Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: KrisJay    01/05/2012    7 recensioni
In un negozio di fiori si possono fare incontri inaspettati, che sono capaci di far tornare a galla vecchi sentimenti creduti persi per sempre. E' quello che accade a Bella, giovane fioraia e proprietaria di questo piccolo negozio...
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Rosalie Hale
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The florist

Buon primo Maggio a tutti!
Ok, questa è una piccola storiella che avevo in testa da un sacco di tempo, che avevo cominciato a scrivere da Gennaio e che solo ieri ho deciso di riprendere in mano e di terminare. Adesso che ci penso, però, non è poi così piccola XD sono qualcosa come 16 pagine e 8600 parole…
Non è niente di che, giusto qualcosa con cui passare il tempo; spero che vi piaccia, e che non sia poi così schifosa come temo che sia u.u’.
Ok, vi lascio alla lettura, ma prima voglio avvisare chi segue l’altra mia storia ‘The Camp Of Love’: questa settimana non ci sarà l’aggiornamento, e mi dispiace moltissimo per questo, ma dalla prossima settimana riprenderò senza alcun problema :D
Un bacione a tutti, KrisC
P.S: mi scuso per gli eventuali errori che usciranno fuori ^_^’


 

 Rose

 
 

The florist

 
 
 

Le lancette della sveglia segnavano le sette e trenta del mattino. Era presto, ma come da mia abitudine a quell’ora ero già in piedi, vestita e pronta per iniziare una nuova giornata di lavoro.
Avevo appena terminato di rifare il letto e di riordinare un poco la stanza, una piccola mania che avevo sempre avuto, e mi apprestavo a scendere al piano di sotto per prepararmi una tazza di caffè prima di uscire di casa.
Scesi in fretta le scale ed entrai nella piccola cucina, convinta di trovare Charlie impegnato a leggere il giornale e a fare colazione, ma quella mattina doveva essere uscito prima del previsto.
La sua tazza ed il piatto che aveva usato per mangiare erano già stati lavati e messi ad asciugare sul lavello, ulteriore dimostrazione che quella mattina doveva essere andato a lavorare prima di me.
Con un piccolo sospiro, raggiunsi il frigorifero per prendere il cartone del latte e notai sulla sua superficie bianca e lucida un piccolo post-it giallo, che la sera prima non era presente.
Lo presi tra le dita, sorridendo non appena lessi le poche parole che vi erano scritte sopra nella disordinata grafia di Charlie.
 

Bells, stamattina sono uscito prima. Stai attenta e passa una buona giornata, piccola.
Ti voglio bene,
papà.
 

