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Autore: _Luthien_    01/05/2012    2 recensioni
Potevo ancora sentire il tuo odore e ripensare ai tuoi occhi verdi quando c’era ancora dentro tutto il futuro del mondo ed il bisogno di conquistarselo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Petunia Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Titolo: You are my sister
Autore: Kate Erickson
Personaggi: Petunia Evans e Lily Potter
Genere: Introspettivo
Raiting: Verde
Avvertimenti: One-shot
Bevanda scelta: Diet Coke
Introduzione: “Potevo ancora sentire il tuo odore e ripensare ai tuoi occhi verdi quando c’era ancora dentro tutto il futuro del mondo ed il bisogno di conquistarselo.”
 
Consiglio di ascoltare la canzone “You are my sister” di Antony and the Johnsons e di prestare attenzione al testo.
 
You are my sister
 
 
17/08/1965
Un pianto improvviso turbò la quiete di casa Evans. Era un afoso pomeriggio di agosto, così caldo che nemmeno stando immobili, sdraiati sul letto, si poteva evitare il senso di soffocamento dovuto all’aria pesante. Ma era comunque quello che Petunia Evans, 6 anni, stava cercando di fare; si stava davvero impegnando per riuscire a prendere sonno, in modo di far passare qualche ora.
Non appena sentì  quel pianto però, balzò giù dal letto e si diresse velocemente in cucina, dove trovò la sorella Lily che fissava spaventata dei pezzi di vetro per terra.
“Lil, cosa è successo? Ti sei fatta male?” chiese preoccupata mentre sbirciava fuori dalla finestra verso il giardino per assicurarsi che la madre non si fosse accorta del trambusto. Non ricevendo risposta si girò verso la sorella.
Lily era ferma, nella stessa posizione di quando era entrata: era seduta per terra con la schiena appoggiata al muro, le braccia portate a circondare le gambe abbracciandole in un abbraccio, gli enormi occhi verdi spalancati e pieni di lacrime.
“Lily?” la chiamò di nuovo Petunia avvicinandosi a lei “Lily, coraggio, non è successo niente, hai solo fatto cadere un bicchiere. Mamma si arrabbierà un po’ all’inizio ma vedrai che poi le passa.”
“Non l’ ho fatto cadere.” Sussurrò la più piccola.
“Cosa?”
“Non l’ho fatto cadere. Stavo prendendo da bere, mi sono girata, ho guardato fisso il bicchiere per un po’ e lui è caduto”
“Dai Lily, l’hai sicuramente toccato. Le cose non si muovono da sole. A meno che tu non abbia dei poteri magici!! Pensi di averli?” chiese Petunia serissima, decisa a consolare la sorella in qualunque modo.
“No che non li ho! Come posso averli?”
“Beh, non so se te l’ho mai detto ma ci sono alcune cose che possono rendere magiche le persone”
“Davvero??? Come una bacchetta magica??” chiese Lily curiosa.
“Sì, ma quella viene dopo; prima devi avere dei poteri e poi puoi avere una bacchetta”
“E tu sai quali sono quelle cose che mi servono per diventare magica??”
“Certo! Ma devi assolutamente promettere di non dirlo mai a nessuno”
Lily annuì entusiasta, dimentica del bicchiere rotto.
“Bene, allora fai come me; metti la mano sul cuore… è a sinistra, non a destra! Ok… e adesso ripeti: giuro solennemente che mai e poi mai dirò a qualcuno questo segreto! Sarà solo mio e di mia sorella Petunia!”
Lily ripeté, sempre più curiosa e impaziente.
 “Bene, pronta?? Allora per prima cosa chiudi gli occhi e poi devi pensare solo a questo: voglio diventare magica… voglio diventare magica. Perché se non lo vuoi davvero non lo diventi, sai?”
“Lo voglio davvero”
“Brava! Pensa che una delle cose speciali per diventare magici ce l’abbiamo in casa…ed è quella cosa che ti piace tanto e che bevi sempre!”
“La Diet Coke?!?!?!?” se possibile gli occhi della piccola si allargarono ancora di più.
“Esatto… e se ne bevi tanta... ma tanta tanta… allora diventi magica… ma ci vuole tanto tempo. Cosa dici, cominciamo?” le chiese prendendola per mano e dirigendosi poi verso il frigorifero, da dove prese due lattine.
Lily si sedette obbediente al tavolo, sorseggiando felice la sua Diet Coke convinta che se lei e Tunia ne avessero bevuta tanta… ma tanta tanta… allora sarebbero diventate magiche insieme.
