla
metà del mio piccolo mattoncino di seicento pagine quando il telefono del
negozio squillò, al che interruppi la lettura per l’ennesima volta e con la
mano libera afferrai la cornetta.
- Il regno di Flo… - non riuscii a
terminare di dire il nome del negozio che sentii lo strillo di Rosalie
perforarmi un timpano; riuscii però a capire cosa mi stava dicendo.
- È nataaaaaaaa! -
urlò, singhiozzando e riprendendo a parlare dopo un secondo esatto. - È nata
Bella, è nata! Oddio, devi vederla! È bellissima, tutta suo padre!
- Oh Rose, che
bello! - scattai in piedi con una mossa rapida, lasciando la presa sul libro
che cadde a terra con un tonfo sonoro. - Sono davvero contenta, e se ti sente
Alice dire una cosa del genere credo che ti ammazza! Come hanno deciso di
chiamarla?
- Jillian… ti basta
sapere che l’ha scelto mio fratello in nome, quindi capirai se è un po’ bruttino!
- Ma che dici, a me
piace Jillian. E puoi sempre usare Jill come diminutivo, no?
- Oh, hai ragione!
Meglio chiamarla Jill che con il nome completo! Non mi piace per niente.
Restai a parlare
con lei per altri cinque minuti, poi fui costretta a lasciarla andare visto che
non vedeva l’ora di andare a spupazzarsi un po’ sua nipote. Quella piccina già
da appena nata avrebbe dovuto imparare a convivere con la pazzia e l’esuberanza
della zia paterna, quasi peggiore di quella della sua giovane madre.
Tornai a leggere il
mio libro, felice per la bella novità, e quando stava per arrivare l’orario di
chiusura cominciai a risistemare il negozio. Per prima cosa spazzai il
pavimento, così Rose non si sarebbe più lamentata se trovava anche solo una
foglia fuori posto.
Stavo cambiando
l’acqua ai fiori che non erano stati venduti, e li stavo per stipare dentro
alla cella frigorifera, quando sentii la porta aprirsi grazie allo scampanellio
dello scacciapensieri.
Era quasi ora di
chiudere, ma un ultimo cliente facevo ancora in tempo a servirlo.
Tornai di là con un
sorriso gentile sul volto ma quest’ultimo si congelò non appena vidi chi era la
persona che era appena entrata… o meglio, la statua di Apollo che era appena
entrata.
Un uomo alto e dai
capelli castano ramati era impegnato ad osservare alcune fotografie che erano
state appese alle pareti, raffiguranti per lo più composizioni e decorazioni
che avevo fatto negli anni. Riuscivo a vedere di lui solo il profilo del viso,
ma non potei lamentarmi. Era davvero un bellissimo profilo.
Quando si voltò
verso di me, dopo essersi accorto che ero entrata nella stanzetta, rimasi
ancora più scioccata. Se il profilo era bellissimo, il primo piano era
spettacolare!
Il suo viso aveva
dei bellissimi lineamenti, marcati e decisamente mascolini. La mascella
squadrata, poi, mi piaceva moltissimo! I suoi occhi mi attirarono quasi come
una calamita, e mi immersi senza potermene rendere conto in un mare di verde
che sfociava anche nel celeste.
Diavolo, un colore
simile lo avevo visto solo sul viso di due persone: una naturalmente era Alice,
mentre l’altra era suo fratello… ma non poteva essere lui, il ragazzo che avevo
di fronte. Non avevo più notizie di Edward da anni ormai.
Mi schiarii la
voce, imbarazzata, dopo essermi resa conto che avevo perso più tempo del
previsto ad osservare quel ragazzo bellissimo. Portai una ciocca di capelli
dietro l’orecchio, sorridendogli.
Quel gesto agli
occhi di altri poteva avere un altro tipo di significato, ma io in quel momento
volevo solo uscire dalla magra figura che stavo facendo.
- Posso esserti
utile? - chiesi, alzando il tono della voce soltanto alla fine della domanda.
Lui mi sorrise, uno
di quei mezzi sorrisi che ti facevano andare fuori di testa, e ridacchiò subito
dopo.
- Davvero non mi
riconosci, Bella? Appena ti ho vista mi è comparsa davanti agli occhi la
ragazzina con l’apparecchio ai denti con cui passavo interi pomeriggi! - disse.
Aveva una voce
bassa e roca, maledettamente sexy ed anche maledettamente familiare.