Papà non si smentiva mai, anche quando non era in casa cercava sempre il modo di farmi le solite raccomandazioni.
Stai attenta, non parlare agli estranei,non fare incidenti… avevo raggiunto i ventitré anni e andavo per i ventiquattro, ma per lui sembrava che ne avessi ancora dieci. Per lui, come per qualsiasi altro padre in effetti, ero ancora la sua piccola bambina.
Mi faceva tenerezza il suo lato apprensivo ed a volte iperprotettivo, che aveva sempre dimostrato nei miei confronti, senza contare il comportamento da poliziotto che ogni tanto usciva fuori, e che era cresciuto ancora di più dopo quello che era accaduto alla mamma.
Era il suo modo per accertarsi che stessi bene, e non c’era giorno in cui non me lo ripeteva, ma gli volevo bene anche per questo.
Appesi di nuovo il post-it sul frigorifero ed aprii lo sportello per prendere il latte. Ne versai una piccola quantità in una tazza e poi a esso ci aggiunsi il caffè, che zuccherai un poco prima di cominciare a berlo.
Sgranocchiai un paio di biscotti al cioccolato, che avevo preparato la sera prima, mentre bevevo il caffè, soffermandomi con lo sguardo sulla finestra della cucina e sul piccolo spiazzo di giardino che riuscivo a vedere.
Il sole era già alto ed illuminava tutto. Per quel giorno sembrava che tutti noi, lì a Forks, ci saremmo goduti una bella giornata di primavera.
Sorseggiai l’ultima parte di caffè prima di sciacquare la tazza e di riporla sul lavello vicina a quella di Charlie. Rassettai un po’ anche quella stanza e poi mi fiondai al bagno per lavare i denti.
Quando ebbi finito scesi di nuovo di sotto ed infilai in fretta la giacca di jeans, recuperai la borsa dalla poltrona del salotto dove l’avevo lasciata la sera prima e uscii di casa.
Scesi i pochi gradini del portico e percorsi il vialetto di casa, salutando con un sorriso e con la mano l’anziana signora Simon, la nostra vicina di casa, che sistemava i vasi davanti la porta di casa sua.
Cominciai ad incamminarmi per raggiungere il piccolo negozio che gestivo da qualche anno senza pensare all’ipotesi di prendere il pick-up per quel giorno. La strada da percorrere non era molta, ed in più la mattinata particolarmente soleggiata mi aveva fatto venire voglia di fare una passeggiata.
E poi, una preoccupazione in meno per papà; poteva benissimo spuntare il ‘non fare incidenti’ dalla sua lista delle raccomandazioni.
Non ci misi molto a raggiungere il negozio, dopo una decina di minuti infatti ero già arrivata a destinazione. Recuperai con qualche difficoltà le chiavi dalla borsa e mi preparai ad aprire la porta quando notai che era già stata aperta.
Sbirciando dalla piccola porta a vetri capii chi era stato ad anticiparmi quella mattina, ed un sorriso mi scappò involontario sulle labbra; riuscivo a vedere soltanto l’accenno di una chioma bionda da dove mi trovavo, ma mi fu sufficiente per riconoscere la proprietaria di quei capelli.
Era decisamente la prima volta che Rosalie arrivava in negozio prima della sottoscritta.
Entrai senza indugi, spalancando la porta a vetri e facendo tintinnare lo scacciapensieri che avevo appeso lì vicino. La testa bionda di Rosalie sbucò subito da dietro il bancone, dove sembrava essersi accucciata in cerca di qualcosa.
- Come mai così mattiniera? Non vorrai mica far piovere proprio oggi che c’è il sole! - scherzai, raggiungendola e poggiando la borsa sul bancone.
Rose sbuffò, rimettendosi in piedi e spolverandosi la gonna nera che le arrivava quasi alle ginocchia. - Mia cognata mi ha buttato giù dal letto alle cinque, stamattina. Le voglie le arrivano alle ore più assurde, adesso che è quasi alla fine della gravidanza!
Ridacchiai. Alice, la cognata di Rose, era incinta e come aveva detto la mia amica aveva quasi raggiunto il termine della gravidanza. Per lei e per suo marito Jasper, il gemello di Rose, era la prima gravidanza e non vedevano l’ora di conoscere dopo tanto tempo la loro bimba.
- Jasper non era con lei? - chiesi, scrutando bene il viso della mia amica.
Aveva delle leggere ombre scure sotto agli occhi, nulla che non potesse essere corretto con un po’ di trucco ma Rosalie evitava di usarne molto. Il suo massimo erano un delicato ombretto chiaro ed un po’ di mascara per incurvare le sue ciglia lunghe.
Chiuse per un istante i suoi occhi azzurri e sbadigliò prima di rispondermi. – No, era ancora in trasferta per lavoro. Torna stamattina, adesso che ci penso… tra qualche ora, più o meno.
Jasper era un avvocato, laureato da poco più di un anno, e lavorava in uno studio legale a Port Angeles. Da quello che mi aveva raccontato Rosalie qualche giorno prima, e che io avevo completamente dimenticato fino a quella mattina, era partito alla volta di New York per un meeting e sarebbe tornato solo dopo qualche giorno.
- Capisco.
Osservai Rosalie grattarsi con noncuranza la testa, poco sopra la tempia destra, vicino a dove si trovava in bella vista una foglia verde che sicuramente si trovava sul pavimento poco tempo prima.
Risi ancora, allungando una mano per afferrarla e mostrandogliela poco dopo; lei inarcò un sopracciglio, facendomi una domanda muta.
- Avevi questa tra i capelli. - scrollai le spalle.
- Devo averla presa da terra. Questo succede perché tu ti dimentichi sempre di spazzare il pavimento prima di andare via, alla chiusura del negozio! - esclamò, rimproverandomi.
Alzai gli occhi al cielo. - Ooook… stasera, prima di chiudere, pulirò e toglierò tutte le foglie che cadranno durante la giornata. Va bene così?
Rosalie mi mostrò i pollici, sorridendo. - Affermativo!
Scossi la testa, evitando di fare commenti per l’uscita scema della mia amica, e dopo aver ripreso la borsa andai nel laboratorio per riporre la giacca; mi stupii di trovarlo pieno di fiori freschi.
Doveva essere già passato il camion dei rifornimenti.
- Rosalie, è già passato Jacob? - chiesi, mentre mi sfilavo il giubbino e restavo con una maglia a maniche lunghe blu chiaro.
- Sì, cinque minuti prima che arrivassi tu… anche lui è rimasto sorpreso quando mi ha visto.  
Rosalie mi raggiunse nel laboratorio, legandosi il grembiulino verde con il nome del negozio, ‘Il regno di Flora’, stampato sopra. - Scommetto che sarebbe stato più felice di vedere te al posto mio!
Sbuffai, prendendo il mio grembiule ed imitandola. - Ricominci di nuovo con questa storia?
- Perché, non è forse vero che piaci a Jacob? Bella, si vede lontano un miglio che gli interessi! Non ci vuole mica uno scienziato per capirlo, si vede da come ti guarda…
- Ah sì? E come mi guarda, scusa?
Sorrise maliziosamente, poggiando le mani sui fianchi. - Ti guarda come se volesse mangiarti… o farti altro, non so se capisci cosa intendo.
Le mie guance cominciarono a scaldarsi a quelle ipotesi. Diavolo, mi imbarazzavo sempre per così poco!
- Ti capisco benissimo, Rose, non andare oltre! - sperai che mi prendesse alla parola e che non andasse oltre con le sue descrizioni, altrimenti presto mi sarei trasformata in una specie di pomodoro maturo adatto per condirci la pasta.
Rosalie alzò le mani in alto, in segno di resa, senza smettere di sorridere. - Va bene, la pianto, però io penso che tu dovresti provarci. Stareste benissimo insieme!
- Rose! - esclamai, ancora.
Lei cominciò a ridere e mi diede una spintarella, mandandomi verso la parte del negozio adibita al ricevimento dei clienti. - Vai di là, sciocchina! Io faccio la composizione per la signora Newton e ti raggiungo.
Feci come mi aveva detto senza fare storie e mi sedetti sul piccolo sgabello che c’era dietro il bancone, vicino al registratore di cassa. Presi tra le mani un paio di forbici che erano state abbandonate sul ripiano, coperto da un telo di plastica trasparente, e mi persi per un po’ ad osservare quello che da quattro anni a quella parte era diventato il mio piccolo angolo di paradiso.
Il regno di Flora’, l’unico negozio di piante e fiori della cittadina di Forks, fino a qualche anno fa apparteneva a mia madre e sempre fino a qualche anno fa portava il suo nome. Si chiamava, infatti, ‘Il regno di Reneè’.
Forse si sarebbe chiamato ancora così, se soltanto un brutto incidente stradale che coinvolse anche il veicolo sul quale viaggiava mia madre non me l’avesse portata via per sempre.
Ricordavo ancora con una stretta al cuore il giorno in cui avvenne l’incidente…
Ero a Seattle per frequentare l’università, più precisamente i corsi di botanica e florovivaismo, una piccola passione che la mamma mi aveva trasmesso sin da quando ero piccola e che avevo sempre voluto approfondire. Papà mi telefonò quando avevo appena terminato di seguire una lezione e mi raccontò tutto quello che era successo; inutile dire che da quel giorno tutta la mia vita cambiò.
Feci subito i bagagli e tornai a casa; mio padre aveva bisogno di me in quel momento, ed io avevo bisogno di lui. Avevamo perso una delle persone più importanti della nostra vita, e l’unica cosa che potevamo fare per sopportare e superare il dolore che quella terribile perdita aveva comportato era restare insieme.
I primi tempi dopo la morte della mamma furono difficili da sopportare; passavo la maggior parte delle giornate dentro casa e quello non faceva altro che amplificare il dolore e la nostalgia che provavo.
Ogni cosa, anche la più piccola ed insignificante, mi ricordava lei… persino le riviste che si trovavano sul tavolino basso del salotto mi facevano ricordare la sua piccola mania di sistemarle sempre in modo che non risultassero fuori posto.
Mano a mano che passava il tempo, ed anche grazie alla presenza quasi costante di Alice e Rosalie, le mie amiche più care, riuscii a superare quei momenti duri e a risollevarmi un poco.
Un altro scoglio difficile da superare fu quando arrivò il momento di decidere cosa fare del negozio della mamma. Io non volevo assolutamente venderlo, sapendo quanto lei tenesse a quel suo piccolo ‘posto magico’, come amava definirlo, e papà lo stesso.
L’unica soluzione sembrava essere quella di assumere qualcuno che potesse lavorarci, e fu allora che ebbi un’idea.
Decisi di assumermi io l’impegno del negozio, sia per quanto riguardava la gestione sia per il lavorarci. Avevo sempre amato trascorrere il tempo in quel posto, e qualche volta avevo anche aiutato la mamma quando c’era del lavoro in più da svolgere.
Sapevo tutto quello che c’era da sapere sull’attività, ed ero più che sicura di riuscire a cavarmela.
Non cambiai nulla, lì, lasciai tutto esattamente come aveva deciso mia madre; mi limitai solo a cambiare il nome e l’insegna, mettendo il nome ‘Flora’ al posto di quello di mamma.
Anche i primi tempi in cui lavorai al negozio furono difficili perché quello era il posto dove mamma trascorreva gran parte delle sue giornate, spesso e volentieri ci si recava anche la domenica mattina, ma superato anche quel periodo cominciai a prendere più confidenza con quel mestiere ed imparai in fretta a fare composizioni floreali degne di essere chiamate in quel modo.
Con l’arrivo di Rosalie nel negozio, che si offrì di aiutarmi con il lavoro e con la gestione dell’attività anche senza chiedere nulla in cambio, le cose andarono molto meglio: il lavoro diventò più facile ed anche più divertente, specialmente durante i primi periodi in cui Rosalie stava imparando il mestiere di fioraia e ne combinava di tutti i colori.
Venni distratta da tutti quei pensieri quando sentii lo scacciapensieri suonare, annunciandomi l’arrivo del primo cliente della giornata, e voltando lo sguardo incrociai quello gentile e simpatico di una signora che riconobbi essere la nonna di Angela, una mia vecchia compagna di liceo.
Le sorrisi, preparandomi a servirla.
 