 
 
12/05/1969
Era un tiepida giornata di maggio, il sole risaltava nell’azzurro limpido del cielo privo di nuvole. Petunia e Lily erano in un parco giochi vicino a casa e la più piccola delle sorelle era corsa verso le altalene appena arrivata: la bambina amava dondolarsi, cercando di andare sempre più in alto perché questo le dava la sensazione di volare.
Era da un po’ che le cose si erano fatte strane in casa Evans… era iniziato tutto qualche mese prima, quando la piccola di casa aveva cominciato a fare cose con la mente, come spostare gli oggetti o altre strane “magie”.
Petunia aveva riso la prima volta che la sorella le aveva detto che la sua teoria della Diet Coke aveva funzionato ma poi, quando l’aveva visto con i suo occhi, ne era rimasta spaventata e affascinata allo stesso tempo.
“E’ davvero possibile che abbia funzionato?” si chiedeva Tunia dondolandosi pigramente su una delle altalene.  “E se ha funzionato perché io non sono capace di fare quelle cose?”
La bambina si voltò a guardare la sorella spingersi sempre più in alto e stava per dirle di fare attenzione quando Lily semplicemente si lanciò nel vuoto. Petunia trattenne il fiato, spaventata, ma la piccola atterrò con eleganza senza nessun tipo di problema.
Fu una sensazione strana, quella che si impossessò della mente della maggiore: era invidiosa, così invidiosa che l’altra potesse volare e spostare cose; ed era arrabbiata perché i genitori sembravano apprezzare quella strana capacità. Fino a poco tempo prima era lei la “migliore” della famiglia, quella responsabile, quella brava mentre adesso Lily era al centro di tutto.
“La mamma ti ha detto di non farlo! Ha detto che non puoi!” le urlò arrabbiata
“Ma non mi sono fatta niente. Tunia, guarda. Guarda cosa so fare” le rispose la sorella, orgogliosa delle proprie strane capacità.
La piccola prese un fiore caduto e lo strinse in mano mentre l’altra non poté evitare di avvicinarsi; osservò la mano della sorella e vide il fiore che si apriva e si chiudeva.
“Smettila” la sgridò “Come fai?” le chiese desiderosa di essere in grado di imitarla.
A quel punto uno strano ragazzo, magro, con i capelli neri e lunghi sbucò da un cespuglio dicendo che Lily era una strega e lui un mago.
“Che assurdità!!” pensò Petunia trascinando l’altra a casa.
Tornarono velocemente alla loro abitazione, in silenzio mentre la sorella più grande cercava di non essere troppa arrabbiata con la più piccola.
Una volta rientrate Lily si fermò in cucina a guardare la sorella salire di corsa le scale e chiudersi in camera sua, senza riuscire a capire come mai sembrasse così arrabbiata.
Petunia si lasciò cadere pesantemente sul letto, fissando il soffitto mentre alcune lacrime di rabbia iniziavano a scendere sulle sue guance senza che lei se ne accorgersene.
Dopo poco tempo sentì un delicato bussare alla porta; si alzò strofinandosi il viso per cancellare i segni del pianto ed andò ad aprire.
Lily era davanti alla porta, con dipinta sul volto un’espressione colpevole.
“Mi dispiace!!!” disse subito la piccola.
“E perché?” le chiese l’altra facendola entrare in camera.
“Beh non lo so bene. Ma so che non ti piace quando io faccio quelle cose e le ho fatte lo stesso. Quindi mi dispiace tantissimo”
Petunia la guardò: era sua sorella, la persona a cui teneva di più al mondo: come poteva essere arrabbiata con lei?
“Non importa” le disse.
“Allora pace?” le chiese speranzosa Lily.
“Pace” le rispose Tunia.
Allora Lily corse in cucina per poi tornare con due lattine di Diet Coke in mano: berle insieme era il loro modo per fare la pace.
 
 
14/07/1977
“Oh cara, ma è meraviglioso!! Sono sicura che è un bravissimo ragazzo, ne sono certa!” i gridolini di gioia della madre arrivavano fin troppo chiari alle orecchie di Petunia.
Sua sorella, Lily Evans, meglio conosciuta come “La Magnifica” era da poco tornata da quella scuola per strani, come la definiva lei, e non solo; aveva annunciato il suo fidanzamento ufficiale con un suo compagno, un altro strano.
E cosa faceva sua madre?? Continuava a proclamarsi immensamente felice di questa cosa, così felice che avrebbe potuto morire per la felicità…BLEAH!!
Petunia era disgustata dalla cosa.