Mi rifiutavo di
credere che quella specie di Dio sceso in terra fosse proprio Edward, fratello
di Alice e mio migliore amico… ma sembrava essere proprio così!
- Edward? Non ci
credo, sei proprio tu!?
Annuì,
accompagnando quel gesto con una risata divertita e tremendamente bella. – In
carne e ossa, bellezza!
Dalle mie labbra
uscì un gridolino estasiato, mentre spiccavo una corsa verso di lui e lo
abbracciavo con uno slancio. Edward ricambiò subito l’abbraccio, circondando
forte la mia vita con le sue braccia e sollevandomi da terra.
- Dio, Bella, non
ci credo ancora! Quanto tempo è passato. – le sue parole mi giunsero un po’
ovattate, per il fatto che aveva seppellito la bocca tra i miei capelli.
Risi; molto
probabilmente ero nelle sue stesse condizioni. Mi sembrava impossibile che
Edward Cullen fosse lì, nel mio piccolo negozio, e mi stava abbracciando. Era
una parte di me, quel ragazzo, così importante come d’altronde tutti sapevano.
Lui era stato, ed
era ancora, tante cose per me: il mio migliore amico, il fratello maggiore che
non avevo mai avuto, il mio confidente… e, cosa di cui in pochi erano a
conoscenza, era il ragazzo di cui ero stata innamorata da adolescente.
Le cose poi erano
cambiate, con il passare degli anni, ma l’affetto che provavo per lui non era
mai andato via. Forse si era trasformato, ed era diventato meno intenso, ma era
sempre presente.
Sciogliemmo
l’abbraccio qualche minuto dopo, restando però con i corpi vicini. Rivolsi a
Edward un sorriso felice e divertito, eco del suo, e non potei fare a meno di
stringergli piano una mano mentre lo scrutavo attentamente.
- Non sapevo che
eri in procinto di tornare a Forks. - dissi, rimpiangendo subito dopo di aver
scelto proprio quel discorso per cominciare una conversazione.
- Non lo sapevo
neanche io, a dire la verità. – Edward rise mentre osservava le dita della mia
mano, che adesso erano strette lievemente nella sua presa. – Mi hanno avvertito
della nascita di Jillian mentre ero in ospedale per il tirocinio, ma non potevo
non tornare.
- Ah, già, è vero!
Sei diventato zio! Auguri!
Certo, Bella, che sei davvero sveglia quando ti ci
impegni!,
sentii urlare dentro la mia testa. La scossi piano, scacciando via quella
vocetta fastidiosa.
- Grazie, Bella. –
sorrise ancora, chiudendo per un istante gli occhi prima di riaprirli. - Devo
passare ancora in ospedale, ma prima volevo prendere qualcosa da portare a
Alice…
- …e hai pensato di
prenderle un mazzo di fiori. – completai la frase per lui, e sorrisi quando lo
vidi annuire mentre si grattava la testa. – Ci penso io, faccio in un lampo.
Tornai velocemente
nel retrobottega, ringraziando il fatto di non aver ancora chiuso tutti i fiori
nella cella frigorifera, e recuperai un paio di secchi pieni di rose e di
gigli. Li portai dietro al bancone, chinandomi per prenderne alcuni e
depositandoli poi sul bancone per preparare il bouquet.
- Come vanno gli
studi? Sei diventato un chirurgo come desideravi? – chiesi, lanciando
un’occhiata rapida in direzione di Edward.
Lui si era
appoggiato con i gomiti al bancone, con la testa poggiata sulle mani, e
sembrava che stesse osservando ogni mia singola mossa. Riportai gli occhi sui
fiori, cercando di non mostrarmi troppo a disagio, e strinsi il nastro con cui
stavo fissando insieme i gambi.
Ridacchiò. – Tra
qualche anno forse potrai chiamarmi in questo modo, ma per adesso sono solo uno
specializzando di chirurgia pediatrica.
Sorrisi. Era
proprio come ricordavo.
Il sogno di Edward,
sin da quando era bambino, era quello di diventare un dottore come suo padre,
Carlisle, primario dell’ospedale di Forks. Piano piano i suoi desideri avevano
preso più forma e consistenza, e al momento di spedire le domande ai college
sapeva già cosa voleva diventare, per l’appunto un chirurgo pediatrico.
- Sono contenta, è
quello che hai sempre voluto…
- Non posso dire lo
stesso di te, invece.
Alzai lo sguardo,
guardandolo interrogativa. Smisi persino di sistemare la carta attorno ai
fiori, non capendo a cosa si stesse riferendo.