-
 

- Dai Bella, come puoi dire che Jacob è brutto? Io lo trovo davvero un bel ragazzo…
Sbuffai, sentendo l’ennesimo commento di Rosalie a favore di Jacob.
La mattinata era trascorsa in un battibaleno, tra commissioni e consegne a domicilio, lasciandomi sorpresa quando mi accorsi che era già arrivata l’ora della pausa pranzo per me e per la mia amica.
Come nostra abitudine, ci eravamo recate nella piccola tavola calda che si trovava poco distante dal negozio e di proprietà dei genitori di Tyler, un ex compagno di liceo di Rose, e mentre mi gustavo il mio pranzo ero anche costretta a sentire Rosalie che ciarlava e cercava di convincermi a dare una chance a Jacob.
Arrivare in anticipo a lavoro sembrava averle davvero fatto male.
- Rose, Jacob non mi interessa, quante volte te lo devo ripetere? - dissi per l’ennesima volta.
Lei sembrò non ascoltarmi nemmeno, mentre si portata alle labbra una nuova forchettata di insalata mista. La masticò per bene e la inghiottì, il tutto mentre io la osservavo seccata e con la forchetta a mezz’aria.
- Bella, sono secoli che non esci con qualcuno! Dagli una possibilità, cosa ti costa?
- Nulla, non mi costa nulla, ma non voglio uscirci, ecco.
Rose inarcò un sopracciglio, arricciando le labbra subito dopo. - Sembri la cuginetta di Emmett quando parli così. Se la smetti di fare i capricci forse ti compro una Barbie, che ne pensi?
- Penso che dovresti smetterla di dire cavolate, non sono una bambina! Il tuo ragazzo ti ha rovinato, lo sai?
Scoppiò a ridere. – No, è il contrario… sono io che ho rovinato lui!
Emmett era il fidanzato storico di Rosalie; si conoscevano sin da quando erano dei mocciosi dell’asilo ed il loro amore era sbocciato, come capitava spesso, tra i banchi del liceo. La loro storia andava avanti da quasi undici anni e sembrava destinata a durare per tutta la vita.
Ero più che sicura che presto avrebbero convolato a nozze.
-Vi siete rovinati a vicenda allora.
Rosalie stava per fare, ne ero sicura, uno dei suoi soliti commenti cretini ma venne preceduta dallo squillo del suo telefono. La voce di Bruno Mars invase tutta la piccola sala dove ci trovavamo noi, prima che Rosalie accettasse la chiamata.
- Dimmi Jazz… COSA?! Oddio! Arrivo subito, aspettatemi! - riattaccò in fretta, respirando ancora più in fretta e saltando in piedi come se fosse stata appena punta da qualcosa.
Era agitata per qualcosa, impossibile non notarlo.
- Cosa sta succedendo? - chiesi, riprendendo finalmente a mangiare il mio pranzo ormai diventato freddo.
- Alice sta per partorire! - esclamò, saltellando sul posto come una pazza isterica.
Quasi mi strozzai con il boccone che avevo preso, e fui costretta a bere un sorso d’acqua per mandare giù il tutto.
- Dici sul serio?
- Sìììììì! Ci credi Bella, ci credi? Sto per diventare zia! Awwwwww! - si portò le mani sulle guance, restando con la bocca aperta, in una perfetta imitazione dell’ ‘Urlo’ di Munch. - Devo raggiungerli, devo raggiungerli! Non posso perdermi la nascita della mia prima nipotina! Non posso!
Si comportava da scellerata cronica, incurante del fatto che ci fossero altre persone in quel posto che sicuramente stavano pensando male di lei.
- E sei ancora qua a fare la pazza? Fossi in te sarei già andata via da un pezzo.
Mi alzai in piedi e presi la sua borsa ed il suo giacchetto, visto che lei restava imbambolata in quella posizione e non faceva nulla; gliele misi senza tante cerimonie sulle braccia dopo che gliele feci abbassare e l’abbracciai.
- Corri da loro e mettimi al corrente di tutto. - sciolsi l’abbraccio ma lei ancora non accennava a fare un movimento, e allora fui costretta a darle una sberla sul braccio. - Rose! Muoviti!
- E come faccio con il lavoro? Non posso lasciarti da sola… - mi guardò perplessa e preoccupata, mentre si sistemava meglio la roba che le avevo messo tra le braccia.
Gli stava per nascere una nipotina e lei pensava al lavoro; quanto poteva essere sciocca in certi momenti la mia cara amica? Ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
- Chi se ne frega del lavoro, Rose! Vai e fatti sentire solo per darmi buone notizie. - vedendo però che non accennava a smettere di fissarmi, fui costretta ad aggiungere qualcos’altro con uno sbuffo. - Va bene. Recupererai queste ore un altro giorno, ma vai via immediatamente!
- Oddio Bella! Grazie grazie grazie! - esclamò, abbracciandomi subito dopo.
Rose aveva questo strano senso del dovere: non le piaceva molto lavorare, e la cosa si notava dal fatto che spesso e volentieri arrivava in ritardo al negozio, ma si preoccupava poi immensamente se degli impedimenti o qualcos’altro le causavano l’impossibilità di lavorare.
Delle volte quando veniva a lavoro malata ero quasi costretta a prenderla a calci perché non voleva tornare a casa e riguardarsi.
Continuò a ripetere ‘grazie’ un’infinità di volte, e alla fine non riuscii a sopportarla più.
La scansai un po’ bruscamente e la sospinsi verso la porta. - Rose, non te lo ripeto più: corri da tuo fratello e da Alice!
- Oh, sì sì, adesso vado! Ti prometto che ti telefono e ti dirò tutto… Bella, oddio non ci credo ancora!
Continuò ad urlare in quella maniera anche quando fu fuori dal locale, sbracciandosi per attirare la mia attenzione. Era inutile fare tutti quei movimenti frenetici con le braccia, riuscivo a vederla e a sentirla ancora bene, per mia sfortuna.
La salutai con un gesto della mano e poi tornai dentro velocemente, raggiungendo il tavolo che avevamo occupato insieme fino a qualche istante prima. Quando mi sedetti di nuovo davanti al mio piatto, però, capii che non sarei riuscita più a mangiare nulla.
L’euforia di Rose e la bella notizia che era arrivata mi avevano fatto passare tutta la fame. Realizzai in quel momento che un po’ di euforia e di ansia la stavo provando anch’io.
La piccolina che stava per venire alla luce non era mia figlia, o mia nipote, o mia cugina… ma era comunque la figlia di una delle mie migliori amiche, e mi coinvolgeva quasi con la stessa intensità.
Sapendo che non sarei più riuscita a mangiare niente, recuperai i miei effetti personali, gettai nella spazzatura i resti del mio pranzo ed uscii dalla tavola calda; non dovevo neanche preoccuparmi di pagare il conto. Rosalie aveva deciso di offrirmi il pranzo e mi ero quasi beccata una borsata da parte sua quando avevo cercato di ribattere.
Tornai nella calma e nella solitudine del  negozio, ma solo per quelle poche ore di pausa. Approfittai di quel momento di pausa per proseguire un po’ la lettura del mio libro settimanale, felice che per una volta almeno non avrei dovuto aspettare la sera per immergermi in quel piccolo mondo fatto soltanto di carta.
 