Come era possibile che i suoi genitori accettassero una cosa del genere? Fosse stato per lei avrebbe portato sua sorella in una casa di cura invece che continuare ad elogiarla, ma no, ovviamente Lily era sempre perfetta.
Sì, certo, Petunia doveva ammetterlo: quando, 7 anni prima, la piccola di casa aveva ricevuto quella lettera in cui si diceva che lei era una strega e che avrebbe potuto frequentare una scuola di magia, la maggiore si era arrabbiata parecchio.
Insomma, perché Lily sì e lei no?? Perché Lily sarebbe potuta andarsene di casa mentre lei sarebbe stata costretta a restare, per di più senza sua sorella, nonché migliore amica?
Così aveva deciso di mandare una lettera al Preside di quella scuola, un certo Albus Silente, per chiedere di essere ammessa ma il responso era stato negativo: niente magia, niente scuola speciale.
Petunia si era sentita così rifiutata, così sola...e con il passare degli anni le cose erano peggiorate; Lily scriveva sempre meno e durante l’estate passava così tanto tempo con quel ragazzino, quello davvero strano, Severus.
I rapporti tra le due sorelle erano diventati sempre più freddi; entrambe avevano cercato un punto di contatto ma ad entrambe era sembrato che non ce ne fossero più.
Nonostante tutto, Petunia doveva ammetterlo: la piccola rossa le mancava.
I suoi pensieri furono interrotti dal un timido bussare alla porta della sua stanza dalla quale fece capolino proprio la sorella.
“Ehi Tunia”.
“Ehi”.
Entrambe si guardarono, imbarazzate, senza sapere davvero cosa dire.
“Hai sentito la notizia?” chiese Lily con cautela.
“Impossibile non averla sentita... quindi…beh congratulazioni” rispose la sorella con poca convinzione.
“Mamma ha detto che anche tu hai trovato qualcuno...un certo Vernon mi pare.”
“Si infatti... ma lo conosci già... è quello che abita ad un paio di isolati da qui. Il padre è il direttore della ditta di trapani”
“Ah sì, ho capito” disse Lily perplessa.
“Come mai quell’espressione? Non approvi forse?” le chiese la sorella con tono provocatorio.
“No figurati... è solo che non mi sembrava ti piacesse molto... insomma l’abbiamo preso in giro parecchie volte, per il suo aspetto o il suo modo di fare da 'mi credo un super-figo'… quindi mi chiedo solo cosa ti abbia fatto cambiare idea.”
“Sai che ti dico? Non ti riguarda... anzi in realtà nemmeno ti interessa! Tu hai il tuo ragazzo che nessuno di noi ha mai visto ma che è sicuramente perfetto per il semplice fatto che tu sei perfetta e scegli sempre le cose perfette! E invece io sono quella che non va mai bene, qualunque cosa faccia e quindi anche il mio ragazzo chiaramente non va bene!!”
“Ma no dai, non stavo dicendo quello...”
“Sì invece!” la interruppe Petunia ormai furiosa “È quello che dicono tutti, mamma, papà, i vicini, tutti! Tu sei quella speciale e io quella ordinaria! Ma sai cosa ti dico? Non è vero! Non sei speciale, sei solo strana, sei matta!! Ma l’ho capito solo io!! E ora esci di qui, non voglio avere a che fare con te!”
Lily obbedì rivolgendo alla sorella uno sguardo di rabbia.
Scese le scale a passo di marcia arrabbiata; non aveva riposto a tono solo perché sapeva che i genitori avrebbero sofferto nel sentirle litigare.
Arrivata in cucina aprì il frigo per prendere la vaschetta di gelato preferito di Petunia e mangiarglielo tutto ma improvvisamente si fermò.
Si ricordò di quell’estate di 8 anni fa, quando avevano litigato e avevano fatto pace con una Diet Coke.
Lily sentì svanire tutta la rabbia, come se non fosse mai esistita, e con espressione triste chiuse il frigo; all’interno non c’era nessuna Diet Coke con cui fare pace e probabilmente non ci sarebbe più stata.
 
 
01/11/1981
“Chi diavolo disturba a quest’ora della notte?” si chiese confusamente Petunia, sentendo il trillo del campanello.
Notò che Vernon, steso accanto a lei, non si era accorto di nulla così decise semplicemente di non curarsene.
Di nuovo quello suonò.
Sbuffando, la donna scosse il marito che svegliandosi le chiese cosa voleva e, quando lei le rispose, le disse di non preoccuparsene.
Di  nuovo, un altro suono.