Probabilmente,
Edward capì il mio smarrimento. – Ti ho lasciato che stavi per andare a
studiare botanica, e ti ritrovo proprietaria di un negozio di fiori. Diciamo
che è stata un po’ una sorpresa. – mi sorrise tranquillamente, quando finì di
parlare.
Scrollai le spalle,
ritornando con lo sguardo sul bouquet, mentre sulle mie labbra prendeva vita un
sorriso nostalgico. – Beh, è stata una mia scelta. Non volevo che tutti gli
sforzi di mamma andassero perduti, ma non rimpiango quello che ho fatto… mi
piace stare qui. Mi è sempre piaciuto.
- È terribile
quello che le è accaduto, non volevo crederci quando me lo hanno detto. – la
mano di Edward si posò sulla mia, bloccando così quello che stavo facendo.
Sollevai il viso,
incontrando il suo serio e dispiaciuto. Mi morsi il labbro inferiore, in un
gesto meccanico che mi usciva sempre quando ero nervosa o a disagio, e sentii
la presa di Edward diventare più forte sulla mia mano.
- Mi dispiace davvero
tanto, Bella. Avrei voluto starti accanto in quel momento così delicato per te.
Sentii gli occhi
cominciare a pizzicarmi, a quelle parole, segno che sarei scoppiata presto a
piangere se non fossi riuscita a controllarmi. Battei le palpebre velocemente,
cercando di scacciare via quella sensazione, e sorrisi, anche se forse quello
che uscì fuori era più una smorfia che un sorriso.
- Grazie. – fu
tutto quello che riuscii a dire, ma sembrò che a Edward bastasse perché mi
sorrise ancora e mi lasciò una leggera carezza sulla mano prima di ritirarla.
Qualche minuto
dopo, terminai di confezionare il bouquet ed ammirai per alcuni secondi la mia
opera prima di consegnarla felice a Edward: avevo sistemato i gigli rosa e le
rose bianche in modo che queste ultime circondassero gli altri fiori, e avevo
aggiunto qua e là della nebbiolina; il tutto era circondato da della carta
velina rosa, tenuta insieme da un enorme fiocco di raso bianco.
- Ecco fatto, tutto
per te! – esclamai, quando lui lo prese in mano.
- Oh, ma cara non
ti dovevi disturbare. – Edward si esibì in una terribile e mal riuscita
imitazione di un ragazzo gay, che mi fece ridere senza indugi. Tornò serio
quasi subito, però. – Quanto ti devo, Bella?
Restai sorpresa
dalla sua domanda, tanto che rimasi per qualche secondo immobile ad osservarlo.
Mi ripresi, e scossi la testa in fretta.
- Nulla, Edward.
Non c’è nessun bisogno di pagarmi.
Lui mi guardò
abbastanza incredulo, come se gli avessi appena rivelato una notizia
scioccante. – Ma… Dai, Bella, non posso andarmene così! Questo coso costerà
almeno… che ne so, trenta dollari.
- Beh… - in effetti
era così, Edward ci aveva preso al primo colpo.
- Senti, non mi va
di approfittare della nostra amicizia e di andare via senza averti pagato. –
continuò, imperterrito, posando il bouquet sul bancone e prendendo il
portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni. – Trenta dollari possono
bastare, allora?
- Edward, davvero,
non c’è bisogno che lo fai! – esclamai, e quasi mi arrampicai sul bancone per
evitare che prendesse i soldi dal portafoglio.
Edward si scansò
prontamente, guardandomi in modo divertito ed irritato allo stesso tempo. – Non
sei cambiata, sei sempre testarda. Ma io non me ne vado da qui se prima non ti
ho pagato… allora?
Sbuffai, poggiando
la fronte sul bancone. Era evidente che averi dovuto fare come diceva lui, ma
non gli avrei fatto pagare la cifra intera. – Dammi quindici dollari, non uno
di più.
Alzai il viso,
osservando Edward mentre prendeva due banconote dal portafoglio e le poggiava
accanto alla cassa. Mi sorrise, e si chinò sul mio viso lasciandomi un leggero
bacio sulla tempia; nel farlo, sentii l’accenno di barba pungermi la pelle ed
anche qualcos’altro, una sensazione di calore improvvisa che mi lasciò un po’
spiazzata.
- Grazie Bella.