-
 

L’attività lavorativa cominciò presto quel pomeriggio, giusto un’oretta dopo che ebbi fatto ritorno al negozio. Rispetto a quella mattina, però, risultò essere più povera e tranquilla.
Quel pomeriggio sembrava che a nessuno interessasse acquistare ed immergersi nei fiori, ma mi consolai proseguendo la lettura del libro.
Ero arrivata alla metà del mio piccolo mattoncino di seicento pagine quando il telefono del negozio squillò, al che interruppi la lettura per l’ennesima volta e con la mano libera afferrai la cornetta.
- Il regno di Flo… - non riuscii a terminare di dire il nome del negozio che sentii lo strillo di Rosalie perforarmi un timpano; riuscii però a capire cosa mi stava dicendo.
- È nataaaaaaaa! - urlò, singhiozzando e riprendendo a parlare dopo un secondo esatto. - È nata Bella, è nata! Oddio, devi vederla! È bellissima, tutta suo padre!
- Oh Rose, che bello! - scattai in piedi con una mossa rapida, lasciando la presa sul libro che cadde a terra con un tonfo sonoro. - Sono davvero contenta, e se ti sente Alice dire una cosa del genere credo che ti ammazza! Come hanno deciso di chiamarla?
- Jillian… ti basta sapere che l’ha scelto mio fratello in nome, quindi capirai se è un po’ bruttino!
- Ma che dici, a me piace Jillian. E puoi sempre usare Jill come diminutivo, no?
- Oh, hai ragione! Meglio chiamarla Jill che con il nome completo! Non mi piace per niente.
Restai a parlare con lei per altri cinque minuti, poi fui costretta a lasciarla andare visto che non vedeva l’ora di andare a spupazzarsi un po’ sua nipote. Quella piccina già da appena nata avrebbe dovuto imparare a convivere con la pazzia e l’esuberanza della zia paterna, quasi peggiore di quella della sua giovane madre.
Tornai a leggere il mio libro, felice per la bella novità, e quando stava per arrivare l’orario di chiusura cominciai a risistemare il negozio. Per prima cosa spazzai il pavimento, così Rose non si sarebbe più lamentata se trovava anche solo una foglia fuori posto.
Stavo cambiando l’acqua ai fiori che non erano stati venduti, e li stavo per stipare dentro alla cella frigorifera, quando sentii la porta aprirsi grazie allo scampanellio dello scacciapensieri.
Era quasi ora di chiudere, ma un ultimo cliente facevo ancora in tempo a servirlo.
Tornai di là con un sorriso gentile sul volto ma quest’ultimo si congelò non appena vidi chi era la persona che era appena entrata… o meglio, la statua di Apollo che era appena entrata.
Un uomo alto e dai capelli castano ramati era impegnato ad osservare alcune fotografie che erano state appese alle pareti, raffiguranti per lo più composizioni e decorazioni che avevo fatto negli anni. Riuscivo a vedere di lui solo il profilo del viso, ma non potei lamentarmi. Era davvero un bellissimo profilo.
Quando si voltò verso di me, dopo essersi accorto che ero entrata nella stanzetta, rimasi ancora più scioccata. Se il profilo era bellissimo, il primo piano era spettacolare!
Il suo viso aveva dei bellissimi lineamenti, marcati e decisamente mascolini. La mascella squadrata, poi, mi piaceva moltissimo! I suoi occhi mi attirarono quasi come una calamita, e mi immersi senza potermene rendere conto in un mare di verde che sfociava anche nel celeste.
Diavolo, un colore simile lo avevo visto solo sul viso di due persone: una naturalmente era Alice, mentre l’altra era suo fratello… ma non poteva essere lui, il ragazzo che avevo di fronte. Non avevo più notizie di Edward da anni ormai.
Mi schiarii la voce, imbarazzata, dopo essermi resa conto che avevo perso più tempo del previsto ad osservare quel ragazzo bellissimo. Portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendogli.
Quel gesto agli occhi di altri poteva avere un altro tipo di significato, ma io in quel momento volevo solo uscire dalla magra figura che stavo facendo.
- Posso esserti utile? - chiesi, alzando il tono della voce soltanto alla fine della domanda.
Lui mi sorrise, uno di quei mezzi sorrisi che ti facevano andare fuori di testa, e ridacchiò subito dopo.
- Davvero non mi riconosci, Bella? Appena ti ho vista mi è comparsa davanti agli occhi la ragazzina con l’apparecchio ai denti con cui passavo interi pomeriggi! - disse.
Aveva una voce bassa e roca, maledettamente sexy ed anche maledettamente familiare.
Mi rifiutavo di credere che quella specie di Dio sceso in terra fosse proprio Edward, fratello di Alice e mio migliore amico… ma sembrava essere proprio così!
- Edward? Non ci credo, sei proprio tu!?
Annuì, accompagnando quel gesto con una risata divertita e tremendamente bella. – In carne e ossa, bellezza!
Dalle mie labbra uscì un gridolino estasiato, mentre spiccavo una corsa verso di lui e lo abbracciavo con uno slancio. Edward ricambiò subito l’abbraccio, circondando forte la mia vita con le sue braccia e sollevandomi da terra.
- Dio, Bella, non ci credo ancora! Quanto tempo è passato. – le sue parole mi giunsero un po’ ovattate, per il fatto che aveva seppellito la bocca tra i miei capelli.
Risi; molto probabilmente ero nelle sue stesse condizioni. Mi sembrava impossibile che Edward Cullen fosse lì, nel mio piccolo negozio, e mi stava abbracciando. Era una parte di me, quel ragazzo, così importante come d’altronde tutti sapevano.
Lui era stato, ed era ancora, tante cose per me: il mio migliore amico, il fratello maggiore che non avevo mai avuto, il mio confidente… e, cosa di cui in pochi erano a conoscenza, era il ragazzo di cui ero stata innamorata da adolescente.
Le cose poi erano cambiate, con il passare degli anni, ma l’affetto che provavo per lui non era mai andato via. Forse si era trasformato, ed era diventato meno intenso, ma era sempre presente.
Sciogliemmo l’abbraccio qualche minuto dopo, restando però con i corpi vicini. Rivolsi a Edward un sorriso felice e divertito, eco del suo, e non potei fare a meno di stringergli piano una mano mentre lo scrutavo attentamente.
- Non sapevo che eri in procinto di tornare a Forks. - dissi, rimpiangendo subito dopo di aver scelto proprio quel discorso per cominciare una conversazione.
- Non lo sapevo neanche io, a dire la verità. – Edward rise mentre osservava le dita della mia mano, che adesso erano strette lievemente nella sua presa. – Mi hanno avvertito della nascita di Jillian mentre ero in ospedale per il tirocinio, ma non potevo non tornare.
- Ah, già, è vero! Sei diventato zio! Auguri!