A quel punto Petunia si decise ad alzarsi per raggiungere la porta, più che altro per evitare che il campanello svegliasse il figlio Dudley, di un anno.
Indossando velocemente la sua vestaglia rosa si affrettò a raggiungere il piano inferiore; aprì la porta, un po’ intimorita e...bhè non trovò nessuno.
Mentre stava richiudendo, maledicendo mentalmente quei ragazzacci che abitavano a pochi isolati di distanza per lo scherzo, notò che proprio ai suoi piedi, sullo zerbino di casa c’era un bambino di circa un anno.
Petunia si chinò per osservarlo meglio senza però toccarlo. Era moro, con un ciuffo ribelle che cadeva sulla fronte; dormiva tranquillamente come se non fosse stato abbandonato sulla porta di una casa in piena notte. Una folata di vento autunnale spostò i suoi capelli, rivelando una strana cicatrice sulla fronte che aveva la forma di una saetta.
“Che strana!” pensò la donna.
Petunia era davvero indecisa su cosa fare: insomma, non poteva di certo lasciarlo lì fuori a gelare ma cosa avrebbe detto Vernon se l’avesse portato in casa?
Poi vide che da un lato di quella specie di culla che lo conteneva sbucava una lettera.
Rapidamente la donna si decise: afferrò il piccolo e lo portò in casa, accomodandosi poi sul divano per leggere quel biglietto che vide, con una certa sorpresa, essere indirizzato proprio a lei.
Prima ancora che potesse aprire la busta, il bambino si svegliò guardandosi intorno piuttosto spaventato. Petunia si affrettò a prenderlo in braccio per evitare che iniziasse ad urlare e lo vide, o meglio, li vide. Quegli occhi. Di un verde inconfondibile: il verde di Lily.
Una strana sensazione si impossessò di lei: una specie di gelo, di paura e ansia che la pietrificarono sul posto. Era successo qualcosa a sua sorella, ne era certa. Qualcosa di brutto.
Depose nuovamente il piccolo nella culla, se sedette nuovamente sul divano e afferrò con mani trepidanti la lettera.
Fu così che la trovò Vernon mezz’ora dopo, sceso a vedere che fine aveva fatto la moglie: seduta sul divano, immobile, gli occhi lucidi come non le aveva mai visto prima.
Poi notò il bambino che lo fissava incuriosito con i suoi grandi occhi verdi.
“Petunia, cosa è successo?”
“Lily, mia sorella…lei è…morta...”
“Oh..e lui?” chiese riferendosi al piccolo.
“Lui è Harry, suo figlio.”
“Petunia, non possiamo tenerlo, sii ragionevole. Insomma mi dispiace per tua sorella ma era una strana e anche suo marito lo era... e lui non può restare con noi, sarà strano anche lui… cosa diranno i vicini?”
“Non mi interessa. Harry resta con noi” gli rispose lei decisa, afferrando il bambino e portandolo con se nella sua stanza.
 
 
03/06/1997
Petunia stava guidando ormai da 5 ore ed era decisamente stanca ma non voleva fermarsi: temeva che se l’avesse fatto, avrebbe perso tutto il coraggio e sarebbe semplicemente tornata indietro. Ma non poteva. Non poteva semplicemente fare dietro-front, tornare a casa e chiudere di nuovo tutti quei pensieri e quelle parole in un cassetto della sua mente: era tempo di essere onesti.
Dopo un’ulteriore ora di macchina Petunia finalmente arrivò a destinazione.
Si guardò intorno smarrita e senza sapere dove andare. Sapeva, perché le era stato riferito anni prima, che era proprio in quel paese che era morta sua sorella.
Erano anni che voleva andare a Godric’s Hollow, da quando il piccolo Harry era piombato nella sua vita, ma Vernon l’aveva sempre dissuasa. Però ora, dopo aver ricevuto una lettera da parte del nipote – in cui le diceva che ce l’aveva fatta, che aveva sconfitto Voldemort, che stava bene e che, nonostante tutto, la ringraziava – aveva capito che non poteva più rimandare.
“Smetti di pensare!” si disse e si avvicinò ad un’anziana signora per chiedere aiuto.
“Mi scusi, sa dirmi dove si trova la casa che apparteneva ai Potter?”
La donna la guardò curiosa.
“Signora, si sta sbagliando, non c’è mai stata una famiglia Potter qui”
“La prego, io so tutto della magia. Sono la sorella di Lily e vorrei andare a casa sua anche se so perfettamente che non potrò vederla” le rispose, ricordando l’incantesimo che Silente aveva fatto sulla casa e di cui le aveva parlato sedici anni prima.