Chiusi gli occhi,
annuendo, cercando di capire a cosa fosse dovuta quella strana sensazione che
avevo sentito. Era stato il suo gesto? Era stato il sentirlo così vicino a me?
Oppure era qualcos’altro? Non riuscivo ancora a capirlo.
- Sarà meglio che
vada, voglio conoscere la mia nipotina.
- Edward, saluta
Alice e Jasper da parte mia. – mi rialzai, mentre lui recuperava il bouquet. –
Probabilmente domani passerò a trovarli, in ospedale, ma salutali ugualmente.
Edward mi guardò
per qualche secondo e poi annuì, facendomi l’occhiolino.
Mentre lui si
allontanava, dirigendosi verso la porta, diedi un’occhiata ai soldi che aveva
lasciato sulla cassa e sgranai gli occhi quando vidi che erano venti dollari… venti dollari, non quindici!
- Edward!
Lui stava per
chiudersi la porta alle spalle quando lo chiamai, e mi osservò confuso. Gli
mostrai le due banconote, inarcando le sopracciglia. – Avevo detto quindici
dollari, non venti.
Scrollò le spalle,
aprendosi in un sorriso. Diavolo, sorrideva sempre! Adoravo quando lo faceva,
però. Avevo sempre adorato il suo sorriso.
- Una piccola
mancia per la brava fioraia. Ci si vede, Bella.
La porta si chiuse
dietro di lui con uno scampanellio dello scacciapensieri, ed io rimasi
imbambolata per diversi minuti ad osservarla, con ancora le banconote strette
tra le dita.
-
Erano passati
alcuni giorni da quando avevo rivisto Edward, e non c’erano più state altre
occasioni per incontrarlo. Da una parte ne ero dispiaciuta, ma dall’altra no,
anzi ne ero felice, molto felice.
Ero rimasta un po’ scossa
da quell’incontro, sia in maniera positiva che negativa. Ero stata contenta di
rivederlo, ero contenta che per lui le cose stessero andando bene ed ero
contenta di sapere che lui, il mio migliore amico del liceo, c’era ancora.
Queste cose
rappresentavano la parte positiva; la parte negativa, invece, consisteva
nell’aver scoperto e capito che la mia vecchia cotta per lui non era mai andata
via. Sembrava essersi tenuta nascosta fino al giorno del nostro nuovo incontro,
quando io invece credevo che fosse svanita per sempre.
Per me quella era
una cosa terribile, di cui avevo una paura folle, ma per Rose, alla quale avevo
raccontato tutto, non era affatto così. Lei era stata entusiasta di venire a
conoscenza di questa cosa, e non perdeva occasione durante il lavoro di
ripetere come una saputella “Io lo sapevo!”
- Io lo sapevo! –
eccola qua, infatti, che ripeteva come un pappagallo quelle parole, e per di
più usando la voce di una bimbetta piccola.
- Quante volte lo
devi ripetere ancora? – sbuffai, un po’ seccata, e le rivolsi un’occhiataccia
prima di tornare a sistemare alcuni vasi di ciclamini sugli scaffali.
- Fino a quando non
ammetterai che lo sapevi anche tu. – si attorcigliò un lungo boccolo biondo
lungo il dito, osservandomi dalla postazione della cassa. Schioccò la lingua. –
E adesso capisco anche perché non hai mai voluto dare una chance a Jacob. Eri
troppo innamorata di Edward per filartelo.
Alzai gli occhi al
cielo, stringendo nella mano alcune foglie secche che avevo strappato in
precedenza dalle piante.
- Per tutto questo
tempo… ma Bella, non te ne sei mai resa conto? – domandò ancora, alzando il
tono della voce.
- E come facevo,
scusa?
- Non lo so!
Insomma, non sentivi il bisogno di sapere qualcosa di lui, cosa stesse facendo,
se si sentiva con qualcuna… nulla di tutto questo? – cominciò ad osservarmi
speranzosa, come se le sue parole fossero state in grado di aiutarmi.
Scrollai le spalle,
restando però voltata in modo che non potesse vedermi. Era ovvio che quelle
cose le avevo provate, e per parecchio tempo aggiungerei, prima che smettessi
di farlo mano a mano che il tempo passava. Non volevo dirglielo, però, e non
sapevo per quale motivo volessi tenerla all’oscuro dei miei pensieri.
- Allora? Le hai
provate queste cose o no? – Rosalie continuò a farmi domande, imperterrita,
tanto che cominciava a stancarmi.