Certo, Bella, che sei davvero sveglia quando ti ci impegni!, sentii urlare dentro la mia testa. La scossi piano, scacciando via quella vocetta fastidiosa.
- Grazie, Bella. – sorrise ancora, chiudendo per un istante gli occhi prima di riaprirli. - Devo passare ancora in ospedale, ma prima volevo prendere qualcosa da portare a Alice…
- …e hai pensato di prenderle un mazzo di fiori. – completai la frase per lui, e sorrisi quando lo vidi annuire mentre si grattava la testa. – Ci penso io, faccio in un lampo.
Tornai velocemente nel retrobottega, ringraziando il fatto di non aver ancora chiuso tutti i fiori nella cella frigorifera, e recuperai un paio di secchi pieni di rose e di gigli. Li portai dietro al bancone, chinandomi per prenderne alcuni e depositandoli poi sul bancone per preparare il bouquet.
- Come vanno gli studi? Sei diventato un chirurgo come desideravi? – chiesi, lanciando un’occhiata rapida in direzione di Edward.
Lui si era appoggiato con i gomiti al bancone, con la testa poggiata sulle mani, e sembrava che stesse osservando ogni mia singola mossa. Riportai gli occhi sui fiori, cercando di non mostrarmi troppo a disagio, e strinsi il nastro con cui stavo fissando insieme i gambi.
Ridacchiò. – Tra qualche anno forse potrai chiamarmi in questo modo, ma per adesso sono solo uno specializzando di chirurgia pediatrica.
Sorrisi. Era proprio come ricordavo.
Il sogno di Edward, sin da quando era bambino, era quello di diventare un dottore come suo padre, Carlisle, primario dell’ospedale di Forks. Piano piano i suoi desideri avevano preso più forma e consistenza, e al momento di spedire le domande ai college sapeva già cosa voleva diventare, per l’appunto un chirurgo pediatrico.
- Sono contenta, è quello che hai sempre voluto…
- Non posso dire lo stesso di te, invece.
Alzai lo sguardo, guardandolo interrogativa. Smisi persino di sistemare la carta attorno ai fiori, non capendo a cosa si stesse riferendo.
Probabilmente, Edward capì il mio smarrimento. – Ti ho lasciato che stavi per andare a studiare botanica, e ti ritrovo proprietaria di un negozio di fiori. Diciamo che è stata un po’ una sorpresa. – mi sorrise tranquillamente, quando finì di parlare.
Scrollai le spalle, ritornando con lo sguardo sul bouquet, mentre sulle mie labbra prendeva vita un sorriso nostalgico. – Beh, è stata una mia scelta. Non volevo che tutti gli sforzi di mamma andassero perduti, ma non rimpiango quello che ho fatto… mi piace stare qui. Mi è sempre piaciuto.
- È terribile quello che le è accaduto, non volevo crederci quando me lo hanno detto. – la mano di Edward si posò sulla mia, bloccando così quello che stavo facendo.
Sollevai il viso, incontrando il suo serio e dispiaciuto. Mi morsi il labbro inferiore, in un gesto meccanico che mi usciva sempre quando ero nervosa o a disagio, e sentii la presa di Edward diventare più forte sulla mia mano.
- Mi dispiace davvero tanto, Bella. Avrei voluto starti accanto in quel momento così delicato per te.
Sentii gli occhi cominciare a pizzicarmi, a quelle parole, segno che sarei scoppiata presto a piangere se non fossi riuscita a controllarmi. Battei le palpebre velocemente, cercando di scacciare via quella sensazione, e sorrisi, anche se forse quello che uscì fuori era più una smorfia che un sorriso.
- Grazie. – fu tutto quello che riuscii a dire, ma sembrò che a Edward bastasse perché mi sorrise ancora e mi lasciò una leggera carezza sulla mano prima di ritirarla.
Qualche minuto dopo, terminai di confezionare il bouquet ed ammirai per alcuni secondi la mia opera prima di consegnarla felice a Edward: avevo sistemato i gigli rosa e le rose bianche in modo che queste ultime circondassero gli altri fiori, e avevo aggiunto qua e là della nebbiolina; il tutto era circondato da della carta velina rosa, tenuta insieme da un enorme fiocco di raso bianco.
- Ecco fatto, tutto per te! – esclamai, quando lui lo prese in mano.
- Oh, ma cara non ti dovevi disturbare. – Edward si esibì in una terribile e mal riuscita imitazione di un ragazzo gay, che mi fece ridere senza indugi. Tornò serio quasi subito, però. – Quanto ti devo, Bella?
Restai sorpresa dalla sua domanda, tanto che rimasi per qualche secondo immobile ad osservarlo. Mi ripresi, e scossi la testa in fretta.
- Nulla, Edward. Non c’è nessun bisogno di pagarmi.
Lui mi guardò abbastanza incredulo, come se gli avessi appena rivelato una notizia scioccante. – Ma… Dai, Bella, non posso andarmene così! Questo coso costerà almeno… che ne so, trenta dollari.
- Beh… - in effetti era così, Edward ci aveva preso al primo colpo.
- Senti, non mi va di approfittare della nostra amicizia e di andare via senza averti pagato. – continuò, imperterrito, posando il bouquet sul bancone e prendendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni. – Trenta dollari possono bastare, allora?
- Edward, davvero, non c’è bisogno che lo fai! – esclamai, e quasi mi arrampicai sul bancone per evitare che prendesse i soldi dal portafoglio.
Edward si scansò prontamente, guardandomi in modo divertito ed irritato allo stesso tempo. – Non sei cambiata, sei sempre testarda. Ma io non me ne vado da qui se prima non ti ho pagato… allora?
Sbuffai, poggiando la fronte sul bancone. Era evidente che averi dovuto fare come diceva lui, ma non gli avrei fatto pagare la cifra intera. – Dammi quindici dollari, non uno di più.
Alzai il viso, osservando Edward mentre prendeva due banconote dal portafoglio e le poggiava accanto alla cassa. Mi sorrise, e si chinò sul mio viso lasciandomi un leggero bacio sulla tempia; nel farlo, sentii l’accenno di barba pungermi la pelle ed anche qualcos’altro, una sensazione di calore improvvisa che mi lasciò un po’ spiazzata.
- Grazie Bella.
Chiusi gli occhi, annuendo, cercando di capire a cosa fosse dovuta quella strana sensazione che avevo sentito. Era stato il suo gesto? Era stato il sentirlo così vicino a me? Oppure era qualcos’altro? Non riuscivo ancora a capirlo.
- Sarà meglio che vada, voglio conoscere la mia nipotina.
- Edward, saluta Alice e Jasper da parte mia. – mi rialzai, mentre lui recuperava il bouquet. – Probabilmente domani passerò a trovarli, in ospedale, ma salutali ugualmente.
Edward mi guardò per qualche secondo e poi annuì, facendomi l’occhiolino.
Mentre lui si allontanava, dirigendosi verso la porta, diedi un’occhiata ai soldi che aveva lasciato sulla cassa e sgranai gli occhi quando vidi che erano venti dollari… venti dollari, non quindici!
- Edward!
Lui stava per chiudersi la porta alle spalle quando lo chiamai, e mi osservò confuso. Gli mostrai le due banconote, inarcando le sopracciglia. – Avevo detto quindici dollari, non venti.
Scrollò le spalle, aprendosi in un sorriso. Diavolo, sorrideva sempre! Adoravo quando lo faceva, però. Avevo sempre adorato il suo sorriso.
- Una piccola mancia per la brava fioraia. Ci si vede, Bella.
La porta si chiuse dietro di lui con uno scampanellio dello scacciapensieri, ed io rimasi imbambolata per diversi minuti ad osservarla, con ancora le banconote strette tra le dita.
 