La donna la guardò e, dopo un attimo di esitazione, le indicò la strada.
Petunia si diresse a passo deciso nella direzione indicata fino a quando, dopo una decina di minuti, arrivò davanti a quella che doveva essere la casa. Non vedeva nulla, naturalmente, ma sapeva che era lì. Lo sentiva.
Rimase ferma a fissare il nulla davanti a sé per interi minuti ma a lei sembrarono pochi istanti.
“E quindi sei morta qui.”
Passarono ancora molti minuti prima che Petunia parlasse di nuovo.
“Non sono qui per chiederti scusa; non sono il tipo di persona che si scusa e comunque non credo di aver sbagliato solo io, che sia stata solo colpa mia se abbiamo rotto ogni rapporto. Gli errori si fanno in due. Sono qui per salutarti, per dirti addio, per smettere di provare quel senso di oppressione... hai presente quando esci di casa e una volta fuori senti di aver dimenticato qualcosa? Tipo, il gas acceso o l’acqua aperta? Ecco, io mi sento così da anni. Vent'anni fa sono uscita di casa e ho dimenticato qualcosa ma non so cosa. Sono venuta qui per capirlo, per spegnere il gas o chiudere l’acqua.”
Petunia prese un respiro profondo e si concesse qualche istante prima di proseguire.
“Mi manchi. Mi sei mancata per tutti questi anni ma non me ne ero mai accorta, o meglio, non ho mai voluto ammetterlo. Avere tuo figlio per casa, con quegli occhi, così tuoi, mi aveva fatto sentire come se una parte di te fosse rimasta. Ma contrariamente a ciò che avresti potuto sperare, non sono stata gentile con lui, o amorevole, o materna, tutt’altro. Ho trasferito su di lui tutta la rabbia, il rancore ed il rimpianto che provavo verso di te. Però lui è tuo figlio e nonostante tutto ha continuato a vivere a testa alta, a difendere te e tuo marito davanti a chiunque: ha persino gonfiato la sorella di Vernon. Penso che avresti approvato. Ogni tanto entravo nella sua stanza mentre dormiva e restavo semplicemente a guardarlo. Lui non se ne è mai accorto, per fortuna, anche perché non avrei saputo spiegare davvero il perché lo facevo. Lì, in quelle notti, dove potevo osservarlo e sentire il rumore del suo respiro, tu c'eri: potevo ancora sentire il tuo odore e ripensare ai tuoi occhi verdi quando c’era ancora dentro tutto il futuro del mondo ed il bisogno di conquistarselo. E tuo figlio è come te. Ne saresti fiera. Io ne sono fiera.” Petunia restò ferma a guardare quello spazio vuoto davanti a sé incurante della gente che la guardava stranita; maghi e babbani che si chiedevano perché era ferma a fissare il nulla.
La donna si riscosse soltanto quando qualcuno le urtò per sbaglio la spalla e si rese conto, con sorpresa, che era ormai sceso il buio.
Salì in macchina, senza voltarsi indietro, consapevole che una volta arrivata a casa Vernon l’avrebbe severamente sgridata per la sua assenza ingiustificata, ma lei non aveva intenzione di dirgli dove aveva passato la giornata.
Giudò velocemente e con sicurezza quando improvvisamente, senza pensare, si fermò ad un supermarket. Entrò e senza esitazione comprò una confezione da venti lattine di Diet Coke, una per ogni anno passato senza Lily.
Arrivata a casa, dopo averle riposte nella dispensa, si diresse in camera sua, sentendosi un po’ più vecchia ma un po’ più in pace con se stessa.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore:
eccoci alla fine (sempre che ci siate attivati).
Sono passati 3 anni dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. Poi parlando con la mia amica _Eterea_ (potteriana quanto me ovviamente) si è riaccesa la passione per la scrittura. Certo, scrivere di nuovo mi sembrava un’impresa titanica ma alla fine ce l’ho fatta. Non so se questa storia sia buona, o faccia schifo, o chissà cos’altro ma sono riuscita a farla e questo è un grandissimo risultato per me.
Petunia Evans è un personaggio sottovalutato dai milioni di fan che seguono la saga di Harry Potter; viene considerata la zia cattiva, quella che considera il nipote come un peso. Ma  Petunia prima di essere zia è stata sorella e amica. Ho cercato di mostrare questo lato di lei, più umano, più gentile e meno meschino; ho cercato di dare voce alle sue idee, ai suoi sentimenti e alla sua, secondo me immensa, perdita. Spero di esserci riuscita.
 
  
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