- Sì Rose, le ho
provate! – urlai infine, e solo dopo che mi fui premuta entrambe le mani, e di
conseguenza anche le foglie secche, sulla bocca, capii di essermi sgamata da
sola. – Merda!
- Oddio! E non mi
hai mai detto niente in tutto questo tempo? Brutta stronzona!
Mi ripulii il viso dalle
foglie secche, spargendone le briciole per tutto il pavimento. Ne sputai anche
alcune, leggermente schifata, mentre la voce di Rose mi faceva compagnia;
sembrava si stesse divertendo, visti tutti gli epiteti che mi lanciava.
- Perché non mi hai
detto niente? Sono la tua migliore amica! Posso capire quando insieme a noi
c’era anche Alice e non dicevi nulla, visto che è la sorella di Edward, ma
Bella! A me puoi dire tutto, anche le tue confessioni più sconce e porche, lo
sai…
- Rosalie, per
favore, smettila.
- No che non la
smetto!
Le lanciai un’altra
occhiata esasperata, e poi mi dileguai nel retrobottega a recuperare scopa e
paletta per rimediare al danno che avevo fatto di là. Rosalie mi seguì,
incurante del fatto che poteva entrare qualche cliente, e chiuse la porta a
vetri dietro di sé.
Sbuffai, vedendo lo
sguardo raggelante che mi stava regalando. – Che c’è adesso?
- Potevi dirmi che
provavi ancora qualcosa per Edward…
- Non aveva senso
dirtelo. Lui non era qui, e non serviva raccontarti tutte quelle cose. Sarei
sembrata una scema che correva dietro a un’illusione.
- No, è tutto il
contrario! Saresti sembrata solo una ragazza che pensava alla persona di cui si
era innamorata… tutto qui.
Mi passai una mano
tra i capelli, un po’ stanca per il discorso che stavamo tenendo e che, a dire
la verità, non mi piaceva poi così tanto. Non avevo mai amato molto parlare dei
miei sentimenti con gli altri, specialmente di quello che provavo nei confronti
di Edward.
- Dai Bella, stai
tranquilla e non fare così. Io non dirò niente a nessuno.
La guardai,
scettica, inarcando un sopracciglio. – Neanche a quel pettegolo del tuo
ragazzo?
- Specialmente a
quel pettegolo del mio ragazzo! Se vorrà sapere qualcosa, deve venire da te.
Hai la mia parola. – portò alle labbra gli indici che aveva intrecciato tra di
loro e li baciò.
- Che era quella
cosa?
- Non si fa così
quando si giura qualcosa?
- Boh!
- Oh,
machissenefrega! – esclamò, agitando in aria le mani come se stesse scacciando
una mosca fastidiosa. – Lo vuoi un consiglio, però?
La guardai, ancora
una volta scettica. – Che genere di consiglio?
Non andavo matta
per i consigli di Rosalie, visto che se ne usciva spesso e volentieri con qualcosa
che riguardava il sesso. Lei, in effetti, era quella che mi aveva suggerito di
sfoggiare senza vergogna il mio decolté prosperoso, così da far cadere ai miei
piedi tutti gli uomini nel raggio di venti metri.
- Provaci con
Edward, io so che non è fidanzato e che non si sente con nessuna. Che male può
fare? – si morse l’unghia del pollice, smaltata di verde bottiglia.
- Non lo so, Rose…
- l’idea di provarci con Edward mi terrorizzava alquanto.
- Promettimi che ci
penserai, però!
Sbuffai. – Va bene,
ci penserò.
- Brava Bella!
Una mezz’oretta
dopo essere tornate nel negozio, e dopo aver ripulito il casino che avevo fatto
con le foglie, la porta si aprì e non appena mi voltai mi ritrovai la figura
alta, magra e bellissima di Edward. Sgranai gli occhi dalla sorpresa, visto che
non mi aspettavo di rivederlo così presto.
Quel giorno era
vestito nel modo più sportivo che conoscessi: giubbino in jeans, maglia bianca,
jeans blu scuro e scarpe da ginnastica nere. Un attentato alla mia vista,
insomma.
- Salve ragazze! –
Edward sorrise ad entrambe, cosa che però non riuscii a fare io; dire che ero
stata presa alla sprovvista era poco.
- Ciao Edward! –
Rose, al mio fianco, lo salutò allegramente. – Scusami, devo controllare alcune
cose di là. Ti lascio con la padrona di casa!
Che brava amica che
era, Rose. Ti abbandonava proprio nel momento del bisogno; la avrei uccisa
prima o poi, per questo.