-
 

Erano passati alcuni giorni da quando avevo rivisto Edward, e non c’erano più state altre occasioni per incontrarlo. Da una parte ne ero dispiaciuta, ma dall’altra no, anzi ne ero felice, molto felice.
Ero rimasta un po’ scossa da quell’incontro, sia in maniera positiva che negativa. Ero stata contenta di rivederlo, ero contenta che per lui le cose stessero andando bene ed ero contenta di sapere che lui, il mio migliore amico del liceo, c’era ancora.
Queste cose rappresentavano la parte positiva; la parte negativa, invece, consisteva nell’aver scoperto e capito che la mia vecchia cotta per lui non era mai andata via. Sembrava essersi tenuta nascosta fino al giorno del nostro nuovo incontro, quando io invece credevo che fosse svanita per sempre.
Per me quella era una cosa terribile, di cui avevo una paura folle, ma per Rose, alla quale avevo raccontato tutto, non era affatto così. Lei era stata entusiasta di venire a conoscenza di questa cosa, e non perdeva occasione durante il lavoro di ripetere come una saputella “Io lo sapevo!”
- Io lo sapevo! – eccola qua, infatti, che ripeteva come un pappagallo quelle parole, e per di più usando la voce di una bimbetta piccola.
- Quante volte lo devi ripetere ancora? – sbuffai, un po’ seccata, e le rivolsi un’occhiataccia prima di tornare a sistemare alcuni vasi di ciclamini sugli scaffali.
- Fino a quando non ammetterai che lo sapevi anche tu. – si attorcigliò un lungo boccolo biondo lungo il dito, osservandomi dalla postazione della cassa. Schioccò la lingua. – E adesso capisco anche perché non hai mai voluto dare una chance a Jacob. Eri troppo innamorata di Edward per filartelo.
Alzai gli occhi al cielo, stringendo nella mano alcune foglie secche che avevo strappato in precedenza dalle piante.
- Per tutto questo tempo… ma Bella, non te ne sei mai resa conto? – domandò ancora, alzando il tono della voce.
- E come facevo, scusa?
- Non lo so! Insomma, non sentivi il bisogno di sapere qualcosa di lui, cosa stesse facendo, se si sentiva con qualcuna… nulla di tutto questo? – cominciò ad osservarmi speranzosa, come se le sue parole fossero state in grado di aiutarmi.
Scrollai le spalle, restando però voltata in modo che non potesse vedermi. Era ovvio che quelle cose le avevo provate, e per parecchio tempo aggiungerei, prima che smettessi di farlo mano a mano che il tempo passava. Non volevo dirglielo, però, e non sapevo per quale motivo volessi tenerla all’oscuro dei miei pensieri.
- Allora? Le hai provate queste cose o no? – Rosalie continuò a farmi domande, imperterrita, tanto che cominciava a stancarmi.
- Sì Rose, le ho provate! – urlai infine, e solo dopo che mi fui premuta entrambe le mani, e di conseguenza anche le foglie secche, sulla bocca, capii di essermi sgamata da sola. – Merda!
- Oddio! E non mi hai mai detto niente in tutto questo tempo? Brutta stronzona!
Mi ripulii il viso dalle foglie secche, spargendone le briciole per tutto il pavimento. Ne sputai anche alcune, leggermente schifata, mentre la voce di Rose mi faceva compagnia; sembrava si stesse divertendo, visti tutti gli epiteti che mi lanciava.
- Perché non mi hai detto niente? Sono la tua migliore amica! Posso capire quando insieme a noi c’era anche Alice e non dicevi nulla, visto che è la sorella di Edward, ma Bella! A me puoi dire tutto, anche le tue confessioni più sconce e porche, lo sai…
- Rosalie, per favore, smettila.
- No che non la smetto!
Le lanciai un’altra occhiata esasperata, e poi mi dileguai nel retrobottega a recuperare scopa e paletta per rimediare al danno che avevo fatto di là. Rosalie mi seguì, incurante del fatto che poteva entrare qualche cliente, e chiuse la porta a vetri dietro di sé.
Sbuffai, vedendo lo sguardo raggelante che mi stava regalando. – Che c’è adesso?
- Potevi dirmi che provavi ancora qualcosa per Edward…
- Non aveva senso dirtelo. Lui non era qui, e non serviva raccontarti tutte quelle cose. Sarei sembrata una scema che correva dietro a un’illusione.
- No, è tutto il contrario! Saresti sembrata solo una ragazza che pensava alla persona di cui si era innamorata… tutto qui.
Mi passai una mano tra i capelli, un po’ stanca per il discorso che stavamo tenendo e che, a dire la verità, non mi piaceva poi così tanto. Non avevo mai amato molto parlare dei miei sentimenti con gli altri, specialmente di quello che provavo nei confronti di Edward.
- Dai Bella, stai tranquilla e non fare così. Io non dirò niente a nessuno.
La guardai, scettica, inarcando un sopracciglio. – Neanche a quel pettegolo del tuo ragazzo?
- Specialmente a quel pettegolo del mio ragazzo! Se vorrà sapere qualcosa, deve venire da te. Hai la mia parola. – portò alle labbra gli indici che aveva intrecciato tra di loro e li baciò.
- Che era quella cosa?
- Non si fa così quando si giura qualcosa?
- Boh!
- Oh, machissenefrega! – esclamò, agitando in aria le mani come se stesse scacciando una mosca fastidiosa. – Lo vuoi un consiglio, però?
La guardai, ancora una volta scettica. – Che genere di consiglio?
Non andavo matta per i consigli di Rosalie, visto che se ne usciva spesso e volentieri con qualcosa che riguardava il sesso. Lei, in effetti, era quella che mi aveva suggerito di sfoggiare senza vergogna il mio decolté prosperoso, così da far cadere ai miei piedi tutti gli uomini nel raggio di venti metri.
- Provaci con Edward, io so che non è fidanzato e che non si sente con nessuna. Che male può fare? – si morse l’unghia del pollice, smaltata di verde bottiglia.
- Non lo so, Rose… - l’idea di provarci con Edward mi terrorizzava alquanto.
- Promettimi che ci penserai, però!
Sbuffai. – Va bene, ci penserò.
- Brava Bella!
Una mezz’oretta dopo essere tornate nel negozio, e dopo aver ripulito il casino che avevo fatto con le foglie, la porta si aprì e non appena mi voltai mi ritrovai la figura alta, magra e bellissima di Edward. Sgranai gli occhi dalla sorpresa, visto che non mi aspettavo di rivederlo così presto.
Quel giorno era vestito nel modo più sportivo che conoscessi: giubbino in jeans, maglia bianca, jeans blu scuro e scarpe da ginnastica nere. Un attentato alla mia vista, insomma.
- Salve ragazze! – Edward sorrise ad entrambe, cosa che però non riuscii a fare io; dire che ero stata presa alla sprovvista era poco.
- Ciao Edward! – Rose, al mio fianco, lo salutò allegramente. – Scusami, devo controllare alcune cose di là. Ti lascio con la padrona di casa!
Che brava amica che era, Rose. Ti abbandonava proprio nel momento del bisogno; la avrei uccisa prima o poi, per questo.
Mentre andava via, un suo gomito si andò a conficcare proprio in mezzo alle mie costole, scatenandomi un dolore allucinante. Boccheggiai, mandandola mentalmente a quel paese e regalandole anche qualche epiteto pesante.
- Ti ha fatto male? – mi ero quasi dimenticata che Edward si trovava davanti a me, con solo l’inconveniente del bancone a separare i nostri corpi. Lo guardai in viso, scoprendo che fosse più vicino di quanto pensassi.
- No no, va… va tutto bene. – dissi, sorridendo e cercando di stare calma; le mie guance, già arrossate da prima, avvamparono ancora di più. – Allora? Hai conosciuto Jillian?
Non appena pronunciai il nome di sua nipote, sul suo viso comparve un sorriso estatico ed emozionato. – Oh sì, è meravigliosa! Non può essere più bella di così.
Non potevo che essere d’accordo con lui, Jillian era davvero una bella bimba.
Piccolina e paffutella, aveva gli stessi lineamenti del papà ed aveva preso da lui anche il colore dei capelli, una bella sfumatura di biondo chiaro. Mi dispiaceva per Alice, l’unica che insisteva col dire che assomigliava più a lei che al marito, ma quella piccina era la copia sputata di Jasper.
- Lo so, è adorabile.
Edward sorrise ancora, con lo sguardo un po’ perso, e poi tornò a posare la sua attenzione su di me. La cosa un po’ mi preoccupò, ed il cuore cominciò a battermi un po’ troppo forte dentro al petto.