Mentre andava via,
un suo gomito si andò a conficcare proprio in mezzo alle mie costole,
scatenandomi un dolore allucinante. Boccheggiai, mandandola mentalmente a quel
paese e regalandole anche qualche epiteto pesante.
- Ti ha fatto male?
– mi ero quasi dimenticata che Edward si trovava davanti a me, con solo
l’inconveniente del bancone a separare i nostri corpi. Lo guardai in viso,
scoprendo che fosse più vicino di quanto pensassi.
- No no, va… va
tutto bene. – dissi, sorridendo e cercando di stare calma; le mie guance, già
arrossate da prima, avvamparono ancora di più. – Allora? Hai conosciuto
Jillian?
Non appena
pronunciai il nome di sua nipote, sul suo viso comparve un sorriso estatico ed
emozionato. – Oh sì, è meravigliosa! Non può essere più bella di così.
Non potevo che
essere d’accordo con lui, Jillian era davvero una bella bimba.
Piccolina e paffutella,
aveva gli stessi lineamenti del papà ed aveva preso da lui anche il colore dei
capelli, una bella sfumatura di biondo chiaro. Mi dispiaceva per Alice, l’unica
che insisteva col dire che assomigliava più a lei che al marito, ma quella
piccina era la copia sputata di Jasper.
- Lo so, è
adorabile.
Edward sorrise
ancora, con lo sguardo un po’ perso, e poi tornò a posare la sua attenzione su
di me. La cosa un po’ mi preoccupò, ed il cuore cominciò a battermi un po’
troppo forte dentro al petto.
Diamine, controllati!
- Ho bisogno anche
oggi del tuo aiuto, temo. – mi disse dopo qualche istante di silenzio. – Sempre
che non hai niente da fare.
Lanciai diverse
occhiate lungo il negozio vuoto, divertita, e notai che anche lui lo era. –
Sono libera, come puoi vedere. Di che cosa si tratta?
Edward prese un
respiro profondo prima di cominciare a parlare. – Ecco, mi servirebbe qualcosa
di piccolo, di non troppo impegnativo. Vorrei chiedere ad una persona se vuole
uscire con me…
Smisi di ascoltarlo
non appena sentii quelle parole, e sentii il mio sorriso congelarsi sulle
labbra immediatamente. Quella frase, praticamente, aveva messo fine a tutti i
tentativi per provarci con lui; era chiaro che aveva già qualcuno in testa, e
che non aveva tempo per pensare ad eventuali spasimanti… come me, insomma.
Per fortuna che
Rose aveva saputo che non era in procinto di impegnarsi. Maledetta.
- Allora? Puoi
aiutarmi? – Edward aspettava ancora una mia risposta.
Dio, e adesso che
faccio? Non posso mica mandarlo via, così su due piedi! E poi, che cavolo di scusa
userei? Mi dispiace, Edward, ma non posso
aiutarti perché mi piaci e perché tu non sei interessato a me? Suonava da
stupidi persino a me…
Quindi, a
malincuore, feci quello che sapevo fare meglio: aiutare le persone a trovare
quello che serviva loro.
- Descrivimi questa
persona, così posso capire cos’è che gli piacerebbe ricevere.
Restò in silenzio
per alcuni secondi, pensando sicuramente a quello che voleva dirmi. - Non c’è
molto da dire. È bella, quello lo è di sicuro, e lo è sia esteriormente che
interiormente. È dolce, generosa, altruista, e farebbe di tutto per le persone
a cui tiene, anche sdoppiarsi in due. È la persona che vorrei avere per sempre
al mio fianco, anche se non so se per lei è la stessa cosa… ma spero di sì. E
le voglio bene, davvero tanto bene, e vorrei recuperare tutto il tempo che
abbiamo perso in tutti questi anni.
Mi morsi le labbra,
sentendomi a disagio. Per fortuna che non aveva nulla da dire! Aveva descritto
benissimo questa ragazza, ed anche quello che provava nei suoi confronti. In
quel momento, scoprii tristemente, avrei voluto tantissimo trovarmi nei panni
di questa persona.
Annuii. – Vediamo
che cosa posso fare…
In poco tempo
riuscii a confezionare un grazioso mazzolino di fiori di campo, colorato e
vivace; feci del mio meglio, nonostante volessi con tutta me stessa creare
qualcosa di veramente orrendo ed improponibile per vendicarmi.
- Fatto. – gli
porsi il mazzolino, come avevo fatto anche qualche giorno prima, anche se le
cose erano diverse. L’altro giorno ero felice, allegra, ed in quel momento
volevo solo avere una buca nel terreno in cui nascondere la testa.
Mi sentivo delusa? Ferita?
Sì, molto.
Edward mi sorrise,
felice (meno male che lui lo era), ed appoggiò sul bancone una banconota da
dieci dollari. – Vanno bene, o sono troppi?
- Vanno bene,
grazie.
Avrei voluto non
accettarli per niente, avrei voluto dirgli chiaro e tondo che non volevo i suoi
soldi del cavolo, ma non potevo comportarmi da stronza proprio in quel momento.
Cercai di mostrarmi allegra, e gli sorrisi. – Fammi sapere… come va a finire,
ok?
Alzò il pollice in
alto, un gesto che faceva sempre Rosalie, e pensai che forse era stato
contagiato da lei. – Devi sapere come va a finire, Bella. Devo raccontarlo alla
mia migliore amica, no?
La sua migliore amica. Dovevo abituarmi al fatto che per
lui fossi solo quello, e nient’altro di più.
Mi sedetti sullo
sgabello, con lo sguardo basso, mentre sentii la porta chiudersi dietro Edward.
Passai stancamente la mano sulla guancia, sentendomi improvvisamente svuotata,
triste e con una voglia immensa di piangere.
Rose si affacciò
nel negozio un paio di minuti dopo, annunciata dal rumore dei suoi tacchi sul
pavimento. Alzai il viso, incontrando così il suo, mortificato e triste allo
stesso tempo; si stava mordendo di nuovo l’unghia del pollice, e sembrava che
lo stesse facendo da parecchio tempo ormai.
- Bella, mi… mi
dispiace, io non credevo che…
- Va tutto bene
Rose, davvero. – le sorrisi, mentre sentii gli occhi pungermi nel classico modo
che annunciava il pianto. – Scusami, devo andare un attimo in bagno.
La lasciai da sola
nel negozio, e feci appena in tempo a chiudermi dentro il piccolo bagno prima
di sentire la prima lacrima bagnarmi il viso.
-
Alla fine ero rimasta
per più di un ora dentro quel bagno. Il pianto era durato poco, veramente poco,
ma comunque volevo restare per un po’ da sola con i miei pensieri prima di
tornare di nuovo da Rose.
Mentre io ero
rimasta chiusa in bagno, lei aveva dato una sistemata nel retrobottega e nel
negozio; quando, finalmente, mi decisi ad uscire dal bagno e a tornare da lei, si
stava preparando per andare a casa e stava per venirmi a chiamare per dirmelo.
Se ne andò un paio di minuti dopo, lasciando a me il compito di chiudere il
negozio.
Alle sette di sera
precise uscii in strada, con indosso il mio giubbino in pelle nero e la borsa a
tracolla, pronta per tornare a casa e per lasciarmi alle spalle quella strana
giornata. Chiusi la porta, provocando l’inevitabile scampanellio dello
scacciapensieri, e cercai nel frattempo le chiavi giuste tra le numerose che
avevo nel mazzo.
- Ciao.
Come sentii la sua
voce, le chiavi mi caddero di mano. Chiusi gli occhi e presi un respiro
profondo, cercando di controllare le reazioni del mio corpo. Non volevo
rimettermi a piangere proprio in quel momento, e per di più davanti a lui.
Alzai il viso per
incontrare il suo, sorridente; sembrava felice di vedermi. Io, a differenza sua
però, non lo ero per niente, ma evitai di farglielo capire. Volevo evitare di
fare una scenata per strada, così come non volevo scoppiare di nuovo a
piangere.
- Ciao Edward.
Sempre sorridendo,
fece dondolare davanti ai miei occhi le chiavi che mi erano cadute di mano poco
prima; doveva averle raccolte lui, ed io non me ne ero neanche resa conto.
- Grazie. – dissi,
mentre le prendevo; notai, abbassando gli occhi, che nell’altra mano stringeva
ancora il mazzolino. Non deve ancora aver
incontrato la ragazza, pensai. Era l’unica soluzione.
- Com’è andata,
allora? Hai avuto fortuna?
- Sto aspettando
che finisca di lavorare… sai, è qui in zona.
- Ah. – chiusi la
porta del negozio e successivamente anche la grata, facendolo nel modo più
veloce possibile. Volevo andare via, e non volevo ritrovarmi in mezzo al loro
appuntamento come il terzo incomodo.