Diamine, controllati!
- Ho bisogno anche oggi del tuo aiuto, temo. – mi disse dopo qualche istante di silenzio. – Sempre che non hai niente da fare.
Lanciai diverse occhiate lungo il negozio vuoto, divertita, e notai che anche lui lo era. – Sono libera, come puoi vedere. Di che cosa si tratta?
Edward prese un respiro profondo prima di cominciare a parlare. – Ecco, mi servirebbe qualcosa di piccolo, di non troppo impegnativo. Vorrei chiedere ad una persona se vuole uscire con me…
Smisi di ascoltarlo non appena sentii quelle parole, e sentii il mio sorriso congelarsi sulle labbra immediatamente. Quella frase, praticamente, aveva messo fine a tutti i tentativi per provarci con lui; era chiaro che aveva già qualcuno in testa, e che non aveva tempo per pensare ad eventuali spasimanti… come me, insomma.
Per fortuna che Rose aveva saputo che non era in procinto di impegnarsi. Maledetta.
- Allora? Puoi aiutarmi? – Edward aspettava ancora una mia risposta.
Dio, e adesso che faccio? Non posso mica mandarlo via, così su due piedi! E poi, che cavolo di scusa userei? Mi dispiace, Edward, ma non posso aiutarti perché mi piaci e perché tu non sei interessato a me? Suonava da stupidi persino a me…
Quindi, a malincuore, feci quello che sapevo fare meglio: aiutare le persone a trovare quello che serviva loro.
- Descrivimi questa persona, così posso capire cos’è che gli piacerebbe ricevere.
Restò in silenzio per alcuni secondi, pensando sicuramente a quello che voleva dirmi. - Non c’è molto da dire. È bella, quello lo è di sicuro, e lo è sia esteriormente che interiormente. È dolce, generosa, altruista, e farebbe di tutto per le persone a cui tiene, anche sdoppiarsi in due. È la persona che vorrei avere per sempre al mio fianco, anche se non so se per lei è la stessa cosa… ma spero di sì. E le voglio bene, davvero tanto bene, e vorrei recuperare tutto il tempo che abbiamo perso in tutti questi anni.
Mi morsi le labbra, sentendomi a disagio. Per fortuna che non aveva nulla da dire! Aveva descritto benissimo questa ragazza, ed anche quello che provava nei suoi confronti. In quel momento, scoprii tristemente, avrei voluto tantissimo trovarmi nei panni di questa persona.
Annuii. – Vediamo che cosa posso fare…
In poco tempo riuscii a confezionare un grazioso mazzolino di fiori di campo, colorato e vivace; feci del mio meglio, nonostante volessi con tutta me stessa creare qualcosa di veramente orrendo ed improponibile per vendicarmi.
- Fatto. – gli porsi il mazzolino, come avevo fatto anche qualche giorno prima, anche se le cose erano diverse. L’altro giorno ero felice, allegra, ed in quel momento volevo solo avere una buca nel terreno in cui nascondere la testa.
Mi sentivo delusa? Ferita? Sì, molto.
Edward mi sorrise, felice (meno male che lui lo era), ed appoggiò sul bancone una banconota da dieci dollari. – Vanno bene, o sono troppi?
- Vanno bene, grazie.  
Avrei voluto non accettarli per niente, avrei voluto dirgli chiaro e tondo che non volevo i suoi soldi del cavolo, ma non potevo comportarmi da stronza proprio in quel momento. Cercai di mostrarmi allegra, e gli sorrisi. – Fammi sapere… come va a finire, ok?
Alzò il pollice in alto, un gesto che faceva sempre Rosalie, e pensai che forse era stato contagiato da lei. – Devi sapere come va a finire, Bella. Devo raccontarlo alla mia migliore amica, no?