Non volevo neanche
sapere chi fosse la fortunata, poi.
- Beh, allora buona
fortuna. Ci si vede. – lo salutai con la mano e con un sorriso finto, più finto
delle tette di Pamela Anderson, e stavo per voltarmi quando sentii la sua mano
afferrarmi il polso.
- Dove stai
andando? – mi domandò, sorpreso.
Battei un attimo le
ciglia, confusa. – A casa. Dove vuoi che vada?
Edward mi lasciò
andare il polso, e poi mi porse con un sorriso il mazzolino di fiori che io, io, avevo confezionato nel pomeriggio.
Alternavo lo sguardo dal suo viso sorridente e pieno di aspettativa ai fiori,
sentendomi sempre più confusa mano a mano che passavano i secondi.
- Che… che
significa questo?
- Questi sono per
te, volevo farti una sorpresa. Non era poi questa gran sorpresa, visto che li
hai scelti tu, ma volevo regalarteli… e volevo anche invitarti a cena fuori,
stasera. – mi spiegò, tutto allegro.
Io ero ancora più
confusa di prima, e lo stavo ancora guardando incredula quando mi mise gentilmente
tra le mani il mazzolino.
- Non capisco… e
l’altra ragazza?
Fu lui, in quel
momento, ad osservarmi confuso. – Quale ragazza?
- Quella per cui
hai fatto fare questo mazzo, e che mi hai descritto prima. Ti ha dato buca, per
caso?
I suoi occhi si
allargarono, improvvisamente consapevoli di quello che stavo dicendo, e le sue
labbra si aprirono in un sorriso, a cui seguì una risatina divertita. Mi stava
prendendo in giro, o cosa?
- Bella, ma stavo
parlando di te! Credevo che fosse ovvio… non lo avevi capito?
- Stavi parlando di
me? – oddio, non ci stavo capendo più niente!
- Sì, e di chi
altri se no? Ti ho sempre visto in questo modo, e ti ho sempre voluto bene…
molto più che bene, a dire la verità. -
mi si avvicinò ancora, prendendo una mia mano nella sua e posando
l’altra a coppa sulla mia guancia; la mia pelle, a contatto con la sua, prese
improvvisamente fuoco. – Io credo di essere sempre stato innamorato di te,
Bella, ma l’ho capito solo l’altro giorno quando ti ho rivisto. Mi piacerebbe
tanto, davvero tanto poter trascorrere più tempo insieme a te.
Non riuscivo a
credere a quello che stavo ascoltando. Avevo pensato fino a quel momento che
per lui non fossi nient’altro che la sua migliore amica, ed invece adesso
scoprivo che lui era innamorato di me… di me,
cavolo! E non mi stava prendendo in giro… era assurdo.
Un sorriso, felice
stavolta e non finto, prese vita sulle mie labbra. – Non stai scherzando, vero?
– non potei fare a meno di chiederglielo.
Edward scoppiò a
ridere. – Non potrei mai scherzare su questo, piccola. È tutto vero quello che
ho detto prima. Sei la mia migliore amica, e spero che diventerai anche
qualcosa di più. Magari la mia ragazza.
La sua ragazza. La sua ragazza. Aiuto, sto per sentirmi
male.
Annuii, restando in
silenzio, mentre sentivo le mie guance scaldarsi in pochissimi secondi. Edward
me ne accarezzò una con il pollice, piano, ampliando il suo sorriso. - È un sì,
quello?
Annuii di nuovo. –
Sì.
- Quindi, andiamo a
cena insieme?
Stavo per dire di
nuovo ‘sì’, quando mi ricordai di un piccolo particolare. - Devo avvertire mio
padre, prima.
- No, non serve, sa
già che ti porto fuori a cena.
Sgranai gli occhi,
colpita. – Gliel’hai detto tu?
Annuì. – Sì, ma non
sa che ci sto provando con te.
Scoppiai a ridere.
– Lo saprà più avanti, non è un problema da affrontare adesso.
Edward rise insieme
a me prima di allontanarsi di poco, e poi mi porse una mano guardandomi
speranzoso, mentre aspettava che la prendessi. – Andiamo?
Annuii, prendendo
la sua mano e stringendola forte. Mi portai il mazzolino di fiori al naso,
sentendo il delicato odore che emanavano, e poi riportai tutta la mia
attenzione su di lui, e sul suo bellissimo viso.
- Andiamo.