La sua migliore amica. Dovevo abituarmi al fatto che per lui fossi solo quello, e nient’altro di più.
Mi sedetti sullo sgabello, con lo sguardo basso, mentre sentii la porta chiudersi dietro Edward. Passai stancamente la mano sulla guancia, sentendomi improvvisamente svuotata, triste e con una voglia immensa di piangere.
Rose si affacciò nel negozio un paio di minuti dopo, annunciata dal rumore dei suoi tacchi sul pavimento. Alzai il viso, incontrando così il suo, mortificato e triste allo stesso tempo; si stava mordendo di nuovo l’unghia del pollice, e sembrava che lo stesse facendo da parecchio tempo ormai.
- Bella, mi… mi dispiace, io non credevo che…
- Va tutto bene Rose, davvero. – le sorrisi, mentre sentii gli occhi pungermi nel classico modo che annunciava il pianto. – Scusami, devo andare un attimo in bagno.
La lasciai da sola nel negozio, e feci appena in tempo a chiudermi dentro il piccolo bagno prima di sentire la prima lacrima bagnarmi il viso.
 

-
 

Alla fine ero rimasta per più di un ora dentro quel bagno. Il pianto era durato poco, veramente poco, ma comunque volevo restare per un po’ da sola con i miei pensieri prima di tornare di nuovo da Rose.
Mentre io ero rimasta chiusa in bagno, lei aveva dato una sistemata nel retrobottega e nel negozio; quando, finalmente, mi decisi ad uscire dal bagno e a tornare da lei, si stava preparando per andare a casa e stava per venirmi a chiamare per dirmelo. Se ne andò un paio di minuti dopo, lasciando a me il compito di chiudere il negozio.
Alle sette di sera precise uscii in strada, con indosso il mio giubbino in pelle nero e la borsa a tracolla, pronta per tornare a casa e per lasciarmi alle spalle quella strana giornata. Chiusi la porta, provocando l’inevitabile scampanellio dello scacciapensieri, e cercai nel frattempo le chiavi giuste tra le numerose che avevo nel mazzo.
- Ciao.
Come sentii la sua voce, le chiavi mi caddero di mano. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, cercando di controllare le reazioni del mio corpo. Non volevo rimettermi a piangere proprio in quel momento, e per di più davanti a lui.
Alzai il viso per incontrare il suo, sorridente; sembrava felice di vedermi. Io, a differenza sua però, non lo ero per niente, ma evitai di farglielo capire. Volevo evitare di fare una scenata per strada, così come non volevo scoppiare di nuovo a piangere.
- Ciao Edward.
Sempre sorridendo, fece dondolare davanti ai miei occhi le chiavi che mi erano cadute di mano poco prima; doveva averle raccolte lui, ed io non me ne ero neanche resa conto.
- Grazie. – dissi, mentre le prendevo; notai, abbassando gli occhi, che nell’altra mano stringeva ancora il mazzolino. Non deve ancora aver incontrato la ragazza, pensai. Era l’unica soluzione.
- Com’è andata, allora? Hai avuto fortuna?
- Sto aspettando che finisca di lavorare… sai, è qui in zona.
- Ah. – chiusi la porta del negozio e successivamente anche la grata, facendolo nel modo più veloce possibile. Volevo andare via, e non volevo ritrovarmi in mezzo al loro appuntamento come il terzo incomodo.
Non volevo neanche sapere chi fosse la fortunata, poi.
- Beh, allora buona fortuna. Ci si vede. – lo salutai con la mano e con un sorriso finto, più finto delle tette di Pamela Anderson, e stavo per voltarmi quando sentii la sua mano afferrarmi il polso.
- Dove stai andando? – mi domandò, sorpreso.
Battei un attimo le ciglia, confusa. – A casa. Dove vuoi che vada?
Edward mi lasciò andare il polso, e poi mi porse con un sorriso il mazzolino di fiori che io, io, avevo confezionato nel pomeriggio. Alternavo lo sguardo dal suo viso sorridente e pieno di aspettativa ai fiori, sentendomi sempre più confusa mano a mano che passavano i secondi.
- Che… che significa questo?
- Questi sono per te, volevo farti una sorpresa. Non era poi questa gran sorpresa, visto che li hai scelti tu, ma volevo regalarteli… e volevo anche invitarti a cena fuori, stasera. – mi spiegò, tutto allegro.
Io ero ancora più confusa di prima, e lo stavo ancora guardando incredula quando mi mise gentilmente tra le mani il mazzolino.
- Non capisco… e l’altra ragazza?
Fu lui, in quel momento, ad osservarmi confuso. – Quale ragazza?
- Quella per cui hai fatto fare questo mazzo, e che mi hai descritto prima. Ti ha dato buca, per caso?
I suoi occhi si allargarono, improvvisamente consapevoli di quello che stavo dicendo, e le sue labbra si aprirono in un sorriso, a cui seguì una risatina divertita. Mi stava prendendo in giro, o cosa?
- Bella, ma stavo parlando di te! Credevo che fosse ovvio… non lo avevi capito?
- Stavi parlando di me? – oddio, non ci stavo capendo più niente!
- Sì, e di chi altri se no? Ti ho sempre visto in questo modo, e ti ho sempre voluto bene… molto più che bene, a dire la verità. -  mi si avvicinò ancora, prendendo una mia mano nella sua e posando l’altra a coppa sulla mia guancia; la mia pelle, a contatto con la sua, prese improvvisamente fuoco. – Io credo di essere sempre stato innamorato di te, Bella, ma l’ho capito solo l’altro giorno quando ti ho rivisto. Mi piacerebbe tanto, davvero tanto poter trascorrere più tempo insieme a te.
Non riuscivo a credere a quello che stavo ascoltando. Avevo pensato fino a quel momento che per lui non fossi nient’altro che la sua migliore amica, ed invece adesso scoprivo che lui era innamorato di me… di me, cavolo! E non mi stava prendendo in giro… era assurdo.
Un sorriso, felice stavolta e non finto, prese vita sulle mie labbra. – Non stai scherzando, vero? – non potei fare a meno di chiederglielo.
Edward scoppiò a ridere. – Non potrei mai scherzare su questo, piccola. È tutto vero quello che ho detto prima. Sei la mia migliore amica, e spero che diventerai anche qualcosa di più. Magari la mia ragazza.
La sua ragazza. La sua ragazza. Aiuto, sto per sentirmi male.
Annuii, restando in silenzio, mentre sentivo le mie guance scaldarsi in pochissimi secondi. Edward me ne accarezzò una con il pollice, piano, ampliando il suo sorriso. - È un sì, quello?
Annuii di nuovo. – Sì.
- Quindi, andiamo a cena insieme?
Stavo per dire di nuovo ‘sì’, quando mi ricordai di un piccolo particolare. - Devo avvertire mio padre, prima.
- No, non serve, sa già che ti porto fuori a cena.
Sgranai gli occhi, colpita. – Gliel’hai detto tu?
Annuì. – Sì, ma non sa che ci sto provando con te.
Scoppiai a ridere. – Lo saprà più avanti, non è un problema da affrontare adesso.
Edward rise insieme a me prima di allontanarsi di poco, e poi mi porse una mano guardandomi speranzoso, mentre aspettava che la prendessi. – Andiamo?
Annuii, prendendo la sua mano e stringendola forte. Mi portai il mazzolino di fiori al naso, sentendo il delicato odore che emanavano, e poi riportai tutta la mia attenzione su di lui, e sul suo bellissimo viso.
- Andiamo.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: KrisJay